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Full text of "Poesie; con note"

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HANDBOUND 
AT  THE 


UNIVERSITY  OF 
TORONTO  PRESS 


■»~ 


POESIE 


£3/£ 


T 


DI 


IPPOLITO  PEDEMONTE 


CON   NOTE 


Ni  da  te,  dolce  amico,  udrò  più  il  «trio 
E  la  natila  armonia  cbe  lo  governa. 

Foscolo 


**$&? 


MILANO 

PER  ANTONIO  FONTANA 


M.DCCC.XXXIU 


•  Ai? 


ALLA  NOBIL  DONNA 

CHIARA  MOSCONI 

VERONESE 

QUESTO  VOLUME  DI  POESIE     " 

DEL  SUO  ILLUSTRE  CONCITTADINO 

INTITOLA 

IL     TIPOGRAFO     EDITORE 

SPERANDO  CHE  PER  MOLTE 

PATRIE    E    DOMESTICHE    RICORDANZE 

DEBBA  ESSERLE  ACCETTO 


L' EDITORE 


A, 


Ile  Poesìe  di  Vincenzo  Monti  eli' io  pubblicai  nel  i83o  fu  succedere  ora 
quelle  <T  Ippolito  Pindemonte,  parendomi  che  a  molli  debba  esser  caro  di  aTere 
in  due  soli  volumi  di  ugual  forma ,  di  poco  prezzo ,  ed  oso  anche  dire ,  di  bella 
edizione,  le  migliori  produzioni  di  due  poeti  che ,  or  sono  pochi  anni ,  tenevano 
i  primi  seggi  nella  nostra  letteratura.  Solo  mi  duole  che  non  trovai  una  Vita 
del  Pindemonte  la  quale,  almeno  nella  brevità  ,  facesse  riscontro  con  quella  che 
Pietro  Giordani  scrisse  del  Monti;  sicché  in  luogo  di  quella  prosa  tanto  lodata, 
da  cui  ebbi  la  buona  ventura  di  poter  cominciare  il  mio  primo  volume,  si  tro- 
veranno qui  alcune  poche  notizie  desunte  dalle  biografie  più  accreditate. 

Ippolito  Pindemonte  nacque- Tanno  J  7 53  in  Verona  dove  poi  morì  a'  18  no- 
vembre 1828.  Fino  air  anno  diciottesimo  slette  nel  Collegio  di  Modena,  e  certo 
gli  fu  gran  ventura  per  que' tempi  l'avere  avuti  colà  i  suoi  avviamenti  alle  let- 
tere: nondimeno  i  più  s'accordano  a  dire,  che  il  Pindemonte  si  educò  poi  da 
sé  slesso  in  quello  di  che  i  posteri  forse  gli  daranno  più  durevole  lode.  O  se 
altri  in  ciò  lo  giovarono  furono  il  Torelli  e  il  Pompei,  uomini  di  molta  dottrina 
e  di  gusto  squisito  ;  ai  quali  poi  il  Pindemonte  per  lulta  la  sua  vita  non  cessò 
mai  di  mostrarsi  riconoscente. 

Egli  fu  de'  primi  che  dopo  tante  vanità  volgessero  la  poesia  italiana  agli  utili 
argomenti  della  morale;  e  fu  de' primi  altresì  che,  mentre  colf  esempio  mostrava 
quanto  alla  bellezza  e  perfezione  dell'  arte  giovi  Io  studio  dei  classici  greci  e  la- 
tini, voleva  però  che  quest'arte  si  consacrasse  a  illustrare  argomenti  moderni,  a 
diffondere  dottrine  e  sentimenti  conformi  allo  stato  presente  della  società ,  e  ca- 
paci perciò  di  migliorarla. 

Fra  le  sue  opere  poetiche  le  più  Iodate  sono  le  Poesie  Campestri ,  le  Epistole, 
i  Sermoni ,  e  la  traduzione  dell'  Odissea.  Questa  traduzione  è  giudicata  molto 
migliore  d'  ogni  altra  anche  da  quelli  che  non  consentono  a  dirla  perfetta.  Le 
Epistole,  ed  i  Sermoni,  per  bontà  di  pensieri  e  squisitezza  di  stile,  apparten- 
gono alle  migliori  produzioni  della  moderna  letteratura  ;  non  ostante  che  questi 
ultimi  rivelino  piuttosto  un'anima  disgustata  e  malinconica,  che  un  ingegno 
arguto  e  mordente.  Le  Poesie  Campestri ,  sebbene  al  dire  di  alcuni  accusino 
qua  e  là  uno  scrittore  che  non  padroneggia  per  anco  la  sua  arte ,  tultavolta 
un  generale  consenso  le  colloca,  se  così  è  lecito  dire,  tra  i  fiori  più  fragranti 
del  parnaso  italiano;  e  la  storia  non  tacerà  che  il  Pindemonte  scrivendole  nel  1785 
fu  il  primo  che  si  unisse  col  Parini  a  ritrarre  la  nostra  poesia    dalle  arcadiche 


vanità,  per  convertirla  alla  cultura  del  cuore  e  farla  maestra  di  buona  morale. 
Questo  notabile  pregio  si  trova  poi  in  tutte  le  altre  opere  del  Pindemonte,  né 
sì  conosce  di  lui  alcun  verso  che  abbia  bisogno  di  apologia  sotto  questo  rispetto. 
Chi  non  concede  al  Pindemonte  tutta  la  forza  d'ingegno,  l'abbondanza  di 
fantasia,  la  copia  di  stile,  la  spontanea  armonia  di  verso,  che  si  richiedono  a 
fare  un  gran  poeta,  deve  tuttavia  confessare  che  di  queste  doti  egli  fu  più 
che  ordinariamente  fornito  dalla  natura;  e  molto  poi  egli  le  accrebbe  collo 
studio,  e  v'aggiunse  il  pregio  della  modestia  e  di  un  animo  costantemente  vir- 
tuoso. Non  calcò  (dice  un  suo  illustre  biografo)  le  vie  che  conducevano  alle  aule 
degli  ambiziosi  potenti.  «  Sapeva  che  tentarono  molti  di  ascriverglielo  a  colpa  ; 
che  la  moltitudine  corrotta  ama  di  vendicarsi  delle  tacite  rampogne  della  virtù  ; 
ma  egli  più  d'ogni  altra  cosa  temeva  il  giudizio  dei  posteri  m. 


ODISSEA  DI  OMERO 


LIBRO  PRIMO 


ARGOMENTO 

Proposizione  del  Forma.  Concilio  degli  Dei,  ove  si  determina  il  ritorno  d'Ulisse.  Minerva  discende  in  linci  ; 
e,  soli»  la  figura  di  Mente  re  de' Taf),  conforta  Telemaco  di  condursi  a  Pilo  ed  a  Sparla,  per  sapere  del 
padre,  e  per  farsi  anch' egli  nel  tempo  slesso  cono-cere.  Banchetto  de'  Proci ,  cioè  di  coloro  che  richiedon 
Penelope  in  moglie.  Femio  vi  canta  il  funesto  ritorno  de' Greci  da  Troja  ;  e  Penelope,  che  ode  il  canto 
dalle  sue  stame,  ne  cala  giù  con  due  ancelle,  e  prega  Femio  di  prendere  un  altro  tema.  Telemaco  parla 
con  fermezza  alla  madre,  ed  ai  Proci  inuma  un  parlamento  pel  giorno  tcguente,  e  nella  sua  stanza 
ritirasi  a  riposare. 


lYlusa,  quell1  notn  di  moltiforme  ingegno 
Dimmi,  che  molto  errò,  poich1  ebbe  a  terra 
Gittate  (TUToo  Je  sacre  torri; 
Che  ritta  vide  molte,  e  delle  genti 
L1  indol  conobbe;  che  sovr'esso  il  mare    5 
Molti  dentro  del  cor  sofferse  affanni, 
Mtntre  a  guardar  la  cara  vita  intende, 
E  i  suoi  compagni  a  ricondurr  ma  indarno 
Ricondur  destava  i  suoi  compagni, 
Che  delle  colpe  lor  tutti  perirò.  io 

Stolli!  che  osaro  violare  i  sacri 
Al  Sole  Iperi'on  candidi  buoi 
Con  empio  dente,  ed  irritaro  il  Nume, 
Che  del  ritorno  il  dì  lor  non  addusse. 
Deh  parte  alraen  di  si  ammirande  rose    i5 
Narra  anco  a  noi,  di  Giove  figlia  e  Divq. 

Già  tutti   i   Greci,  che  la   nera   Parca 
Rapiti  non  avea,  ne1  loro  alberghi 
Fuor  dell1  arme  sedeano,  e  fuor  dell1  onde. 
Sol  dal  suo  regno  e  dalla  casta  donna      20 
Rimanea  lungi  Ulisse:  il   ritenea 
Nel  cavo  sen  di  solitarie  grotte 
La  bella  venerabile  Calipso, 
Che  unirsi  a  lui  di  maritali  nodi 
Bramava  pur,  Ninfa  quantunque  e  Diva.  -ì5 
E  poiché  giunse  al  fin,  volvendo  gli  anni, 
La  destinata  dagli  Dei  stagione 
Del  suo  ritorno  in  Itaca,  novelle 
Tra  i  fidi  amici  ancor  pene  durava. 
Tutti  pietà  ne  risentian  gir  Elerni,  3o 

Salvo  Nettuno,  in  cui  Panlico  sdegno 
Prima  non  si  stancò,  che  alla  sua  terra 
Venuto  fosse  il  pellegrino  illustre. 
Ma  del  Mondo  ai  confini ,  e  alla  remota 
Gente  degli  Etiopi  in  duo  divisa,  35 

Vèr  cui  quinci  il  sorgente  ed  il  cadente 
Sole  gli  obbliqui  rai  quindi  saetta, 
Nettun  condotto  a  un  ecatombe  s1  era 
Di  pingui  tori  e  di  montoni;  ed  ivi 
Rallegrava  i  pensieri  a  mensa  assiso.  ^0 

In  questo  mezzo  gli  altri  Dei  raccolti 
Nella  gran  reggia  dell1  olimpio  Giove 
Slavansi;  e  primo  a  favellar  tra  loro 

Pt.VDEVONTK 


55 


|« 


Fu  degli  uomini  il  padre  e  de1  Celesti, 
Che  il  bello  Egisto  rimembrava,  a  cui     45 
Tolto  avea  di  sua  man  la  vita  Oreste, 
L1  inclito  figlio  del  più  vecchio  Atride. 

Poh!  disse  Giove,  incolperà  P  uom  dunque 
Sempre  gli  Dei?  Quando  a  sé  stesso  i  mali 
Fabbrica,  de1  suoi  mali  a  noi  dà  carco,    5o 
E  la  stoltezza  sua  chiama  destino. 
Così,  non  tratto  dal  destino,  Egisto 
Disposò  d1  Agamennone  la  donna, 
E  lui  da  Troja  ritornato  spense; 
Benché  conscio  dell1  ultima  ruina 
Che  P  Argicida  esplorator  Mercurio, 
Da  noi  mandato,  prediceagli.  Astienti 
Dal  sangue  dell1  Alride,  ed  il  suo  letto 
Guardati  di  salir,  che  alla  vendetta 
Ne  farà  Oreste,  come  il  volto  adorni 
Della  prima  lanuggine,  e  lo  sguardo 
Verso  il  retaggio  de1  suoi  padri  volga. 
Ma  questi  di  Mercurio  utili   avvisi 
Colui  nell1  alma  non  accolse:  quindi 
Pagò  il  fio  d^gni  colpa  in  un  sol  punto.  65 

Di  Saturno  figliuol,  padre  desumi, 
Re  de1  regnanti,  così  a  lui  rispose 
L1  occhi  azzurra  Minerva,  egli  era  dritto 
Che  colui  non  vivesse:  in  simil  foggia 
Pera  chiunque  in  simil  foggia  vive.  70 

Ma  io  di  doglia  per  l1  egregio  Ulisse 
Mi  struggo.  Lasso!  che  da'  suoi  lontano 
Giorni  conduce  di  rammarco  in  quella 
Isola  che  del  mar  giace  nel  cuore, 
E  di  selve  nereggia:  isola,  dove  "5 

Soggiorna  entro  alle  sue  celle  secrete 
L1  immortai  fig'ia  di  quel  saggio  Atlante 
Che  del  mar  tutto  i  più  riposti  fondi 
Conosce,  e  regge  le  colonne  immense 
Che  la  volta  sopportano  del  cielo. 
Pensoso,  inconsolabile,  P  accorta 
Ninfa  il  ritiene,  e  con  soavi  e  molli 
Parolette  carezzalo,  se  mai 
Potesse  Itaca  sua  trargli  del  petto: 
Ma  ei  non  brama  eh  •  veder  dai  tetti 
sbalzar  della  sua  dolce  Itaca  il  fumo, 


80 


t5 


E  poi  chiuder  per  sempre  al  giorno  i  lumi. 
Né  commuovere,  Olimpio,  il  cuor  ti  senti? 
Grati  ri1  Ulisse  i  sacrifìci  al  greco 
Urtile  appresso  ne1  Trojan  i  campi  90 

]\on  l'eran  forse?  Onde  rancor  si  fiero, 
Giove,  contra  lui  dunque  in  te  s1  allctta? 
Figlia,  qual  ti  lasciasti  uscir  parola 
Dalla  chiostra  de1  denti?  allor  riprese 
L' eterno  delle  nubi  addensatore  0-S 

Io  r  uom  preclaro  disgradir,  che  in  senno 
Vince  tutti  i  mortali,  e  gì' Immortali 
Sempre  onorò  di  sagrifici  opimi  ? 
Nettuno,  il  Nume  che  la  terra  cinge, 
D'infuriar  non  resta  pel  divino  100 

Suo  Polifemo,  a  cui  lo  scaltro  Ulisse 
Dell1  unic1  occhio  vedovò  la  fronte, 
Benché  possente  più  d'ogni  Ciclopo: 
Tel  divin  Polifemo,  che  Toósa 
Partorì  al  Nume,  che  pria  lei  soletta      io5 
Di  Forco,  re  degl'infecondi  mari, 
Nelle  cave  trovò  paterne  grotte. 
Lo  scuotitor  della  terrena  mole 
Dalla  patria  il  desvi'a  da  quell'istante, 
E,  lasciandolo  in  vita,  a  errar  su  i  neri  no 
Flutti  lo  sforza.  Or  via,  pensiam  del  modo 
Che  l'infelice  rieda,  e  die  Nettuno 
L'ire  deponga.  Pugnerà  con  tutti 
Gli  Eterni  ei  solo?  Il  tenterebbe  indarno. 
Di  Saturno  hgliuol,  padre  de' Numi,         ii5 
De' regi  Re,  replicò  a  lui  la  Diva 
Cui  tinge  gli  occhi  un'azzurrina  luce, 
Se  il  ritorno  d'Ulisse  a  tutti  aggrada, 
Che  non  s'invia  nell'isola  d'Ogige 
L'amhasciator  Mercurio,  il  qual  veloce   120 
Bechi  alla  Ninfa  dalle  belle  trecce, 
Com'  è  fermo  voler  de'  Sempiterni 
Che  Ulisse  al  fine  il  natio  suol  rivegga? 
Scesa  in  Itaca  intanto,  animo  e  forza 
Nel  figlio  io  spirerò,  perch'ei,  chiamati  125 
Gli  Achei  criniti  a  parlamento,  imbrigli 
Que'  Proci  baldi  che  nel  suo  palagio 
L' intero  gregge  sgozzangli ,  e  1'  armento 
Dai  piedi  torti  e  dalle  torte  coma. 
Ciò  fatto,  a  Pilo  io  manderollo  e  a  Sparta,  i3o 
Acciocché  sappia  del  suo  caro  padre, 
Se  udirne  gli  avvenisse  in  qualche  parte, 
Ed  anch' ei  fama,  viaggiando,  acquisti. 
Detto  così,  sotto  l'eterne  piante 
Si  strinse  i  bei  talar  d'oro,  immortali,  1 35 
Che  lei  sul  mar,  lei  su  l'immensa  terra, 
Col  soffio  trasportavano  del  vento. 
Poi  la  grande  afferrò  lancia  pesante, 
Forte,  massiccia,  di  appuntato  rame 
Guernila  in  cima,  onde  le  intere  doma  i/fo 
Falangi  degli  eroi,  con  cui  si  sdegna, 
E  a  cui  sentir  fa  di  qual  padre  è  nata. 
Dagli  alti  gioghi  del  beato  Olimpo 
Rapidamente  in  Itaca  discese,' 
Si  fermò  all'atrio  del  palagio  in  faccia,  145 
Del  cortil  su  la  soglia,  e  le  sembianze 
Vestì  di  Mente ,  il  condottier  de'  Taf). 
La  forbita  in  sua  man  lancia  sfavilla. 
Nel  regale  atrio,  e  su  le  fresche  pelli 
Degli  uccisi  da  lor  pingui  giovenchi 
Sedeano,  e  trastullavansi  tra  loro 
Con  gli  schierati  combattenti  bossi 


5o 


ODISSEA 

Della  Regina  i  mal  vissuti  drudi. 
Trascorrean  qua  e  là  serventi  e  araldi 
Frattanto:  altri  mesce  in  nelle  capaci       1 55 
Urne  l'umor  dell'uva  e  il  fresco  fonte; 
Alili  le  mense  con  forata  e  ingorda 
Spugna  tergeano,  e  le  metteano  innanzi, 
E  le  molle  partian  fumanti  carni. 
Simile  a  un  Dio  nelli  beltà,  ma  lieto     160 
Non  già  dentro  del  seri,  sedea  trai   Proci 
Telemaco:  mirava  entro  il  suo  spirto 
L'inclito  genitor,  qual  s' ei,  d'alcuna 
Parte  spuntando,  a  sbaragliar  si  desse 
Per  l'ampia  saia  gli  abboniti  prenci,      i65 
E  1'  onor  prisco  a  ricovrare  e  il  regno. 
Fra  colali   pensici-  Pallide  scórse  , 
Né  soffrendogli  il  cor  che  lo  straniero 
A  cielo  aperto  lungamente  stesse, 
Dritto  uscì  fuor,  s'  accostò  ad  essa,  prese  170 
Con  una  man  la  sua,  con  l'altra  l'asta, 
E  queste  le  drizzò  parole  alate. 
Forestiér,  salve.  Accoglimento  amico 
Tu  avrai ,  sporrai  le  brame  tue  :  ma  prima 
Vieni  i  tuoi  spirti  a  rinfrancar  col  cibo.  1^5 
Ciò  detto,  innanzi  andava,  ed  il  seguia 
Minerva.  Entrati   nell1  eccelso  albergo, 
Telemaco  portò  1'  asta,  e  appoggi  olla 
A  sublime  colonna  ,  ove  in  astiera 
Nitida  molte  dell'invitto  Ulisse 
Dormiano  arme  simili.  Indi  a  posarsi 
Su  nobil  seggio  con  sgabello  ai  piedi 
La  Dea  menò,  stesovi  sopra  un  vago 
Tappeto  ad  arte  intesto;  e  un  variato 
Scanno  vicin  di  lei  pose  a  sé  stesso. 
Così,  scevri  ambo  dagli  arditi  Proci, 
Quell'impronto  frastuon  l'ospite  a  mensa 
Non  disagiava;  e  dell'assente  padre 
Telemaco  potea  cercarlo  a  un  tempo. 
Ma  scorta  ancella  da  bel  vaso  d'  oro        190 
Purissim'onda  nel  bacil  d'argento 
Versava,  e  stendea  loro  un  liscio  desco, 
Su  cui  la  saggia  dispensieri  i  pani 
Venne  a  impor  candidissimi ,  e  di  pronte 
Dapi  serbate  generosa  copia;  ig5 

E  carni  d'  ogni  sorta  in   larghi  piatti 
Recò  I'  abile  scalco  ,  ed  auree  tazze, 
Che  del  succo  de'  grappoli  ricolme 
Lor  presentava  il  banditor  solerle. 
Entraro  i  Proci,  ed  i  sedili  e  i  troni      aoo 
Per  ordine  occupalo  :  acqua  gli  araldi 
Diero  alle  mani,  e  di  recente  pane 
I  ritondi  canestri  empier  le  ancelle. 
Ma  in  quel  che  i  Proci  all'imbandito  pasto 
Stendean  la  man  superba  ,  incoronaro     ao5 
Di  vermiglio  licor  1'  urne  i  donzelli. 
Tosto  che  in  lor  del  pasteggiar  fu  pago, 
Pago  del  bere  il  naturai  talento, 
Volgeano  ad  altro  il  core  :  al  canto  e  al  ballo, 
Che  gli  ornamenti  son  d'ogni  convito.  210 
Ed  un'argentea  cetera  l'araldo 
Porse  al  buon  Femio,  che  per  forza  il  canto 
Tra  gli  amanti  sciogliea.  Mcntr'  ei  le  corde 
Ne  ricercava  con  maestre  dita, 
Telemaco,  piegando  in  vèr  la  Dea  21 5 

Sì,  che  altri  udirlo  non  potesse,  il  capo, 
Le  parlava  in  tal  guisa:  Ospite  caro, 
Ti  sdegnerai  9e  l'alma  io  V  apro?  In  mente 


180 


i8£ 


LIDRO  I'RIMO 


Non  han  costor  che  suoni  e  canti.  II  nolo. 
Siedono  impune  agli  altrui  deschi,  affloscili  quo 
Di  lai,  le  cui  bianche  os>a  in  qualche  torta 
Giacciono  a   imputridir  sotlo  la   pioggia, 
O  le  volve  nel  maio  il    negro  finito. 
Ma  s'  egli  mai  lor  s1  air.iccia.--sc  un  giorno, 
Ben  più.  cliein  dosso  i  ricchi  panni  e  l'oro,  225 
Aver  l'ali  vorrebbero  alle  piante. 
Vani  desiri!   Una  funesta  morte 
Cerio  ci  trovò,  speme  non  resta,  e  invano 
Favellcriatni  alcun  del  suo  ritorno: 
Del  suo  riforno  il  di  più  non  s'accende  23o 
Su  via.  ciò  dimmi,  e  non  in1  asconder  nulla  : 
Chi?  di  che  loco?  e  di  che  sangue  sci? 
Con  quai  noechier  venistu,  e  |  er  qual  modo, 
E  su  qual  nave,  in  Itaca?  Pedone 
Giunto  per  alcun  patto  io  non  ti  credo.  235 
Di  questo  ancor  tu  mi  contenta  :  nuovo 
Giungi,    o  al   mio  genitor  t1  unisce  il  nodo 
Dell1  ospitalità  ?  Molti  stranieri 
A1  suoi   tetti  aceostavansi:  che  Ulisse 
Voltava  in  sé  d'  ogni  mortale  il  core.     a4° 
Tolto  da  me,  gli  napoadea  la  Diva 
Che  ceruleo  splendor  porta  negli  occhi, 
T1  udrai   narrare.   Io  Mente   esser  mi  vanto, 
Figliuol  d'Aiichi'alo  bellicoso,  e  ai  varili 
Del  trascorrere  il   mar  Tafj  comando.      2$5 
Con  nave  io  giunsi  e  remiganti  miei, 
Fendendo  le  salate  onde  ver  gente 
D'altro  linguaggio,  e  a  Temesa  recando 
Ferro  brunito  per  temprato  rame, 
Ch'io  ne  trarrò.   Dalla  città  lontano  .      a5o 
Fermossi,  e  sotto  il  Neo  frondichiomoso, 
Nella  baja  di   Retro  il   mio  naviglio. 
Sì,   d'ospitalità  vincol  m'unisce 
Col   padre  tuo.  Chieder  ne  puoi  l'antico, 
Ristringendoti  seco,   eroe  Laerte,  a55 

Che  a  città,  com'è  fama,  or  più  non  viene; 
Ma  vita  vive  solitaria  e  trista 
Ne' campi  suoi  con  vecchierella  fante, 
Che,  quandunque  tornar  dalla  feconda 
Vigna,  per  dove  si  trae  a  stento,   il  vede,  360 
Di  cibo  il  riconforta  e  di  bevanda. 
Me  qua  condusse  una  bugiarda  voce, 
Fosse  il  tuo  patire  in  Itaca,  da  cui 
Stornanlo  i  Numi  ancor;  che  tra  gli  estinti 
L'illustre  pellcgrin,  no,  non  comparve.    aG5 
Ma  vivo,  e  a  forza  in  barbara  contrada, 
Cui  cerchia  un  vasto  mar,  gente  crudele 
Rtttienlo:  lo  ratlien  gente  crudele 
Vivo,  ed  a  forza  in  barbara  contrada. 
Pur,  benché  il  vanto  di  profeta,  o  quello  2~o 
D'augure  insigne  io  non  m'arrogili,  ascolta 
Presagio  non  fallace  che  su  i  labbii 
Mettono  a  me  gli  Eterni.  Ulisse  troppo 
Non  rimarrà  della  sua  Patria  in   bando  , 
Lo  stringessero  ancor  ferrei   legami.  2^5 

Da  quai  legami  uom  di  cotanti  ingegni 
Disvilupparsi  non  sapri'a  ?   Ma  schietto 
Parla:  sei  tu  vera  sua  prole?  Certo 
Nel  capo  e  ne1  legsiadri  occhi  ad   Ulisse 
Molto  arieggi  tu.  Pria  che  per  Troja,     280 
Che  tutto  a  sé  chiamò  di  Grecia  il  Gore , 
Sciogliesse  anch'  ei  su   le  cavale  navi , 
Io,  come  oggi  appo  il  tuo,  così  sedea 
Spesse  volte  al  suo  Ganco ,  ed  egli  al  mio. 


D*  allora  io  non  più  lui,  né  ine  vid'egli.  a85 

E  il  prudente  Telemaco  :  Sincero 
Risponderò.  Me  «li  lui  nato  afferma 
La  madre  veneranda.  E  chi  fu  mai 
Che  per  sé  stesso  conoscesse  il  padre? 
Oh  foss'  io  figlio  d'un  che  una  tranquilla  290 
Vecchiezza  còlto  ne1  suoi  tetti  avesse  ! 
Ma,  poiché  tu  mei  chiedi,  al  più  infelice 
Degli  uomini  la  vita,  ospite,  io  deggio. 

Se  ad  Ulisse  Penelope ,  riprese 
Pallade  allor  dalle  cilestre  luci ,  ag5 

Ti  generò ,  vollero  i  Dei  che  gisse 
Chiaro  il  tuo  nome  ai  secoli  più  tardi. 
Garzon ,  dal  ver  non  ti  partir:  che  festa, 
Che  tuiba  è  qui  ?  Qual  ti  sovrasta  cura  ? 
Convitto?  Nozze?  Geni'al  non  parmi         3oo 
A  carco  di  ciascun  mensa  imbandita. 
Panni  banchetto  sì  oltraggioso  e  turpe, 
Che  mirarlo,  e  non  irne  in  foco  d'ira, 
Mal  può  chiunque  un'alma  in  petto  chiuda. 

Etl  il  giovane  a  lui  :  Quando  tu  brami    3o5 
Saper  cotanto  delle  mie  vicende, 
Abbi,  che  al  mondo  non  fu  mai  di  questa 
Né  ricca  più  ,  né  più  innocente  casa, 
Finché   quell'  uomo  il  pie  dentro  vi  tenne. 
Ma  piacque  altro  agli  Dei,  che,  divisando  3 io 
Sinistri  eventi,  per  le  vie  più  oscure, 
Quel,  che  mi  cuoce  più,  sparir  mei  fero. 
Piangerei,  si,  ma  di  dolcezza  vólo 
Non  fora  il  lagrimar,   s'ei  presso  a  Troja 
Cadca  pugnando,  o  vincitor  chiudi  a        3i5 
Tra  i  suoi  più  cari  in  Itaca  le  ciglia. 
Alzato  avriangli   un  monumento  i  Greci , 
Che  di  gloria  immortale  al  figlio  ancora 
Slato  sarebbe.  Or  lui  le  crude  Arpie 
Ignob  lmenle  per  lo  ciel  rapirò:  3ao 

Perì  non  visto,  non   udito,  e  al  figlio 
Sol  di  sturbi  e  di  guai  lasciò  retaggio. 
Che  lui  solo  io  non  piango:  altre  e  non  poche 
Mi  fabbricalo  i   Numi  acerbe  cose. 
Quanti  ha  Dnlirhio,  e  Same,  e  la  boscosa  3a5 
Zacinto  ,  e  la  pietrosa  Itaca  prenci, 
Ciascun  la  destra  della  madre  agogna. 
Ella  né  rigettar  può,  né  fermare 
Le  inamabili  nozze.   Intanto  i   Proci, 
Da  mane  a  sera  banchettando,  tutte      33o 
Le  sostanze  mi  struggono  e  gli  averi  ; 
Né  molto  andrà  che  struggeran   me  stesso. 

S'intenerì  Minerva,  e:  Oh  quanto,  disse, 
A  te  bisogna  il  genitor ,  che  metta 
La  ullriee  man  su  i  chieditori  audaci!         335 
Sol  ch'ei  con  elmo  e  scudo,  e  con  due  lance 
Sul  limitar  del  suo  palagio  appena 
Si  presentasse,  quale  io  prima  il  vidi, 
Che,  ritornato  d'Efira,  alla  nostra 
Mensa  ospitai  si  giocondava  assiso  3{o 

(Ratto  ad  Efira  andò  chiedendo  ad  Ilo, 
Di   Mermero  al  figliuol,   velen  mortale, 
Onde  le  frecce  uuger  volea ,  veleno 
Che  non  dal  Mermerfde,  in  cui  de1  Numi 
Era  grande  il  timor,  ma  poscia  ottenne      345 
Dal  padre  mio,  che  fieramente  amollo), 
Sol  eh1  ei  così  si  presentasse  armato , 
De'  Proci  nou  saria  cui  non  tornasse 
Breve  la  vita  e  il   maritaggio  amaro. 
Ma  venir  dfibba  di  sì  trista  gente  35o 


ODISSEA 


36o 


A  vendicarsi ,  o  no,  su  k  ginocchia 
Sta  degli  Dei.  Ben  di  sgombrarla  quinci 
Vuoisi  Parte  pensare.  Alle  mie  voci 
Porrai  tu  niente?  Comeilciel  s'  inalbi, 
De1  Greci  i  capi  a  parlamento  invita,     355 
Ragiona  franco  ad  essi  e  al  popol  tutto, 
Chiamando  i  Numi  in  testimonio,  e  ai  Proci 
Nelle  lor  case  rientrare  ingiungi. 
La  madre,  ove  desìo  di  nuove  nozze 
Nutra,  ripari  alla  magion  d'Icario, 
die  ordinerà  le  sponsalizie,  e  ricca 
Dote  apparecchierà,  quale  a  diletta 
Figlinola  è  degno  che  largisca  un  padre. 
Tu  poi,  se  non  ricusi  un  saggio  avviso, 
Ch1  io  ti  porgo,  seguir,  la  meglio  nave  365 
Di  venti  e  forti  remator  guernisci, 
E,  del  tuo  genitor  mollarmi  assente 
Novelle  a  procacciarti,  alza  le  vele. 
Troverai  forse  chi  ten  parli  ridarò., 
O  quella  udrai  voce  fortuita,  in  cui       370 
Spesso  il  cercato  ver  Giove  nasconde. 
Pria  vanne  a  Pilo,  e  interrogai' antico 
Nestore:  Sparta  indi  t'  accolga,  e  il  prode 
Menelao  biondo ,  che  dall'  arsa.  Troja 
Tra  i  loricati  Achivi  ultimo  giunse.        %y& 
Vrre,  ed  é  Ulisse  in  sul  ritorno?  Un  anno, 
Benché  dolente,  sosterrai.  Ila  dove 
Lo  sapessi  tra  l'Ombre,   in  Patria  riedi, 
E  qui  gli  ergi  un  sepolcro,  e  i  più  solenni 
Rendigli,  qual  s'addice,  onor  funebri,    38o 
E  alla  madre  presenta  un   altro  sposo. 
Dopo  ciò  ,  studia  per  qual  modo  i  Proci 
Con  inganno  tu  spegna,  o  alla  scoperta; 
Clic  de1  trastulli  il  tempo  e  de'  balocchi 
Passò,  ed  uscito  di  pupillo  sei.  385 

Non  odi  tu  levare  Oreste  al  cielo, 
Dappoi  che  uccise  il  fraudolento  Egisto, 
Che  il  genitor  famoso  avcagli  morto? 
Me  la  mia  nave  aspetta. e  i  miei  compagni, 
Cui  forse  incresce  questo  indugio.  Amico.  390 
Di  te  stesso  a  te  caglia,  e  i  miei  sermoni 
Converti  in  opre:  d1  un  eroe  P  aspetto 
Ti  veggio;  abbine  il  core,  acciò  risuoni 
Forte  ne'  dì  futuri  anco  il  tuo  nome. 

Voci  paterne  son,  non  che  benigne, 
D1  Ulisse  il  figlio  ripigliava  ;  ed  io 
Guarderolle  nel  scn  tutti  i  miei  giorni. 
Ma  tu,  per  fretta  che  ti  punga,  tanto 
Fermati  almen,  ohe  in  tepidetto  baj,no 
Entri,  e  conforti  la  dolce  alma,  e  lieto  400 
Con  un  mio  dono  in  man  torni  alla  nave: 
Don  prezioso  per  materia  ed  arte, 
Che  sempre  in  mente  mi  ti  serbi;  dono 
Non  indegno  d'  un  ospite  che  piacque. 

No,  di  partir  mi  tarda,  a  lui  rispose 
L'  occhicerulea  Diva.  Il  bel  presente 
Allor  P  accetterò,  che,  questo  mare 
Rinavigando,  per  ripormi  in  Tafo, 
T'offrirò  un  dono  anch'io,  che  al  tuo  non  ceda. 
Così  la  Dea  dagli  occhi  glauchi;  e,  forza  410 
Infondendogli  e  ardire,  e  a  lui  nel  petto 
La  per  sé  viva  del  suo  padre  imago 
Ravvivando  più  ancora,  alto  levossi, 
E,  veloce  com'  aquila,  disparve. 
Da  maraviglia,  poiché  seco  in  mente 
Ripetè  il  tutto,  e  s'avvisò  del  Nume, 


3g5 


4o5 


4i5 


43o 


Telemaco  fu  preso:  indi,  già  fatto 
Di  sé  stesso  maggior,  venne  tra  i  Proci. 
Taciti  sedean  questi,  e  nell'egregio 
Vate  conversi  tenean  gli  occhi;  e  il  vate  4^o 
Quel  dilfiri.l  ritorno,  che  da  Troja 
Pallade  ai  Greci  destinò  crucciata, 
Della  cetra  d'argento  al  suon  cantava. 
Nelle  superne  vedovili  stanze 
Penelope,  d'  Icario  la  prudente  42^ 

Figlia,  raccolse  il  divin  canto,  e  scese 
Per  Palle  scale  al  basso,  e  non  già  sola, 
Che  due  seguianla  vereconde  ancelle. 
Non  fu  de'  Proci  nel  cospetto  giunta, 
Che  s'arrestò  della  Dedalea  sala 
L'  ottima  delle  donne  in  su  la  porta, 
Lieve  adombrando  l'ima  e  P  altra  gola 
Co'  bei  veli  del  capo,  e  tra  le  ancelle 
Al  sublime  cantor  gli  accenti  volse. 
Femio,  di»»1  ella,  e  lagrimava,   Femio,   4^5 
Bocca  divina,  non  hai  tu  nel  petto 
Storie  influite  ad  ascoltar  soavi, 
Di  mortali  e  rli  Numi  imprese  altere, 
Per  cui  toccan  la  cetra  i  sacri  vati? 
Narra  di  quelle,  e  taciturni  i  prenci       44° 
Le  colme  tazze  botino:  ma'  cessa 
Canzon  molesta  che  mi  spezza  il  cuore, 
Sempre  che  tu  la  prendi   in  su  le  corde; 
Il  cuor,  cui  doglia,  qual  non  mai  da  donna 
Protossi,  invase,  mentre  aspetto  indarno  445 
Colanti  anni  un  eroe,  che  tutta  empieo 
Del  suo  nome  la  Grecia,  e  eh' è  il  pensiero 
De1  giorni  miei,  delle  mie  notti  è  il  sogno. 
O  madre  mia,  Telemaco  risposo, 
Lascia  il  dolce  cantor,  che  e'  innamora,  45o 
Là  gir  co' versi  dove  l'estro  il  porta. 

I  guai,  che  canta,  non  li  crea  già  il  vate: 
Giove  li  manda,  ed  a  cui  vuole  e  quando. 
Perchè  Femio  racconti  i  tristi  casi 

De'  Greci,  biasmo  meritar  non  panni;  455 
Che  quanto  agli  uditor  giunge  più  nuova, 
Tanto  più  loro  aggrada  ogni  canzone. 
Udirlo  adunque  non  ti  gravi,  e  pensa 
Clic  del  ritorno  il  dì  Troja  non  tolse 
Solo  ad  Ulisse:  d'altri  eroi  non  pochi 
Fu  sepolcro  comune.  Or  tu  risali 
Nelle  tue  stanze,  ed  ai  lavori  tuoi, 
Spola  e  conocchia,  intendi;  calle  fanlesclie 
Commetti,  o  madre,  travagliar  di  forza. 

II  favellar  tra  gli  uomini  assembrali        ^65 
Cura  è  dell'  uomo,  e  in  questi  alberghi  mia 
Più  che  d'ogni  altro;  però_ch'io  qui  reggo. 

Stupefatta  rimase,  e,  del  figliuolo 
Portando  in  mezzo  l'alma  il  saggio  detto, 
Nelle  superne  vedovili  stanze  4?° 

Ritornò  con  le  ancelle.  Ulisse  a  nome 
Lassù  chiamava,  il  fren  tentando  al  pianto: 
Finché  invi'olle  Y  occbiglauca  Palla 
Sopitor  degli  affanni  un  sonno  amico. 

I  drudi,  accesi  via  più  ancor,  che  prima, 
Del  desio  delle  nozze  a  quella  vista, 
Tumulto  fean  per  P  oscurata  sala. 
E  Telemaco  ad  essi:  O  della  madre 
Vagheggiatori  indocili  e  oltraggiosi , 
Diletto  dalla  mensa  or  si  riceva, 
Né  si  schiamazzi  ,  mentre  canta  un  vate 
Che  uguale  ai  Numi  stessi  è  nella  voce, 


46o 


475 


48o 


LIBRO  PHIMO 


Ma  ,  riapparsa  la  bell'Alba  j  tutti 
Nel  Foro  aduneremci,  ov' io  dirovvi 
Senza  paura,  che  di  qua  sgombriate;      ^85 
Clie  gavazziate  altrove;  che  Puh  l'altro 
Inviti  alla  sua  volta  ,  e  il  suo  divori. 
Clie  se  disfare  impunemente  un  solo 
Vi  par  meglio  ,  seguite.  Io  dell'  Olimpo 
Gli  abitatori  invocherò,  né  senza  49° 

Fiducia  ,  che  il  Saturnio  a  colpe  tali 
Un  giusto  guidcrdon   renda,   e  die  inulto 
Tinga  un  dì  queste  mura  il  vostro   sangue. 

Verter  le  labbra  ed  inarcar  le  ciglia 
A  sì  franco  sermon  tutti  gli  amanti.       4q5 
E  Antinoo,  il  figli uol  d' Eupite  :  Di  fermo 
A  ragionar,  Telemaco ,  con  sensi 
Sublimi  e  audaci  t'  imparato  i  Numi. 
Guai,  se  il  paterno  scettro  a  te  porgesse 
Nella  cinta  dal  mare  Itaca  Giove  !  5oo 

Benché  udirlo,  Telemaro  riprese, 
Forse,  Antinoo,  t' incresca  ,  io  noi  ti  celo; 
Riceverollo  dalla  man  di  Giove. 
Parriati  una  sventura?  Il   più  infelice 
Dal  mio  lato  io  non  credo  in  fra  i  mortali  5o5 
Chi  re  diventa.  Di  ricchezza  il  letto 
Gli  splende  tosto,  e  più  onorato  ei  vanne. 
Ma  la  cinta  dal  mare  Itaca  molti 
Sì  di  canuto  pel,  come  di  biondo, 
Chiude,  oltre  Antinoo,  che  poi  ran  regnarla,5 1  o 
Quando  sotterra  dimorasse  il  padre. 
Non  però  ci  vivrà  chi  del   palagio 
La  signoria  mi  tolga,  e  degli  schiavi, 
Che  a  me  solo  acquistò  I'  invitto  Ulisse. 

Eurimaco  di  Polibo  allor  surse  :  5i5 

Qual  degli  Achei  sarà  d'  Itaca  il  regc , 
l'osa  de'  Numi  onnipossenti  in  grembo. 
Di  tua  magion  tu  il  sei;  né  de'  tuoi  beni, 
Finché  in  Itaca  resti  anima  viva, 
Spcgliarti  uomo  ardirà.  Ma  dimmi,  obuono.520 
Chi  è  quello  stranier?  Dond' ei  partissi? 
Di  qual  terra  si  gloria,  e  di  qual  ceppo?. 
Del  padre  non  lontan  forse  il  ritorno 
T'  annunzia  ?  o  venne  in  questi  luoghi  antico 
Debito  a  dimandar?  Come  disparve         5a5 
Ratto  !  come  parca  da  noi  celarsi  ! 


Certo  d1  uom  vile  non  avea  P  aspetto. 

Ah,   ripigliò  il  garzon  ,  del  genitore 
Svanì,  Aglio  di  Polibo,  il  ritorno! 
Giungano  ancor  novelle ,  altri  indovini  53o 
1/  avida  madre  nel  palagio  accolga  , 
Né  indovin  più  ,  né  più  novelle  io  curo. 
Ospite  mio  paterno  é  il  forestiere, 
Di  Tafo ,  Mente,  che  figliuol  si  vanta 
Del  bellicoso  Anchialo,  e  ai  Tafj  impera.  535 
Tal  rispondea:  ma  del  suo  cor  nel  fondo 
La  calata  di  ciel  Dea  riconobbe. 

I  Proci  al  ballo  ed  al  soave  canto 
Rivolti  trastullava n si,  aspettando 
11  bujo  della  notte.  Della  notte  54o 

Lor  sopravvenne  il  bujo,  e  ai  tetti  loro 
Negli  occhi  il  sonno  ad  accettar  n'  andare 
Telemaco  a  corcarsi ,  ove  secreta 
Stanza  da  un  lato  del  cortil  superbo 
Per  lui  conslrutta  si  spiccava  all'  aura,  545 
Salse,  agitando  molle  cose  in  mente. 
E  con  accese  in  man  lucide  faci 
II  seguiva  Euricléa,  l'onesta  figlia 
D'Opi  di  Pisenór,  che  già  Laerte 
Col  prezzo  comperò  di  venti  tori  , 
Quando  fioriate  giovinezza  in  volto: 
Né  cara  men  della  consorte  l'ebbe, 
Benché,  temendo  i  conjugali  sdegni, 
D<  1  toccarla  giammai  non  s'attentasse 
Con  accese  il  seguia  lucide  faci  : 
Più  gli  portava  amor,  che  ogni  altra  serva, 
Ed  ella  fu  che  il  rallevò  bambino. 
Costei  gli  aprì  della  leggiadra  stanza 
La  porta:  sovra  il  letto  egli  s' assise, 
Levò  la  sottil  veste  a  sé  di  dosso,  56o 

E  all'amorosa  vecchia  in  man  la  pose, 
Che  piegolla  con  arte,  e  alla  caviglia 
L'  appese  accanto  il  traforato  letto. 
Poi  d'  uscire  affreltavasi  :  la  porta 
Si  trasse  dietro  per  Panel  d'argento, 
Tirò  la  fune,  e  il  chiavistello  corse. 
Sotto  un  fior  molle  di  tessuta  lana 
Ei  volgea  nel  suo  cor  per  quelP  intera 
Notte  il  cammin  che  gli  additò  Minerva. 


55o 


555 


565 


LIBRO  SECONDO 


ARGOMENTO 


Convocazione  del  parlamento.  Telemaco  si  richiama  de' Proci  al  popolo,  e  agli  ottimali.  Antinoo  capo  di 
quelli  e  il  più  temerario,  ritorce  l' accusa  conlra  la  madre,  e  vuole  eh' fi  la  costringa  di  scegliersi  un 
nuovo  marito  tra  psSì  ,  mercechè  il  ritorno  d'Ulisse  non  è  più  da  sperarsi.  Ma  il  figlio  gli  risponde,  non 
dover  far  ciò,  né  potere.  Giove  manda  due  aquile;  donde  il  vecchio  Aliterse  pronostica  vicino  il  ritorno 
d'Ulisse;  e  n' è  ingiurialo  da  Eurimaco,  l'altro  capo  de'Proci,  ma  men  ribaldo.  Dimanda  che  Telemaco  fa 
d'una  nave  per  andare  a  Pilo  ed  a  Sparta.  Mentore  si  studia  di  eccitare  il  popolo  contra  i  Proci;  e 
Leocrilo  il  minaccia,  e  scioglie  il  parlamento.  Telemaco,  ritiratosi  in  riva  dei  mare,  priega  Minerva, 
che  gli  appare  sotto  la  figura  di  Mentore,  e  l'assistenza  sua  gli  promette.  Egli  rientra  nel  palagio,  e  richiede 
la  nutrice  Euricle'a  del  viatico.  Dolore  di  questa  per  la  partenza.  Giunta  la  notte,  il  giovinetto  imbarcasi  con 
Minerva,  che,  pur  sotto  la  figura  di  Mentore,  l'accompagna. 


Liome  la  figlia  del  mattin,  la  bella 
Dalle  dita  di  rose  Aurora  surse, 
Surse  di  letto  anche  il  figliuol  d'Ulisse, 
I  suoi  panni  vestì ,  sospese  il  brando 


Per  lo  pendaglio  all'omero,  i  leggiadri 
Calzari  strinse  sotto  i  molli  piedi, 
E  della  stanza  uscì  rapidamente 
Simile  ad  un  cU-gP  Immollali  in  volto. 


Tosto  n^li  araldi  dalP  arguta  voce 
Chiamare  impose  i  capelluti  Achivi;  io 

E  questi,  al  gridar  loro  accorsi  in  fretta , 
Si  ragunaro,  s'affollaro.  Ei  pure 
Al  pai  lamento  s'avviò:  tra  mano 
Sfavagli  un'asta  di  polito  rame, 
E  due  bianchi  il  seguian  cani  fedeli.         i5 
Stupi'a  ciascun,  mentirei  mutava  il  passo, 
E  il  paterno  scdil ,  che  dai  vecchioni 
Gli  fu  ceduto,  ad  occupar  sen  già  : 
Tanta  in  quel  punto  e  si  divina  grazia 
Sparse  d'intorno  a  lui  Pallade  amica.       ao 

Chi  ragionò  primiero?  Egizio  illustre, 
Che  il  dorso  avea  per  l'età  grande  inarco, 
E  di  vario  saver  ricca  la  mente. 
Su  le  navi  d'  Ulisse  alla  feconda 
Di  nobili  desti  ier  ventosa  Troja  a5 

Andò  il  più  caro  de' figliuoli,   Antifo; 
E  a  lui  die  morte  nel  cavato  speco 
Il  Ciclope  crudel,  che  la  cruenta 
S' imbandi  del  suo  corpo  ultima  cena. 
Tre  figli  al  vecchio  nmanean:  l'un  detto  3o 
Eurinomo ,  co'  Proci  erasi  unito, 
E  alla  coltura  de'  paterni  campi 
Presedean  gli  altri  due.  Ma  in  quello,  in  quello, 
Che  più  non  ha,  sempre  s'affisa  il  padre, 
Che  nel  pianto  i  dì  passa,  e  che  si  fatte  35 
Parole  allor,  pur  lagrimando,  sciolse: 
O  Itacesi ,  uditemi.  Nessuna, 
Da  che  Ulisse  levò  nel  mar  le  vele, 
Qui  si  tenne  assemblea.  Chi  adunò  questa? 
Giovane,  oveglio?  Eache?  Primo  udì  forse  4° 
Di  estrania  gente  che  s'appressi  armata  ? 
0  d'altro,  da  cui  penda  il  ben  comune, 
Ci  viene  a  favellar?  Giusto  ed  umano 
Costui,  penso,  esser  dee.  Che  che  s'aggiri 
Per  la  sua  mente,  il  favorisca  Giove!      [fi 

Telemaco  gioia  di  tali  accenti , 
Quasi  d'ottimo  augurio,  e  sorto  in  piedi , 
Che  il  pungea  d'arringar  giovane  brama, 
Trasse  nel  mezzo,  dalla  man  del  saggio 
Tra  gli  araldi  Pisenore  lo  scettro  50 

Prese,  e  ad  Egizio  indi  rivolto,  0,  disse, 
Buon  vecchio,  non  è  assai  quinci  lontano 
L' uom  che  il  popol  raccolse:  a  te  dinanzi, 
Ma  qual ,  cui  punge  acuta  doglia,  il  vedi. 
Non  di  gente  che  a  noi  s'appressi  armata,  55 
Né  d'altro,  da  cui  penda  il  ben  comune, 

10  vegno  a  favellarvi.  A  far  parole 
Vegno  di  me,  d'un  male,  anzi  di  duo, 
Che  aspramente  m'investono  ad  un'ora. 

11  mio  padre  io  perdei  !  Che  dico  il  mio?  6o 
Popol  d'Itaca,  il  nostro:  a  tutti  padre, 
Più  assai  che  re,  si  dimostrava  Ulisse. 
E  a  questa  piaga,  ohimè!   l'altra  s'arroge, 
Che  ogni  sostanza  mi  si  sperde,  e  tutta 
Spiantasi  dal  suo  fondo  a  me  la  casa.       65 
Nojoso  assedio  alla  ritrosa  madre 
Poser  de'  primi  tra  gli  Achivi  i  figli. 
Perchè  di  farsi  a  Icario,  e  di  proporgli 
Trepidan  tanto,  che  la  figlia  ei  doti, 
E  a  consorte  la  dia  cui  più  vuol  bene?   70 
L' intero  dì  nel  mio  palagio  in  vece 
Banchettan  lautamente,  e  il  fior  del  gregge 
Struggendo,  e  dell'armento,  e  le  ricolme 
Della  miglior  vendemmia  urne  votando, 


ODISSEA 

Vivon  di  me:  né  t'  ha  un  secondo  Ulisse,  ^5 
Che  sgombrar  d' infra  noi  vaglia  tal  peste. 
Io  da  tanto  non  son ,  né  uguale  all'  opra 
In  me  si  trova  esperienza  e  forza. 
Oh  così  le  avess'io,  com'io  le  bramo! 
Poscia  che  il  lor  peccar  varca  ogni  segno,  80 
E,  che  più  m' auge,  con  infamia  io  pero. 
Deh  s'  accenda  in  voi  pur  nobil  dispetto; 
Temete  il  biasmo  delle  genti  intorno, 
Degl'  immortali   Dei  ,  non  forse  cada 
Delle  colpe  de'  Proci  in  voi  la  pena,       85 
L'ira  temete.  Per  l'olimpio  Giove, 
Per  Terni,  che  i  consigli  assembra  e  scioglie, 
Costoro,  amici,  d'aizzarmi  contro 
Restate,  e  me  lasciate  a  quello  in  preda 
Cordoglio  sol ,  che  il  genitor  mi  reca.       90 
Se  nonché  forse  Ulisse  alcuni  offese 
De'  prodi  Achivi,  ed  or  s'  intende  i  torti 
Vendicarne  sul  figlio.  E  ben,  voi  stessi 
Stendete  ai  beni  la  rapace  destra: 
Meglio  fora  per  me,  quando  consunti       gli 
Suppelletlil  da  voi  fossemi  e  censo, 
Da  voi ,  dond'  io  sperar  potrei  restauro. 
Vi  assalirei  per  la  città  con  blande 
Parole  ad  uno  ad  un  ,  né  cesserei , 
Che  tutto  in  poter  mio  pria  non  tornasse,  ioc 
E  di  nuovo  s'  ergesse  in  pie  il  mio  sialo. 
Ma  or  dolori  entro  del  petto,  a  cui 
Non  so  rimedio  alcun,  voi  mi  versate. 
Detto  così,  gittò  lo  scettro  a  terra, 
Ruppe  in  lagrime  d'  ira,  e  viva  corse      io' 
Di  core  in  cor  nel  popolo  pietade. 
Ma  taciturni,  immoti ,  e  non  osando 
Telemaco  ferir  d'una  risposta, 
Tutti  stavano  i  Proci.  Antinoo  solo 
Sorse,  e  arringò:  Telemaco,  a  cui  bolle  ne 
Nel  petto  rabbia  che  il  tuo  dir  sublima, 
Quai  parole  parlasti  ad  onta  nostra? 
Improntar  sovra  noi  macchia  sì  nera? 
Non  i  migliori  degli  Achei  :  la  cara 
Tua  madre,  e  l'arti,  ond'e maestra,  incolpa.  1  \\ 
Già  il  terzo  anno  si  vohe,  e  or  gira  il  quarto. 
Che  degli  amanti  suoi  prendesi,  gioco, 
Tutti  di  speme  e  d' ini  prò  messe  allatta, 
Manda  messaggi  a  tutti,  ed  altro  ha  in  core 
Questo  ancor  non  pensò  novello  inganno?  1  ac 
Tela  sottile,  tela  grande,  immensa, 
A  oprar  si  mise,  e  a  sé  chiamonne,  e  disse: 
Giovani,  amanti  miei,  tanto  vi  piaccia, 
Poiché  già  Ulisse  tra  i  defunti  scese, 
Le  mie  nozze  indugiar,  eh'  io  questo  possa  1  a5 
Lugubre  ammanto  per  1'  eroe  Laerte, 
Acciò  le  fila  inutili  io  non  perda, 
Prima  fornir,  che  1'  inclemente  Parca 
Di  lunghi  sonni  apportatrice  il  colga. 
Non  vo'  che  alcuna  delle  Achee  mi  morda,  i3c 
Se  ad  uom,  che  tanto  avea  d'arredi  vivo , 
Fallisse  un  drappo  in  cui  giacersi  estinto. 
Con  simil  fola  leggiermente  vinse 
Gli  animi  nostri  generosi.  Intanto, 
Finché  il  giorno  splendea,  tessea  la  tela  :3' 
Superba,  e  poi  la  dislessea  la  notte 
Al  complice  chiaror  di  mute  faci. 
Cosi  un  triennio  la  sua  frode  ascose, 
E  deluse  gli  Achei.  Ma  come  il  quarto 
Con  le  volubili  ore  anno  sorveniie,  i4' 


LIBRO   SECONDO 


Noi ,  da  un1  ancella  non  ignara  instrutti , 
Penelope  trovammo,  che  la  bella 
Disciogliea  tela  ingannatrice:  quindi 
Compierla  dovè  al  fin,  benché  a  dispetto. 
Or,  perché  a  te  sia  noto  e  ai  Greci  il  tutto,  1 45 
Ecco  risposa  che  ti  fanno  i   Proci. 
Accommiata  la  madre,  e  quel  di  loro, 
Che  non   dispiace  a  Icario,  e  a    lei   talenta, 
A  disposar  costringila.  Ma  dove, 
Le  doti  usando,  onde  la  ornò  Minerva,  ?5o 
Glie  man  formolle  così  dotta,  e  ingegno 
Tanto  sagace,  e  accorgimenti  dielle, 
Quali  non  s1  udir  mai  né  dell1  antiche 
Di  Grecia  donne  dalle  belle  trecce, 
Tiro,  Alcmena,  Micene,  a  cui  le  menti  1 55 
Di  sì  fini   pensier  mai  non  fiorirò; 
Dove  erede-se  lungo  tempo  a  bada 
Tenerci  ancor,  la  sua  prudenza  u.sala 
Qui  P  abbandoneria.  Noi  tanto  il  figlio 
Constimcrem,  quanto  la  madre  in  core  160 
Serberà  questo  suo,  che  un  Dio  le  infuse, 
Strano  proposto.  Eterna  gloria  forse 
A  sé  procaccerà,  ma  gran  difetto 
Di  vettovaglia  a  te;  mentre  noi  certo 
Da  te  ppnsiam  non  Staccarci,,  s1  ella       i65 
Quel,  che  le  aggrada  più,  pria  non  impalma. 

Io,  rispose  Telemaco,  di  casa 
Colei  sbandir,  donde  la  vita  io  tengo? 
Dal  cui  lattante  sen  pendei  bambino? 
Grave  in  oltre  mi  fora,  ov1  io  la  madre  170 
Dipartissi  da  me,  sì  ricca  dote 
Tornare  a  Icario.  Cruecieriasi  un  giorno 
L1  amato  genitor,  che  forse  vive, 
Benché  lontano,  e  punirianmi  i  Numi, 
Pei  eh1  ella,  slontanandosi,  le  odiate        i^5 
Imploreria  vendicatrici  Erinni. 
Che  le  genti  dirian?  No,  tal  congedo 
Non  sarà  mai  eh'  io  liberi  dal  labbro. 
L'avete  voi  per  mal?  Da  me  sgombrate, 
Gozzovigliate  altrove;  alternamente  180 

L1  un  P  altro  inviti,  e  il  suo  retaggio  scemi. 
Che  se  disfare  impunemente  un  solo 
Vi  par  meglio,  seguite.  Io  dell'  Olimpo 
Gli  abitatori  invocherò,  né  senza 
Speme  che  il  Siturnide  a  tai  misfatti      i85 
La  debita  mercè  renda,  e  che  inulto 
Scorra  nel  mio  palagio  il  vostro  sangue. 

Sì  favellò  Telemaco,  e  dalP  allo 
Del  monte  due  volanti  aquile  a  lui 
Mandò  P  eterno  onniveggente    Giove.       100 
Tra  lor  vicine,  distendendo  i  vanni, 
Fendean  la  vana  region  de1  venti. 
Né  prima  fur  dell1  assemblea  sul  mezzo, 
Che  si  volsero  in  giro,  e,  l'ali  folte 
Starnazzando,  e  mirando  a  tutti  in  faccia,  iq,5 
Morte  auguraro:al  Gn,  poiché  a  vicenda 
Con  P  unghie  il  capo  insanguinato  e  il  collo 
SVbbcr,  volaro  a  destra,  e  dileguarsi 
Della  città  su  per  gli  eccelsi  tetti. 
Maravigliò  ciascuno;  e  ruminava  200 

Fra  sé,  quai  mali  promettesse  il  fato. 

Quivi  era  un  uom  di  molto  tempo  e  senno, 
Di  Mastore  figliuol,  detto  Aliterse, 
Che  nclP  arte  di  trar  dagli  osservati 
Volanti  augelli  le  future  cose,  2o5 

Tutti  vinceva  i  più  canuti  crini. 


Itacesi,  ascoltatemi,  e  pia  ancora 
M1  ascoltin  ,  disse,  i  Proci,  a  cui  davante 
S1  apre  un  gran  precipizio.  Ulisse  lungi 
Da1  cari  suoi  non  rimarrà  molt1  anni,      aio 
Che  parlo?  Ei  spunta,  e  non  ai  soli  Proci 
Strage  prepara  e  morte:  altri,  e  non  pochi 
Che  abitiam  la  serena  Itaca,  troppo 
Ci  accorgerem  di  lui.  Consultiam  dunque, 
Come  gli  amanti,  che  pel  meglio  loro    ai5 
Cessar  dovrian  per  sé,  noi  raffreniamo. 
Uom  vi  ragiona  de1  presagi  esperto 
Per  lunghissima  prova.   Ecco  maturo 
Ciò  eh1  io  vaticinai,  quando  per  Troja 
ScioglieanoiGreci,eUliss  anch  eisarpava.  aio 
Molli,  io  gridai,  patirà  duoli,  e  tutti 
Perderà  i  suoi:  ma  nel  ventesim1  anno, 
Solo  e  ignoto  a  ciascun,  farà  ritorno. 
Già  si  compie  P  oracolo:  tremate. 

Folle  vecchiardo,  in  tua  magion  ricovra,  aa5 

"Eurimaco  di  Polibo  rispose, 

E  oracoleggia  ai   figli  tuoi,  non  forse 

GP  incolga  un  dì  qualche  infortunio.  Assai 

Più  là  di  te  ne1  vaticinj  io  veggio. 

Volan,  rivolan  mille  augelli  e  mille       a3o 

Per  P  aere  immenso,  e  non  dibatton  tutti 

Sotto  i  raggi  del  Sol  penne  fatali. 

Quinci  lontano  peri  Ulisse.  Oh  fossi 

Tu  perito  con  lui!  Che  non  t1  udremmo 

Profetare  in  tal  guisa,  e  il  furor  cieco  a35 

Secondar  di  Telemaco,  da  cui 

Qualche  don,  credo,  alle  tue  porte  attendi. 

Ma  oracol  più  verace  odi.  Se  quanto 

D'esperienza  il  bianco  pel  t1  addusse, 

A  sedurre  il  fanciullo,  e  a  più  infiammarlo  a4° 

L1  adopri,  tu  gli  nuoci,  a'  tuoi  disegni 

Non  giovi,  e  noi  tale  imporremti  multa, 

Che  morte  fiati  il  sostenerla.  Io  poi 

Tal  consiglio  al  fauci  ni   porgo:  la  madre 

Rimandi  a  Icario,  ebe  i  sponsali  e  ricca,  a45 

Qual  dee  seguire  una  diletta  figlia, 

Dote  apparecchierà.  Prima  io  non  penso 

Che  da  questa  di  none  ardua  tenzone 

I  figli  degli  Achei  vorran   giù  tòrsi. 

Di  nessuno  temiam,  non,  benché  tanto  25o 

Loquace,  di  Telemaco;  né  punto 

Del  vaticinio  ci  curiam,  che  indarno 

T'uscì,  vecchio,  di  bocca,  e  che  fruttarti 

Maggiore  odio  sol  può.  Fine  i  conviti 

Non  avran  dunque,  e  non  sarà  mai  calma,  255 

Finché  d1  oggi  in  doman  costei  ci  mandi. 

Noi  ciascun  dì  contenderem  per  lei, 

Né  ad  altre  donne  andrem  ,  quali  ha  1'  Acaja 

Degne  di  noi,   perchè  cagion  primiera 

Dell'  illustre  contesa  è  la  virtude.  260 

Eurimaco  e  voi  tutti,  il  giovinetto 
Soggiunse  allor,  competitori  alteri, 
Non  più:  già  il  tutto  sanno  uomini  e  Dei. 
Or  non  vi  chiedo  che  veloce  nave 
Con  dieci  e  dieci  poderosi  remi ,  a65 

Che  sul  mar  mi  trasporti.  Ali1  arenosa 
Pilo  ed  a  Sparta  valicare  io  bramo, 
Del  padre  assente  per  ritrar  s1  io  mai 
Trovar  potessi  chi  men  parli  chiaro, 
O  quella  udir  voce  fortuita  in  cui  270 

Spesso  il  cercato  ver  Giove  nasconder 
Vivrà?  ritarnerà?  Benché  dolente, 


ODISSEA 


Sosterrò  un  anno.  Ma  se  morto  e  fatto 
Cenere  il  risapessi,  al  patrio  nido 
Riederò  senza  indugio  5  e  qui  un  sepolcro  275 
Gli  alzerò,  renderogli  i  più  solenni, 
Qual  si  convien,  fùnebri  onori,  e  un  altro 
Sposo  da  me  riceverà  la   madre. 
Tacque,  e  s1  assise;  e  Mentore  levossi, 
Del  padre  il  buon  compagno,  arni  su  tutto 280 
Vcgbiar,  guardare  il  tutto,  ed-i  comandi 
Seguitar  di  Laerte,  Ulisse  ingiunse, 
Quando  per  P  allo  sai  mise  la  nave. 
O  Itacesi,  tal  parlava  il  saggio 
Vecchio,  alle  voci  mie   P  orecchio  date.  285 
Né  giusto  più,  né  liberal,  ne  mite, 
Ma  iniquo,  ma  inflessibile,  ma  crudo 
D1  ora  innanzi  un  re  sia,  poiché  tra  gente, 
Su  cui  stendea  scettro  paterno  Ulisse, 
Più  non  s1  incontra  un  sol,cuivivaincore.2c)o 
Che  arroganti  rivali  ad  opre  ingiuste 
Trascorran  ciechi  della  mente,  io  taccio.   * 
Svelgono,  è  ver,  sin  dalle  sue  radici 
La  casa  di  quel  Grande,  a  cui  disdetto 
Sperano  il  ritornar ,  ma  in  rischio  almeno  295 
Pongon  la  vita.  Ben  con  voi  m1  adiro, 
Con  voi,  che  muti  ed  infingardi  e  vili 
Vi  state  lì,  né  d1  un  sol  motto  il  vostro 
Signore  inclito  aitate.  Ohimè  !  dai  pochi 
Restano  i  molti  soverchiati  e  vinti  3oo 

Mentor,  non  so  qual  più,  se  audace,  o  stolto, 
Leocrito  d1  Evenore  rispose, 
Che  mai  dicestu?  Contra  noi  tu  ardisci 
Il  popolo  eccitar?  Non  lieve  impresa 
Una  gente  assalir,  che  per  la  mensa        3o5 
Brandisca  Parmi,  e  i  piacer  suoi  difenda. 
Se  lo  stesso  Re  d"1  Itaca  tornato 
Scacciar  tentasse  i  banchettanti  Proci, 
Scarso  del  suo  ritorno  avn'a  diletto 
Questa  sua  donna,  che  il  sospira  tanto,  3 10 
E  morire  il  vedria  morte  crudele, 
Benché  tra  molti  ci  combattesse:  quindi 
DpI  tuo  parlar  la  vanità  si  scorge. 
Ma,  su  via,  dividetevi,  e  alle  vostre 
Faccende  usate  vi  rendete  tutti.  3i5 

Mentore  ed  Aliterse,  che  fedeli 
A  Telemaco  son  paterni  amici, 
Gli  mettcran  questo  viaggio  in  punto: 
Bench1  ei  del  padre  le  novelle,  in  vece 
Di  cercarle  sul  mar-,  senza  fatica  320 

Le  aspetterà  nel  suo  palagio,  io  credo. 
Disse,  e  ruppe  il  concilio.  I  cittadini 
Scioglieansi  P  un  dalP  altro,  e  alle  lor  case 
Qua  e  là  s1  avviavano:  d'Ulisse 
Si  ritiraro  alla  magione  i  Proci.  325 

Ma  dalla  turba  solitario  e  scevro 
Telemaco  rivolse  al  mare  i  passi , 
Le  mani  asterse  nel  canuto  mare, 
E  supplicò  a  Minerva:  O  Diva  amira, 
Che  degnasti  a  me  jer  scender  dal  cielo,  33o 
E  fender  P  onde  m1  imponesti,  un  padre 
Per  rintracciar,  che  non  ritorna  mai, 
Il  tuo  solo  favor  puommi  davante 
GP  inciampi  lor,  che  m1  opporranno  i  Greci , 
E  più,  che  altr1  uomo  in  Itaca,  i  malvagi    335 
Proci,  la  cui  superbia  ognor  più  monta. 
Così  pregava  ;  e  se  gli  pose  allato 
Con  la  faccia  di  Mentore,  e  la  voce , 


Palla,  e  a  nome  chiamollo,  e  feo  tai  delti  : 
Telemaco,  né  ardir  giammai  né  senno    3jo 
Ti  verrà  men,  se  la  virtù  col  sangue 
Trasfuse  in  te  veracemente  Ulisse, 
Che  quanto  impreso  avea,  quanto  avea  detto, 
Compirà  mai  sempre.  Il  tuo  viaggio  vóto 
Non  andrà,  qual  temer,  dove  tu  figlio  345 
Non  gli  fossi,  io  dovrei.  Vero  è  che  spesso 
Dal  padre  il  figlio  non  ritrae:  rimane 
Spesso  da  lui  lungo  intervallo  indietro, 
E  raro  è  assai  che  aggiungalo,  od  il  passi. 
Ma  senno  a  te  non  verrà  men,  né  ardire,  35o 
Ed  io  vivere  Ulisse  in  te  già  veggo. 
Lieto  dunque  degli  atti  il  fine  spera: 
Né  l1  anga  il  vano  macchinar  de1  Proci, 
Che  non  sentono,  incauti  e  ingiusti  al  paro, 
La  nera  Parca  che  gli  assai  da  tergo,     355 
Ed  in  un  giorno  sol  tutti  gli  abbranca. 
Io,  d1  Ulisse  il  compagno,  un  tale  ajuto 
Ti  porgerò,  che  partirai  di  corto 
Su  parata  da  me  celere  nave, 
E  con  ine  stesso  al  fianco  in  su  la  poppa.  36o 
Orsù,  rientra  nel  palagio,  ai  Proci 
Nuovamente  ti  mostra,  ed  apparecchia 
Quanto  al  viaggio  si  richiede,  e  il  tulio 
Riponi:  il  bianco  nelle  dense  pelli 
Gran  macinato,  eh' è  dell1  uom  la  vita 
E  nell1  urne  il  licor  che  la  rallegra. 
Compagni  a  radunarti  in  fretta  io  movo, 
Che  ti  seguano  allegri.  Ha  su  P  arena 
Moke  P  ondicerchiata  Itaca  navi 
Novelle  e  antiche:  ne1  salati  flutti 
Noi  lancerem  senza  ritardo  armata 
Qual  miglior  mi  parrà  veleggiatrice. 
Così  di  Giove  la  celeste  figlia: 
Né  più,  gli  accenti  della  Diva  uditi, 
S1  indugiava  Telemaco.  Al  palagio, 
Turbato  della  mente,  ire  affrettossi, 
E  trovò  i  Proci,  che  a  scojar  capretti, 
E  pingui  ad  abbronzar  corpi  di  verri, 
Nel  cortile  intendeano.  Il  vide  appena, 
Che  gli  fu  incontro  sogghignando,  e  il  prese  38o 
Per  mano  Antinoo,  e  gli  parlò  in  tal  guisa: 
O  molto  in  arringar,  ma  forte  poco 
Nel  dominar  te  stesso,  ogni  rancore 
Scaccia  dal   petto,  e,  qual  solevi,  adopra 
Da  prode  il  dente,  e  i  colmi  nappi  asciuga.  385 
Tutto  gli  Achei  t'  allestiran  di  botto: 
Nave  e  remigi  eletti,  acciò  tu  possa, 
Ratto  varcando  alla  divina  Pilo, 
Correr  del  padre  tuo  dietro  alla  fama. 
E  Telemaco  allor:  Sedermi  a  mensa  3o,c 

Con  voi,  superbi,  e  una  tranquilla  gioja 
Provarvi,  a  me  non  lice.  Ah  non  vi  basta 
Ciò  che  de1  miei  più  preziosi  beni 
Nella  prima  età  mia  voi  mi  rapiste? 
Ma  or  eh1  io  posso  dell'altrui  saggezza    3^ 
Giovarmi,  e  sento  con  le  membra  in  petto 
Cresciutami  auco  P  alma,  io  disertarvi 
Tenterò  pure,  o  eh'  io  qui  resti,  o  parta. 
Ma  parto,  e  non  invan,  spero,  e  su  nave 
Parto  non  mia,  quando  al  figliuoldUJIisse,  4oc 
Ne  ciò  sembravi  sconcio,  un  legno  manca. 
Tal  rispose  crucciato,  e  destramente 
Dalla  man  d1  Anlinóo  le  sua  disvelsc. 
Già  il  convito  apprestavano  ,  ed  acerbi 


365 


370 


3:5 


Motti  scoccavan  dalle  labbra  i  Proci. 
Certo,  dicea  di  que1  protervi  alcuno, 
Telemaco  un  gran  d.uino  a  noi  disegna. 
Da  Pilo  ajuti  validi  ,  o  da  Sparta 
Menerà  seco,  però  eli1  ci  non   vive 
Che  di  si  fatta  speme  :  o  al  suol  fecondo  4  '  ° 
Delira  condili  rassi,  e  ritrai  ranne 
Fiero  velen  ,  che  getterà  nell'urne 
Con  man  furtiva  :  e  noi  berera  la  morte. 
E  un  altro  ancor  de'  pretendenti  audaci  : 
Chi  sa  eli1  egli  non  men,  sul  mar  vagando,  4>5 
Dagli  amici  lontano  un  dì  non  muoja, 
Come  il  suo  genitor?  Carco  più  grave 
Su  le  spalle  ne  avremmo  :  il  suo  retaggio 
Partirci  tutto,  ma  la  casta  madre, 
E  quel  di  noi,  eh1  ella  scegliesse  a  sposo  ,  !\io 
Nel  palagio  lasciar  sola  con  solo. 

Telemaco  frattanto  in  quella  scese 
Di  largo  giro,   e  di  sublime  volta 
Paterna  sala,  ove  rai  biondi  e  rossi 
L1  oro  mandava,  e  rammassato  rame}      4^5 
Ove  nitide  vesti  ,  e  di  fragrante 
Olio  gran  copia  chiudean  l1  arche  in  grembo; 
E  presso  al  muro  ivano  intorno  molle 
Di  vino  antico,    saporoso,    degno 
Di  presentarsi  a  un  Dio,  gravide  botti,  43o 
Che  del  ramingo  travagliato  Ulisse 
Il  ritorno  aspettavano.  Munite 
D^pporluni  serrami  eranvi ,   e  doppie 
Con   lungo  studio  accomodate  imposte; 
Ed  Euriclé»,  la  vigilante  figlia  435 

D'Opi  di  Pisenone  ,  il  dì  e  la  notte 
Questi  tesori  custodia  col  senno. 
Chiatnolla  nella  sala,  e  a  lei  tai  voci 
Telemaco  drizzò:  Nutrice,  vino, 
Su  via,   m1  attigni  delicato,  e  solo  44° 

Minor  di   ipiel  che  a  un  infelice  serbi, 
Se   mai,  scampato  dal  destiti  di   morte, 
Comparisse  tra   noi.   Dodici   n'empì 
Anfore,  e  tutte  le  suggella.  Venti 
Di  macinalo  gran  giuste  misure  445 

Versami  ancor  ne1  fedeli  otri,  e  il  tutto 
Colloca  in  un:  ma  sappilo  tu  sola. 
Come  la  notte  alle  superne  stanze 
La  madre  inviti,  e  al  solitario  letto, 
Per  tai  cose  io  verrò:  che  I1  arenosa        4^° 
Pilo  visitar  voglio,  e  la  ferace 
Sparta,  e  ad  entrambe  domandar  del  padre. 

Die  un  m'irlo,  scoppiò  in  lagrime,  e  dal  petto 
Euricléa  volar  feo  queste  parole: 
Donde  a  te,  caro  figlio,  in  mente  cadde  455 
Pensiero  tal?  Tu ,  l1  unico  rampollo 
Di  Penelope,  tu,  la  nostra  gioja, 
Per  tanto  mondo  raggirarti?  Lunge 
Dal  suo  nido  perì  l1  inclito  Ulisse 
Fra  estranie  genti;  e  perirai  tu  ancora.  460 
Sciolta  la  fune  non  avrai ,  che  i  Proci 
Ti  tenderanno  agguati,   uccideranti, 
E  tutte  partirannosi  tra  loro 
Le  spoglie  tue.  Deh  qui  con  noi  rimani, 
Con  noi  qui  siedi ,  e  sui  marini  campi,  465 
Che  fecondi  nou  son  che  di  sventure , 
Lascia  che  altri  a  sua  posta  errando  vada. 

Fa  eor,  Nutrice  ,  ei  le  risponde  tosto: 
Senza  un  Nume  non  è  questo  consiglio. 
Ma  giura  che  alla  madre,  ov'aura  altronde  47° 

PlNDEHONTE 


LIBRO  SECONDO 
4o5 


Non  le  ne  giunga  prima,  e  ten  richiegga , 
Nulla  dirai,  che  non  appaja  in  cielo 
La  dodicesm'  aurora;  onde  col  pianto 
Al  suo  bel  corpo  ella  non  rechi  oltraggio. 

L1  ottima  vecchia  il  giuramento  grande     4^5 
Giurò  de1  Numi;  e  a  lui  versò  negavi 
Otri,  versò  nell1  anfore  capaci, 
Le  candide  farine  e  il  rosso  vino. 
Ei,  nella  sala  un'altra  volta  entrato, 
Tra  i  Pror-i  s^vvolgea:  né  in  questo  mezzo 480 
Stavasi   indarno  la  Tritonia  Palla. 
Vestile  di  Telemaco  le  forme , 
Per  tutto  si  mostrava  ,  ed  appressava 
Tutti,  e  loro  ingiungea  che  al  mare  in  riva 
Si    raccogliesser   nottetempo,  e  il  ratto  485 
Legno  chiedea  di  Fronio  al  figlio  illustre, 
A  Noemón,  cui  non  chiedealo  indarno. 
S'ascose  il  Sole,  e  in  Itaca  ornai  tutte 
S1  inombravan  le  vie.  Minerva  il  ratto 
Legno  nel  mar  tirò,  l'armò  di  quanto       4go 
Soffre  d^rnesi  un'impalcata  nave, 
E  al  porto  in  bocca   V  arrestò.  Frequenti 
Si  raccoglieanoi  remator  forzuti 
Sul  lido,  e  iniiiim  tv.ili  la  Dea 
Dallo  sguardo  azzurrin,  che  altro  disegno \ j5 
Concepì  in  mente.  La  magion  d'  Ulisse 
Ritrova,  e  sparge  su  i  beenti  Proci 
Tal  di  sonno  un  vapor,  che  lor  si  turba 
L'intelletto  e  confondesi,  e  di  mano 
Casca  sul  desco  la  sonante  coppa.  5oo 

Sorse,  e  mosse  ciascuno  al  proprio  albergo, 
Né  fu  più  nulla  del  sedere  a  mensa: 
Tal  pondo  stava  su  le  lor  palpebre. 
Ma  P  occhiglauca  Dea,  ripreso  il  volto 
Di  Mentore  e  la  voce,  e  richiamato       5o5 
Fuor  del  palagio  il  giovinetto,  disse: 
Telemaco,  ciascun  de1  tuoi  compagni, 
Che  d1  egregi  schinier  veston  le  gambe, 
Già  siede  al  remo ,  e  ,  se  tu  arrivi,  guarda. 

Ciò  detto,  la  via  prese,  ed  il  garzone     5io 
Seguitavane  Porrne.  AI  mar  calati, 
Trovar  sul  lido  i  capelluti  Achivi, 
Cui  di  tal  guisa  favellò  la  sacra 
Di  Telemaco  possa:  Amici,  in  casa 
Quanto  al  cammin  bisogna,  unito  giace:  5i5 
Trasportarlo  è  mestieri.  Né  la  madre 
Sa,  né,  fuor  che  una,  il  mio  pensier  le  ancelle. 

Tacque,  e  loro  entrò  innanzi;  e  quelli  dietro 
Teneangli.  Indi  con  P  anfore  e  con  gli  otri, 


Come  d1  Uli 


5ao 


525 


nsse  il  caro  figlio  ingiunse; 
Tornaro,  e  il  carco  nella  salda  nave 
Deposero.  Il  garzon  sopra  vi  salse 
Preceduto  da  Pallade,  che  in  poppa 
S' assise  ;  accanto  ei  le  sedea  :  la  fune 
I  remiganti  sciolsero,  e  montaro 
La  negra  nave  anch1  essi,  e  i  banchi  empierò. 
Tosto  la  Dea  dalle  cerulee  luci 
Chiamò  di  verso  POccidente  un  vento 
Destro,  gagliardo,  che  battendo  venne 
Su  pel  tremulo  mar  P  ale  sonanti.  53o 

Mano ,  mano  agli  attrezzi ,  allor  gridava 
Telemaco;  ov1  è  P  albero  ?  I  compagni 
L'udirò,  e  il    grosso  e  lungo  abete  in  alto 
Drizzaro,  e  P  impiantaro  entro  la  cava 
Base,  e  di  corda  Pannodaro  al  piede:    535 
Poi  tiravano  in  su  le  bianche  vele 


ODISSEA  LIB.  II 


Con  bene  ntlorti  cuoi.  Gonfiò  nel  mezzo 
Le  velo  il  vento;  e  forle  alla  carena 
L'azzurro  mar  romoreggiava  intorno, 
Mentre  la  nave  sino  al  fin  del  corso       54<> 
Su  l1  elemento  liquido  volava. 
Legati  i  remi  del  naviglio  ai  fianchi , 


Incoronare  di  vin  maschio  l'urne, 

E  a  ciascun  degli  Dei  sempre  viventi 

Libaro,  ma  più  a  te,  figlia  di  Giove,    545 

Che  le  papille  di  cileslro  tingi. 

11  naviglio  correa  la  notte  intera  , 

E  del  suo  corso  al  fin  giungea  con  V  alba. 


LIBRO  TERZO 


ARGOMENTO 

Arrivo  di  Telemaco  a  Pilo,  rnenlre  Nestore  sagrificava  solennemente  a  Nelluno.  Il  R«  lo  accoglie  cor- 
tesemente. Telemaco  se  fili  dà  a  conoscere,  e  dimandagli  novella  del  padre.  Nestore  racconta  co  che  nel 
ritorno  da  Troia  è  avvenuto  a  sé  e  ad  altri  eroi  della  Grecia,  fermandosi  più  a  lungo  sopra  Agamennone. 
Ma  d'Ulisse  nulla  sa  dirgli:  l.ensì  lo  consiglia  di  andare  a  Sparla,  e  richiederne  Menelao,  che  giunse  di  tresco 
dopo  un  lungo  viaggio.  Sparizione  di  Minerva,  che  sotto  la  figura  di  Mentore  avea  accompagnato  Telemaco. 
Nestore,  che  la  riconobbe,  le  fa  il  dì  appresso  un  sagrifizio  solenne;  e  commette  a  Pisistrato,  un  de  suoi 
figli,  di  condurre  a  Sparta  Telemaco  sovra  un  cocchio.  Partenza  de'  due  garzoni  su  1  alba  del  giorno  seguente. 


u 


scilo  delle  salse  acque  vermiglie 
Montava  il  Sole  per  l'eterea  volta 
Di  bronzo  tutta,  e  in  cielo  ai  Dei  recava, 
Ed  agli  uomini  il  di  su  l'  alma  terra: 
Quando  alla  forte  Pilo ,  alla  cittade  5 

Fondata  da  Neléo,  giunse  la  nave. 
Stavano  allor  sacrificando  i  Pilj 
Tauri  sul  lido  tutti  negri  al  Dio 
Dai  crini  azzurri,  che  la  terra  scuote. 
Nove  d'uomini  squadre,  e  in  ogni  squadra  io 
Cinquecento  seduti,  e  per  ciascuna 
Svenati  nove  buoi,  di  cui,  gustate 
Le  interiora,  ardean  le  cosce  al  Nume. 
La  nave  intanto  d'  uguai  fianchi  armata 
Se  ne  venia  dirittamente  a  proda.  i5 

Le  vele  ammainar,  pigliare  il  porto, 
Nel  lido  si  giltaro.  Ei  pur  gittossi 
Telemaco,  e  Minerva  il  precedea, 
La  Dea  dagli  occhi  di  ceruleo  tinti , 
Che  gli  accenti  al  garzon  primiera  volse:     *io 
Telemaco,  depor  tutta  oggi  è  d'  uopo 
La  pueril  vergogna.  Il  mar  passasti, 
Ma  per  udir,  dove  s'asconda,  e  a  quale 
Destin  soggiacque  il  generoso  padre. 
Su,  dunque,  dritto  al  domator  t'avvia     a5 
Di  cavalli  Nestorre,  onde  si  vegga 
Quel  eh'  ei  celato  nella  mente  porta. 
Il  ver  da  lui  ,  se  tu  nel  chiedi,  avrai; 
Poiché  mentir  non  può  cotanto  senno. 

Il  prudente  Telemaco  rispose:  3o 

Mentore ,  per  qual  modo  al  Rege  amico 
M'accosterò?  Con  qual  saluto?  Esperto 
Non  sono  ancor  del  favellar  de'  saggi  : 
Né  consente  pudor,  che  a  far  parole 
Cominci  col  più  vecchio  il  men  d'etade.  35 

Ma  di  tal  guisa  ripigliò  la  Dea , 
Cui  cilestrino  lume  i  rai  colora: 
Telemaco,  di  ciò  che  dir  dovrai, 
Patte  da  sé  ti  nascerà  nel  core  , 
Parte  nel  cor  la  ti  porranno  i  Numi  :      40 
Che  a  dispetto  di  questi  in  luce,  io  credo, 
Non  ti  mandò  la  madre,  e  non  ti  crebbe. 

Così  parlando,  frettolosa  innanzi 
Palla  si  mise,  ed  ei  le  andava  dopo. 


Fur  tosto  in  mezzo  all'assemblea  de1  Pilj,  4^ 
Ove  Nestor  sedeà  co' figli  suoi, 
Mentre  i  compagni,  apparecchiando  il  pasto, 
Altre  avvampatati  delle  carni ,  ed  altre 
Negli  spiedi  infilzavanle.  Adocchiati 
Ebbero  appena  i  foreslier,  che  incontro  5o 
Lor  si  fero  in  un  groppo,  e  gli  abbracciare, 
E  a  seder  gì'  invitato.  Ad  appressarli 
Pisistrato  fu  il  primo,  un  de' figliuoli 
Del  Re.  Li  prese  ambi  per  mano,  e  in  molli 
Pelli,  onde  at tappezzata  era  la  sabbia,      55 
Appo  la  mensa  gli  adagiò  tra  il  caro 
Suo  padre  ed  il  germano  Trasimede: 
Delle  viscere  calde  ad  ambi  porse  ; 
E,  rosso  vin  mescendo  in  tazza  d'oro, 
E  alla  gran  figlia  dell'egioco  Giove  60 

Propinando,  Stranier,  dissele,  or  prega 
Dell'acque  il  Sir,   nella  cui  festa,   i  nostri 
Lidi  cercando,  t'abbattesti  appunto. 
Ma,  i  libamenti,  come  più  s'addice, 
Compiuti  e  i  prieghi  ,  del  licor  soave       65 
Presenta  il  nappo  al  tuo  compagno  ,  in  cui 
Pur  s'annida,  cred' io,  timor  de' Numi, 
Quando  ha  mestier  de' Numi  ogni  vivente. 
Meno  ei  corse  di  vita,  e  d'anni  eguale 
Panni  con  me:  quindi  a  te  pria  la  coppa 
E  il  soave  licor  le  pose  in  mano» 
Godea  Minerva  che  1'  uom  giusto  pria 
Offerto  il  nappo  d'  oro  avesse  a  lei, 
E  subito  a  Nettila  così  pregava: 
Odi,  o  Nettuno,  che  la  terra  cingi, 
E  questi  voti  appagar  degna.  Eterna 
Gloria  a  Nestorre  ,  ed  a'  suoi  figli  in  prima  , 
E  poi  grata  mercede  a  tutti  i  Pilj 
Dell'  inclita  ecatombe.  Al  mio  compagno 
Concedi  in  oltre  e  a  me,  che,  ciò  fornito,  80 
Perché  venimmo,  su  le  patrie  arene 
Con  la  negra  torniam  rapida  nave. 
Tal  supplicava,  e  adempiere  intendea 
Questi  voti  ella  stessa.  Indi  al  garzone 
La  bella  offrì  gemina  coppa  e  tonda, 
Ed  una  egual  preghiera  il  caro  figlio 
D1  Ulisse  alzò.  S'  abbrustolare  intanto 
Le  pingui  cosce,  degli  spiedi  acuii 


7o 


75 


85 


LlliKO  TERZO 


Si  dispiccaro,  e  si  spartirò  :  al  fine 

L1  alto  si  celebrò  prandio  solenne.  90 

Giunto  al  suo  fin,  così  principio  ai  delti 
Dava  il  Gerenio  cavalier  Xestorrc: 
Gli  ospiti  ricercare  allora   è  hello, 
Clic  di  cihi  e  di  vini  hanno  abhastanza 
Sfaldalo   il   petto,   e   rallegrato  il  core.        g5 
Forestieri,  chi  siete?  e  ila  quai   lidi 
Prendeste  a  frequentar  1'  umide  strade? 
Trafficate  voi  forse?  O  v'aggirate, 
Come  corsali,  che  la   dolce   vita, 
Per  nuocere  ad  altrui,  rischiali  sul  mare?  100 

Telemaco,    a  cui   Palla   un    nuovo  ardire 
Spiiò  nel  seno,  acciò  del  padre  assente 
Nestore  interrogante,  e  chiaro  a  uh  tempo 
Di  se  spargesse  per  le  genti  il  grido, 
O  degli   Achei,  rispose,  illustre  vanto,   io5 
Di  satisfare  ai  desir  tuoi  son  presto. 
Giungiam  dalla  seduta  a  pie  del  Neo 
Itaca  alpestre,  ed  è  ragion   privata 
Che  a   Pilo  ci  menò.  Del  padre  io  movo 
Dietro  alla  fama,  che  riempie  il  mondo,  110 
Del  magnanimo  Ulisse,  onde  racconta 
Puhhlica  voce  che  i  Trojani  muri, 
Combattendo  con  teco,  al  suol  distese. 
Degli  altri  tutti  che  co1  Troi  pugnaro, 
Non  ignorila  dove  finirò  i  giorni.  i*5 

Ma  di  lui  Giove  ancor  la  morte  volle 
Nasconderci  5  né  alcun  sin  qui  poleo 
Dir  se  in  terra  o  sul  mar,  se  per  nemico 
Brando  incontrolla,  o  alle  irate  onde  in  grembo. 
Eccomi  or  dunque  alle  ginocchia  tue,     120 
Perchè  tu  la  mi  narri,  o  \ista  P  abbi 
Con  gli  occhi  proprj,  o  dalle  labbra  udita 
D'un  qualche  pellegrin  ;  però  che  molto 
Disventurato  il  partorì  la  madre. 
Né  timore,  o  pietà,  del  palesarmi  ia5 

Quanto  sai,  ti  ritenga.  Ah!  se  l'egregio 
Mio  padre  in  opra  o  in  detto  unqua  ti  feo 
Bene  o  comodo  alcun,  là  ne1  Trojani 
Campi  che  tinse  il  vostro  sangue  ,  o  Greci, 
Tel  rimembra  ora,  e  non  tacermi  nulla.     i3o 

Ed  il  Gerenio  cavalier  Nestorre: 
Tu  mi  ricordi,  amico,  i  guai,  che  molti 
Noi  prole  invitta  degli   Achei  patimmo, 
O  quando  erranti  per  le  torbid1  onde 
Ce  ne  andavam  sovra  le  navi  in  traccia   1 35 
Di  preda,  ovunque  ci  guidasse  Achille; 
()  allor  che   pugnavam    sotto  le  mura 
Della  cittade  alla  di  Priamo,  dove 
Grecia  quasi  d'"  eroi  spenta  rimase. 
Là  cadde  Achille  e  il  marziale  Ajace,      140 
Là  Patroclo  nel  senno  ai  Dei  vicino, 
Quell' Antiloco  là  forte  e  gentile, 
Mio  diletto  figliuol ,  che  abil  del  pari 
La  mano  ebbe  ai  conflitti,  e  al  corso  il  piede. 
Se  tu,   queste   sciagure    ed  altre  assai     ìfó 
Per  ascoltar,  sino  al  quint'anno  e  al  sesto 
Qui  t'indugiassi,  dalla  noja    oppresso 
Leveresti  di  nuovo  in  mar  le  vele , 
Gli"1  io  non  sarei  del  mio  racconto  a  riva. 
Nove  anni,  offese  macchinando,  a  Troja   i5o 
Ci  travagliammo  intorno;  e,  benché  ogni  arte 
Vi  s'adoprasse,  d'espugnarla  Giove 
Ci  consentì  nel  decimo  a  fatica. 
Duce  col  padre  tuo  non  s'  ardii  quivi 


Di  accorgimento  gareggiar:  cotanto         i55 
Per  inventive  Ulisse  e  per  ingegni 
Ciascun  vincea.  Certo  gli  sei    tu  figlio, 
E  me  ingombra  stupor,  mentr'  io  ti  guardo: 
Che  i  detti  rassomiglinosi,  e  ne'detli 
Tanto  di  lui   tenere  uom  che  d'etade      160 
Minor  tanto  é  di  lui,  vero  non  parmi. 
L'accorto  Ulisse  ed  io,  né  in  parlamento 
Mai  né  in  concilio,  parlavam  diversi; 
Ma,  d'una  mente,  con   maturi  avvisi 
Quel  che  dell'  oste  in  prò  tornar  dovesse,  i(k> 
Disegnavamo.  Rovesciala  l'alta 
Città  di   Priamo,  e  i  Greci  in  su  le  ratte 
Navi  saliti,  si  divise  il  campo: 
Così  piacque  al  Saturnio  ;  e  ben  si  vide 
Da  quell1  istante,  che  un  ritorno  infausto   170 
Ci  destinava  il  Corrcttor  del  mondo. 
Senno  non  era  né  giustizia  in  tutti: 
Quindi  il  malanno  che  su  molti  cadde, 
Per  lo  sdegno  fatai  dell'  Occhiglauca 
Di  forte  genitor  nata,  che  cieca  1^5 

Tra  i  due  figli  d'Atreo  discordia  mise. 
A   parlamento  in  sul  cader  del  Sole 
Chiamaro  incauti,  e  contra  l'uso,  i  Greci, 
Che  intorbidati  dal  vapor  del  vino 
Gli  Atridi  ad  ascoltar  trassero  in  folla.    180 
Menelao  prescrivea  che  P  oste  tutta 
Le  vele  aprisse  del  ritorno  ai  venti; 
Ma  ritenerla  in  vece  Agamennone 
Bramava,  e  offrir  sacre  ecatombe,  il  fiero 
Sdegno  a  placar  dell'oltraggiata  Diva.     i85 
Stolto!  che  nou  sapea  ch'erano  indarno: 
Quando  per  fumo  d'immolati  tori 
Mente  i  Numi  non  cangiano  in  un  punto. 
Così,  garrendo  di  parole  acerbe, 
Non  si  niovean  dal  lor  proposto.  Intanto*  igo 
Con  insano  clamor  sorser  gli  Achivi 
Ben  gambierati;  e  l'un  consiglio  agli  uni, 
L'altro  agli  altri  piacea.  Funeste  cose 
La  notte  in  mezzo  al  sonno  agitavamo 
Dentro  di  noi:  che  del  disastro  il  danno  io,5 
Giove  ci  apparecchiava.  Il  dì  comparso, 
Tirammo  i  legni  nel  divino  mare, 
E  su  i  legni  velivoli  le  molle 
Robe  imponemmo,  e  le  altocinte  schiave. 
Se  non  che  mezza  l'oste  appo  PAtride  200 
Agamennón  rimanea  ferma  :  l'altra 
Dava  ne' remi,  e  per  lo  mar  pescoso, 
Che  Nettuno  spianò,  correa  veloce. 
Tenedo  preso  ,  sagrifici  offrimmo , 
Anelando  alla  Patria:  ma  nemico  ao5 

Dagli  occhi   nostri  rimoveala  Giove, 
Che  di  nuovo  parti  tra  loro  i  Greci. 
Alcuni  che  d' intorno  erano  al  ricco 
Di  scaltrimenti  Ulisse,  e  al  Re  de' Regi 
Gratificar  volean,  torsero  a  un  tratto     210 
Le  quinci  e  quindi  remiganti  navi  : 
Ma  io  de' mali  che  l'avverso  Nume 
Divisava,   m'accorsi,  e  con  le  prore, 
Che  fide  mi  seguian,  fuggii  per. l'alto. 
Fuggì  di  Tideo  il  bellicoso  figlio,  21 5 

Tutti  animando  i  suoi.  L'  acque  salate 
Solcò  più  lento,  e  in  Lesbo  al  fine  il  biondo 
Menelao  ci  trovò,  che  della  via 
Consigliavano  :  se  all'aspra  Chiodi  sopra, 
Psiria  lasciando  dal  sinistro  lato,  220 


O  in  vece  sotto  Chio,  lungo  il  ventoso 
Mimanta,  veleggiassimo.  D'  un  sogno 
Nett  un  pregammo: ei  mostrò  un  segno,  e  il  mare 
Noi  fendemmo  nel  mezzo,  e  dell' Eube'a 
Navigammo  alla  volta,  onde,  con  quanta  225 
Fretta  si  potea  più,  condurci  in  salvo. 
Sorse  allora  e  soffiò  stridulo  vento, 
Che  volar  per  le  nere  onde,  e  notturni 
Sorger  ci  feo  sovra  Geresto,  dove 
Sbarcammo,  e  al  Nume  dagli  azzurri  crini,  23o 
Misurato  gran  mar,  molte  di  tori 
Cosce  ponemmo  in  su  la  viva  brace. 
Già  il  dì  quarto  splendea,  quando  i  compagni 
Del  prode  ne1  cavalli  Diomede 
Le  salde  navi  riposaro  in  Argo;  235 

Ed  io  vèr  Pilo  sempre  il  corso  tenni 
Con  quel  vento,  cui  pria  mandato  in  poppa 
M'aveano  i  Numi,  e  che  non  mai  s1  estinte. 
Cosi,  mio  caro  figli'»,  ignaro  io  giunsi, 
Ne  so  nulla  de1  Greci  o  spenti  o  salvi.  24<> 
Ciò  poi  che  intesi  ne?  miei  tetti  assiso, 
Celare  a  te  certo  non  vuoisi.  E  fama 
Che  l'elite  ritorno  ebber  gli  sperti 
Della  lancia  Mirmidoni,  che  il  degno 
Figliuol  guidava  dell1  altero  Achille.        245 
Felice  l1  ebbe  Filottete  ancora  , 
L1  illustre  prole  di  Peante.  In  Creta 
Riir.enò  Idomenéo  quanti  compagni 
Con  la  vita  gli  uscir  fuori  dell1  arme  : 
Un  sol  non  ne  inghiotti  Tonda  vorace.  25o 
D'  Agamennón  voi  stessi ,  e  come  venne  , 
Benché  lontani  dimoriate  ,  udiste, 
E  qual  gli  tramò  Egisto  acerba  morte. 
Ma  già  il  fio  ne  pagò.  Deh  quanto  è  bello 
Che  il  figliuol  dell1  estinto  in  vita  resti  !  255 
Quel  dell1  Atride  vendicossi  a  pieno 
Di  IP  omicida  fraudolento  e  vile, 
Che  morto  aveagli  sì  famoso  padre. 
Quinci  e  tu  ,  amiro,  però  eh1  io  ti  veggio 
Di  sembiante  non  men  grande  che  bello,  .s6o 
Fortezza  impara,  onde  te  pure  alcuno 
Benedica  di  quei  che  un  dì  vivranno. 
Nestore,  degli  Achei  gloria  immortale, 
Telemaro  riprese,  ei  vendicossi, 
E  al  cielo  i  Greci  innalzeranlo,  e  il  nome  265 
Nel  canto  se  n1  udrà.  Perchè  in  me  ancora 
Non  infuser  gli  Dei  tanto  di  lena, 
Che  dell1  onte  de1  Proci  e  delle  trame 
Potessi  a  pieno  ristorarmi  aneli1  io  ? 
Ma  non  a  me,  non  ad  Ulisse  e  al  figlio  270 
Tanta  felicità  dagl1  Immortali 
Fu  destinata  ;  e  tollerar  in1  è  forza. 
Poiché  tai  mali,  ripigliò  Nestorre  , 
Mi  riduci  alla  mente  ,  odo  la  casa 
Molti  occuparti  a  forza,  e  insidiarti,      275 
Vagheggiatoli  della  madre    Dimmi  : 
Volontario  piegasti  al  giogo  il  collo  ? 

0  in  odio,  colpa  d1  un  oracol  forse, 

1  cittadini  t'hanno?  Ad  ogni  modo, 

Chi  sa  che.il  padre  ne1  suoi  tetti  un  giorno  280 

Non  si  ricatti,  o  solo,  o  con  gli  Achivi 

Tutti  al  suo  fianco,  di  cotanti  oltraggi? 

Se  te  così  Pallade  amasse,  come 

A  Troja,  duol  de1  Greci ,  amava  Ulisse 

CSI  palese  favor  d1  un  Nume,  quale       a85 

Di  Pallade  per  lui,  mai  non  si  vide), 


ODISSEA 

Se  ugual  di  te  cura  prendesse,  ai  Proci 
Delhi  mente  uscin'an  le  belle  nozze. 

E  d'  Ulisse  il  figliuol:- Tanto  io  non  penso 
Che  s'adempia  "giammai.  Troppo  dicesti,  290 
Buon  vecchio,  ed  io  ne  maraviglio  forte  : 
Che  ciò  bramar,  non  conseguir,   mi  lice, 
Non  ,  se  agli  stessi  Dei  ciò  fosse  in  grado. 

Qual  ti  sentii  volar  fuori  de' denti , 


Telemaco,  parola?  allor  soggiunse  2g5 

La  Dea  che  lumi  cilestrini  gira. 
Facile  a  un  Dio,  sempre  che  il  voglia,  uom  vivo 
Ripatriar  dai  più  remoti  lidi. 
Io  per  me  del  ritorno  anzi  torrei 
Scorgere  il  dì  dopo  infiniti  guai,  3oo 

Che  rieder  prima,  e  nel  suo  proprio  albergo 
Cader,  come  d1  Egisto,  e  dell'  infida 
Moglie  per  frode  il  miserando  Atride. 
La  morte  sola,  commi  legge  amara, 
Gli  stessi  Dei  né  da  un  amato  capo        3o5 
Distornala  poln'an,  quantunque  sopra 
Gli  venga  in  sua  stagion  P  apportatrice 
Di  lunghi  sonni  disamanti  Parca. 
E  temo  io  ben,  Telemaco  rispose, 
Che  una  morte  crude!,  non  il  ritorno,  3io 
Prefissa  gli  abbia?,  o  Mentore',  il  destino. 
Ma  di  questo  non  più:  benché  agli  afflitti 
Parlare  a  un  tempo  e  lagrimar  sia  gioja. 
Io  voglio  d1  altro  dimandar  Nestorre, 
Che  vede  assai  più  là  d'ogni  mortale,    3i5 
E  Pela  terza,  qual  si  dice,  or  regna, 
Tal  (he  mirare  in  lui  sembrami  un   Nume. 
Figlio  di  Ncleo,  il  ver  mi  narra.  Come 
Chiusegli  occhi  Agamennone,  il  cui  reguo 
Stendesti  tanto?  Menelao  dov'era?  320 

Qual  morte  al  sommo  Agamennone  ordi'a 
L' iniquo  Egisto,  che  di  vita  uom  tolse 
Tanto  miglior  di  sé?  Non  era  dunque 
Nell'Argo  Acaica  Menelao?  Ma  forse 
Lontano  errava  tra  straniere  genti,  325 

E  quei  la  spada,  imbaldanzito,  strinse. 
Ed  il  Gerenio  cavalier  Nestorre: 
Figlio,  quant' io  dirò,  per  certo  il  tieni. 
Tu  feristi  nel  segno.  Ah!  se  l'illustre 
Menelao  biondo,  poiché  apparve  in  Argo,  33o 
Nel  palagio  trovava  Egisto  in  vita, 
Non  si  spargea  sul  costui  morto  corpo 
Un  pugno  scarso  di  cavata  terra: 
Fuor  delle  mura  sovra  il  nudo  campo 
Cani  e     augelli  voravanlo,  né  un  solo 
Delle  donne  d'  Acaja  occhio  il  piangea. 
Noi  sotto  Troja,  travagliando  in  armi, 
Passavam  le  giornate;  ed  ei  nel  fondo 
Della  ricca  di  paschi  Argo  tranquilla 
Con  detti  aspersi  di  dolce  veleno 
La  moglie  dell'  Atride  iva  blandendo. 
Rifuggi'a  prima  dall'indegno  fatto 
La  veieconda  Clitennestra,  e  retti 
Pensier  nutria,  standole  a  fianco  il  vale, 
Cui  di  casta  serbargliela  1' Atride 
Molto  inginngea,  quando  per  Troja  sciolse. 
Ma  ,  sorto  il  dì  die  cedere  ad  Egisto 
La  infelice  dovea,  quegli,  menato 


335 


34o 


345 


Colà 


un'  isola  deserta  il  vate  in  seno, 
là  de'  feri  volator  pastura 


35o 


Lasciollo,  e  strazio;  e  ne'  suoi  tetti  addusse, 
Non  ripugnante,  P  infedel  Regina. 


LIBRO  TEr.ZO 


E  molte  cosre  del  cornuto  armento 
Su  Pare  il  folle  ardea,  sospendea  molti 
Di  drappi  d'oro  sfavillanti  doni,  355 

Compiuta  un1  opra  che  di  trarre  a  fine 
Speranza  ebbe  assai  mcn,  che  non  vaghezza. 
Già  parliti  di  Troja,  e  d' araistade 
Congiunti,  battevam  lo  stesso  mare 
Menelao  ed  io;  ma  divenimmo  al  sacro  36o 
Promontorio  d1  Atene,  al  Sunio,  appena, 
Che  il  suo  nocchier,  che  del  corrente  legno 
Stava  al  governo,  un1  improvvisa  uccise 
Di  Febo  Apollo  mansueta  freccia  , 
L' Onetoride  Fronte,  uom  senza  pari     365 
Co1  marosi  a  combattere  e  co1  venti. 
L' Atride  ,  benché  in  lui  gran  fretta  fosse  , 
Si  fermò  al  Sunio,  ed  il  compagno  pianse, 
E  d1  esequie  onorollo  e  di  sepolcro. 
Poi,  rientrato  in  mare  ,  e  al  capo  eccelso  3^0 
Giunto  della  Maléa ,  cammin  felice 
Non  gli  donò  P  onniveggente  Giove. 
Venti  stridenti  e  smisurati  flutti, 
Che  ai  monti  non  cedean  ,  contro  gli  mosse; 
E  ne  disgiunse  i  legni ,  e  parte  a  Creta  3^5 
Ne  spinse  là 've  albergano  i  Cidonj 
Alle  correnti  del   Giardàno  in  riva. 
Liscia  e  pendente  sovra  il  fosco  mare 
Di  Cortina  al  confiti  sorge  una  rupe, 
Contro  alla  cui  sinistra,  e  non  da  Festo  3So 
Molto  lontana  punta,    Austro  i  gran  flutti 
Caccia;  li  frange  un   piccoletto  sasso. 
Là  percotendo  si  fiaccare  i  legni  . 
Scampale  Palme  a  gran  fatica;  e, sole 
Cinque  altre  navi  dall'  azzurra  prora       385 
Portò  sovra  P  Egitto  il  vento  e  Ponda. 
Mentre  con  queste  Menelao  tra  genti 
D'altra  favella  s'aggirava,  e  forza 
Vi  raccogliea  di  vettovaglia  e  d'oro, 
Tutti  ebbe  i  suoi  desir  l'iniquo  Egisto:  390 
Agamennone  a  tradimento  spense  , 
Soggettossi  gli  Argivi  ,  ed  anni  sette 
Della  ricca  Micene  il  fren  ritenne. 
Ma  P  ottavo  anno  ritornò  d'  Atene 
Per  sua  sciagura  il  pari  ai  Numi  Oreste,  3o,5 
Che   il   perfido  assassin   del   padre  illustre 
Spogliò  di  vita  ,  e  la  funebre  cena 
Agli   Argivi  imbandì  per  P  odiosa 
Madie  non  men  ,  che  per  l'imbelle  drudo. 
Lo  stesso  giorno  Menelao  comparve,       400 
Tanta  ricchezza  riportando  seco  , 
Che  del  pondo  gemean  le  stanche  navi. 
Figlio  ,  non  P  imitar  ,  non  vagar  troppo  , 
Lasciando  in  preda  le  sostanze  ai  Proci, 
Che  ciò  tra  lor  che  non  avran  consunto,  4o5 
Partansi,  e  il  viaggiar  ti  torni  danno. 
Se  non  eh'  io  bramo,  anzi  t'esorto  e  stringo, 
Che  il  Re  di  Sparta  trovi.  Ei  teste  giunse, 
Donde  altri,  che  in  quel  mar  furia  di  crudo 
Vento  cacciasse,  perderla  la  speme  4'0 

Di  rieder  più:  mar  così  immenso  e  orrendo, 
Che  nel  giro  d'  un  anno  augel  noi  varca. 
Hai  nave  ed  hai  compagni.  E  se  mai  fosse 
Più  di  tuo  grado  la  terrestre  via, 
Cocchio  io  darotti  e  corridori,  e  i  miei  4' 5 
Figli ,  che  guideranti  alla  divina 
Sparta,  ove  il  biondo  Menelao  soggiorna. 
Pregalo,  e  non  temer  che  le  parole 


Re  sì  prudente  di  menzogna  involva. 
Disse;  e  tramontò  il  Sole,  e  bujo  venne.  Z^-ìo 

Qui  la  gran  Diva  dal  ceruleo  sguardo 
Si  frappose  cosi  :  Buon  vecchio ,  tutto 
Dicesti  rettamente.  Or  via,  le  lingue 
Taglinsi,  e  di  licor  s' empian  le  tazze. 
Poscia,  fatti  a  Nettuno  e  agli  altri  Numi  4s5 
I  libamenti,  si  procuri  ai  corpi 
Riposo  e  sonno,  come  il  tempo  chiede. 
Già  il  Sol  s'ascose,  e  non  s'addice  al  sacro 
Troppo  a  lungo  seder  prandio  solenne. 

Così  Palla,  né  indarno.  Acqua  gli  araldi  43° 
Dier  subito  alle  man,  di  vino  P  urne 
Coronaro  i  donzelli ,  ed  il  recaro , 
Con  le  tazze  augurando,  a  tutti  in  giro. 
I  convitati  s'  alzano  ,  e  le  lingue 
Gittan  sul  fuoco,  e  libano.   Libato  4^5 

Ch'ebbero,  e  a  voglia  lor  tutti  bevuto, 
Palla  e  d'  Ulisse  il  deiforme  figlio 
Ritirarsi  voleano  al  cavo  legno. 
Ma  Nestore  fermolli,  e  con  gentile 
Corruccio,  Ah!  Giove  tolga,  e  gli  altri,  disse,  44° 
Non  morituri  Dei ,  eh'  ire  io  vi  lasci , 
Qual  tapino  mortale  a  cui  la  casa 
Di  vestimenti  non  abbonda  e  coltri, 
Ove  gli  ospiti  suoi,  non  ch'egli,  avvolti 
Mollemente  s'  addormino.  Credete  44^ 

Che  a  me  vesti  non  sieno  e  coltri  belle  ? 
No ,  su  palco  di  nave  il  figlio  caro 
Di  cotant'  uom  non  giacerà ,  me  vivo, 
E  vivo  un  sol  de'  figli  miei ,  che  quanti 
Verranno  alle  mie  case  ospiti  accolga.    4^° 

O  vecchio  amico,    replicò  la  Diva 
Cui  sfavilla  negli  occhi  azzurra  luce, 
Motto  da  te  non  s'  ode  altro  che  saggio. 
Telemaco,  ubbidire  io  ti  consiglio. 
Che  meglio  puoi?  Te  dunque,  o  Nestor,siegua, 
E  s'adagi  in  tua  casa.  Io  ver  la  nave     (4^5 
A  confortar  rivolgomi  ,  e  di  tutto 
Gli  altri  a  informar:  però  ch'io  tutti  vinco 
Que'  giovani  d'  età,  che  non  maggiori 
Di  Telemaco  sono ,  e  accompagnarlo       4^° 
Voller  per  amistade.  In  sul  naviglio 
Mi  stenderò:  ma,  ricomparsa  l'alba, 
Ai  Cauróni  magnanimi  non  lieve 
Per  ricevere  andrò  debito  antico. 
E  tu  questo  garzon,  che  a  te  drizzossi,  4^5 
Nel  cocchio  manda  con  un  figlio,  e  al  cocchio 
De'  corridori  che  in  tue  stalle  nutrì , 
I  più  ratti  gli  accoppia  e  più  gagliardi. 
Qui  fine  al  dir  pose  la  Dea  cui  ride 
Sotto  le  ciglia  un  azzurrino  lume,  47° 

E  si  levò  com'  aquila ,  e  svanio. 

Stupì  chiunque  v'era,  ed  anco  il  veglio, 
Visto  il  portento,  s'ammirava;  e,  preso 
Telemaco  per  man  ,  nomollo  e  disse  : 
Ben  conosc'ora  che  dappoco  e  imbelle,     ^5 
Figliuol  mio,  non  sarai ,  quando  compagni 
Così  per  tempo  ti  si  fanno  i  Numi. 
Degli  abitanti  dell'  Olimpie  case 
Chi  altri  esser  porria ,  che  la  pugnace 
Figlia  di  Giove,  la  Tritonia  Palla,         fòo 
Che  P  egregio  tuo  padre  in  fra  gli  Achivi 
Favorì  ognor?  Propizia,  o  gran  Regina, 
Guardami,  e  a  me  co' figli  e  con  la  casta 
Consorte  gloria  non  vulgar  concedi. 


ODISSEA 


4o° 


4o5 


5o5 


Giovenca  io  t'offrirò  di  larga  fronte,      4^ 
Che  vide  un  anno  solo,  e  al  giogo  ancora 
Non  sottopose  la  cervice  indoma. 
Questa  per  te  cadrà  con  le  vestite 
Di  luciti1  oro  giovinette  corna. 

Tal  supplicava,  e  P  udì  Palla.  Quindi 
Generi  e  figli  al  suo  reale  ostello 
Nestore  precedea.  Giunti,  posaro 
Su  gli  scanni  per  ordine  e  su  i  troni. 
11  Re  canuto  un  prezioso  vino, 
Che  dalla  scoverchiata  urna  la  fida 
Custode  attinse  nell' undecim1  anno, 
Lor  mesrea  nella  coppa,  e  alla  possente 
Figlia  libava  dell1  Egioco  Giove, 
Supplichevole  orando.  E  gli  altri  ancora 
Liharo,  e  a  voglia  lor  bebbero.  Al  fine  5oo 
Trasser,  per  chiuder  gli  occhi,  ai  tetti  loro. 
Ma  nella  sua  magione  il  venerato 
Nestore  vuol  che  del  divino  Ulisse 
La  cara  prole  in  traforato  letto 
Sotto  il  sonante  portico  s1  addorma  ; 
E  accanto  a  lui  Pisistrato,  di  gente 
Capo,  e  il  sol  de'figliuoi  che  sin  qui  viva 
Celibe  vita.  Ei  del  palagio  eccelso 
Si  corcò  nel  più  interno;  e  la  reale 
Consorte  il  letto  preparògli  e  il  sonno.  5 io 

Tosto  che  del  mattili  la  bella  figlia 
Con  le  dita  rosate  in  cielo  apparve, 
Surse  il  buon  vecebio,  uscì  del  tetto,  e  innanzi 
S'  assise  ali1  alte  porte  in  su  i  politi, 
Bianchi  e  d'unguento  luccicanti  marmi,  5i5 
Su  cui  sedea,  par  nel  consiglio  ai  Numi, 
Neléo,  che,  vinto  dal  destin  di  morte, 
Nelle  case  di  Pluto  era  già  sceso. 
Nestore  allora,  guardian  de1  Greci , 
Lo  scettro  in  man ,  sedeavi.  I  figli,  usciti  520 
Di  loro  stanza  maritale  anch1  essi , 
Frequenti  al  vecchio  si  stringeano  intorno, 
Echefróie,  Perseo,  Strazio  ed  Areto, 
E  il  nobil  Trasime le,  a  cui  s1  aggiunse 
Sesto  P  eroe  Pisistrato.  Menaro 
D1  Ulisse  il  figlio  deiforme,  e  al  fianco 
Collocarlo  del  padre,  che  le  labbra 
In  queste  voci  aprì:  Figli  diletti, 
Senza  dimora  il  voler  mio  fornite. 
Prima  tra  i  Numi  l'Atenéa  Minerva 
Non  degg1  io  venerar,  che  nel  solenne 
Banchetto  sacro  manifesta  io  vidi  ? 
Un  di  voi  dunque  ai  verdi  paschi  vada, 
Perchè  tirata  dal  bifolco  giunga 
Batto  la  vaccherella.  Un  altro  mova         535 
Dell1  ospite  alla  nave,  e,  salvo  due, 
Tutti  i  compagni  mi  conduca.  E  un  terzo 
Laerce  chiami,  l'ingegnoso  mastro, 
Della  giovenca  ad  inaurai  le  corna. 
Gli  altri  tre  qui  rimangano,  e  ali1  ancelle  54o 
Faccian  le  mense  apparecchiar,  sedili 
Apportar  nel  palagio,  e  tronca  selva, 
E  una  pura  dal  fonte  acqua  d1  argento. 

Non  indarno  ei  parlò.  Venne  dal  campo 
La  giovinetta  fera,  e  dalla  nave  545 

Dell'ospite  i  compagni;  il  fabbro  venne, 
Tutti  recando  gli  strumenti  e  Parmi, 
L1  incude ,  il  buon  martello  e  le  tanaglie 
Ben  fabbricate ,  con  che  P  òr  domava  : 

Né  ai  sacrifici  suoi  mancò  la  Diva.  55o 


5a5 


53o 


555 


Nestore  die  il  metallo;  e  il  fabbro,  come 
Domato  1'  ebbe,  ne  vestì  le  corna 
Della  giovenca,  acciocché  Palla,  visto 
Quel  fulgor  biondo,  ne  gioisse  in  core. 
Per  le  corna  la  vittima  Echefróne 
Guidava,  e  Strazio:  dalle  stanze  Areto 
Purissim1  onda  in  un  bacile  a  vaghi 
Fiori  intagliato  d'una  man  portava, 
Orzo  dell1  altra  in  bel  canestro,  e  sale; 
11  bellicoso  Trasimede  in  pugno  5Go 

Stringea  I1  acuta  scure,  che  sul  capo 
Scenderà  della  vittima;  ed  il  vaso, 
Che  il  sangue  raccorrà ,  Perseo  tenea. 
Ma  de1  cavalli  il  domator,  P  antico 
Nestore,  il  rito  cominciò:  le  mani  565 

S'asterse,  sparse  il  salat'otzo,  e  a  Palla 
Pregava  molto  ,  nell'  ardente  fiamma 
Le  primizie  giltando,  i  peli  svelti 
Dalla  vergine  fronte.   Alla  giovenca 
S'  accostò  il  forte  Trasimede  allora,  5^o 

E  con  la  scure  acuta,  onde  colpilla, 
Del  collo  i  nervi  le  recise,  e  tinto 
Svigorì  il  corpo  :  supplicanti  grida 
Figliuole  alzaro ,  e  nuore  e  la  pudica 
Di  Ncstor  donna,  Euridice,  che  prima  5^5 
Di  Climen  tra  le  figlie  al  mondo  nacque, 
Poi  la  buessa ,  che  giacea ,  di  terra 
Sollevar  nella  testa  ,  e  in  quel  che  lei 
Reggean  così ,  Pisistrato  scannolla. 
Sgorgalo  il  sangue  nereggiante  e  scorso,   58o 
E  abbandonate  dallo  spirto  Possa, 
La  divisero  in  fretta  :  ne  tagliaro 
Le  intere  cosce,  qual  comanda  il  rito, 
Di  doppio  le  covrirò  adipe,  e  i  crudi 
Brani  vi  adattar  sopra.  Ardeale  il  veglio  5S5 
Su  gli  scheggiati  rami ,  e  le  spruzzava 
Di  rosso  vin ,  mentre  abili  donzelli 
Spiedi  tenean  di  cinque  punte  in  mano. 
Arse  le  cosce,  e  i  visceri  gustati, 
Minuti  pezzi  fèr  dell1  altro  corpo, 
Che  rivolgeano  ed  abbrostiano  infissi 
Negli  acuti  schidoni.  Policasta , 
La  minor  figlia  di  Nestorre,  intanto 
Telemaco  lavò,  di  bionda  P  unse 
Liquida  oliva,  e  gli  vestì  una  fina 
Tunica  e  un  ricco  manto;  ed  egli  emerse 
Fuor  del  tepido  bagno  agi1  Immortali 
Simile  in  volto,  e  a  Nestore  awi'ossi 
Pastor  di  genti,  e  gli  s1  assise  al  fianco. 
Abbrostite  le  carni  ed  imbandite 
Sedeansi  a  banchettar  :  donzelli  esperti 
Sorgeano  ,  e  pronti  di  vermiglio  vino 
Ricolmavan  le  ciotole  dell1  oro. 
Ma,  poiché  spenti  i  naturali  furo 
Della  fame  desiri  e  della  sete, 
Parlò  in  tal  guisa  il  cavalier  Nestorre  : 
Miei  figli  ,  per  Telemaco ,  su  via , 
I  corridori  dal  leggiadro  crine 
Giungete  sotto  il  cocchio.  Immantinente 
Quelli  ubbidirò,  e  i  corridor  veloci         6 io 
Giunser  di  fretta  sotto  il  cocchio,  in  cui 
Candido  pane  e  vin  purpureo  e  dapi, 
Quai  costumano  i  Re  di  Giove  alunni, 
La  veneranda  dispensiera  pose. 
Telemaco  salì,  salì  l'ornata  6i5 

Biga  con  lui  Pisistrato,  di  gente 


590 


595 


600 


6oJ 


LIBRO  TERZO 


Capo ,  e  accanto  asset tossigli  ;  e,  le  briglie 
Nella  man  tolte ,  con  la  sferza  al  corso 
I  cavalli  eccitò,  che  alla  campagna 
Si  giltàr  lieti  :  de1  garzoni  agli  occhi        620 
Di  Pilo  s'abbassavano  le  torri. 
Squassavano  i  destrier  tutto  quel  giorno 
Concordi  il  giogo  eh1  era  lor  sul  collo. 
Tramontò  il  Sole,  ed  imbrunian  le  strade: 
E  i  due  giovani  a  Fera,  e  alla  magione  6a5 
Di  Diócle  arrivar,  del  prode  figlio 
Di  Orsiloco  d'Alféo,  dove  riposi 
Ebber  tranquilli  ed  ospitali  doni. 
Ma,  come  del  mattin  la  bella  figlia 


Comparve  in  ciel  con  le  roBate  dita,      G3o 
Aggiogaro  i  cavalli,  e  la  fregiata 
Biga  salirò,  e  del  vestibol  fuori 
La  spinsero,  e  del  portico  sonante. 
Scosse  la  sferza  il  Neatoride,  e  quelli 
Lietamente  volaro.  1  pingui  campi  635 

Di  ricca  mosse  biondeggianti  indietro 
Fuggian  1' un  dopo  l'altro;  e  si  veloci 
Gli  allenati  destrier  movean  le  gambe, 
Che  l'Itacense  e  il  Pili'ese  al  fine 
Del  viaggio  pervennero,  che  d'ombra,     640 
Il  Sol  caduto,  si  copria  la  terra. 


LIBRO  QUARTO 


ARGOMENTO 

Telemaco  t  Pisistrato  giungono  a  Sparta  nell'atto  che  Menelao  celebrava  le  none  del  figlio  Megapenta 
t  della  figlinola  Ermione.  Menelao  ed  Elena  il  riconoscono  agevolmente  per  figlio  d'Ulisse.  Encomj  di  questo, 
e  commozione  in  Telemaco,  e  negli  altri  ancora,  sino  alle  lagrime  ;  e  artifizio  d'Elena  per  raffrenarle.  Tutti 
vanno  a  dormire.  Comparsa  l'aurora  ,  Menelao  ode  da  Telemaco  con  isdegno  la  insolenza  de' Proci  }  ed  a  lui 
narra  il  suo  viaggio  in  Egitto,  e  ciò  ch'ivi  inlese  da  Proteo  intorno  ad  Agamennone,  ad  Ajace  d'Oileo, 
ed  anche  ad  Ulisse.  I  Proci  intanto  risolvono  d'insidiare  Telemaco  al  sno  ritorno,  e  d'ucciderlo.  Angoscia 
di  Penelope,  che  n'i    informala,  e  cui  Pallade  poi  con  un  sogno  piacevole  riconforta. 


i5 


VTiunscro  all'ampia, che  tra  i  monti  giace, 
Nobile  Sparta,  e  le  regali  case 
Del  glorioso  Menelao  trovaro. 
Questi  del  figlio  e  della  figlia  insieme 
Festeggiava  quel  di  le  doppie  nozze, 
E  molti  amici  banchettava.  L1  una 
Spedia  d'Achille  al  bellicoso  figlio, 
Cui  promessa  F  avea  sott'Ilio  un  giorno, 
Ed  or  compieano  il  maritaggio  i  Numi  : 
Quindi  cavalli  e  cocchi  alla  famosa  1 

Cittade  de1  Mirmidoni  condurla 
Doveano,  e  a  Pirro  che  su  lor  regnava. 
E  alla  figlia  d'Alettore  Spartano 
L'altro,  il  gagliardo  Megapente,  unia  , 
Che  d'una  schiava  sua  tardi  gli  nacque: 
Poiché  ad  Eléna  gì'  immortali  Dei 
Prole  non  concedean ,  dopo  la  sola 
D'amor  degna  Bruitone,  a  cui  dell'aurea 
Venere  la  beltà  spleudea  nel  volto. 

Così  per  l'alto  spazioso  albergo  : 

Rallegravansi  assisi  a  lauta  mensa 
Di  Menelao  gli  amici  ed  i  vicini; 
Mentre  vate  divin  tra  lor  cantava  , 
L'  argentea  cetra  percotendo  ,  e  due 
Danzatori  agilissimi  nel  mezzo 
Contetnpravano  al  canto  i  dotti  salti. 

Neil'  atrio  intanto  s'  arrestaro  i  figli 
Di  Nestore  e  d'  Ulisse.   Eteonéo  , 
Un  vigil  servo  del  secondo  Atride  , 
Primo  adocchiolli,  e  con  l'annunzio  corse  3o 
De'  popoli  al  pastore,  ed  all'  orecchio 
Gli  susurrò  cosi  :  Due  forestieri 
Neil1  atrio  ,  o  Menelao  di  Giove  alunno  , 
Coppia  d'  eroi ,  che  del  Saturnio  prole 
Sembrano  in  vista.  Or  di'  :  sciorrei  cavalli  35 
Dobbiamo,  o  i  forestieri  a  un  altro  forse 
M-indar  de'  Greci  che  gli  accolga  e  onori  ? 


25 


D'  ira  infiammossi,  e  in  cotal  guisa  il  biondo 
Menelao  gli  rispose  :  O  di  Boéte 
Figliuolo ,  Eteonéo,   tu  non  sentivi  4° 

Già  dello  scemo  negli  andati  tempi  , 
E  or  sembri  a  me  bamboleggiar  co'  detti. 
Non  ti  sovvien  quante  ospitali  mense 
Spogliammo  di  vivande  anzi  che  posa 
Qui  trovassimo  al  fin,  se  pur  vuol  Giove  45 
Privilegiar  dopo  cotante  pene 
La  nostra  ultima  età?  Sciogli  i  cavalli, 
E  al  mio  convito  i  forestier  conduci. 

Ratto  fuor  della  stanza  Eteonéo 
Lanciossi;  e  tutti  a  sé  gli  altri  chiamava  5o 
Fidi  conservi.  Distaccalo  i  forti 
Di  sotto  il  giogo  corridor  sudanti , 
E  al  presepe  gli  avvinsero  ,  spargendo 
Vena  soave  di  bianc'  orzo  mista  , 
E  alla  parete  lucida  il  vergato  55 

Cocchio  àppoggiaro.  Indi  per  l'ampie  stanze 
Guidaro  i  novelli  ospiti ,  che  in  giro 
D'inusitata  meraviglia  cardie 
Le  pupille  movean  :  però  che  grande 
Gettava  luce  ,  qttal  di  Sole  o  Luna  ,         60 
Del  glorioso  Menelao  la  reggia. 
Del  piacer  sazj,  che  per  gli  occhi    entrava, 
Nelle  terse  calar  tepide  conche; 
E  come  fur  dalle  pudiche  ancelle 
Lavati  ,  di  biond'  olio  unti ,  e  di  molli     65 
Tuniche  cinti  e  di  vellosi  manti , 
Si  collocaro  appo  F  Atride.  Quivi 
Solerte  ancella  da  beli'  aureo  vaso 
Nell'argenteo  bacile  un'  onda  pura 
Versava,  e  stendea  loro  un  liscio  desco,  <jo 
Su  cui  la  saggia  dispensiera  i  pani 
Venne  ad  impor  bianchissimi ,  e  di  pronte 
Dapi  serbate  generosa  copia  ; 
E  d'  ogni  sorta  carni  in  larghi  piatti 


N 

Recò  T  abile  scalco ,  e  tazze  d1  oro. 

Il  Re,  stringendo  ad  ambidue  la  mano, 

Pasteggiate,  lor  disse,  ed  alla  gioja 

Schiudete  il  cor  :  poscia ,  chi  siete,  udremo. 

De1  vostri  padri  non  s1  estinse  il  nome , 

E  da  scettrati  Re  voi  discendete.  80 

Piante  cotali  di  radice  vile, 

Sia  loco  al  vero,   germogliar  non  ponno. 

Detto  così,  T  abbrustolato  tergo 
Di  pingue  bue,  che  ad  onor  grande  innanzi 
Messo  gli  avean,  d1  in  su  la  mensa  tolse,  85 
E  innanzi  il  mise  agli  ospiti  ,  che  pronte 
Steser  le  mani  ali1  imbandita  fera. 
Ma  de1  cibi  il  desir  pago  e  de1  vini, 
Telemaco,  piegando  in  vèr  l1  amico 
Sì,  che  altri  udirlo  non  potesse,  il  capo,  90 
Tale  a  lui  favellò:  Mira,  o  diletto 
Dell1  alma  mia  ,  figlio  di  Nestor ,  come 
Di  rame,  argento,  avorio,  elettro  ed  oro 
LVcheggiante  magion  risplende  intorno  ! 
Sì  fatta,  io  credo,  è  dell1  olimpio  Giove  9.5 
L1  aula  di  dentro.  Oh  gì1  infiniti  oggetti  ! 
Io  maraviglio  più,  quanto  più  guardo. 

L1  intese  il  re  di  Sparta ,  e  ad  ambo  disse  : 
Figliuoli  miei,  chi  gareggiar  mai  puote 
De1  mortali  con  Giove?  Il  suo  palagio,   100 
Ciò  eh1  ei  dentro  vi  serba,  eterno  è  tutto. 
Quanto  ali1  umana  stirpe,  altri  mi  vinca 
Di  beni,  o  ceda,  io  so  che  molti  affanni 
Durati,  e  molto  navigato  mare, 
Queste  ricchezze  P  ottavo  anno  addussi.   io5 
Cipri,  vagando,  e  la  Fenicia  io  vidi, 
E  ai  Sidonj,  agli  Egizj  e  agli  Etiopi 
Giunsi,  eagli  Erembi,  e  in  Libia,  ove  leagnelle 
Figlian  tre  volte  nel  girar  d1  un  anno, 
E  spuntan  ratto  gli  agnellin  le  corna;     110 
Né  signore  o  pastor  giammai  difetto 
Di  carne  paté  ,  o  di  rappreso  latte  , 
Ridondando  di  latte  ognora  i  vasi. 
Mentr1  io  vagava  qua  e  là  ,  tesori 
Raccogliendo,  il  fratello  altri  m'uccise  u5 
Di  furto,  ali1  improvvista,  e  per  inganno 
Della  consorte  maladetta  :  quindi 
Non  lieto  io  vivo  a  questi  beni  in  grembo. 
Voi,  qnai  sieno ,  ed  ovunque,  i  padri  vostri, 
Tanto  dalla  lor  bocca  udir  doveste.  120 

Che  non  soffersi  ?  Ruinai  dal  fondo 
Casa  di  ricchi  arredi  e  d'  agi  colma; 
Onde  piacesse  ai  Dei  che  sol  rimasta 
Mi  fosse  in  man  delle  tre  parti  l1  una, 
E  spirasser  le  vive  aure  que1  prodi  i25 

Che  lungi  dalla  verde  Argo  ferace 
Ne1  lati  campi  d1  Ilión  perirò  ! 
Tutti  io  li  piango,  e  li  sospiro  tutti, 
Standomi  spesso  ne1  miei  tetti  assiso  , 
E  or  mi  pasco  di  cure,  or  nuovamente  i3o 
Piglio  conforto  ;  che  non  puote  a  lungo 
Viver  P  uom  di  tristezza,  e  al  fin  molesto 
Torna  quel  pianto  che  fu   in  pria  sì  dolce. 
Pure  io  di  tutti  in  un  così  non  m'ango, 
E  m1ango  assai,  come  d'un  sol  che  ingrato  1 35 
Mi  rende,  ove  a  lui  penso,  il  cibo  e  il  sonno  : 
Poiché  Greco  nessuno  in  tutta  Toste, 
O  il  bene  oprando,  o  sostenendo  il  male, 
Pareggiò  Ulisse.  Ma  dispose  il  fato 
Ch'ei  tormentasse  d'ogni  tempo,  e  ch'io  i^o 


ODISSEA 
75 


l45 


Mesti  per  sua  cagion  traessi  i  giorni, 
Io,  che  noi  veggio  da  tanti  anni,  e  ignoro 
Se  viva,  o  morto  giaccia.  Il  piange  intanto 
Laerte  d1  età  pieno  ,  e  la  prudente 
Penelope  e  Telemaco,  che  il  padre 
Lasciò  lattante  ne'  suoi  dolci  alberghi 

Disse;  e  di  pianto  subitana  voglia 
Risvegliossi  in  Telemaco ,  che  a  terra 
Mandò  lagrime  giù  dalle  palpebre  , 
Del  padre  udendo,  ed  il  purpureo  manto  i5o 
Con  le  mani  s1  alzò  dinanzi  al  volto. 
Menelao  ben  comprese  ;  e  se  a  lui  stesso 
Lasciar  nomar  il  padre  ,  o  interrogarlo 
Dovesse  pria,  né  serbar  nulla  in  petto, 
Sì  e  no  tenzonai  angli  nel  capo.  i55 

Mentre  così  fra  due  stava  l1  Atride, 
Elena  dall1  eccelsa  e  profumata 
Sua  stanza  venne  con  le  fide  ancelle  , 
Che  Diana  parca  dall1  arco  d1  oro. 
Bel  seggio  Adrasta  awieinolle,  Alci'ppe    160 
Tappeto  in  man  di  molle  lana  ,  e  Filo 
Panier  recava  di  forbito  argento, 
Don  già  d1  Alcandra ,  della  moglie  illustre 
Del  fortunato  Polibo,  che  i  giorni 
Nella  ricca  menava  Egizia  Tebe.  i65 

A  Menelao  due  conche  argentee  ,  due 
Tripodi  e  dieci  aurei  talenti  ei  diede. 
Ma  la  consorte  ornar  d'eletti  doni 
Elena  volle  a  parte  :  una  leggiadra 
Conocchia  d'or  le  porse,  ed  il  paniere   170 
Ritondo  sotto,  e  di  forbito  argento, 
Se  non  quanto  le  labbra  oro  guernfa. 
Questo  ricolmo  di  sudato  stame 
L1  ancella  Filo  le  recava  ,  e  sopra 
Vi  riposava  le  conocchia,  a  cui 
Fini  si  ravvolgean  purpurei  velli. 

Ella  raccolta  nel  suo  seggio,  e  posti 
Sul  polito  sgabello  i  molli  piedi, 
Con  questi  accenti  a  Menelao  si  volse  : 
Sappiam  noi,  Menelao  di  Giove  alunno,    180 
Chi  sieno  i  due  che  ai  nostri  tetti  entraro? 
Parlar  m'è  forza,  il  vero,  o  il  falso  io  dica: 
Però  eh1  io  mai  non  vidi,  e  grande  tiemmi 
Nel  veder  maraviglia  ,  uomo ,  né  donna 
Così  altrui  somigliar,  come  d1  Ulisse        i85 
Somigliar  dee  questo  garzone  al  figlio , 
Ch1  era  bambino  ancor,  quando  per  colpa 
Ahi!  di  me  svergognata,  o  Greci,  a  Troja 
Giste,  accendendo  una  sì  orrenda  guerra. 

Tosto  l1  Atride  dalla  bionda  chioma  :  igo 

Ciò  che  a  te,  donna,  a  me  pur  sembra  Quelle 
Son  d1  Ulisse  le  mani,  i  pie  son  quelli, 
E  il  lanciar  degli  sguardi,  e  il  capo  e  il  crine. 
Io,   P  Itacese  rammentando,   i  molti 
Dicea  disagi  eh1  ei  per  me  sostenne;        195 
E  il  giovane  piovea  lagrime  amare 
Giù  per  le  guance,  e  col  purpureo  manto, 
Che  alzò  ad  ambe  le  man,  gli  occhi  celava. 
E  Pisistrato  allor:  Nato  d1  Atréo, 
Di  Giove  alunno,  Condottier  d1  armati,  200 
Eccoti  appunto  di  quel  Grande  ir  figlio. 
Ma  verecondo  per  natura  ,  e  giunto 
Novellamente,  gli  parrebbe  indegno 
Te  delle  voci  tue  fermar  nel  corso, 
Te,  di  cui,  qual  d1un  Dio,  ci  beano  i  detti.   2o5 
Nestore,  il  vecchio  gcnitor,  compagno 


,75 


UBRO  QUARTO 


Mi  fece  a  lui,  che  rimirarti  in  faccia 
Bramava  forte,  onde  poter  dell'  opra 
Giovarsi ,  o  almen  del  tuo  consiglio.  Tutti 
Que'guai  che  un  figli  noi  solFre,a  cui  lontano  2 1  o 
Dimora  il  padre,   né  d1  altronde  giunge 
Sussidio  alcun,  Telemaco  li  prova. 
Il  genitor  gli  falla,  e  non  gli  resta 
Chi  dal  suo  fianco  la  sciagura  scacci. 
Numi!  riprese  il  Re  dai  biondi  crini,        21 5 
Tra  le  mie  stesse  mura  il  figlio  adunque 
D'uomo  io  veggio  amicissimo,  die  sempre 
Per  me  s'espose  ad  ogni   rischio?   Ulisse 
Ricettale  io  pensava  entro  i   miei  regni, 

10  carezzarlo  sovra  tutti  i  Greci,  220 
Se  ad  ambo  ritornir  su  i  cavi   legni 

L'  olimpio  dava  onniveggente  Giove. 
Una  io  cedere  a  lui  delle  vicine 
Volea  cittadi  Argive,  ov' io  comando, 
K  lui  chiamar,  che  dai  nativi  sassi,         225 
D'  Itaca  in  quella  mia,  eh1  io  prima  avrei 
D'  uomini  vota,  e  di  novelli  ornata 
Muri  e  palagi,  ad  abitar  venisse 
Col   figlio,   le    sostanze  e  il  popol  tutto. 
Così,   vivendo  sotto  un  cielo,  e  spesso    23o 
L1  un   1*  altro  visitando,  avremmo  i  dolci 
Frutti  raccolti   d'  amistà  sì  fida: 
Ne  l1  un  dall'altro  si  saria  disgiunto, 
Che  steso  non  si  fosse  il  negro  velo 
Di  morte  sovra  noi.  31 1  un  tanto  bene  235 
Giove  e'  invidiò,  cui.  del  ritorno 
Piacque  fraudar  quell'  infelice  solo. 
Sorse  in  ciascuno  a  tai  parole  un  vivo 
Di  lagrime  desio.  Piangea  la  figlia 
Di  Giove,   l'Argiva  Elena,  piangea  240 

D'  Ulisse  il  figlio  ed   il  secondo  Atride; 
Nò  asciutte  avea  Pisistrato  le  guance, 
Che  il  fratello  incolpabile,  cui  morte 
Die  dell'  Aurora  la  famosa  prole, 
Tra  sé  raembrava,  e  che  tai  detti  sciolse:  245 
Atride,  il  vecchio  Nestore  mio  padre 
Te  di  prudenza  singoiar  lodava, 
Sempre  che  in  mezzo  al  ragionare  alterno 

11  tuo  nome  venia.  Fa,  se  di  tanto 
Pregarti  io  posso,  oggi  a  mio  senno.  Poco  2Ò0 
Me  dilettali  le  lagrime  tra  i  nappi. 

Ma  del  mattiti  la  figlia  il  nuovo  giorno 
Ricondurrà;  né  mi  fia  grave  allora 
Pianger  chiunque  al  suo  destin  soggiacque; 
Che  solo  un  tale  onore  agi'  infelici  255 

Defunti  avanza,  che  altri  il  crin  si  tronchi, 
E  alle  lagrime  giuste  allarghi  il  freno. 
Anco  a  me  tolse  la  rea   Parca  un  frate, 
Che  l'ultimo  non  fu  dell'oste  Greca. 
Tu  il  sai,  che  il  conoscesti.  Io  ne  vederlo  260 
Potei,  né  a  lui  parlar;  ma  udii  che  Antiloco 
Su  tutti  si  mostrò  gli  emuli  suoi 
Veloce  al  corso,  e  di  sua  man  gagliardo. 
E  Menelao  dai  capei  biondi:   Amico, 
L'uom  più  assennato  e  in  più  matura  etade,  265 
Che  11011  è  questa  tua  ,  né  pensamenti 
Diversi  avria,  né  detti;  e  ben  si  pare 
Agli  uni  e  agli  altri  da  chi  tu  uascesti. 
Ratto  la  prole  d'  un  eroe  si  scorge, 
Cui  del  natale  al  giorno,  e  delle  nozze  270 
Destinò  Giove  un  fortunato  corso, 
Come  al  Nelidc  che  invecchiare  ottenne 
Ponsaonn 


Nel  suo  palagio  mollemente,  e  saggi 
Figli  mirar,  non  che  dell'asta  dotti. 
Dunque,  sbandito  dalle  ciglia  il  pianto,  273 
Si   ripensi  alla  cena,  e  un'altra  volta 
La  pura  su  le  mani  onda  si  sparga. 
Sermoni  alterni  anche  al  novello  Sole 
Fra  Telemaco  e  me  correr  potranno. 
Disse;  ed  Asfali'one,  un  seno  attento,       280 
Spargea  su  le  mari  l'onda,  e  i  convitati 
Nuovamente  cibavansi.  Ma  in  altro 
Pensiero  allora  Elena  entrò.  Nel  dolce 
Vino,  di  cui   bevean,  farmaco  infuse 
Contrario  al  pianto  e  all'  ira,  e  che  l'obbh'o  283 
Seco  inducea  d'ogni  travaglio  e  cura. 
Chiunque  misto  col  vermiglio  umore 
Nel  seno  il  ricevè,  tutto  quel  giorno 
Lagrime  non  gli  scorrono  dal  volto, 
Non,  se  la  madre  o  il  genitor  perduto,  290 
Non,  se  visto  con  gli  occhi  a  sé  davante 
Figlio  avesse  o  fratel  di  spada  ucciso. 
Colai  la  figlia  dell'olimpio  Giove 
Farmachi  insigni  possedea,  che  in  dono 
Ebbe  da  Pollidimna,  dalla  moglie  295 

Di  Tone  uell'  Egitto,  ove  possenti 
Succhi  diversi  la  feconda  terra 
Produce,  quai  salubri  e  quai  mortali; 
Ed  ove  più,  che  i  medicanti  altrove, 
Tutti  san  del  guarir  l'arte  divina,  3oo 

Siccome  gente  da  Peón  discesa. 
Il  nepente  già  infuso,  e  a'  servi  imposto 
Versar  dall'  urne  nelle  tazze  il  vino, 
Ella  così  parlò:  Figlio  d'Atréo, 
E  voi,  d'  eroi  progenie,  i  beni  e  i  mali  3o5 
Manda  dall'  alto  alternamente  a  ognuno 
L' onnipossente  Giove.  Or  pasteggiate 
Nella  magione  assisi,  e  de'  sermoni 
Piacer  prendete  in  pasteggiando,  mentre 
Cose  io  racconto,  che  saranno  a  tempo.  3io 
Non  già  eh'  io  tutte  le  fatiche  illustri 
Ricordar  sol  del  paziente  Ulisse 
Possa,  non  che  narrarle:  una  io  ne  scelgo, 
Che  a  Troja,  onde  granduol  venneagli  Argivi, 
L'uomforte  impreseeafin  condusse.  II  corpo3i  5 
Di  sconce  piaghe  afflisse,  in  rozzi  panni 
S'  avvolse,  e  peuetrò  nella  nemica 
Cittade  occulto,  e  di  mendico  e  schiavo 
Le  sembianze  portando,  ei  che  de1  Greci 
Si  diverso  apparta  lungo  le  navi.  3ao 

Tal  si  giltò  nella  Trojana  terra, 
Né  conoscealo  alcuno.  Io  fui  la  sola 
Che  il  ravvisai  sotto  l' estranie  forme, 
E  tentando  1'  andava;  ed  ei  pur  sempre 
Da  me  schermiasi  con  1'  usato  ingegno.  325 
Ma,  come  asperso  d'onda,  unto  d'oliva 
L'  ebbi,  e  di  veste  cinto,  ed  affidato 
Con  giuramento,  che  ai  Trojani  prima 
Noi  manifesterei,  che  alle  veloci 
Navi  non  fosse,  ed  alle  tende  giunto,     33o 
Tutta  ei  m'  aperse  degli  Achei  la  mente. 
Quindi,  passati  con  acuta  spada 
Molti  petti  nemici,  all'oste  Argiva 
Col  vanto  si  rendè  d'  alta  scaltrezza. 
Stridi  mettean  le  donne  Iliache  ed  urli:  335 
Ma  io  gioia  tra  me,  che  gli  occhi  a  Sparta 
Già  rivolgeansi  e  il  core,  e  da  me  il  fallo 
Si  piagneva,  in  cui  Venere  mi  spinse, 
3 


ODISSEA 


Quando  stac  commi  dalla  mia  contrada, 
Dalla  dolce  figliuola,  e  dal  pudico  3/{o 

Talamo  e  da  un  consorte,  a  cui,  saggezza 
Si  domandi  o  beltà,  nulla  mancava. 
Tutto,  PAtride  dalla  crocea  chioma, 
Dicesti,  o  donna,  giustamente.  Io  terra 
Molta  trascorsi,  e  penetrai  col  guardo    345 
Di  molli  eroi  nel  sen  :  ina  pari  a  quella 
Del  paziente  Ulisse  alma  io  non  vidi. 
Quel  che  oprò,  basti,  e  che  sostenne  in  grembo 
Del  cavallo  intagliato,  ove  sedea 
Strage  portando  ad  Ilio,  il  fior  de1  Greci.  35o 
Sospinta,  io  credo,  da  un  avverso  Nume, 
Cui  la  gloria  de'  Teucri  a  core  stava, 
Là  tu  giungesti,  e  uguale  a  un  Dio  nel  volto 
Su  P  orme  tue  Deifobo  venia. 
Ben  tre  fiate  al  cavo  agguato  intorno     355 
T'aggirasti}  e  il  palpavi,  e  a  nome  i  primi 
Chiamavi  degli  Achei,  contraffacendo 
Delle  lor  donne  le  diverse  voci. 
Nel  mezzo  assisi  io,  Diomede  e  Ulisse 
Chiamar  ci  udimmo;  e  il  buon  Titide  ed  io  36o 
Ci  alzammo,  e  di  scoppiar  fuor  del  cavallo, 

0  dar  risposta  dal  profondo,  ventre, 
Ambo  presti  eravam:  ma  noi  permise, 
E,  benché  ardenti,  ci  contenne  Ulisse. 
Taceasi  ogni  altro,  fuorché  il  solo  Anticlo,  365 
Che  risponder  voleati;  e  Ulisse  tosto 

La  bocca  gli  calcò  con  le  robuste 
Mani  inchiodate:  né  cessò,  che  altrove 
Te  rimenato  non  avesse  Palla. 
Sì  di  tutta  la  Grecia  ei  fu  salute.  3^0 

E  ciò  la  doglia,  o  Menelao,  m1  accresce, 
Ripigliava  il  garzone.  A  che  gli  valse 
Tanta  virtù,  se  non  potea  da  morte 
Difenderlo,  non  che  altro,  un  cor  di  ferro? 
Ma  deh!  piacciavi  ornai  che  ritroviamo  3y5 
Dove  posarci,  acciò  su  noi  del  sonno 
La  dolcezza  ineffabile  discenda. 
Si  disse;  e  P  Argiva  Elena  ali1  ancelle 

1  Ietti  apparecchiar  sotto  la  loggia, 

Belle  gittarvi  porporine  coltri,  38o 

E  tappeti  distendervi,  e  ai  tappeti 
Manti  vellosi  sovrapporre  ingiunse. 
Quelle,  lenendo  in  man  lucide  faci, 
Uscirò,  e  i  letti  apparecchiaro:  innanzi 
Movca  P  araldo,  e  gli  ospiti  guidava.         385 
Così  nelP  atrio  s'adagiaro  entrambi: 
Nel  più  interno  corcavasi  P  Atridej 
E  la  divina  tra  le  donne  Eléna 
Il  sinuoso  peplo,  ond1  era  cinta, 
Depose,  e  giacque  del  consorte  a  lato.    3go 

Ma  come  del  inai t in  la  bella  figlia 
Rabbellì  il  ciel  con  le  rosate  dita, 
Menelao  sorse,  rivestissi,  appese 
Ter  lo  pendaglio  ali1  omero  la  spada, 
E  i  bei  calzar  sotto  i  pie  molli  avvinse:  3g5 
Poi,  somigliante  nelP  aspetto  a  un  Nume, 
Lasciò  la  stanza  rapido,  e  s1  assise 
Di  Telemaco  al  fianco;  e  Qual,  gli  disse, 
Cagione  a  Sparta  su  P  immenso  tergo 
Del  negro  mar,  Telemaco,  t'addusse?    4oo 
Pubblico  affare,  o  tuo?  Schietto  favella. 

E  in  risposta  ii  garzon:  Nato  d' Atréo, 
Per  risaper  del  genitore  io  venni. 
In  dileguo  ne  van  tutti  i  miei  beni, 


4o5 


4.5 


Colpa  una  genie  nequitosa  e  audace, 
Che  gli  armenti  divorami  e  le  gregge, 
E  ingombra  sempre  il  mio  palagio,  e  anela 
Della  madre  alle  nozze.  Io  quindi  abbraccio 
Le  tue  ginocchia,  e  da  te  udir  m'aspetto  , 

0  visto,  o  su  le  labbra  inteso  l'abbi     4'° 
D'un  qualche  viandante,  il  tristo    fine 

Del  padre  mio,  che  sventurato  assai 
Della  siia  genitrice  uscì  dal  grembo. 
Né  ti  moie  o  pietà  così  t'assalga, 
Che  del  ver  parte  ti  rimanga  in  core, 

•  Venne  mai  dal  mio  padre  in  opra  o  in  detto 
Bene  o  comodo  a  te  là  ne'  trojani. 
Campi  del  sangue  della  Grecia  tinti? 
Ecco  di  rimembrarlo,   Atride,  il  tempo. 

Trasse  il  Monarca  dai  capei  di  croco        42° 
Un  profondo  sospiro,  e,  Ohimè,  rispose^ 
Volean  d1  un  eroe  dunque  uomini  imbelli 
Giacer  nel  letto?  Qual  se  incauta  cerva, 

1  cerbiatti  suoi  teneri  e  lattanti 

Deposti  in  tana  di  leon  feroce,  42$ 

Cerca,  pascendo,  i  gioghi  erti  e  Y  erbose 
Valli  profonde;  e  quel  feroce  intanto 
Riede  alia  sua  caverna,  e  morte  ai  figli 
Porta, e  alla  madre  ancor:  non  altrimenti 
Porterà  morte  ai  concorrenti  Ulisse.        4^° 
Eh  oh  piacesse  a  Giove,  a  Febo  e  a  Palla, 
Che  qual  si  levò  un  dì  contra  il  superbo 
Filomelide  nella  forte  Lesbo, 
E  tra  le  lodi  degli  Achivi  a  terra 
Con  mano  invitta,  lotteggiando,  il  pose,  435 
Tal  costoro  affrontasse!  Amare  nozze 
Fóran  le  loro,  e  la  lor  vita  un  punto. 
Quanto  a  ciò  che  mi  chiedi,  io  tutte  intendo 
Schiettamente  narrarti,  e  senza  inganno, 
Le  arcane  cose  eh'  io  da  Proteo  appresi ,  44° 
Dal  marino  vecchion  che  mai  non  mente. 
Me,  che  alla  Patria  ritornar  bramava, 
Presso  l'Egitto  ritenean  gli  Dei  , 
Perchè  onorati  io  non  gli  avea  di  sacre 
Ecatombi  legittime  ;  che  sempre  44^ 

L'  obblfo  de'  lor  precetti  i  Numi  offese. 
Giace  contra  l'Egitto,  e  all'onde  in  mezzo, 
Un' isoletta  che  s'appella  Faro, 
Tanto  lontana  quanto  correr  puote 
Per  un  intero  dì  concavo  legno, 
Cui  stridulo  da  poppa  il  vento  spiri 
Porto  acconcio  vi  s'apre,  onde  il  nocchiero, 
Posria  che  l'acqua  non  salata  attinse, 
Facilmente  nel  mar  vara  la  nave. 
Là  venti  dì  mi  ritenean  gli  Dei  :  4^5 

Né  delle  navi  i  condottieri  amici 
Comparver  mai  su  per  l'azzurro  piano, 
Le  immobili  acque  ad  increspar  col  fiato. 
E  già  con  le  vivande  anco  gli  spirti 
Per  fermo  ci  falb'an,  se  una  Dea,  fatta  460 
Di  me  pietosa ,  non  m' apn'a  lo  scampo , 
Idotéa,  del  mai  in  vecchio  la  figlia, 
Cui  fieramente  in  sen  l'alma  io  commossi. 
Occorse  a  me ,  che  solitario  errava, 
Mentre  i  compagni  dalla  fame  stretti 
Giravan  P  isoletla,  ed  i  ricurvi 
Ami  gettavan  qua  e  là  nelP  onde. 
Forestier,  disse,  come  fu  vicina , 
Sei  tu  del  senno  e  del  giudicjo  in  bando, 
O  degli  affanni  tuoi  prendi  diletto,         4?° 


45o 


465 


L1BKO  QUARTO 


CI)''  rosi,  a  ini  ozio  volontario  in  preda, 
Noli1  isola  t'  indugi,  e  via  non  trovi 
D'uscirne  mai?  Lan^ne  frattanto  il  core 
De1  tuoi  compagni,  e  si  oonsum*  indarno. 

O   qual   fu   sii  delle  immortali   Dive,  4/5 

Creili,   io  le  rispondea,  che  da  me  venga 
Così  lungo  indugiar?  Vira  dai   beati 
Del   vasto  eirlo  abitatori  eterni  , 
Ch1  io  temo  aver  non   leggiermente  offesi. 
Deli,  poiché  india  si  nasconde  ai  Numi,  480 
Dimmi,  quale  di  lor  che  qui  m'arresta, 
E  il   mar  pescoso  mi  rinserra   intorno. 

E  repente  la  Dea:  Foiestier,  nulla 
Celarti   io  ti  prometto.^  Il  non    bugiardo 
Soggiorna  in  queste  parti  Egizio  veglio,  485 
L1  immortai  Proteo ,  mio  creduto  padre, 
Che  i  fondi  tutti  del  gran   mar  conosce, 
E  obbedisce  a  Nettuno.  Ei  del  viaggio 
Ti  mostrerà  le  strade,  e  del   ritorno, 
Dove,   stando  in  agguato,   insignorirti     49° 
Di  lui  ti  possa.  E  quello  ancor*  se  il  brami, 
Saprai   ria  lui,  che  di  felice  o  avverso 
Nella  casa  t'entrò,  Buche  lontano 
Per  vie  ne  andavi  perigliose  e  lunghe. 

Ma  tu  gli  agguati,  io  replicai,  m'insegna,  fo5 
Ond1  io  cosi   improvviso  a  Proteo  arrivi, 
Ch*  ei  non  mi  sfugga  delle  mani.   Un  nume 
Diffìcilmente  da  un  mortai  si   doma. 

Questo  avrai  pur  da  me,  la  Dea  riprese. 
Come  salito  a  mezzo  cielo  è  il  Sole  ,      5oo 
S"  alza  il  vecchio  divin  dal  cupo  fondo, 
E  uscito  della  bruna  onda  ,  che  il  vento 
Occidentale  increspagli  sul  capo, 
S'adagia  entro  i  suoi  cavi  antri,  e  s'addorme; 
E  sposse  a  lui  dormon  le  foche  intorno,  5o5 
Deforme  razza  di  Alosidna   bclla^ 
Già  pria  dell1  onda  uscite,  e  il  grave  odore 
Lunge  spiranti  del  profondo  mare. 
Io  te  là  guiderò ,  te  acconciamente 
Collocherò;  ratto  che  il  di  s'inalbi:         5io 
Ma  di  quanti  compagni  appo  la  nave 
Ti  sono  ,  eleggi   i   tre  che  tu  più  lo'H. 
Ecco  le  usanze  del  vegliardo,  e  Parti: 
Pria  noverar  le  foche  a  cinque  a  cinque, 
Visitandole  tutte;  indi  nel  mezzo  5 1 5 

Corcarsi  anch'  ei,  quasi  pastor  tra  il  gregge. 
Vistogli  appena  nelle  ciglia  il  sonno , 
Ricordatevi  allor  sol  della  forza, 
E  lui,  che  molto  si  dibatte  e  tenta 
Guizzarvi  deile  man,  ferino  tenete.  5-ìo 

Ei  d'ogni  belva  che  la  terra  pasce, 
Vestirà  le  sembianze,  e  in  acqua  e  infoco 
Si  cangerà  di  portentoso  ardore; 
E  voi   gli  fate  delle  braccia  nodi 
Sempre  più  indissolubili  e  tenaci.  5a5 

Ma  quando  interrogarti  al  fin  P udrai, 
Tal  mostrandosi  a  te ,  quale  sdrajossi  , 
Tu  cessa,  o  prode,  dalla  forza,  e  il  vecchio 
Sciogli,  e  sappi  da  lui  chi  è  tra  i  Numi, 
Che  ti  contende  la  natia  contrada.  53o 

Disse,  e  nelle  fiottanti  onde  s'immerse. 

Io,  combattuto  da  pensier  diversi, 
Colà  n1  andai ,  dove  giacean  del  mare 
Su  la  sabbia  le  navi ,  a  cui  da  presso 
La  cena  in  fretta  s'apprestò.  Sorvenne  535 
La  preziosa  notte ,  e  noi  sul  lido 


Ci  addormentammo  al  mormorio  dell'acque. 

Ma,  poiché  del  mattili  la  bella  figlia 

Consperse  il  ciel  d'orientali  rose, 

Lungo  LI  lido  io  movea,  molto  ai  Celesti  54o 

Pregando,  e  i  tre,-  nel  cui  valor  per  tutte 

Le  men  facili  imprese  io  più  fidava  , 

Conducea  meco.  La  Di'essa  intanto 

Dal  seno  ampio  del  mare,  in  ch'era  entrata, 

Quattro  pelli  recò  del  corpo  tratte  545 

Novellamente  di  altrettante  foche; 

E  tramava  con  esse  inganno  al  padre. 

Scavò  quattro  covili  entro  P arena: 

Quindi  s1  assise,  e  ci  attcndea.  Noi  presso 

Ci  femmo  a  lei,  che  subito  levossi ,         55o 

E  noi  dispose  ne1  scavati  letti , 

E  i  cuoi  recenti  ne  addossò.  Moleste 

Le  insidie  ivi  tornavano;   che  troppo 

Nojava  delle  foche  in  mar  nutrite 

L'orrendo  puzzo.  E  chi  a  marina  belva  555 

Può  giacersi  vicin?  Se  non  che  al  nostro 

Stato  provvide  la  cortese  Diva, 

Che  ambrosia,  onde  spirava  alma  fragranza, 

Venneci  a  por  sotto  le  afflitte  nari , 

Cui  del  mar  più  non  giunse  il  grave  odore.  56o- 

Tutto  il  mattino  aspettavara  con  alma 
Forte  e  costante.  Le  deformi  foche 
Dell'onde  uscirò  in  frotta,  e  a  mano  a  mano 
Tutte  si  distendevano  sul  lido. 
Uscio  sul  mezzogiorno  il  gran  vegliardo,  565 
E  trovò  foche  corpulente  e  gra.-se, 
Che  attento  annoverò.  Contò  noi   prima , 
Ne  di  frode  parea  nutrir  sospetto. 
Ciò  fatto,  ei  pur  nella  sua  grotta  giacque. 
Ci  avventammo  con  grida,  e  le  robuste  5^o 
Braccia  al  vecchio  divin  gettammo  intorno, 
Che  1'  arti  sue  non  ohbli'ò  in  quel   punto. 
Leone  apparve  di  gran  giubba,  e  in  drago 
Voltossi,  ed  in  pantera,  e  in  verro  enorme, 
E  corse  in  onda  liquida,  e  in   sublime  5^5 
Pianta  chiomata  verdeggiò.  Ma  noi 
Il  teuevam  fei  mo  più  sempre.   Allora 
L"  asHito  veglio,  che  nel  petto  stanco 
Troppo  sentiasi  ornai  stringer  lo  spirto, 
Con  queste  voci  interrogommi  :   Atride,  58o 
Qnal  fu  de1  Numi  che  d'insidiarmi 
Ti  die  il  consiglio:  e  di  pigliarmi  a  forza? 
Di  che  mestieri   hai   tu?  Proteo,  io  risposi, 
Tu  il  sai  :  perchè  il  dimandi ,  e  ancor  t'infingi  ? 
Sai  che  gran  tempo  P  isoletta  tiemmi ,    585 
Che  scampo  quinci  io  non  ritrovo,  e  sento 
Distruggermisi  il  core.  Ah  dimmi,  quando 
Nulla  celasi  ai   Dei ,  chi  degli  Eterni 
M'inceppa,  e  mi  rinchiude  il  mare  intorno. 

Non  dovevi  salpar,   riprese  il  Dio,  5o/) 

Che  onorato  pria  Giove  e  gli  altri  Numi 
Di  sagrifiei  non  avessi  opimi , 
Se  in  breve  al  natio  suol  giungere  ardevi. 
Or  la  tua  Patria,  degli  amici  il  volto, 
E  la  magion  ben  fabbricata  il  fato  595 

Riveder  non  ti  dà  ,  dove  tu  prima 
Del  fiume  Egitto,  che  da  Giove  scende, 
Non   risaluti  la  corrente  ,  e  porgi 
Ecatombe  perfette  ai  Dii  beati, 
Che  il  bramato  da  te  mar  t'apriranno.  600 

A  tai  parole  mi  s1  infranse  il  core, 
Udendo  che  d"  Egitto  in  su  le  rive 


ODISSEA 


Ricondurmi  io  ilovea  per  gli  atri  flutti, 
Lunga  e  diffidi  via.  Pur  dissi  :  Vecchio , 
Ciò  tutto  io  compierò.  Ma  or  rispondi,  6o5 
Ti  pricgo,  a  questo,  e  schiettamente  parla: 
Salvi' tornaro  co1  veloci  legni 
Tutti  gli  Achivi  che  lasciammo  addietro, 
Partendo  d'Ih'ón,  Nestore  ed  io? 
O  perì  alcun  d'inopinata  morte  610 

Nella  sua  nave,  o  ai  cari  amici  in  grembo, 
Posale  l'armi,  per  cui  Troja  cadde? 
Alride,  ei  replicò,  perchè  tal  cosa 
Mi  cerchiti!?  Quel  eh1  io  nell'alma  chiudo, 
Saper  non  fa  per  te,  cui  senza  pianto,  6i5 
Tosto  che  a  te  palese  il  tutto  fia  , 
Non  rimarrà  lunga  stagione  il  ciglio. 
Molti  colpì  P  inesorahil  Parca , 
E  molti  non  toccò.  Due  soli  duci 
De1  vestiti  di  rame  Achei  guerrieri  620 

Morirò  nel  ritorno;  e  ritenuto 
Del  vasto  mar  nel  seno  un  terzo  vive. 
Ajace  ai  legni  suoi  dai  lunghi  remi 
Perì  vicino.  Dilivrato  in  prima 
Dall'onde  grosse,  e  su  gli  enormi  assiso  6n5 
Giréi  macigni,  a  cui  Nettun  lo  spinse, 
Potea  scampar,  benché  a  Minerva  in  ira, 
Se  non  gli  uscia  di  bocca  un  orgoglioso 
Molto  che  assai  gli  nocque.   Osò  vantarsi 
Che  in  dispetto  agli  Dei  vincrr  del  mare  63o 
Le  tempeste  varn'a.  Nettuno  udillo 
Boriante  in  tal  guisa,  e  col  tridente, 
Che  in  man  di  botto  si  piantò ,  percosse 
La  Girea  pietra,  e  in  due  spezzolla:  P  una 
Colà  restava;  e  PaUra,  ove  sedea  635 

Della  percossa  travagliato  il  Duce, 
Si  rovesciò  nel  pelago,  e  il  portava 
Pel  burrascoso  mare ,  in  cui ,  bevuta 
Molla  salsa  onda ,  egli  pmleo  la  vita. 
II  tuo  fralello  col  favor  di  Ginno  640 

Morie  sfuggì  nella  cavata  nave. 
Ma ,  come  avvicinobsi  all'  arduo  capo 
Della  Maléa,  fiera  tempesta  il  colse, 
E  tra  profondi  gemiti  portollo 
Sino  al  confin  della  campagna ,  dove      6^5 
Ti'este  un  giorno,  e  allora  Egisto,  il  figlio 
Di  Ti'este,   abitava.  E  quinci  ancora 
Parea  sicuro  il  ritornar;  che  i  Numi 
Voltar  subito  il  vento,  e  in  porto  entraro, 
Gli  stanchi  legni.  Agamennón  di  gioja  65o 
Colmo  gittossi  nella  patria  terra , 
E  toccò  appena  la  sua  dolce  terra , 
Che  a  baciarla  chinossi  ,  e  per  la  guancia 
Molte  gli  discorrean  lagrime  calde , 
Perchè  la  terra  sua  con  gioja  vide.         655 
Ma  il  discoprì  da  una  scoscesa  cima 
L'esplorator,  che  il  fraudolento  Egisto 
Con  promessa  di  due  talenti  d'  oro 
Piantato  aveavi.  Ei ,  che  spiando  stava 
Dall'eccelsa  veletta  un  anno  intero,       6G0 
Non  trapassasse  ignoto ,  e ,  forse  a  guerra 
Intalentato,  il  tuo  fratello  ,  corse 
Con  l'annunzio  al  signor,  che  un'  empia  frode 
Repente  ordì.  Venti,  e  i  più  forti ,  elesse, 
E  in  agguato  li  mise,  e  imbandir  feo     665 
Mensa  festiva:  indi  a  invitar  con  pompa 
Di  cavalli  e  di  cocchi  andò  l'Atride, 
Cose  orrende  pensando,  e  il  ricondusse, 


680 


685 


690 


695 


E  ,  accolto  a  mensa  Io  scannò,  qual  toro 
Cui  scende  su  la  testa  innanzi  al  pieno  670 
Presepe  suo  l'inaspettata  scure. 
Non  visse  d'Agamennone  o  d1  Egisto 
Solo  un  compagno,  ma  di  tutti  corse 
Confuso  e  misto  nel  palagio  il  sangue. 
E  a  me  schiantossi  il  core  a  queste  voci.  675 
Pianto  io  versava  su  P  arena  steso, 
Ne  più  mirar  del  Sol  volea  la  luce. 
Ma  come  di  plorar,  di  voltolarmi 
Sovra  il  nudo  terreo  sazio  gli  parvi, 
Tal  seguitava  il  non  mendace  vecchio: 
Resta,  o  figlio  d'Atréo,  dall'infinite 
Lagrime  per  un  mal  che  ornai  compenso 
Non  paté  alcuno,  e  I'  argomenta  in  vece, 
Più  veloce  che  puoi,  riedere  in  Argo. 
Troverai  vivo  ne'  suoi  tetti  Egisto , 
O  l'avrà  poco  dianzi  Oreste  ucciso, 
E  tu  al  funebre  assisterai  banchetto. 
Disse  :  e  di  gioja  un  improvviso  raggio 
Nel  mio  cor  balenava.  Io  già  d'Ajace , 
Risposi,  e  del  fratello  assai  compresi. 
Chi  è  quel  terzo  che  il  suo  reo  destino 
Vivo  nel  sen  del  mare ,  o  estinto  forse  , 
Ritiene?  Io  d'udir  temo,  e  bramo  a  un  tempo. 
E  nuovamente  il  non  bugiardo  veglio: 
D'  Itaca  il  Re,  che  di  Laerte  nacque. 
Costui  dirotto  dalle  ciglia  il  pianto 
Spargere  io  vidi  in  solitario  scoglio, 
Soggiorno  di  Calipso,  inclita  Ninfa, 
Che  rimandarlo  niega  :  ond' ei,  cui  solo 
Non  avanza  un  naviglio,  e  non  compagni  700 
Che  il  trasporlin  del  mar  su  l'ampio  dorso, 
Star  gli  convien  della  sua  Patria  in  bando. 
Ma  tu,  tu,  Menelao,  di  Giove  alunno, 
Chiuder  gli  occhi  non  dèi  nella  nutrice 
Di  cavalli   Argo;  che  noi  vuole  il  fato.    ^o5 
Te  nell'  Elisio  campo,  ed  ai  confini 
Manderan  della  terra  i  Numi  eterni  , 
Là  've  risiede  Radamanto  ,  e  scorre 
Senza  cura  o  pensiero  all'  uom  la  vita. 
Neve  non  mai,  non  lungo  verno o  pioggia  710 
Regna  colà;  ma  di  Favonio  il  dolce 
Fiato,  che  sempre  1'  Oceano  invia, 
Q»^  fortunati  abitator  rinfresca. 
Perchè  ad  Elena  sposo,  e  a  Giove  stesso 
Genero  sei,  tal  sortirai  ventura.  ^i5 

Tacque,  e  saltò  nel  mare,  e  il  mar  l'ascose. 
Io  da  varj  pensier  l'alma  turbato 
Movea  co'  prodi  amici  in  vèr  le  navi. 
La  cena  s'apprestò.  Cadde  la  notte 
Dell' uom  ristoratrice,  e  noi  del  mare    720 
Ci  addormentammo  sul  tranquillo  lido. 
Ma  del  mattin  la  figlia  ebbe  consperso 
Di  rose  orientali  appena  il  cielo , 
Che  nel  divino  mar  varammo  i  legni 
D'uguali  sponde  armati,  e  con  le  vele  ya5 
Gli  alberi  alzammo:  entraro,  e  sovra  i  banchi 
I  compagni  serlettero,  ed  assisi 
Co'  remi  pereotean  P  onde  spumose. 
Del   fiume  Egitto,  che  da  Giove  scende, 
Un'altra  volta  all'abbonita  foce  .  730 

Io  fermai  le  mie  navi,  e  giuste  ai  Numi 
Vittime  offersi;  e  ne  placai  lo  sdegno. 
Eressi  anco  al  germari  tomba,  che  vivo 
In  quelle  parti  ne  serbasse  il  noi»?. 


LIBRO  QUARTO 


Dopo  ciò,  rlmbarraimi,  e  con  nn  vento  ^35 

Che  mi  feria  dirittamente  in  poppa, 

Pervenni  folgorando  ai  porti  miei. 

Or,  Telemaeo,  via,  tanto  ti  piaccia 

Rimaner:  che  l'undecima  riluca 

Neil1  Oriente  ,  o  la  duodeeim1  alba.  ^4° 

Io  ti  prometto  congedarti  allora 

Con  doni  eletti:  tre  destrieri  e  un  vago 

Cocchio ,  ed  in  oltre  una  leggiadra  tazza 

Da  libare  ai  Celesti ,  acciò  non  sorga 

Giorno  che  il  tuo  pensieroamenon  torni.  ^4-5 

Il  prudente  Telemaco  rispose: 
Gran  tempo  qui  non  ritenermi  ?  Atride. 
Non  che  a  me  non  giovasse  un  anno  intero  , 
La  Patria  e  i  miei  quasi  obblìando,  teco 
Queste  case  abitar  ;  che  alla  tua  voce     ^5o 
L1  alma  di  gioja  ricercarmi  io  sento. 
Ma  già  muojon  di  tedio  i  miei  compagni 
Neil1  alta  Pilo  5  e  tu  m'arresti  troppo. 
Qual  siasi  il  don  di  che  mi  vuoi  far  lieto, 
Un  picciol  sia  tuo  prezioso  arnese.  7 55 

Ad  Itaca  i  destrieri  addur  non  penso, 
Penso  lasciarli  a  te,  bello  de'  tuoi 
Regni  ornamento  :  perocché  signore 
Tu  sei  d1  ampie  campagne,  ove  Gorisce 
Loto  e  cipero,  ove  frumenti  e  spelde,   760 
Ove  il  bianc1  orzo  d'ogni  parte  alligna. 
Ma  non  larghe  carriere  ,  e  non  aperti 
Prati  in  Itaca  vedi  :  è  di  caprette 
Buona  nutrice,  e  a  me  di  ver  più  grata, 
Che  se  cavalli  nobili  allevasse.  ^65 

Nulla  del  nostro  mare  isola  in  verdi 
Piani  si  stende,  onde  allevar  destrieri  ; 
E  men  dell1  altre  ancora  Itaca  mia. 

Sorrise  il  forte  ne1  conflitti  Atride, 
E  la  mano  a  Telemaco  stringendo  ,         770 
Sei,  disse,  o  figlio,  di  buon  sangue,e  a  questa 
Tua  favella  il  dimostri.  E  bene,  i  doni 
Ti  cambierò  :  farlo  poss'io.  Di  quanto 
La  mia  reggia  contien ,  ciò  darti  io  voglio, 
Che  più  mi  semhra  prezioso  e  raro  :       ^5 
Grande  urna  effigiata  ,  argento  tutta. 
Dai  labbri  in  fuor,  sovra  cui  Toro  splende, 
Di  Vulcano  fattura.  Io  dall1  egregio 
Fedimo,  re  di  Sidone,  un  dì  l1  ebbi  , 
Quando  il  palagio  suo  me,  diedi  Troja  780 
Venia,  raccolse;  e  tu  n'andrai  con  questa. 

Cosi  tra  lor  si  ragionava.  Intanto 
Dell' Atride  i  ministri  al  suo  palagio 
Conducean  pingui  pecorelle ,   e  vino 
Di  coraggio  dator  ,  mentre  le  loro  ^85 

Consorti  il  capo  di  bei  veli  adorne 
Candido  pan  recavano.  In  tal  guisa 
Si  mettea  qui  l'alto  convivio  in  punto. 

Ma  in  altra  parte,  e  alla  magion  davante 
Del  magnanimo  Ulisse,   i   Proci  alteri     790 
Dischi  l.inciavan  per  diletto,  e  dardi 
Sul  pavimento  lavorato  e  terso, 
Della  baldanza  lor  solito  campo. 
Solo  i  due  capi ,  che  di  forza  e  ardire 
Tutti  vinceano,   il  pari  in  volto  ai  Numi  ^g5 
Eurimaco,  ed  Antinoo,  erano  assisi. 
S1  accostò  loro ,  ed  al  secondo  volse 
Di  Fronio  il  figlio,  Noemón,  tai  detti: 
Antinoo,  il  dì  lice  saper,  che  rieda, 
Telemaco  da  Pilo?  Ei  dipartissi  800 


Con  la  mia  nave,  che  or  vernami  ad  uopo , 
Per  tragittar  nell'EIide,  ove  sei 
Pasconrai .  e  sei  cavalle,  ed  altrettanti 
Muli  non  domi,  che  lor  dietro  vanno, 
E  di  cui  ,  razza  faticante  ,  alcuno  8o5 

Rimenar  bramo,  e  accostumarlo  al  giogo. 
Stupiano  i  prenci ,  che  ne'  suoi  poderi 
De'  montoni  al  ruslode,  o  a  quel  de'  verri 
Trapassato  il  credeano,  e  non  al  saggio 
Figliuol  di  Nelco  nell1  eccelsa  Pilo.  8io 

Quando  si  dipartì  ?  rispose  il  figljo 
D'Eupite,  Antinoo.  E  chi  segnillo?  Scelli 
Giovani  forse  d'Itaca,  o  gli  stessi 
Suoi  mercenaij  e  schiavi?  E  osava  tanto? 
Schietto  favella.  Saper  voglio  ancora,     8i5 
Se  a  mal  cuor  ti  lasciasti  il  legno  tórre, 
O  a  lui,  che  tei  chiedea,  di  grado  il  desti. 

Il  diedi  a  Ini,  che  mel#  chiedea,  di  grado, 
Noemón  ripigliò    Chi  polea  mai 
Con  sì  nobil  garzone  e  sì  infelice  820 

Stare  in  sul  niego  ?  Gioventù  segnillo 
Della  miglior  tra  il  Popolo  itacese , 
E  condoltier  salia  la  negra  nave 
Mentore,  o  un  Dio  che  ne  vestìa  l'aspetlo: 
E  maraviglio  io  ben  eh'  ieri  su  1'  alba    8a5 
Mentore  io  scorsi.  Or  come  allor  la  negra 
Nave  salì ,  che  veleggiava  a  Pilo  ? 
Disse ,  e  del  padre  alla  magion  si  rese. 

Atterriti  rimasero.  Cessaro 
Gli  altri  da' giuochi,  e  s'adagia ro anch'essi,  83o 
E  a  tutti  favellò  d' Eupite  il  figlio: 
Se  gli  gonfiava  della  furia  il  core 
Di  caligine  cinto,  e  le  pupille 
Nella  fronte  gli  ardean  come  duo  fiamme. 
Grande  per fermoe audace  impresaèquesto,835 
Cui  già  nessun  di  noi  fede  prestava  , 
Viaggio  di  Telemaco  !  Un  garzone , 
Un  fanciullo  gittar  nave  nel  mare  , 
Di  tanti  uomini  ad  onta,  e  aprire  al  vento 
Con  la  più  scelta  gioventù  le  vele?         840 
Né  il  male  qui  s'  arresterà  :   ma  Giove 
A  Telemaco  pria  franga  ogni  possa , 
Che  una  tal  piaga  dilattarsi  io  veggia. 
Su  via  ,  rapida  uave  e  venti  remi 
A  me,  sì  ch'io  lo  apposti,  e  al  suo  ritorno  845 
Nel  golfo,  che  divide  Itaca  e  Same, 
Colgalo;  e  il  folle  con  suo  danno  impari 
L'  onde  a  stancar  del  genitore  in  traccia. 
Com  Antinoo  parlò.  Lodi  e  conforti 
Gli  davau  tutti:  indi  sorgeano,  e  il  piede  85o 
Nell'alte  stanze  riponean  d'olisse. 

Ma  de' consigli  che  nutriano  in  mente, 
Penelope  non  fu  gran  tempo  ignara. 
Ne  la  fro  dotta  il  banditor  Mcdonte  , 
Che  udia  di  fuori  la  consulta  iniqua,     855 
E  agli  orecchi  di  lei  pronto  recolla. 
Ella  noi  vide  oltrepassar  la  soglia, 
Che  sì  gli  disse:  Araldo,  onde  tal  fretta? 
Ed  a  che  i  Proci  ti  mandaro  ?  Forse 
Perchè  d'  Ulisse  le  solerti  ancelle  860 

Dai  lavori  si  levino,  e  1'  usato 
Convito  apprestin  loro?  Oh  fosse  questo 
De'  conviti  1'  estremo ,  e  a  me  travaglio 
Più  non  desser,  né  altrui  !  Tristi  !  che,  tutto 
Del  prudente  Telemaco  il  retaggio  865 

Per  disertar,  vi  radunate  in  lolla. 


ODISSEA 


E  non  udiste  voi  da1  vostri  padri , 
Mentr'  eravate  piccioletti  e  imberbi, 
I  modi  clie  tenca  con  loro  Ulisse, 
Nessuno  in  opre  molestando,  o  in  detti,  870 
Costume  pur  degli  uomini  scettrati , 
Che  odio  portano  agli  uni,  e  agli  altri  amore? 
Non  offese  alcun  mai  :  quindi  1'  indegno 
Vostro  adoprar  meglio  si  pare  e  il  merto 


detf 


875 


Clie  di  tanti  favor  voi  gli  n-micw-,  vj 

Ed  il  saggio  Medonte:  Ai  Dei  piacesse 
Che  questo  il  peggior  mal,  Reina,  fosse! 
Altro  dai  Proci  se  ne  cova  in  petto 
Più  grave  assai  ,  che  Giove  sperda:  il  caro 
Figlio,  che  a  Pilo  sacra  e  alla  divina     880 
Sparla  si  volse,  per  ritrar  del  padre, 
Ucciderti  di  spada  al  suo  ritorno. 

Penelope  infelice  a  tali  accenti 
Scioglier  sentissi  le  ginocchia  e  il  core. 
Per  lungo  spazio  la  voce  matieolle ,         885 
Gli  occhi  di  pianto  le  s'  empier,  distinta 
Non  poteale  dai  labbri  uscir  parola. 
Rispose  al  fine:  Araldo,  e  perchè  il  figlio 
Da  me  staccossi  ?  Qual  cagion  ,  qual  forza 
Sospingcalo  a  sai  ir  le  ratte  navi ,  890 

Che  destrieri  del  mar  sono,  e  l'immensa 
Varcano  umidità?  Brama  egU  dunque 
Che  ne  resti  di  sé  nel  mondo  il  nome? 

Qual  de1  due  spinto,  il  banditor  riprese, 
L'abbia  sul  mare,  a  domandar  del  padre,  8g5 
Se  la  propria  sua  voglia,  o  un  qualche  nume, 
Reina,  ignoro.  E  sovra  T  orme  sue 
Ritornò ,  cosi  detto ,  il  fido  araldo. 

Fiera  del  petto  roditrice  doglia 
Penelope  ingombrò;  uè,  perchè  molti     900 
Fossero  i  seggi ,  le  bastava  il  core 
Di  posare  in  alcun:  sedea  sul  nudo 
Limitar  della  stanza,  acuti  lai 
Mettendo;  e  quante  la  servi'ano  ancelle, 
Sì  di  canuta  età,  come  di  bionda,  go5 

Ululavano  a  lei  d'intorno  tutte. 
Ed  ella,  forte  lagrimando,  Amiche, 
Uditemi,  dicea.  Tra  quante  donne 
Nacquero  e  crebber  meco,  ambasce  tali 
Chi  giammai  tollerò?  prima  un  egregio  910 
Sposo  io  perdei,  d'invitto  cor,  fregiato 
D1  ogni  virtù  tra  i  Greci ,  ed  il  cui    nome 
Per  P  Ellada  risuona,  e  tutta  l'Argo. 
Poi  le  tempeste  m'  involare  il  dolce 
Mio  parto  in  fama  non  ancor  salito, 
E  del  viaggio  suo  nulla  io  conobbi. 
Smurate  !  eravi  pur  l'istante  noto, 
Ch'  ei  nella  cava  entrò  rapida  nave  : 
Né  di  voi  fu ,  cui  suggerisse  il  core 
Di  scuotermi  dal  sonno?  Ov' io  la  fuga  920 
Potuto  avessi  presentirne,  certo 
Da  me,  benché  a  fatica,  ei  non  parli'a, 
O  me  lasciava  nel  palagio  estinta. 
Ma  de'  serventi  alcun  tosto  mi  chiami 
L'antico  Dolio,  schiavo  mio,  che  dato  925 
Furami  dal  genitor,  quand' io  qua  venni; 
Ed  or  le  piante  del  giardin  m'ha  in  cura. 
Vo1  che  a  Laerte  corra,  e  il  tutto  narri, 
Sedendosi  appo  lui ,  se  mai  Laerte 
Di  pianto  aspersa  la  senil  sua  guancia    g3o 
Mostrar  credesse  al  popolo  ,  e  lagnarsi 
Di  color  che  schiantar  P  unico  ramo 


9t5 


935 

figlio 


Di  lui  vorn'ano,  e  del  divino  Ulisse. 
E  la  diletta  qui  balia  Euricléa, 
Sposa  cara,  rispose  ,  0  tu  m'  uccida  , 
O  nelle  stanze  tue  viva  mi  serbi, 
Parlerò  aperto.  Il  tutto  io  seppi,  e  al 
Le  candide  farine  e  il  rosso  vino 
Consegnai:  ma  giurar  col  giuramento 
Più  sacro  io  gli  dovei,  che  ove  agli  orecchi  940 
Non  ti  giugnesse  della  sua  partenza 
Aura  d'altronde,  e  tu  men  richiedessi, 
Io  tacerei  ,  finché  spuntasse  in  cielo 
La  dodicesim' aurora,  onde  col  pianto 
Da  te  non  s'  oltraggiasse  il  tuo  bel  corpo.  945 
Su  via,  ti  bagna,  e  bianca  veste  prendi, 
E,  con  le  ancelle  tue  nell'alto  ascesa, 
Priega  Minerva  che  il  figliuol  ti  guardi  : 
Né  affligger  più  con  imbasciate  il  veglio 
Già  per  sé  afflitto  ass  li.  No,  tantoai  Numi  g5o 
Non  è  d'Arcesio  la  progenie  in  ira, 
Che  un  germe  viver  non  ne  debba ,  a  cui 
Queste  muraglie  sorgano  ,  e  i  remoti 
Si  ricuopran  di  messe  allegri  campi. 
Con  queste  voci  le  sopì  nel  petto  g55 

La  doglia,  e  il  pianto  le  arrestò  sul  ciglio. 
Ella  bagnossi,  bianca  veste  prese, 
E ,  con  le  ancelle  sue  nell'  alto  ascesa , 
Pose  il  sacr'orzo  nel  canestro,  e  il  sale, 
E  a  Palla  supplicò.  M'ascolta  ,  disse,      960 
O  dell'  egioco  Giove  inclita  figlia. 
Se  il  mio  consorte  ne'  paterni  tetti 
Pingui  d' agna  o  di  bue  cosce   mai  t'arse, 
Oggi  per  me  tei)  risovvenga  :  il  figlio 
Guardami,  e  sgombra  dal  palagio  i  Proci,  965 
Di  cui  più  ciascun  dì  monta  1'  orgoglio. 
Scoppiò  in  un  grido  dopo  tai  parole, 
E  1'  atenèi  Minerva  il  priego  accolse. 
Tumulto  fean  sotto  le  oscure  volte 
Coloro  intanto,  e  alcun  dicca:  La  molto  970 
Vagheggiata  Reina  pmai  le  nozze 
Ci  appresta,  e  ignora  che  al  suo  figlio  morte 
S'apparecchia  da  noi.  Tanto  dal  vero 
Quelle  superbe  menti  ivan  lontane. 
Ed  Antinoo  :  Smurati,  il  dire  incauto, 
Che  potria  dentro  penetrar,  frenate. 
Ria  che  più  badiam  noi?  Tacitamente 
Quel  che  tutti  approvar  mettiamo   in  opra. 
Ciò  detto,  venti  scelse  uomini  egregi, 
Ed  al  mare  avvi'ossi.  Il  negro  legno 
Vararo,  alzaro  l'albero,  assettaro 
Gli  abili  remi  in  volgitoi  di  cuojo, 
E  le  candide  vele  ai  venti  aprirò. 
Poi,  recate  arme  dagli  arditi  servi, 
Nell'alta  onda  fermar  la  negra  nave.      g85 
Quivi  cenaro  ;  e  stivatisi  aspettando 
Che  più  crescesse  della  notte  il  bujo. 
Ma  la  grama  Penelope  nell'  alto 
Giacea  digiuna,  non  gustando  cibo, 
Bevanda  non  gustando;  e  a  lei  nel  petto  990 
Sul  destin  dubbio  di  si  cara  prole 
Fra  la  speme  e  il  timor  1'  alma  ondeggiava. 
Qual  de'  lattanti  leoncin  la  madre  , 
Cui  fan  corona  insidiosa  intorno 
I  cacciatori,  che  a  temere  impara,         995 
E  in  diversi  pensier  1'  alma  divide  : 
Tal  fra  sé  rivolvea  cose  diverse , 
Finché  la  invase  un  dolce  sonno.  Stesa 


97' 


980 


Sul  Ietto,  e  tutte  Ir  giunture  sciolta, 

La  donna  inconsolabile  dormia.  iooo 

AHor  la  Dea  dall'azzurrino  sguardo 
Nuova  cosa  pensò.   Compose  un  lieve 
Fantasma ,  che  sembrava  in  tutto  Iftima, 
D'  Icario  un1  altra  Gglia  ,  a  cui  legato 
S'era  con  nodi  maritali  Eitmclo  ,  ioo5 

Che  in  Fere  di  Tessaglia  avea  soggiorno. 
Questa  Iftima  inviò  d'Ulisse  al  letto, 
Che  alla  Reina  tranquillasse  il  core , 
E  i  sospiri  da  lei  sbandisse  e  il  pianto. 
Pel  varco  angusto  del  fedrl  serrarne      io  io 
Entrò  il  fantasma,  e,  standole  sul  capo, 
Riposi  tu  ,  Penelope,  dicea, 
Nel  tuo  cordoglio?  Gl'immortali  Dei 
Lagrimosa  non  voglionti  ,  né  trista. 
Riederà  il  Ggliuol  tuo,  perchè  de'  Numi  ioi5 
L' ira  col  suo  fallir  mai  non  incorse. 

E  la  Reina,  che  dormia  de' sogni 
Soavissimamente  in  su  le  porte  : 
Sorella,  a  che  venistu  ?  Io  mai  da  prima 
Non  ti  vedea ,  così  da  lunge  alberghi;  1020 
E  or  vuoi  ch'io  vinca  quel  marlir  che  in  cento 
Guise  mi  stringe  l'alma,  io,  che  un  consorte 
Perdei  sì  buon  ,  di  sì  gran  core ,  ornato 
D'ogni  virtù  tra  i  Greci,  ed  il  cui  nome 
Per  V  Ellada  risuona  e  l'Argo  tutta!     ioa5 
S'  arroge  a  questo ,  che  il  diletto  figlio 
Partì  su  ratta  nave,  un  giovinetto 
Delle  fatiche  e  dell'  usanze  ignaro. 
Più  ancor  per  lui,  che  per  Ulisse,  io  piango, 
E  temo,  noi  sorprenda  o  tra  le  genti   io3o 


LIBRO  QUARTO  tS 

Straniere,  o  in  mare,  alcun  sinistro:  tanti 
Nemici  ha  che  l'insidiano,  e  di  vita 
Prima  il  desian  levar,  ch'egli  a  me  torni. 

Ratio  riprese  il  simulacro  oscuro  : 
Scaccia  da  te  questi  ribrezzi,  e  spera.  io35 
Compagna  il  siegue  di- cotanta  possa, 
Che  ognun  per  sé  la  brameria  :  Minerva, 
Cui  pietà  di  te  punse,  e  di  cui  fida 
Per  tuo  conforto  ambasciatrice  io  venni. 

E  la  saggia  Penelope  a  rincontro:  1040 

Poiché  una  Dea  sei  dunque,  o  almeno  udisti 
La  voce  d'una  Dea,  parlarmi  ancora 
Di  quell'altro  infelice  or  non  potrai? 
Vive?  rimira  in  qualche  parte  il  Sole? 
O  ne' bassi  calò  regni  di   Pluto?  io45 

Ratto  riprese  il  simulacro  oscuro: 
S'  ei  viva,  o  no,  non  t'aspettar  ch'io  narri. 
Spender  non  piace  a  me  gli  accenti  indarno. 
Disse;  e  pel  varco,  ond'eraentrata,  uscendo, 
Si  mescolò  co'  venti  ,  e  dileguossi.  io5o 

Ma  la  Reina  si  destò  in  quel  punto , 
Ed  il  cor  si  sentì  d'un' improvvisa 
Brillar  letizia,  che  lasciolle  il  sogno, 
Che  sì  chiaro  le  apparve  innanzi  l'alba. 

I  Proci  l'onde  già  fendeano,  estrema      io55 

Macchinando  a  Telemaco    ruina. 

Siede  tra  la  pietrosa  Itaca  e  Same 

Uu' isola  in  quel  mar,  che  Asteri  è  detta, 

Pur  dirupata,  né  già  troppo  grande, 

Ma  con  sicuri  porti,  in  cui  le  navi       1060 

D'ambo  i  lati  entrar  ponno.  Ivi  in  agguato 

Telemaco  attendi ■an  gì1  iniqui  Achei. 


LIBRO  QUINTO 


ARGOMENTO 

Nuovo  concilio  degli  Dei.  Pallate  si  lagna  che  Ulisse  ritenuto  sia  nell'isola  di  Calipso ,  t  eh»  si  tenti  d'am- 
mazzare Telemaco.  Giove  manda  Mercurio  a  Calipso,  che  mal  volentieri  congeda  Ulisse.  Partenza  di  questo 
sovra  una  spezie  di  zatta  da  lui  construtta.  Nettuno  gli  desta  contro  una  orriFil  tempesta,  per  cui,  spezzata 
la  barca,  ei  gettasi  a  nuoto;  e  con  l'ajuto  d'una  fascia,  che  Ino,  Dea  del  mare,  gli  diede,  approda, 
dopo  infiniti  patimenti,  all'isola  dc'Feaci. 


VXià  P  Aurora ,  levandosi  a  Titone 
D' allato  abbandonava  il  croceo  letto , 
E  ai   Dei  portava  ed  ai   mortali  il  giorno  ; 
E  già  tutti  a  concilio  i  Dei  beati 
Sedean  con  Giove  altitonante  in  mezzo  ,   5 
Cui  di  possanza  cede  ogni  altro  Nume. 

Memore  Palla  dell'  egregio  Ulisse , 
Che  mal  suo  grado  appo  la   Ninfa  scorge  ,     ! 
I  molti  ritesseane  acerbi  casi. 
O  Giove,  disse,  e  voi  tutti  d'Olimpo      io 
Concittadini,  che  in  eterno  siete, 
Spoglisi  di  giustizia  e  di  pietade, 
E  iniquitate  e  crudeltà  si  vesta 
D'  ora  innanzi  ogni  Re,  quando  l'imago 
D'Ulisse  più  non  vive  in  un  sol  core       i5 
Di  quella  gente  ch'ei  reggea  da  padre. 
Ei  nell'  isola  intanto,  ove  Calipso 
In  cave  grotte  ripugnante  il  tiene  , 
Giorni  oziosi  e  travagliosi  mena; 
E  del  tornare  alla  sua  Patria  è  nulla,      20 


Poiché  navi  non  ha,  non  ha  compagni 
Che  il  carreggin  del  mar  su  l'ampio  tergo. 
Che  più?  Il  figliuol,  che  all'arenosa  Pilo 
Mosse  ed  a  Sparta  ,  onde  saver  di  lui, 
Tor  di  vita  si  brama  al  suo  ritorno.         2  5 

Figlia,  qual  ti  sentii  fuggir  parola 
Del  recinto  de' denti?  a  lei  rispose 
L'  adunator  di  nubi  olimpio  Giove. 
Tu  stessa  in  te  non  divisavi,  come 
Rieda  Ulisse  alla  Patria,  e  di  que'  tristi  3o 
Vendetta  faccia  ?  In  Itaca  il  figliuolo 
Per  opra  tua ,  chi  tei  contende  ?  salvo 
Rientri,  e  l'onde  navigate  indarno 
Rinavighi  de'  Proci  il  reo  naviglio. 

Disse,  e  a  Mercurio,  sua  diletta  prole,     35 
Così  si  rivolgea:  Mercurio,  antico 
De1  miei  comandi  apportator  fedele, 
Vanne,  e  alla  Ninfa  dalle  crespe  chiome 
Il  fermo  annunzia  mio  voler  ,   che  Ulisse 
Le  native  contrade  orati  rivegga.  Ao 


ODISSEA 


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80 


M;i  noi  guidi  uom  ,  uè  Dio.  Parta  su  travi 
Con  moltiplici  nodi  in  un  congiunte, 
E  il  ventesimo  dì  dilla  feconda 
Selleria  le  rive,  sospirando,  attinga; 
E  i  Feaci  raccolgano,  che  quasi  fó 

Degl'Immortali  al  par  vivon  felici. 
Essì  qual  Nume  onoreranlo,  e  al  dolce 
Nativo  loco  il  manderan  per  nave  , 
Rame  in  copia  darangli,  ed  oro  e  vesti, 
Quanto  al  fin  seco  dalla  vinta  Troja 
Condotto  non  avri'a,  se  con  la  preda, 
Clie  gli  toccò,  ne  ritornava  illeso: 
Che  la  Patria  così,  gli  amici  e  Paltò 
liiveder  .suo  palagio,  è  a  lui  destino. 
Obbedì  il  prode  messaggiero.  Al  piede 
S'avvinse  i  talar  belli,  aurei,  immortali. 
Che  sul  mare  il  portavano,  e  su  i  campi 
Della  terra  infiniti  a  par  col  vento. 
Poi  l'aurea  verga  nelle  man  recossi, 
Onde  i  mortali  dolcemente  assonna, 
Quanti  gli  piare,  e  li  dissonna  ancora, 
E  con  quella  tra  man  P  aure  fendea. 
Come  presi  ebbe  di  Fi'eria  i  gioghi , 
Si  calò  d'alto,  e  si  gittò  sul  mare: 
Indi  1'  acque  radea  velocemente , 
Simile  al  laro  che  pe'  vasti  golfi 
S'aggira  in  traccia  de1  minuti  pesci, 
E  spesso  nel  gran  sale  i  vanni  bagna. 
Non  altrimenti  sen  venia  radendo 
Molte  onde  e  molle  PArgicida  Ermete. 
Ma  tosto  che  fu  all'  isola  remota, 
Salendo  allor  dagli  azzurrini  flutti, 
Lungo  il  lido  ei  sen  già,  finché  vicina 
S'  offerse  a  lui  la  spaziosa  grotta , 
Soggiorno  della  Ninfa  il  crin  ricciuta, 
Cui  trovò  il  Nume  alla  sua  grotta  in  seno 
Grande  vi  splendea  foco,  e  la  fragranza 
Del  cedro  ardente  e  dell1  ardente  tio 
Per  tutta  si  spargea  P  isola  intorno. 
Ella,  cantando  con  leggiadra  voce, 
Fra  i  tesi  fili  dell1  ordita  tela 
Lucida  spola  d1  òr  lanciando  andava. 
Selva  ognor  verde  P  incavato  speco 
Cingeva:  i  pioppi  vi  cresreano  e  gli  alni, 
E  gli  spiranti  odor  bruni  cipressi  5  85 

E  tra  i  lor  rami  fabbricato  il  nido 
S'  aveano  augelli  dalle  lunghe  penne, 
Il  gufo,  lo  sparviere  e  la  loquace 
Delle  rive  del  mar  cornacchia  amica. 
Giovane  vile  di  purpurei  grappi  90 

S'ornava,  e  tutto  rivestia  lo  speco. 
Volvean  quattro  bei  fonti  acque  d1  argento, 
Tra  se  vicini  prima,  e  poi  divisi 
L'un  dall'altro  e  fuggenti;  e  di  viole 
Ricca  si  dispiegava  in  ogni  dove  g5 

De1  molli  prati  P  immortai  verzura. 
Questa  scena  era  tal ,  che  sino  a  un  Nume 
Non  potea  farsi  ad  essa,  e  non  sentirsi 
Di  maraviglia  colmo  e  di  dolcezza. 
Mercurio,  immoto,  s'ammirava;  e,  molto  100 
Lodatola  in  suo  core ,  all'  antro  cavo , 
Non  indugiando  più,  dentro  si  mise. 
Calipso,  inclita  Dea,  non  ebbe  in  lui 
Gli  occhi  affissati,  che  il  conobbe;  quando, 
Per  distante  chel'un  dall'altro  alberghi ,  io5 
Celarsi  l'uno  all'altro  i  Dei  non  poiuio. 


Ma  nella  grotta  il  generoso  Ulisse 
Non  era:  mesto  sul  deserto  lido, 
Cui  spesso  si  rendea,  sedeasi  ;  ed  ivi 
Con  dolori,  con  gemiti,  con  pianti  110 

Struggeasi  P  alma,  e  P  infecondo  mare 
Sempre  agguardava,  lagrime  stillando. 
La  Diva  il  Nume  interrogò,  cui  posto 
Su  mirabile  avea  seggio  lucente: 
Mercurio,  Nume  venerato  e  caro,  n5 

Che  della  verga  d'or  la  man  guernisci, 
Qual  mai  cagione  a  me  che  per  P addietro 
Non  visitavi,  oggi  t'addusse?  Parla. 
Cosa  ch'io  valga  oprar,   né  si  sconvegna, 
Disdirti  io  non  saprei,  se  il  pur  volessi.    120 
Su  via ,  ricevi  P  ospitai  convito  : 
Poscia  favellerai.  Detto ,  la  mensa  , 
Che  ambrosia  ricopria,  gli  pose  avanli, 
Ed  il  purpureo  nettare  versogli. 
Questo  il  celeste  messaggiero  e  quella     125 
Prendea  ;  né  prima  nelle  forze  usate 
Tornò,  che  apria  le  labbra  in  tali  accenti: 
Tu  Dea  me  Dio  dunque  richiedi?  Il  vero, 
Poiché  udirlo  tu  vuoi,  schietto  io  ti  narro. 
Questo  viaggio  di  Saturno  il  figlio  »3o 

Mal  mio  grado  mi  die.  Chi  vorria  mai 
Varcar  tante  onde  salse,  infinite  onde, 
Dove  città  non  sorge ,  e  sagrifici 
Non  v'ha  chi  ci  offra,  ed  ecatombe  illustri? 
Ma  il  precetto  di  Giove  a  un  altro  Nume  1 35 
Né  violar,  né  obliar  lice.  Teco, 
Disse  l'Egidarmato ,  i  giorni  mena 
L'  uom  più  gramo  tra  quanti  alla  cittade 
Di  Priamo  innanzi  combattean  nove  anni, 
Finché  il  decimo  al  fin,  Troja  combusta,  i/Jo 
Spiegaro  in  mar  le  ritornanti  vele. 
Ma  nel  cammino  ingiuriar  Minerva, 
Che  destò  le  bufere,   e  immensi  flutti 
Contra  lor  sollevò.  Tutti  perirò 
Di  quest'uomo  i  compagni;  ed  ei  dal  vento  i45 
Venne,  e  dal  fiotto  ai  lidi  tuoi  portato. 
Or  tu  costui  congederai  di  botto; 
Che  non  morir  dalla  sua  terra  lunge, 
Ma  la  Patria  bensì ,  gli  amici  e  P  alto 
Riveder  suo  palagio,  è  a  lui  destino.       i5o 
Inorridì  Calipso,  e,  con  alate 
Parole  rispondendo,  Ah,  Numi  ingiusti, 
Sclamò,  che  invidia  non  più  intesa  è  questa, 
Che  se  una  Dea  con  maritale  amplesso 
Si  congiunge  a  un  mortai,  voi  noi  soffrite?  l55 
Quando  la  tinta  di  rosato  Aurora 
Orione  rapì,  voi,  Dei,  cui  vita 
Facile  scorre ,  acre  livor  mordea , 
Finché  in  Ortigia  il  rintracciò  la  casta 
Dal  seggio  aureo  Diana,  e  d' improvvisa  160 
Morte  il  colpì  con  invisibil  dardo. 
E  allor  che  venne  innanellata  il  crine 
Cerere  a  Giasi'on  tutta  amorosa  , 
E  nel  maggese ,  che  il  pesante  aratro 
Tre  volte  aperto  avea  ,  se  gli  concesse,  i65 
Giove,  cui  l'opra  non  fu  ignota,  uccise 
Giasi'on  con  la  folgore  affocata. 
Così  voi,  Dei,  con  invid' occhio  al  fianco 
Mi  vedete  un  eroe  da  me  serbato  , 
Che  solo  stava  in  su  i  meschini  avanzi   i^( 
Della  nave  ,  che  il  telo  igneo  di  Giove 
Nel  mare  oscuro  gli  percosse  e  sciolse. 


LIBRO  QUINTO 


Io  raccoglievo  amica,  io  lo  nutria 
Gelosamente,  io  prometteagli  eterni 
Giorni,  e  dal  gel  della  vecehiezza  immuni,  i  ^5 
Ma  quando  troppo  é  ver  ehe  alcun  di  Giove 
Precetto  violare  a  un  altro  Nume 
Non  lice,  od  nbldiar,  parta  egli  e  solchi, 
Se  il  comandò  P  Egidarmato,  i  campi 
Non  seminati.  Io  noi  rimando  certo;       180 
Che  navi  a  me  non  sono ,  e  non  compagni 
Che  del  mare  il  carreggino  sul  tergo. 
Ben  sovverrogli  di  consiglio,  e  il  modo 
Gli  additerò,  die  alla  sua  dolce  terra 
Su  i  perigliosi  flutti  ci  giunga  illeso.       i85 

Ogni  modo  il  rimanda,  l'Argicida 
Soggiunte,  e  pensa  che  infiammarsi  d'ira 
Potrrbbe  conira  te  l'Olimpio  un  giorno. 
E   sul  fin  di  lai  detti  a  lei  si  tolse. 

L'augusta  Ninfa,  del  Saturnio  udita  190 

La  severa  imbasciata,  il  prode  Ulisse 
Per  cercar  s'avviò.  Trovollo  assiso 
Del  mare  in  su  la  sponda,  ove  le  guance 
Di  lagrime  rigava,  e  consumava 
Col  pender  del  ritorno  i  suoi  dolci  anni;  ig5 
Che  della  Ninfa  non  pungealo  amore  : 
E  se  le  notti  nella  cava  grotta 
Con  lei  vogliosa  non  voglioso  passa  , 
Che  altro  l'eroe  può?  Ma  quanto  è  il  giorno, 
Su  i  lidi  assiso  e  su  i  romiti  scogli,       200 
Con  dolori,  con  gemiti,  con  pianti 
Slrungesi  Palma,  e  l'infecondo  mare, 
Lagrime  spesse  lagrimando,  agguarda. 

Calipso,  illustre  Dea,  standogli  appresso, 
Sciagurato,  gli  disse,  in  questi  pianti     2o5 
Più  non  mi  dar,  né  consumare  i  dolci 
Tuoi  begli  anni  così:  la  dipartita, 
Non  che  vietarti,  agevolarti  io  penso. 
Su  via,  le  travi  nella  selva  tronche, 
Larga  e  con  alti  palchi  a  te  congegna    210 
Zattera,  che  sul  mar  fosco  ti  porti. 
Io  di  candido  pan,  che  l'importuna 
Fame  rintuzzi,  io  di  purissim'onda, 
E  di  rosso  licor,  gioja  dell'alma, 
La  carcherò  :  ti  vestirò  non  vili  21 5 

Panni  ,  e  ti  manderò  da  tergo  un  vento  , 
Che  alle  contrade  tue  ti  spinga  illeso, 
Sol  che  d'  Olimpo  agli  abitanti  piaccia, 
Con  cui  di  senno  in  prova  io  già  non  veglio. 

Raccapricciossi  a  questo  il  non  mai  vinto  220 
Dalle  sventure  Ulisse,  e,  O   Dea,  rispose 
Con  alate  parole,  altro  di  fermo, 
Non  il  congedo  mio,  tu  volgi  in  mente, 
Che  vuoi  ch'io  varchi  su  tal  barca  i  grossi 
Del  difficile  mar  flutti  tremendi  ,  225 

Che  le  navi  più  ratte,  e  d'  ugnai  fianchi 
Munite,  e  liete  di  quel  vento  amico 
Che  da  Giove  parti,  varcano  appena. 
No,  su  barca  si  fatta,  e  a  tuo  dispetto, 
Non  salirò,  dove  tu  pria  non  degni        23o 
(ìiurare  a  me  con  giuramento  grande, 
Che  nessuno  il  tuo  cor  danno  m'ordisce. 

Sorrise  l'Atlantide,  e,  della  mano 
Divina  careggiandolo ,  la  lingua 
Sciolse  in  tai  voci:  Un  cattivello  sei,      235 
Né  ciò  che  per  te  fa,  scordi  giammai. 
Quali  parole  mi  parlasti?  Or  sappia 
Dunque  la  Terra  e  il  Ciel  superno,  e  l'atra, 

PlKDEMOSTE 


Che  «otterrà  si  voi  ve,  acqna  di  Slige, 
Di  cui  né  più  solenne  han  né  più  sacro  2^0 
Gl'Iddìi  beati  giuramento;  sappia, 
Che  nessuno  il  mio  cor  danno   t'ordisce. 
Quello  anzi  io  penso,  e  ti  propongo,  eh'  io, 
Torrei  per  me,  se  in   cotant'  uopo  io  fossi. 
Giustizia  regge  la  mia  mente,  e  un'alma  245 
Pietosa,  non  di  ferro,  in  me  s'  annida. 

Ciò  detto,  abbandonava  il  lido  in  fretta, 
E  Ulisse  la  seguia.  Giunti  alla  grotta, 
Colà,  domi1  era  l'Argicida  sorto, 
S'adagiò  il  Laerziade;  e  la  Dea  molli     25o 
Davante  gli  mettea  cibi  e  licori , 
Quali  ricever  può  petto  mortale. 
Poi  gli  s' assise  a  fronte;   e  a  lei  le  ancelle 
L'ambrosia  e  il  roseo  nettare  imbandirò. 

Come  ambo  paghi  della  Mietila  furo ,         255 
Con  tali  accenti   cominciava  1'  alta 
Di  Calipso  beltade:  O  di  Laerte 
Figlio  divin,  molto  ingegnoso  Ulisse, 
Cosi  tu  parti  adunque,  e  alla  nativa 
Terra  e  alle  case  de' tuoi  padri  vai?        260 
Va,  poiché  si  t'aggrada,  e  va  felice. 
Ma  se  tu  scorger  del  pensier  potessi 
Per  quanti  affanni  ti  comanda  il  fato 
Prima  passar,  che  al  patrio  suolo  arrivi, 
Questa  casa  con  me  sempre  vorresti       265 
Custodir,  ne  son  certa,  e  immortai  vita 
Da  Calipso  accettar:  benché  si  viva 
Brama  t'accenda  della  tua  consorte, 
A  cui  giorno  non  è  che  non  sospiri. 
Pur  non  cedere  a  lei  né  di  statura         270 
Mi  vanto,  né  di  volto  :  umana  donna 
Mal  può  con  una  Dea,  né  le  s'addice, 
Di  persona  giostrare,  o  di  sembianza. 

Venerabile  Iddia,  riprese  il  ricco 
D'ingegni  Ulisse,  non  voler  di  questo    in5 
Meco  sdegnarti:  appien  conosco  io  stesso, 
Che  la  saggia  Penelope  tu  vinci 
Di  persona  non  men,  che  di  sembianza, 
Giudice  il  guardo,  che  ti  stia  di  contra. 
Ella  nacque  mortale,  e  in  te  né  morte  28 j 
Può,  né  vecchiezza.  Ma  il  pensiero  è  questo, 
Questo  il  desio  che  mi  tormenta  sempre, 
Veder  quel  giorno  al  fin,  che  alle  dilette 
Piagge  del  mio  natal   mi  riconduca. 
Che  se  alcun  me  percoterà  de' Numi       285 
Per  le  fosche  onde,  io  soffrirò,  chiudendo 
Forte  contra  i  disastri  anima  in  petto. 
Molti  sovr'esso  il  mar,  molti  fra  l'armi 
Già  ne  sostenni;  e  sosterronne  ancora. 

Disse;  e  il  sol  cadde,  ed  aunottò.  Nel  seno  290 
Si  ritiraro  della  cava  grotta 
Più  interno  e  oscuro,  e  in  dolce  sonno  avvolti 
Tutte  le  cure  lor  mandaro  in  bando. 

Ma  come  del  mattiu  la   figlia,  l'alma 
Dalle  dita  di  rose  Aurora  apparve,         ani 
Tunica  e  manto  alle' sue  membra  Ulisse, 
E  Calipso  alle  sue  larga  ravvolse 
Bella  gonna,  sottil,  bianca  di  neve; 
Si  strinse  al  fianco  un'aurea  fascia,  e  un  velo 
Sovra  l'or  crespo  della  chioma  impose.  3oo 
Né  d'Ulisse  a  ordinar  la  dipartita 
Tardava.  Scure  di  temprato  rame, 
Grande,  manesca  e  d'.imbo  i  lati   aguzza, 
Con  leggiadro,  d'  oliva  e  beuc  attato° 


,c 


ODISSEA 


Manubrio,  presentògli  ,  e  una  polita      3o5 
Vi  aggiunse  ascia  lucente:  indi  ali1  estremo 
Dell1°isola  il  guidò  ,  dove  alte  piante 
Crescean;  pioppi,  alni,  e  sino  al  cielo  abeti, 
Ciascun  risecco  di  gran  tempo  e  arsiccio, 
Che  gli  sdruccioli  agevole  sull'onda.        3so 
Le  altere  piante  gli  additò  col  dito, 
E  alla  sua  grotta  il  pie  torse  la  Diva. 

Egli  a  troncar  cominciò  il  bosco  :  l1  opra 
Nelle  man  dell1  eroe  correa  veloce. 
Venti  distese  al  suolo  arbori  interi,        3i5 
Gli  adeguò,  li  polì,  l1  un  destramente 
Con  r  altro  pareggiò.  Calipso  intanto 
Recava  seco  gli  appuntati  succhj, 
Ed  ei  forò  le  travi  e  insieme  unillc, 
E  con  incastri  assieurolle  e  chiovi.  320 

Larghezza  il  tutto  avea,  quanta  ne  danno 
Di  lata  nave  trafficante  al  fondo 
Periti  fabbri.  Su  le  spesse  travi  , 
Combacianti  tra  sé,  lunghe  stendea 
Noderose  assi ,  e  il  tavolato  alzava.  3i5 

L'albero  con  I1  antenna  ersevi  ancora, 
E  construsse  il  timon  ,  che  in  ambo  i  lati 
Armar  gli  piacque  d1  intrecciati  salci 
Contra  il  marino  assalto  ,  e  molta  selva 
Gittò  nel  fondo  per  zavorra  o  stiva.        33o 
Le  tue  tele,  o  Calipso,  in  man  gli  andaro, 
E  buona  gli  uscì  pur  di  man  la  vela, 
Cui  le  funi  legò,  legò  le  sarte, 
La  poggia  e  l'orza:  al  fin,   possenti  leve 
Supposte,  spinse  il  suo  naviglio  in  mare,  335 
Che  il  dì  quarto  splendea.  La  Dea  nel  quinto 
Congedollo  dall1  isola  :  odorate 
Vesti  gli  cinse  dopo  un  caldo  bagno  ; 
Due  otri,  1' un  di  rosseggiante  vino, 
Di  limpid'acqua  l1  altro,  e  un  zaino ,  in  cui  3/jo 
Molte  chiudeansi  dilettose  dapi , 
Collocò  nella  barca  ;  e  fu  suo  dono 
Un  lenissimo  ancor  vento  innocente, 
Che  mandò  innanzi  ad  increspargli  il  mare. 

Lieto  l1  eroe  dell1  innocente  vento,  345 

La  vela  dispiegò.  Quindi  al  timone 
Sedendo,  il  corso  dirigea  con    arte; 
Né  gli  cadea  su  le  palpebre  il  sonno, 
Mentre  attento  le  Plejadi  mirava, 
E  il  tardo  a  tramontar  Boote,  e  l'Orsa  35o 
Che  detta  è  pure  il  Cirro,  e  là  si  gira, 
Guardando  sempre  in  Orione,  e  sola 
Nel  liquido  Ocean  sdrgna  lavarsi  : 
L'Orsa,  che  Ulisse,  navigando,  a  manca 
Lasciar  dovea,  come  la  Diva  ingiunse.     355 
Dieci  pellegrinava  e  sette  giorni 
Su  i  campi  d1  Anfitrite.  Il  dì  novello, 
Gli  sorse  incontro  co1  suoi  monti  ombrosi 
L1  isola  de1  Feaci ,  a  cui  la  strada 
Conducealo  più  corta,  e  che  apparta        36o 
Quasi  uno  scudo  alle  fosche  onde  sopra. 

Sin  dai  monti  di  Solima  lo  scórse 
Veleggiar  per  le  salse  onde  tranquille 
II  possente  Ncttun  ,  che  ritornava 
Dall1  Etiopia,  e  nel  profondo  core  365 

Più  crucciato  che  mai,  squassando  il  capo, 
Toh!  disse  dentro  a  so,  nuovo  decreto, 
Mentr1  io  fui  tra  gli  Etiopi,  intorno  a  Ulisse 
Fèr  dunque  i  Numi?  Ei  già  la  terra  vede 
De1  Feaci ,  che  il  fato  a  lui  per  meta      3^0 


38o 


385 


Delle  sue  lunghe  disventurc  assegna. 
Pur  molto,  io  credo,  a  tollerar  gli  resta. 

Tacque;  e,  dato  di  piglio  al  gran  tridente, 
Le  nubi  radunò,  sconvolse  1  acque, 
Tutte  incitò  di  tutti  i  venti  l1  ite,  375 

E  la  terra  di  nuvoli  coverse, 
Coverse  il  mar  :  notte  di  ciel  giù  scese. 
S1  avventalo  sul  mar  quasi  in  un  groppo 
Ed  Euro  e  Noto,  e  il  celere  Ponente, 
E  Aquilon,  che  pruine  aspre  su  Pali 
Reca,  ed  immensi  flutti  innalza  e  volvc. 

Disrior  sentissi  le  ginocchia  e  il  core 
Di  Laerte  il  figliuol,  che  tal  si  dolse 
Nel  secreto  del!1  alma:   Ahi  me  infelice! 
Che  di  ine  sarà  ornai?  Temo,  non  torni 
Verace  troppo  della  Ninfa  il  detto  , 
Che  al  patrio  nido  io  giungerei  per  mezzo 
Delle  fatiche  solo  e  dell1  angosce. 
Di  quai  nuvole  il  cielo  ampio  inghirlanda 
Giove,  ed  il  mar  conturba?  E  come  tutti  3go 
Fremono  i  venti?  A  certa  morte  io  corro. 
Oh  tre  fiate  fortunati  e  quattro, 
Cui  perir  fu  concesso  innanzi  a  Troja  , 
Per  gli  Atridi  pugnando!  E  perchè  allora 
Non  caddi  anch'io,  cheal  morto  Achille  intorno 
Tante  i  Trojani  in  me  lance  scagliare?   (3g5 
Sepolto  i  Greci  co1  funebri  onori 
M1  avriano ,  e  alzato  ne'  lor  canti  al  cielo. 
Or  per  via  così  infausta  ir  deggio  a  Dite. 

Mentre  così  doleasi,   un1  onda  grande 
Venne  d1  alto  con  furia,  e  urtò  la  barca, 
E  rigirolla  ;  e  Ini ,  che  andar  lasciossi 
Dalle  mani   il  timon,  fuori  ne  spinse. 
Turbine  orrendo'*]1, aggruppati  venti 
L'  albero  a  mezzo  gli  fiaccò  :  lontane 
Vela  ed  antenna  caddero.  Ei  gran  tempo 
Stette  di  sotto,  mal  potendo  il  capo 
Levar  dall'onde  impetuose  e  grosse; 
Che  le  vesti  gravavanlo,  che  in  dono 
Da  Calipso  ebbe.  Spuntò  tardi,  e  molla  4io 
Dalla  bocca  gli   uscia,  gli  piovea  molta 
Dalla  testa  e  dal  crine  onda  salata. 
Non  però  della  zatta  il  prese  obblio  : 
Ma,  da  se  i  flutti  respingendo,  ratto 
L'apprese,  e  già  di  sopra,  il  fin  di  morte  4i5 
Schivando,  vi  sedea.  Rapiala  il  fiotto 
Qua  e  là  per  lo  golfo.   A  quella  guifa 
Che  sovra  i  campi  il  Tramontan  d'autunno 
Fascio  trabalza  d'annodate  spine, 
I  venti   trabalzavano  sul   mare. 
Or  Noto  da  portare  a  Borea  P  offre  , 
Ed  or,   perchè  davanti  a  sé  la  cacci, 
Euro  la  cede  d'  Occidente  al  vento. 

La  bella  il  vide  dal  tallon  di  perla 
Figlia  di  Cadmo,  Ino  chiamata  al  tempo  4^5 
Che  vivea  tra  i  mortali:  or  nel  mar  gode 
Divini  onori ,  e  Leucotéa  si  noma. 
Compunta  il  cor  per  lui  d'alta  pietade, 
S'alzo  dell'onda  fuor,  qtial  mergo,  avolo, 
E,  su  le  travi  bene  avvinte  assisa,  43o 

Così  gli  favellò:  Perchè,  meschino, 
S'  accese  mai  con  te  d' ira  sì  acerba 
Lo  Scuotitor  della  terrena  mole, 
Che  ti  semina  i  mali?  Ah!  non  fia  certo 
Ch'ei,  per  quanto  il  desìi,  spenga  i  tuoi  giorni. 
Ki.  poiché  vista  m'hai  d'uomo  non  folle,  (435 


4oo 


4o5 


4^o 


LIBRO  QUINTO 


Ciò  rh' io  t'insegno.  1  panni  tuoi  svestiti, 
Lascia  il  naviglio  da  portarsi  ai  venti 
K  a  nuoto  cerca  il  Feacese  lido , 
Che  per  meta  de'guai  t'assegna  il  fato.  44° 
Ma  questa  prendi,  e  la  t'avvolgi  al  petto, 
Fascia  immortal,  né  temer  morte  o  danno. 
Tocco  della  Feacia  il  lido  appena, 
Spogliala,  e  in  mar  dal  continente  lungi 
La  gitta  ,  e  torci  nel  gittarla  il  volto.     445 
Ciò  dello,  e  a  lui  l1  immortai  fascia  data, 
Rientrò,  pur  qual  mergo,  in  seno  al  fosco 
Mare  ondeggiante,  che  su  lei  si  chiuse. 

Pensoso  resta  e  in  forse  il  paziente 
Lacrzi'adc  divino  ,  e  con  sé  stesso ,  45o 

Raddoppiando  i  sospir,  tal  si  consiglia  : 
Ohimè!  che  nuovo  non  mi  tessa  inganno 
De1  Sempiterni  alcun ,  che  dal  mio  legno 
Partir  m'ingiunge.  Io  cosi  tosto  penso 
Non  ubbidirgli;  che  la  terra,  «love         455 
Di  scampo  ei  m'  affidò,  troppo  é  lontana. 
Ma  ecco  quel  che  ottimo  panni  :  quanto 
Congiunte  rimarran  tra  lor  le  travi, 
Non  abbindonerolle,  e  co'  disastri 
Fermo  io  combatterò.  Sciorralle  il  flutto? 460 
Porrommi  a  nuoto;  né  veder  so  meglio. 

Tai  cose  in  sé  volgea  ,  quando  Nettuno 
Sollevò  un'onda  immensa,  orrenda .  grave, 
Di  monte  in  guisa,  e  la  sospinse.  Come 
Dispérse  qua  e  là  vanno  le  secche  ^65 

Paglie,  di  cui  sorge.i  gran  mucchio  in  prima, 
Se  inai  le  investe  un  furioso  turbo, 
Le  tavole  pel  mar  disperse  andarn. 
Sovra  un  sol  trave  a  cavalcioni  Ulisse 
Montava  :  i  panni  che  la  Dea  Calipso     47° 
Dati  gli  avea,  svesti,  s'avvolse  al  petto 
L1  immortal  benda,  e  si  gitlò  ne1  gorghi 
Boccon  ,  le  braccia  per  notare  aprendo. 
Né  già  s'  ascose  dal  ceruleo  Iddio, 
Che,  la  testa  crollando,  A  questo  modo  475 
Erra,  dicea  tra  sé,  di  flutto  in   flutto 
Dopo  tante  sciagure ,  e  a  genti  arriva 
Da  Giove  amate  :.  benché  speme  io  porti 
Che  né  tra  quelle  brillerai  di  gioja. 
Cosi  Nettuno  ;  e  della  verde  sferza  4^° 

Toccò  i  cavalli  alle  leggiadre  chiome  , 
Che  il  condussero  ad  Ega,  ove  gli  splende 
Nobile  altezza  di  real  palagio. 

Pallade  intanto,  la  prudente  figlia 
Di  Giove,  altro  pensò.  Fermò  gli  alati   485 
Venti,  e  silenzio  impose  loro,  e  tutti 
Gli  avvinse  di  sopor,  fuorché  il  veloce 
Borea,  che,  da  lei  spinto,   i  vasti  flutti 
Dinanzi  a  Ulisse  infranse,  ond'ei  le  rive 
Del  vago  di  remar  popol  Feace  49° 

Pigliar  potesse,  ed  ingaunar  la  Parca. 
Due  giorni  in  cotal  foggia,  e  tante  notti 
Per  P  ampio  golfo  errava,  e  spesso  il  core 
Morte  gli  presagia.  Ma  quando  PAlba 
Cinta  la  fronte  di  purpuree  rose  495 

Il  di  terzo  recò,  tacquesi  il  vento, 
E  un  tranquillo  sereu  regnava  intorno. 
Ulisse  allor,  cui  levò  in  alto  un  grosso 
Flutto,  la  terra  non  lontana  scórse, 
Forte  aguzzando  le  bramose  ciglia.  5oo 

Quale  appar  dolce  a  un  figliuol  pio  la  vista 
Del  genitor,  che  su  dolente  letto 


»7 

Scarno,  smunto,  distrutto,  e  da  un  maligno 
Demone  giacque  lunghi  di  percosso, 
E  poi  del  micidiul  morbo  cortesi  5o5 

11  disciolser  gli  Dei:  tale  ad  Ulisse 
La  terra  e  il  verde  della  selva  apparve. 
Quinci  ei,  notando  ,  ambi  movea  di  tutta 
Sua  forza  i  piedi  a  quella  volta.  Come 
Presso  ne  fu,  quantod1  uom  corre  un  grido,  5io 
Fiero  il  colpì  romor  :  poiché  i  ruttati 
Sin  dal  fondo  del  mar  flutti  tremendi , 
Che  agli  aspri  si  rompean  lidi  Tonchiosi, 
Strepitavan,  mugghiavano,  e  di  bianca 
Spuma  coprian  tutta  la  sponda,  mentre^  5i5 
Porto  capace  di  navigli,  o  seno 
Non  vi  s'apn'a,  ma  li tt orali  punte 
Risaltavano  in  fuori,  e  scogli  e  sassi. 
Le  forze  a  tanto  ed  il  coraggio  Ulisse 
Fallir  si  sente,  e  dice  a  sé,  gemendo:   520 
Qual  prò  che  Giove  il  disperato  suolo 
Mostri,  e  io  m'abbia  la  via  per  Ponde  aperta, 
Se  dell1  uscirne  fuor  non  veggio  il  come  ? 
Sporgon  su  P  onde  acuti  sassi ,  a  cui 
L1  impetuoso  flutto  intorno  freme,  525 

E  una  rupe  va  su  liscia  e  lucente  : 
Né  cosi  basso  è  il  mar,  che  nell'arena 
Fermare  il  pie  securamente  io  valga. 
Quindi,  s' io  trar  men  voglio,  un  gran  maroso 
Sovra  di  sé  può  tormi,  e  in  dura  pietra  53o 
Cacciarmi;  o  s'io  lungo  le  rupi  cerco 
Notando  un  porto,  o  una  declive  schiena, 
Temo,  non  procellosa  onda  m'avvolga, 
E  sospirando  gravemente  in  grembo 
Mi  risospinga  del  pescoso  mare.  535 

Forse  un  de'mostri  ancor,  che  molti  nutre 
Ne'  gorghi  suoi  la  nobile  Anfìtrite , 
M'assalirà  :  che  l'odio  io  ben  conobbi, 
Che  m'ha  quel  Dio  per  cui  la  terra  trema. 
Slandoegliin  taipensieri,  unasconciaonda  .Vjo 
Traportollo  con  sé  vèr  P  ineguale 
Spiaggia,  che  lacerata  in  un  sol  punto 
La  pelle  av riagli,  e  sgretolate  l'ossa, 
Senza  un  consiglio,  che  nel  cor  gli  pose 
L'occhicerulea  Diva.  Afferrò  ad  ambe     545 
Mani  la  rupe,  in  eh1  ei  già  dava,  e  ad  essa 
Gemendo  s'attenea.  Deluso  intanto 
Gli  passò  su  la  testa  il  violento 
Flutto:  se  non  che  poi,  tornando  indietro, 
Con  nuova  furia  il  ripercosse,  e  lunge    55o 
Lo  sbalzò  della  spiaggia  al  mare  in  grembo. 
Polpo  così  dalla  pietrosa  tana 
Strappato  vicn  ;  salvo  che  a  lui  non  pochi 
Reslan  lapilli  nelle  branche  infitti; 
E  Ulisse  in  vece  la  squarciata  pelle  555 

Delle  nervose  man  lasciò  alla  rupe. 
L'onde  allora  il  coprirò,  e  l'infelice 
Contra  il  fato  pena:  ma  infuse  a  lui 
Nuovo  pensier  P  Occliiazzurrina.  Sorto 
Dall'onde,  il  lido  costeggiava,  ai  flutti,  56o 
Che  vel  portavan,  contrastando,  e  attento 
Mirando  sempre ,  se  da  qualche  parte 
Scendesse  una  pendice,  o  un  seno  entrasse: 
Né  dall'opra  cessò,  che  d'un  bel  fiume 
Giunto  si  vide  all'argentina  foce.  565 

Ottimo  qui  gli  sembrò  il  loco  al  fine, 
Siccome  quel  che  né  di  sassi  aspro  era  , 
Né  discoperto  ai  venti.  Avvisò  ratto 


ODISSEA  LIB.  V 


Il  puro  umor  che  devolveasi  al  mare , 
E  tal  dentro  di  sé  preghiera  feo:  570 

O  chiunque  tu  sii  Re  di  quest'acque, 
Odimi:  a  te,  cui  sospirai  cotanto, 
Gli  sdegni  di  Nettuno  e  le  minacce 
Fuggendo,  io  in1  apprrscnto.  E  sacra  cosa 
Per  gl'Immortali  ancor  Puom,  che  d'altronde 
Venga  errando,  com'io,  che  dopo  molti  (^5^5 
Durati  affanni  ecco  alla  tua  Torrente 
Giungo,  e  ai  ginocchi  tuoi.  Pietà  d'Ulisse, 
Che  tuo  supplice  vedi,  o  Re,  ti  prenda. 
Disse;  ed  il  Nume  acchetò  il  corso,  e  l'ouda  58o 
Ritenne,  sparse  una  perfetta  calma, 
E  alla  foce  il  salvò  del  suo  bel  fiume. 
L'eroe,  tocca  la  terra,  ambo  i  ginocchi 
Piegò  ,  piegò  le  nerborute  braccia  : 
Tanto  il  gran  sale  Paffliggea.  Gonfiava     585 
Tutto  quanto  il  suo  corpo,  e  per  la  bocca 
Molto  mar  gli  sgorgava,  e  per  le  nari; 
Ed  ei  senza  respiro  e  senza  voce 
Giaceasi ,  e  spento  di- vigore  affatto; 
Che  troppa  nel  suo  corpo  entrò  stanchezza.  590 
Ma  come  il  fiato  ed  il  pensier  riebbe, 
Tosto  dal  petto  la  divina  benda 
Sciolse ,  e  gitlolla  ove  amareggia  il  fiume. 
La  corrente  rapivala;  né  tarda 
A  riprenderla  fu  con  man  la  Dea.  5g5 

Ei,  dall'onda  ritrattosi,  chinossi 
Su  i  molli  giunchi ,  e  baciò  P  alma  Terra. 
Poi  nel  secreto  della  sua  grand1  alma 
Così  parlava,  e  sospirava  insieme: 
Eterni   Dei,  che  mi  rimane  ancora  600 

Di  periglioso  a  tollerar?  Dov'  io 
Ouesta  gravosa  notte  al  fiume  in  riva 
Vegghiassi ,  P  aer  freddo  e  il  molle  guazzo 
Potiian  me  di  persona  e  d'alma  infermo 
Struggere  al  tutto;  che  su  i  primi  alhori    6o5 


Nemica  brezza  spirerà  dal  fiume. 
Salirò  al  colle  in  vece  ,  ed  all'  ombrosa 
Selva,  e  m'addormirò  tra  i  folti  arbusti, 
Sol  che  non  vieti  la  fiacchezza  o  il  ghiado, 
Che  il  sonno  in  me  passi  furtivo?  Preda  610 
Diventar  delle  fere  e  pasto  io  temo. 
Dopo  molto  dubbiar  questo  gli  parve 
Men  reo  partilo.  Si  rivolse  al  bosco  , 
Che  non  lungcdall'acqueaun  poggio  in  cima 
Fea  di  sé  mostra,  e  s'  internò  tra  due   6i5 
Si  vicini  arboscei ,  che  dalla  stessa 
Radice  uscir  pareano,   ambi  dP  ulivo  , 
Ma  domestico  Pnn,  l'altro  selvaggio. 
La  forza  non  crollavali  de'  venti  , 
Né  l'igneo  Sole  co' suoi  raggi  addentro  620 
Li  saettava,  né  le  dense  pioggie 
Penetravan  tra  lor  :  sì  uniti  insieme 
Crebbero,  e  tanto  s'  intrecciaro  i  rami. 
Ulisse  sottentrovvi ,  e  ammonticossi 
Di   propria  man  comodo  letto,  quando  G25 
Tal  ricchezza  era  qui  di  foglie  sparse  , 
Che  ripararvi  uomini  tre,  non  che  uno, 
Potuto  avn'ano  ai  più  crudeli  verni. 
Gioì  alla  vista  delle  molte  foglie 
L'uom  divino,  e  corcossi  entro  alle  foglie,  63o 
E  a  sé  di  foglie  sovrappose  un  monte. 
Come  se  alcun  che  solitaria  suole 
Condur  la  vita  in  sul  confili  d'un  campo, 
Tizzo  nasconde  fumeggiante  ancora 
Sotto  la  bruna  cenere,  e  del  foco,  635 

Perchè  cercar  da  sé  lungi  noi  debba , 
Serba  in  tal  modo  il  prezioso  seme  : 
Così  celossi  tra  le  foglie  Ulisse. 
Pallade  allor,  che  di  sì  rea  fatica 
Bramava  torgli  l'importuno  senso,  640 

Un  sonno  gli  versò  dolce  negli  occhi, 
Le  dilette  palpebre  a  lui  velando. 


LIBRO  SESTO 


ARGOMENTO 

Pallade  va  nell'isola  de'  Feaci ,  ed  appare  in  sogno  a  Nausica  figlia  del  re  Alcinoo;  e  I' esorla  condursi  al 
fiume  a  lavar  le  vesli,  avvicinandosi  il  giorno  delle  sue  none.  Nausica,  ottennio  dal  padre  il  cocchio,  esce 
della  città.  Lavale  le  vesti,  meilesi  a  giuocare  alla  palla  con  le  sue  ancelle.  Lo  strepilo  risveglia  Ulisse,  clic 
ancor  domila,  e  che,  presenlalosi  alla  Principessa,  pregai»  di  sovvertimento.  Ella  il  soccorre  di  cito  e  ve- 
stito, e  guidalo  alla  città. 


Iflentre  sepolto  in  un  profondo  sonno 
Colà  posava  il  travagliato  Ulisse, 
Minerva  al  popol  de'  Feaci,  e  all'alia 
Lor  città  s'  avviò.  Questi  da  prima 
Ne' vasti  (Piperei  fecondi  piani 
Far  dimora  solean,  presso  i  Ciclopi, 
Gente  di  cor  superbo,  e  a' suoi  vicini 
Tanto  molesta  più,  quanto  più  lorte. 
Quindi  Nausitoo,  somigliante  a  un  Dio, 
Di  tal  sede  levolli,  e  in  una  terra,  1 

Che  dagli  uomini  industri  il  mar  divide, 
Gli  allocò,  nella  Scheria;  e  qui  coudusse 
Alla  cittatle  una  muraglia  intorno, 
Le  case  fabbricò,  divise  i  campi, 


E  agl'Immortali  i  sacri  templi  eresse.       i5 
Colpito  dalla  Parca,  ai  foschi  regni 
Era  già  sceso,  e  Alcinoo,  che  i  beati 
Numi  assennato  avean,  reggea  lo  scettro. 
L'  occhicilestra  Dea,  che  sempre  fìssa 
Nel  ritorno  d'  Ulisse  avea  la  mente,  20 

Tenne  verso  la  reggia,  e  alla  secreta 
Dedalea  stanza  si  rivolse,  dove 
Giovinetta  dormi'a,  che  le  Immortali 
D'indole  somigliava,  e  di  fattezze, 
Nausica,  del  re  figlia;  ed  alla  porta,        25 
Che  rinchiusa  era,  e  risplendea  nel  bujo, 
Giacean  due,  P  una  quinci  e  l'altra  quindi, 
Pudiche  ancelle,  cui  le  Grazie  istesse 


LI  UKO  SESTO 


Di  non  vulgar  beltà  la  faccia  ornaro. 

L;i  Dea  efie  gli  occhi  in  azzurrino  tinge,    5o 
Quasi  Gato  leggici'  ili   picciol  vcnlo, 
S'avvicinò  della  fanciulla  al  letto, 
E  sul  capo  le  slette,  e,  preso  il  volto 
Della  figlia  del  prode  in   mar  Dimanle 
Mollo  a  lei  cara,  e  ugual  d1  etade  a  lei,  35 
Colali  le  drizzò  voci   nel  sonno: 
Deh,   Nausica,  perchè  te  cosi  lenta 
La  genitrice  partorì?  Neglette 
Lasci  giacerti  le  leggiadre  vesli, 
Benché  delle  tue  nozze  il  di  s'appressi,  ^o 
Quando  le  membra  tue  cinger  dovrai 
Delle  vesli  leggiadre,  e  a  quelli  offrirne, 
Che  srorgeranti  dello  sposo  ai  tctli. 
Cosi  fama  s'  acquista,  e  ne  gioisce 
Col  genitor  la  veneranda  madre  ^5 

Dunque  i  bei  panni,  come  il  ciclo  imbianchi, 
Vadasi  a  por  nell'onda:  io  ncll'  impresa, 
Onde  trarla  più  ratto  a   Imi  tu  possi, 
Compagna  ti  sarò.  Vergine,  io  creilo, 
Non  rimarrai  gran  pezza;  e  già  ili  questo,   5o 
Tra  cui  nascesti  e  tu,  Popol  feace 
I  migliori  ti  amhiscono.  Su  via, 
Spuntato  appena  in  Oriente  il  Sole, 
Trova  l' inclito  padre,  e  de'  gagliardi 
Muli  il  richiedi,  e  del  polito  carro,  55 

Che  i  pepli,  gli  scheggiali  e  i  preziosi 
Manti  conduca:  poiché  si  distanno 
Dalla  città  i  lavacri,  che  del  cocchio 
Valerti,  e  non  del  piede,  a  te  s'addice. 

Finiti  eh' ehhe  tali  accenti,  e  messo  6o 

Consiglio  tal  della  fanciulla  in  petto, 
La  Dea,  che  guarda  con  azzurre  luci, 
All'  Olimpo  tornò,   tornò  alla  ferma 
De'  sempiterni   Dei  sede  tranquilla, 
Che  né  i  venti  commuovono,  né  bagna    65 
La  pioggia  mai,  né  mai  la  neve  ingombra; 
Ma  un  seren  puro  vi  si  spande  sopra 
Da  nube  alcuna  non  offeso,  e  un  vivo 
Candido  lume  la  circonda,  in  cui 
Si  i:iocondaii  mai  sempre  i  Dii  beati.        70 

L'  Aurora  intanto  d'  in  su  l'aureo  trono 
Comparve  in  Oriente,  e  alla  sopita 
Vergine  dal  bel  peplo  i  lumi  aperse. 
La  giovinetta  s'  ammirò  del  sogno, 
E  al  padre  per  narrarlo,  ed  alla  madre    ^5 
Corse,  e  trovolli  nel  palagio  entrambi. 
La  madre  assisa  al  focolare,  e  cinta 
Dalle  sue  fanti,  e,  con  la  destra  al  fuso, 
Lane  di  Gna  porpora  torcea. 
Ma  nel  caro  suo  padre,  in  quel  che  al  grande  80 
Concilio  andava,  ove  atlendèanlo  i  capi 
De'  Feacesi,  s'  abbattè   Nansica, 
E,  stringendosi  a  lui,   Babbo  mio  dolce, 
Non  vuoi  tu  farmi  apparecchiar,  gli  disse, 
L1  eccelso  carro  dalle  lievi   ruote,  85 

Acciocché  le  neglette  io  rechi  al   fiume 
Vesti  oscurate,  e  nitide  le  torni? 
Troppo  a  te  si  convien,  che  tra  i  soprani 
Nelle  consulte  ragionando  siedi, 
Seder  con  monde  vestimenta  in  dosso.      90 
Cinque  in  casa  ti  vedi  amati  Ggli, 


Due 


nel  maritaggio,  e  tre  cui  ride 


Celibe  Gor  di  giovinezza  in  volto. 
Questi  al  ballo  ir  vorrian  con  panni  sempre 


9 
»5 


Giunti  dalle  lavande  allora  allora. 

E  tai  cose  a  me  son  pur  tutte  in  cura 

Tacquesi  a  tanto;  che  toccar  le  nozze 
Sue  giovanili  non  s'  ardia  col  padre. 
Ma  ei  comprese  il  tutto,  e  sì  rispose: 
Né  di  qucsio  io  potvei,  né  d'  altro,  o  Gglia,  100 
Non  soddisfarti.  Va:  l'alto  impalcato 
Carro  veloce  appresteranti  i  servi. 
Disse;  e  gli  ordini  diede,  e  pronti  i  servi 
La  mular  biga  dalle  lievi  ruote 
Trasser  fuori,  e  allestirò,  e  i  forti  muli  io5 
Vi  miser  sotto,  e  gli  accoppiare,  intanto 
Venia  Nausica  con  le  belle  vesti, 
Che  su  la  biga  lucida  depose. 
Cibi  graditi  e  di  sapor  diversi 
La  madre  collocava  in  gran  paniere,       110 
E  nel  capace  sen  d'  otre  caprigno 
Vino  infondea  soave:  indi  alla  Gglia, 
Ch'  era  sul  cocchio,  perchè  dopo  il  bagno 
Sé  con  le  ancelle,  che  seguianla,  ungesse  , 
Porse  in  ampolla  d'or  liquida  oliva.        n5 
Nausica  in  man  le  rilucenti  briglie 
Prese ,  prese  la  sferza,  e  die  di  questa 
Sovra  il  tergo  ai  quadrupedi  robusti, 
Che  si  moveano  strepitando,  e  i  passi 
Senza  posa  allungavano,  portando  120 

Le  vesti,  e  la  fanciulla,  e  non  lei  sola, 
Quando  ai  Ganchi  di  lei  sedean  le  ancelle. 

Tosto  che  fur  dell'  argentino  fiume 
Alla  pura  corrente,  ed  ai  lavacri 
Di  viva  ridondanti  arqua  perenne, 
Da  cui  macchia  non  è  rhe  non  si  terga, 
Sciolsero  i  muli,  e  al  vorticoso  fiume, 
11  verde  a  morsecchiar  cibo  soave 
Del  mele  al  pari,  li   mandaro  in  riva. 
Poscia  dal  cocchio  su  le  braccia  i  drappi 
Recavansi,  e  gittavangli  nell'onda, 
Che  nereggiava  tutta;  e  in  larghe  fosse 
Gianli  con  presto  pie  pestando  a  prova. 
Purgati  e  netti  d'ogni  lor  bruttura, 
L'  uno  appo  1*  altro  gli  stendeau  sul  lido, 
Là  dove  le  pietruzze  il  mar  poliva. 
Ciò  fatto,   si  bagnò  ciascuna,  e  s'  unse, 
E  poi  del  fiume  pasteggiar  sul  margo: 
Mentre  d'alio  co'  raggi  aureolucenti 
Gli  slessi  drappi  rasciugava  il  Sole. 
Ma,  spento  della  mensa  ogni  desio, 
Una  palla  godean  trattar  per  gioco, 
Deposti  prima  dalla  testa  i  veli; 
Ed  il  canto  intonava  alle  compagne 
Nausica  bella  dalle  bianche  braccia. 
Come  Diana  per  gli  eccelsi  monti 

0  del  Taigeto  muove,  o  d'  Erimanto, 
Con  la  faretra  agli  omeri,  prendendo 
De'  ratti  cervi  e  de'  cinghiai  diletto: 
Scherzan,  prole  di  Giove,  a  lei  d' intorno  l5o 
Le  boscjierecce  Ninfe,  onde  a  Latona 
Serpe  nel  cor  tacita  gioja;  ed  ella 

Va  del  capo  sovrana,  e  della  fronte 
Visibilmente  a  tutte  l'altre,  e  vaga 
Tra  loro  è  più  qual  da  lei  meno  è  vinta:    1 55 
Così  spiccava  tra  le  ancelle  questa 
Da  giogo  maritai  vergine  intatta. 
Nella  stagion  che  al  suo  paterno  tetto, 

1  muli  aggiunti,  e  ripiegati  i  manti, 
Ritornar  disponea,  nacque  un  novello 


■5 


3o 


35 


140 


i45 


160 


3» 


ODISSEA 


Consiglio  in  mente  ali1  occhiglauca  Diva, 
Perchè  Ulisse  dissonnisi,  e  gli  appaja 
La  giovinetta  dalle  nere  ciglia, 
Che  de1  Feaci  alla  cittade  il  guidi. 
Nausica  in  man  tolse  la  palla,  e  ad  una  i65 
Delle  compagne  la  scagliò:  la  palla 
Desvi'ossi  dal  segno  a  cui  volava, 
E  nel  profondo  vortire  cade. 
Tutte  misero  allora  un  alisi  grido, 
Per  cui  si  ruppe  incontanente  il  sonno  170 
Nel  capo  a  Ulisse,  che  a  seder  drizzossi, 
Tai  cose  in  sé  volgendo:  Ahi  fra  qual  gente 
Mi  ritrovo  io?  Cruda,  villana,  ingiusta, 
O  amica  degli  estrani ,  e  ai  Dii  sommessa? 
Quel,  che  l'orecchio  mi  percosse,  un  grido  i?5 
Femminil  panni  di  fanciulle  Ninfe  , 
Che  de1  monti  su  i  gioghi  erti,  e  de1  fiumi 
Nelle  sorgenti,  e  per  1'  erbose  valli 
Alhergano.  O  snn  forse  umane  voci, 
Che  testé  mi  ferirò?  Io  senza  indugio     180 
Dagli  stessi  occhi  miei  sapronne  il  vero. 
Ciò  detto,  uscia  l1  eroe  fuor  degli  arbusti, 
E  con  la  man  gagliarda    in  quel  che  usci'a, 
Scemò  la  selva  d1  un  foglioso  ramo, 
Che  velame  gli  valse  ai  fianchi  intorno.     i85 
Quale  dal  natio  monte,  ove  la  pioggia 
Sostenne  e  i  venti  impetuosi,  cala 
Leon,  che  nelle  sue  forze  confida: 
Foco  son  gli  occhi  suoi;greggiaed  armento, 
O  le  cerve  sabatiche,  al  digiuno  190 

Ventre  ubbidendo,  parimente  asfalta, 
Né,  perchè  senta  ogni  pastore  in  guardia, 
Tutto  teme  investir  l'ovile  ancora: 
Tal,  benché  nudo,  sen  veniva  Ulisse, 
Necessità  stringendolo,  alla  volta  ig5 

Delle  fanciulle   dal  ricciuto  crine, 
Cui,  lordo  di  salsuggine,  com'era, 
Sì  fiera  cosa  rassembrò,  che  tutte 
Fuggirò  qua  e  là  per  Palle  rive. 
Sola  d1  Alcinoo  la  diletta  figlia,  200 

Cui  Pallade  nelP  alma  infuse  ardire, 
E  francò  d'ogni  tremito  le  membra, 
Piantossigli  di  contra,  e  immota  stette. 
In  due  pensieri  ei  dividea  la  mente: 
O  le  ginocchia  strignere  a  Nausica,         2o5 
Di  supplicante  in  atto,  o  di  lontano 
Pregarla  molto  con  blande  parole, 
Che  la  città  mostrargli,  e  <P  una  vesta 
Rifornirlo,  volesse.  A  ciò  s'attenne; 
Che  dello  strigner  de'  ginocchi  sdegno   aio 
Temea  che  in  lei  si  risvegliasse.  Accenti 
Dunque  le  inviò  blandi  e  accorti  a  un  tempo. 
Regina,  odi  i  miei  voti.  Ah  degg'io  Dea 
Chiamarti ,  o  umana  donna? Se  tu  alcuna 
Sci  delle  Dive  che  in  Olimpo  han  seggio,  2i5 
Alla  beltade,  agli  atti,  al  maestoso 
Nobile  aspetto,  io  P  immortai  Diana, 
Del  gran  Giove  la  figlia,  in  te  ravviso. 
E  se  tra  quelli,  che  la  terra  nutre, 
Le  luci  apristi  al  dì,  tre  volte  il  padre    220 
Beato,  e  tre  la  madre  veneranda, 
E  beati  tre  volte  i  tuoi  germani, 
Cui  di  conforto  almo  s1  allarga  e  brilla 
Di  schietta  gioja  il  cor,  sempre  che  in  danza 
Veggiono  entrar  sì  grazioso  germe.         225 
Ma  felice  su  tutti  oltra  ogni  detto 


Chi  potrà  un  dì  nelle  sue  case  addurti 
D'illustri  carca  nuziali  cloni. 
Nulla  di  tal  s'offerse  iniqua  nel  volto 
O  di  femmina,  o  d'uomo,  alle  mie  ciglia:  2?o 
Stupor,  mirando,  e  riverenza  tienimi. 
Tal  quello  era  bensì,  che  un  giorno  in  Delo  , 
Presso  l'ara  d'Apollo,  ergersi  io  vidi 
Nuovo  rampollo  di  m inibii   palma: 
Che  1  Delo  ancora  io  mi  condussi,  e  molta  235 
Mi  seguii  gente  armata  in  quel  viaggio 
Che  in  danno  riuscir  doveami  al  fine. 
E  com'io,  fissi  nella  palma  gli  occhi, 
Colmo  restai  di  maraviglia ,  quando 
Di  terra  mai  non  sorse  arbor  sì  bello,  :i^o 
Così  te,  donna,  stupefatto  ammiro, 
E  le  ginocchia  tue,   benché  m'  opprima 
Dolore  immenso,  io  pur  toccar  non  oso. 
Me  uscito  dell'  Ogigia  isola  dieci 
Portava  giorni,  e  dieci  il  vento  e  il  fiotto.  2^5 
Scampai  dall'onda  ieri  soltanto,  e  un  Nume 
Su  queste  piagge,  a  trovar  forse  nuovi 
Disastri,  mi  gittò  :  poscia  che  stanchi 
Di  travagliarmi  non  cred'  io  gli  Eterni. 
Pietà  di  me,  Regina  ,  a  cui  la  prima,   25o 
Dopo  tante  sventure,  innanzi  io  vegno , 
Io,  che  degli  abitanti,  o  la  campagna 
Tengali,  o  la  città,  nessun  conobbi. 
La  cittade  m'addita,  e  un  panno  dammi, 
Che  mi  ricopra;  dammi  un  sol,  se  panni  255 
Qua  recasti  con  te,  di  panni  invoglio. 
E  a  te  gli  Dei,  quanto  il  tuo  cor  desia, 
Si  compiacciali  largir:  consorte  e  figli  , 
E  un  sol  volere  in  due;  però  ch'io  vita 
Non  so  più  invidiabile,  che  dove  260 

La  propria  casa  con  un'alma  sola 
Veggonsi  governar  marito  e  donna. 
Duol  grande  i  tristi  n'  hanno,  e  gioja  i  buoni  : 
Ma  quei  ch'esultan  più,   sono  i  due  sposi. 
O  forestier,  tu  non  mi  sembri  punto       265 
Dissennato  e  dappoco,  allor  rispose 
La  verginetta  dalle  bianche  braccia. 
L'olimpio  Giove,  che  sovente  al  tristo 
Non  mcn  che  al  buon  felicità  dispensa , 
Mandò  a  te  la  sciagura  ,  e  tu  da  forte    270 
La  sosterrai.    Ma,  poiché  ai  nostri  lidi 
Ti  convenne  approdar,  di  veste,  o  d'altro, 
Che  ai  supplici  si  debba,  ed  ai  meschini  , 
Non  patirai  disagio.  Io  la  cittade 
Mostrarti  non   ricuso,  e  il  nome  dirti     2^5 
Desìi  abitanti.  E  de'  Feaci  albergo 
Questa  fortunata  isola  ;  ed  io  nacqui 
Dal  magnanimo  Alcinoo,  in  n\\  la  somma 
Del  poter  si  restringe,  e  dell'impero. 
Tal  favellò  Nausica;  e  alle  compagne,       280 
Olà,  disse,  fermatevi.  In  qual  parte 
Fuggite  voi,  perchè  v'apparse  un  uomo? 
Mirar  credeste  d'  un  nemico  il  volto? 
Non  fu,  non  è,  e  non  fia  chi  a  noi  s'attenti 
Guerra  portar:  tanto  agli  Dei  siam  cari.  285 
Oltre  che  in  sen  dell'ondeggiante  mare 
Solitarj  viviam ,  viviam  divisi 
Da  tutto  l'altro  della  stirpe  umana. 
Un  misero  è  costui ,  che  a  queste  piagge 
Capitò  errando,  e  a  cui  pensare  or  vuoisi.  290 
Gli  stranieri,  vedete,  ed  i  mendichi 
Vengon  da  Giove  tutti,  e  non  v'ha  dono 


libro  sesto 


Picciolo  si ,  che  lor  non  tórni  caro. 
Su  via  ,  di  cibo  e  di   bevanda  il  nuovo 
Ospite  soccorrete;  e  pria  d1  un  bagno     20,5 
Colà  nel  fiume,  ove  non  puole  il  vento. 
Le  compagne  risi  ero,  ed  a  vicenda 
Si  rinroraro;  e,  come  avea  d'Alcinoo 
La  figlia  ingiunto  ,  sotto  un  bel  frascato 
Menare  Ulisse,  e  accanto  a  lui  le  vcs>li  3oo 
Poser,   tunica  e  manto,  e  la  rinchiu  a 
Nell'ampolla  dell'or  liquida  oliva: 
Quindi  ad  entrar  col  pie  nella  corrente 
Lo  inanimirò.  Ma  l'eroe:  Fanciulle, 
Appartarvi   da  me  non   vi  sia  grave,         3o5 
Finché  io  questa  snlsnggine  marina 
Mi  terga  io  stesso,  e  del  salubre  m'unga 
Dell'  oliva  licor,  conforto  ignoto 
Da  lungo  tempo  alle  mie  membra.  Io  certo 
Non   laverommi  nel  cospetto   vostro;        3lO 
Che  tra  voi  starmi   non  ardisco  ignudo. 
Trasser  le  ancelle  indietro,  ed  a  Nausica 
Ciò  riportato.  Ei  dalle  membra  il  sozzo 
Nettunio  sai,  che  gì'  incrostò  le  larghe 
Spalle  ed   il  tergo,  si  togliea  col  fiume,   3i5 
E  la   bruttura  del  feroce  mare 
Dal  capo  s'astergea.   Ma  come  tutto 
Si  fu  lavato  ed   unto,   e  di  que' panni 
Vestito,  ch'ebbe  «la  Nansica  in  dono, 
Lui  Minerva,  la  prole  alma  di  Giove,    3ao 
Maggior  «l'aspetto,  e  più  ricolmo  in  faccia 
Rese,  e  più  fresco,  e  de' capei  lucenti, 
Che  «li  giacinto  a  fior  parean  sembianti, 
Su    gli   omeri  cader  gli  feo  le  anella. 
E  qual  se  dotto  mastro,  a  cui  dell' arte  325 
Nulla  celaro    Pallade  e  Vulcano, 
Sparge  all'argento  il  liqnid'oro  intorno 
Sì ,  che  all'  ultimo  suo  giunge  con  l1  opra  : 
Tale  ad  Ulisse  l'Atcnéa  Minerva 
Gli  omeri  e  il  capo  di  «lecoro  asperse,  33o 
Ad  Ulisse,  che  poscia,  ito  in  disparte, 
Su  la  riva  sedea  del  mar  canuto, 
Di  grazia  irradiato  e  di  beltadc. 
La  donzella  stordiva,  ed  all'  ancelle 
Dal  crin  ricciuto  disse  :  Un  mio  pensiero  335 
Nascondervi  io  non  posso.  Avversi,  il  giorno 
Che  le  nostre  afferrò  sponde  beate, 
Non  erano  a  costui  tutti  del  cielo 
Gli  abitatori  :  egli  d'uom  vile  e  abbietto 
Vista  m'  avea  da  prima,  ed  or  simile    3^o 
Sembrami  a  un  Dio  che  su  l'Olimpo  siede. 
Oh  colui  fosse  tal,  che  i  Numi  a  sposo 
Mi  destinare  !  Ed  oh  piacesse  a  lui 
Fermar  qui  la  sua  stanza!  Orsù,  di  cibo 
Sovvenitelo,  amiche,  e  di  bevanda.  3^5 

Quelle  ascoltaro  con  orecchio  teso , 
E  il  comando  seguir  :  cibo  e  bevanda 
All'ospite  imbandirò;  e  il  paziente 
Divino  Ulisse  con  bramose  fauci 
L'uno  e  l'altra  prendea,qual  chi  gran  tempo  35o 
Bramò  i  ristori  della  mensa  indarno. 
Qui   l'oceliinera  vergine  novello 
Partito  immaginò.  Sul  vago  carro 
Le  ripiegate  vestimenta  pose  , 
Aggiunse  i  muli  di  forte  unghia,  e  salse.  355 
Poi  così  Ulisse  confortava:  Sorgi, 
Slranier,  se  alla  ciltade  ir  ti   talenta, 
E   il  mio  padre  veder,  nel  cui  palagio 


S'  accoglleran  della  Feacia  i  capi.       , 
Ma,  «piando  folle  non  mi  sembri  punto,  36o 
Colai   modo  tirrai.  Finché  moviamo 
De' buoi  tra  le  fatiche,  e  de' coloni, 
Tu  con  le  ancelle  dopo  il  carro  vieni 
Non  lentamente  :  io  ti  sarò  per  guida. 
Come  da  presso  la  ciltade  avremo,         365 
Divideremo.  E  la  città  «la  un  alto 
Muro  cerchiata,  e  due  bei  porti  vanta 
D'angusta  foce,  un  quinci,  e  l'altro  quindi, 
Su  le  cui  rive  tutti   in  lunga  fila 
Posan  dal  mare  i  naviganti    legni.  3no 

Tra  un  porto  e  l'altro  si   distende  il  foro 
Di  pietre  quadre  ,  e  da  vicina  cava 
Condotte,  lastricato  :  e  al  foro  in  mezzo 
L'  antico  tempio  di  Nettun  si  leva. 
Colà  gli  arnesi  delle  negre   navi ,  3^5 

Gomene  e  vele ,  a  racconciar  s' intende , 
E  i  remi  a  ripolir:  che  d<;' Feaci 
Non  lusingano  il  core  archi  e  faretre, 
Ma  veleggiane  e  remiganti  navi, 
Su  cui  passano  allegri  il  mar  spumante.  38o 
Di  rotestoro  a   mio  potere  io  sfuggo 
Le  voci  amare ,  non  alcun  'da  tergo 
Mi  morda,  e  tal,  che  s'abbattesse  a  noi, 
Della  feccia  più  vii,  Chi  è,  non  dica, 
"Quel  forestiero  che  Nausica  siegue,  385 

Hello  d'aspetto  e  grande  ?  Ove  trovollo? 
Certo  è  Io  sposo.  Forse  alcun   di  quelli, 
Che  da  noi  parte  il  mar,  ramingo  giunse, 
Ed  ella  il  ricevè,  che  liscia  di  nave  : 
O  da  lunghi  chiamalo  ardenti  voti  3qo 

Scese  di  cielo ,  e  le  comparve  un  Nume 
Che  seco  riterrà  tutti  i  suoi  giorni. 
Più  bello  ancor,  se  andò  ella  stessa  in  traccia 
D'uom  d'altronde  venuto,  e  a  lui  donossi , 
Dappoi  che  i  molti,  che  l'ambiano,  illustri  395 
Feaci  tanto  avanti  ebbe  in  dispetto. 
Così  diriano;  e  crudelmente  offesa 
Ne  sarìa  la  mia  fama,  lo  stessa  sdegno 
Concepirei  contra  chiunque  osasse , 
De'  genitori  non  contenti  in  faccia,        4°° 
Pria  meschiarsi  con  gli  uomini,  che  sorto 
Fosse  delle  sue  nozze  il  dì  festivo. 
Dunque  a1  miei  detti  bada;  e  leggiermente 
Ritorno  e  scorta  impetrerai    dal  padre. 
Folto  di  pioppi  ed  a  Minerva  sacro         4°5 
Ci  s'offrirà  per  via  bosco  fronzuto, 
Cui  viva  fonte  bagna,  e  molli  prati 
Cingono  :  ivi  non  più  dalla  cittade 
Lontan,  che  un  gridar  d'uomo,  il  bel  podere 
Giace  del  padre,   e  l'orto  suo  verdeggia.  410 
Ivi,  tanto  che  a  «piella  ed  al   paterno 
Tetto  io  giunga,  sostieni;  e  allor  che  giunta 
Mi  crederai  ,  tu  pur  t'inurba,   e  cerca 
Il  palagio  del  Re.  Del  Re  il  palagio 
Gli  occhi  tosloa.sèchiama.eunfanciullino  4' 5 
Vi  ti  potria  condur;  che  de' Feaci 
Non  sorge  ostello  che  il  paterno  adegui. 
Entrato  nel  cortil  ,   rapidamente 
Sino  alla  madre  mia  per  le  superbe 
Camere  varca.  Ella  davanti  al  foco,         42° 
Che  del  suo  lume  le  colora  il  volto, 
Siede,  e,  poggiata  a  una  colonna,  torce, 
Degli  sguardi  stupor,  purpuree  lane. 
Sintonia  a  tergo  le  fantesche,  e  presso 


m 

S'alzatici  padre  il  trono,  inch'ei ,  qual  Dio,  4^5 
S'adagia,  e  della  vite  il  nettar  bcc. 
Declina  il  trono,  e  stendi  alle  ginocchia 
Della  madre  le  braccia;  onde  tra  poco 
Del  tuo  ritorno  alle  natie  contrade, 
Per  remote  clic  sien,  ti  «ponti  il  giorno.  43o 
Studiati  entrarle  tanto  o  quanto  in  core; 
E  di  non  riveder  le  patrie  sponde  , 
Gli  alberghi  aviti,  e  deg'i  amici  il  volto, 
Bandisci  dalla  mcnle  ogni  sospetto. 
Detto  così,  della  lucente  sferza  435 

Die  su  le  groppe  ai  vigorosi  midi  , 
Che  pronti  si  lasciare  il  fiume  addietro. 
Veni  in  correndo,  ed  alternando  a  gara, 
Bello  a  vedersi,  le  nervose  gambe; 
E  la  donzella,  perchè  Ulisse  a  piede       44° 
Lei  con  le  ancelle  seguitar  potesse  j 


ODISSEA  LIB.  VI 


Attenta  carreggiava,  e  fea  con  arte 
Scoppiare  in  alto  della  sferza  il  suono. 
Cadea  nelP  acque  occidentali  il  Sole, 
Che  al  sacro  di  Minerva  illustre  bosco    44^ 
Furo;  ed   Ulisse  ivi  s'assise.  Quindi 
A  Minerva  pregava  in  tali  accenti  : 
Odimi,  invitta  dell1  Egioco  figlia, 
Ed  oggi  almen  fa  pieni  i  voti  miei 
Tu,  che  pieni  i  miei  voti  unqua  non  festi,   fóo 
Finché  su  Tonde  mi  sbalzò  Nettuno. 
Tu  dammi,  che  gradito,  e  non  indegno 
Di  pietade,  ai  Feaci  io  m' appresemi. 
Disse,  e  Palla  l'udì:  ma  non  ancora 
Visibilmente  gli  assistea,  per  tema         455 
Del  zio  possente,  al  cui  tremendo   cruccio 
Era,  pria  che  i  natii  lidi  toccasse, 
Bersaglio  eterno  il  pari  ai  Numi  Ulisse. 


LIBRO   SETTIMO 


ARGOMENTO 

Natisi™  ffiun»»  alta  città  od  alla  reggia ,  e  Ulisse  poco  dopo,  a  cni  Minerva  sodo  umana  forma  presen- 
tasi, e  clini  più  cose  informa  ,  che  saper  gli  conviene.  Stupore  di  Ini  alla  vista  del  palagio  d  Alan.,»,  e  de- 
seminile  c»<i  di  anesl»,  come  del  famoso  giardino,  hntralo  nel  palagio,  supplica  la  regina  Arde,  dalla 
anale  come  por  dal  Re  e  dagli  altri  capi,  è  con  benignila  ricevuto.  Interrogalo  dalla  R^gma ,  che  nco- 
nobbele  vesti  eh' egli  avea  indosso,  narra  in  qual  mudo  capitò,  lasciala  Calipso  ,  all'isola  de  leaci. 


jyjLentre  così  pregava  il  paziente 
Divino  Ulisse,  dal  vigor  de1  muli 

Portata  era  Nausica  alla  cittade. 
Giunta  d'Alcinoo  alla  magion  sublime  , 
S'arrestò  nel  vestibolo;  e  i  germani,  5 

Belli  al  par  degli  Eterni .  intorno  a  lei 
D'ogni  parte  venian  :  sciolsero  i  muli, 
E  le  vesti  recaro  entro  la  reggia. 
Ma  la  fanciulla  il  piede  alla  secreta 
Movea  sua  stanza ,  e  raccendeale  il  foco   1 0 
Euriinedusa  ,  una  sua  vecchia  fante, 
Nata  in  Epiro,  e  su  le  negre  navi 
Condotta,  e  al  prode  Alcinoo  offerta  in  dono, 
Perchè  ai  Feaci  ci  comandava,  e  lui, 
Qual  se  un  Dio  favellasse,  udian  le  genti.  l5 
Costei  Nausica  dal  braccio  di  neve 
Rallevò  nel  palagio  ;  ed  ora  il  foco 
Raccendeale,  e  mettea  la  cena  in  punto. 

Ulisse  intanto  sorse,  e  il  cammin  prese 
Della  città.  Ma  l'Atene'a  Minerva,  20 

Che  da  lui  non  torcea  1' occhio  giammai , 
Di  molta  il  cinse  impenetrabil  nebbia, 
Onde  nessun  Feace  o  di  parole  , 
Scontrandolo,  il  mordesse,  o  il  domandasse 
Del  nome  e  della  Patria.  Ei  già  già  entrava  25 
Nell'amena  città,  quando  la  Diva 
Gli  occhi  cerulea  se  gli  fece  incontro. 
Non  dissimile  a  vergine  che  piena 
Sul  giovinetto  capo  urna  sostenti. 
Stettegli  a  fronte  in  tal  sembianza,  e  Ulisse  3o 
Così  la  interrogava:  O  figlia,  al  tetto 
D'Alcinoo,  che  tra  questi  uomini  impera, 
Vuoi   tu  condurmi?  Io  foreslier  di   limge, 
E  dopo  molti  guai  venni,  né  alcuno 


35 


Della  città  conobbi,  o  del  contorno. 
Ospite  padre,   risponde»  la  Diva 
Dai  glauchi  lumi ,    il   tetto  desiato 
Mostrar  ti  posso  di  leggier  ;  che  quello 
Del  mio  buon  genilor  per  poco  il  tocca. 
Ma  in  silenzio  tu  seguimi  ,  e  lo  sguardo  4° 
Non  drizztrc  ad  alcun  ,  non  che  la  voce. 
Render  costoro  agli  stranieri  onore 
Non  sanno  punto,  né  accoglienze  amiche 
Trova  ,  o  carezze  qui ,  chi  altronde  giunga. 
Essi ,  fidando  nelle  ratte  navi  ,  fó 

Per  favor  di  Nettuno  il  vasto  mare 
In  un  istante  varcano  :  veloci 
Come  l'ale  o  il  pensier  sono  i  lor  legni. 
Dette  lai  cose  ,  frettolosa  Pilla 
Gli  entrava  innanzi,  e  l'orme  ei  ne  calcava;  5o 
Né  i  Feaci  scorgeanlo  andar  tra  loro, 
Così  volendo  la  possente  Diva, 
Pallade,  che  al  suo  ben  sempre  intendea, 
E  di  sacra  P  avvolse  oscura  nube. 
Ulisse  i  porli  e  i  ben  costrutti  legni         55 
Maravigliava,  e  le  superbe  piazze, 
Ove  i  prenci  s'assembrano,  e  le  lunghe, 
Spettacolo  ammirando,  eccelse  mura 
Di  steccati  munite  e  di  ripari. 
Ma  non  prima  d'Alcinoo  alle  regali  6o 

Case  appressaro,  che  Minerva  disse: 
Eccoti ,  ospite  padre ,  in  faccia  il  tetto 
Che  mi  richiedi  :  là  vedrai  gli  alunni 
Di  Giove,  i  prenci,  a  lauta  mensa  assisi. 
Cacciati  dentro,  e  non  temer:  Puom  franco  65 
D'ogni  difficoltate,  a  cui  s'incontri, 
Meglio  si  trae,  benché  di  lunge  arrivi. 
Pria  la  Regina,  che  si  noma  Aretc, 


LIBRO  SETTIMO 


E  cornuti  ron  Alcinoo  il  sangue  vanta, 
Ti  s'offrirà  alla  vista.  Il  Dio  che  scuote  70 
Del  suo  tridente  la  terrena  mole , 
Un  bamhin   ricevè  dalla  più  bella 
Donna  di  quell'età,   da  Peribéa , 
Figlia  minor  di  Eurimedonte,  a  cui 
De1  Giganti  obbedia  1'  oltracotata  ?5 

Progenie  rea ,   che  per  le  lunghe  guerre 
Tutta  col  suo  Re  stesso  al  6n  s'  estinse. 
Nel  tini  di  lei  s'accese,  e  n'ebbe  un  figlio, 
Nausitoo  generoso,  il  qual  fu  padre 
Di  Ressenore  e  Alcinoo;  e  sul  Feacc        So 
Popol  regnava.  Il  primo,   a  cui  falba 
Prole  del  miglior  sesso,  avea  di  poco 
Nella  sua  reggia  la  consorte  addotta, 
Che  Apollo  dall'argenteo  arco  il   trafisse; 
Né  rimase  di  lui  che  una  figliuola  ,  85 

Arete,  e  questa  in  moglie  Alcinoo  tolse, 
E  venerolla  fieramente:  donna 
Non  vive  in  nodi  maritali  stretta, 
Che  sì  alto  al  suo  sposo  in  mente  sieda. 
E  in  gran  pregio  non  men  l'hanno,  ed  amore  90 
Portanle  i  figli,  e  i  cittadini  ancora, 
Che  a  lei,  quandunque  va  per  la  cittade , 
Gli  occhi  alzan  ,  come  a  Diva,  e  con  accenti 
Festivi  la  ricevono  ;  che  senno 
Né  a  lei  pur  manca  vèr  chi  più  tien  caro ,  g5 
E  le  liti  non   rado  ella  compone. 
Se  un   loco  prender  nel  suo  cor  tu  sai, 
La  terra,  dove   i  lumi  apristi  al  giorno, 
La  magion  «le'  tuoi  padri,  e  degli  amici 
I  noti  volti  riveder  confida.  100 

Detto,  la  Dea  eh' è  nelle  luci  azzurra 
Su   pel  mare  infruttifero   lanciossi, 
Lasciò  la  bella  Selleria,  e  Maratona 
Trovò,   ed   Atene  dalle  larghe  vie, 
E  nel  suo  tempio  entrò,  che  d'Eretteo   io5 
Fu   rocca  inespugnabile.  Ma   Ulisse 
All'  ostello  reale  il  pie  movea  , 
E   molte  cose  rivolgea  per  I'  alma , 
Pria  eh'  ei  toccasse  della  soglia  il  bronzo: 
Che  d'Alcinoo  magnanimo  l'augusto         110 
Palagio  chiara,  qual  di  Sole  o  Luna, 
Mandava  luce.   Dalla  prima  soglia 
Sino  al  fondo  correan  due  di  massiccio 
Rame  pareti  risplendenti ,  e  un  fregio 
Di  ceruleo  metal  girava  intorno.  u5 

Porte  d'or  tutte  la  inconcussa  casa 
Chiudean  :  s'ergean  dal  limitar  di  bronzo 
Saldi  stipiti  argentei,  ed  un  argenteo 
Sosteneano  architrave,  e  anello  d'  oro 
Le  porte  ornava;   d'ambo  i  lati  a  cui      iao 
Stavan  d'  argento  e  d'  ór  vigili  cani , 
Fattura  di  Vulcan  ,  che  in  lor  ripose 
Viscere  dotte,  e  «la  vecchiezza  immuni 
Teiiiperolli,  e  da  morte,   onde  guardato 
Fosse  d'Alcinoo  il  glorioso  albergo.  12D 

E  quanto  si   stendean  le  due  pareti, 
Eranvi  sedie  quinci  e  naiadi  affisse 
Con  fini  pepli  sovrapposti  ,   lunga 
Delle   donne  di  Scheria  opra  solerte. 
Qui  de' Feaci  s' assideano  i  primi,  i3o 

La  mano  ai  cibi  ed  ai  licor  porgendo, 
Che   lor  metteansi  ciascun  giorno  avante  : 
E  la  notte  garzoui  in  oro  sculti 
Su  piedistalli  a  grande  arte  construtti 
Plndìmo.ntb 


i55 

verno. 


Spargean  lum«  con  faci  in  su  le  mense.  i35 
Cinquanta  il  Re  servono  ancelle:  l'une 
Sotto  pietra  ritonda  il  biondo  grano 
Frangono;  e  1'  altre  o  tesson  panni,  o  fusi 
Con  la  rapida  man  rotano  assise, 
Movendosi  ad  ognor,  quali  agitate  140 

Dal  vento  foglie  di  sublime  pioppo. 
Splendono  i  drappi  a  maraviglia  intesti, 
Come  se  un  olio  d' òr  su  vi  scorresse. 
Poiché  quanto  i  Feaci  a  regger  navi 
Gente  non  bau  che  li  pareggi,  tanto      145 
Valgon  tele  in  oprar  le  Feacesi  , 
Cui  mano  industre  più  che  alle  altre  donne 
Diede  Minerva,  e  più  sottile  ingegno. 

Ma  di  fianco  alla  reggia  un  orto  grande, 
Quanto  ponnoin  di  quattro  arar  due  tori,  i5o 
Stendesi ,  e  viva  siepe  il  cinge  tutto. 
Alte  vi  creseon  verdeggianti  piante  , 
Il  pero  e  il  melagrano  ,  e  di  vermigli 
Pomi  carico  il  melo,  e  col  soave 
Fico  nettareo  la  canuta  oliva. 
Né  il  fruito  qui ,   regni   la  state, 
Pere ,   o  non  esce  fuor  :  quando  si  dolce 
D1  ogni  stagione  un  zefirelto  spira  , 
Che  mentre  spunta  1'  un,  l'altro  matura. 
Sovra  la  pera  giovane  e  su  l'uva,  160 

L'uva  e  la  pera  invecchia,  e  i  pomi  e  i  fichi 
Presso  ai  fichi  ed  ai  pomi.  Abbarbicata 
Vi  lussureggia  una  feconda  vigna, 
De'  cui  grappoli  il  Sol  parte  dissecca 
Nel  più  aereo  ed  api ico,  e  parte  altrove  i65 
La  man  dispicca  dai  fogliosi  tralci, 
O  calca  il  pie  ne'  larghi  tini:  acerbe 
Qua  Imitili  P  uve  i  ridolenti  fiori , 
E  di  porpora  là  tingonsi,  e  d'oro. 
Ma  del  giardino  in  sul  confin  tu  vedi     ih0 
D'  ogni  erba  e  d'  ogni   fior  sempre  vestirsi 
Ben  eulte  ajuole,  e  scaturir  due  fonti 
Che  non  taccion  giammai  :  I'  una  per  tutto 
Si  dirama  il  giardino,  e    l'altra  corre, 
Passando  del  cortil  sotto  alla  soglia,        ih5 
Sin  davanti  al  palagio;  e  a  questa  vanno 
Gli  abitanti  ad  attignere.  Sì  bella 
Sede  ad  Alcinoo  destinaro  i  Numi. 

Di   maraviglia  tacito,  e  sospeso 
Ulisse  colà  stava;  e  visto  ch'ebbe  180 

Tutto,  e  rivisto  con  secreta  lode, 
Neil'  eccelsa  magion  ratto  si  mise  , 
Trovò  i  Feaci  condottieri  e  prenci , 
Che  libavan   co'  nappi  all'  Argicida 
Mercurio,  a  cui  libar  solean  da  sezzo  ,   i85 
Come  del  letto  gli  assalta   la  brama; 
E  innanzi  trapassò  dentro  alla  folta 
Nube  che  Palla  gli  avea  sparsa  intorno, 
Finché  ad  Arete  e  al  suo    marito  giunse. 
Circondò  con  le  braccia  alla  Reina 


9° 


Le  ginocchia;    ed  in  quel  da  lui  staccossi 
La  nube  sacra ,  e  in  'vento  si  disciolse. 
Tutti  repente  ammutolirò,  e  forte 
Stupian,  guardando  1' nom  che  alla  Reina 
Supplicava  in  tal  forma  :  O  del  divino   195 
Ressenore  figliuola,  illustre  Arete, 
Alle  ginocchia  tue  dopo  infiniti 
Disastri  io  vegno ,  vegno  al  tuo  consorte  , 
E  a  questi  Grattai  ancor  ,  cui  di  felici 
Menar  gli  Dei  concedano ,  e  ne'  figli       200 
5 


34 


ODISSEA 


225 


a3o 


Lp  ricchezze  domestiche  e  gli  onori 
Che  s'  acquistavo  ,  tramandare.  Or  voi 
Scorta  m'apparecchiate,  acciocché  in  breve 
Alla  Patria  io  mi  renda ,  ed  agli  amici , 
Da  cui  vivo  lontan  tra  i  guai  gran  tempo.  2o5 

Disse,  e  andò  al  focolare  ,  e  innanzi  al  foco 
Sovra  l'immonda  cenere  sedette: 
Né  alcun  fra  tanti  apria  le  labbra.  Al  fine 
Parlò  Peroe  vecchio  Etcne'o,  che  in  pronto 
Molte  avea  cose  trapassate,  e  tutti  210 

Di  facondia  vincea,  non  men  che  d1  anni. 
Alcinoo,  disse  con  amico  petto, 
Poco  ti  torna  onor,  che  su  P  immonda 
Cenere  il  forestier  sieda;  e  se  nullo 
Muovesi,egli  è  perchè  un  tuoccnnoasnetta.2i5 
Su  via,  levai  di  terra,  e  in  sedia  il  poui 
Borchiettata  d'argento;  e  ai  banditori 
Mescer  comanda,  onde  al  gran  Giove  ancora, 
Che  del  fulmine  gode  ,  e  s'  accompagna 
Co1  venerandi  supplici ,  libiamo.  220 

La  dispensiera  poi  di  quel  che  in  serbo 
Tiene  ,  presenti  al  forestier  per  cena. 

Alcinoo,  udito  ciò,  lo  scaltro  Ulisse 
Prese  per  man ,  dal  focolare  alzollo , 
E  P  adagiò  sovra  un  lucente  seggio, 
Fatto  sorgerne  prima  il  più  diletto 
De1  suoi  figliuoli  che  sedeagli  accanto, 
L'  amico  di  virtù  Laodamante. 
Tosto  P  ancella  da  bel  vaso  d'  oro 
Purissim'  acqua  nel  bacil  d1  argento 
Gli  versava ,  e  stendea  desco  polito , 
Su  cui  P  onesta  dispensiera  bianchi 
Pani  venne  ad  imporre,  e  di  serbate 
Dapi  gran  copia.  Ma  la  sacra  possa 
Di  Alcinoo  al  banditor:  Pontonoo,  ilrosso  235 
Licore  infondi  nelle  tazze,  e  in  giro 
Recalo  a  tutti,  onde  al  gran  Giove  ancora, 
Che  del  fulmine  gode,  e  s1  accompagna 
Co'  venerandi  supplici ,  libiamo. 

Disse;  e  Pontonoo  il  buon  licore  infuse ,  240 
E  il  recò,  propinando,  a  tutti  in  giro. 
Ma  il  Re ,  come  libato  ebbero ,  e  a  piena 
Voglia  bevuto,  in  tai  parole  uscio: 
O  condottieri  de'  Feaci ,  e  capi , 
Ciò  che  il  cor  dirvi  mi  consiglia,  udite.  245 
Già  banchettati  foste  :  i  vostri  alberghi 
Cercate  adunque ,  e  riposate.  Al  primo 
Raggio  di  Sole  in  numero  più  spessi 
Ci  adunerem ,  perchè  da  noi  s1  onori 
L1  ospite  nel  palagio,  e  più  superbe        25o 
Vittime  immoleransi  :  indi  con  quale 
Scorta  al  suol  patrio,  per  lontan  che  giaccia, 
Possa ,  non  pur  senza  fatica  o  noja , 
Ma  lieto  e  rapidissimo  condursi, 
Diviseremo.  Esser  dee  nostra  cura  255 

Che  danno  non  P  incolga  in  sin  ch'ei  tocco 
Non  abbia  il  suol  natio.  Colà  poi  giunto, 
Quel  soffrirà,  che  le  severe  Parche 
Nel  dì  del  suo  natale  a  lui  filaro. 
E  se  un  Dio  fosse  dall'Olimpo  sceso?    2G0 
Altro  s'  avvolgeria  disegno  in  mente 
De'  Numi  allora.  Spesso  a  noi  mostrarsi 
Nell'ecatombe  più  solenni,  e  nosco 
Starsi  degnaro  ad  una  mensa.  Dove 
Un  qualche  viandante  in  lor  s'avvegna,  aG5 
Non  l'occultano  a  noi,  che  per  vetusta 


Origine  lor  siam  molto  vicini  , 

Non  altrimenti  che  i  Ciclopi  antichi, 

E  de'  Giganti  la  selvaggia  stirpe. 

Alcinoo,  gli  rispose  il  saggio  Ulisse,  270 

Muta  questo  pensiero    Io  dell'  immenso 
Cielo  ai  felici  abitatori  eterni 
Né  d'indole  somiglio,  né  d'aspetto. 
Somiglio  ai  figli  de'  mortali,  e  a  quanti 
Voi  conoscete  in  più  angoscioso  stato.     2^5 
Né  ad  alcuno  di  lor  cedo  ne'  mali: 
Tanti  e  sì  gravi  men  crearo  i  Numi. 
Or  cenar  mi  lasciate,  ancor  che  afflitto: 
Però  che  nulla  io  so  di  più  molesto 
Che  il  digiun  ventre,  di  cui  Puom  mal  puotc  280 
Dimenticarsi  per  gravezze  o  doglie. 
Nel  fondo  io  son  de' guai:  pur  questo  interno 
Signor,  che  mai  di  domandar  non   resta  , 
Vuol  ch'io  più  non  rammenti  i  danni  miei, 
E  ai  cibi  stenda  ed  ai  licor  la  mano.       285 
Ma  voi,  comparso  in  Oriente  il  giorno, 
Rimandarmi  vi  piaccia    Io  non   ricuso, 
Visti  i  miei  servi,  l'alte  case  e  i  campi, 
Gli  c-chi  al  lume  del  Sol  chiuder  per  sempre. 

Disse;  e  tutti  assentiano,  e  fean  gran  ressa,  290 
Che  lo  str.inier,  che  ragionò  sì  bene, 
Buona  scorta  impetrasse.  Al  fin,  libato 
Ch'  ebbero,  e  a  pien  bevuto,  il  proprio  albergo 
Ciascun  cercava,   per  entrar  nel, sonno. 
Sol  nella  reggia  rimaneasi  Ulisse,  ag5 

E  presso  gli  sedeano  Alcinoo  e  Arete, 
Mentre  le  ancelle  del  convito  i  vasi 
Dalla  mensa  toglieano.  Arete  prima 
Gli  favellò,  come  colei  che  il  manto 
Riconobbe,  e  la  tunica,  leggiadre  3oo 

Vesti,  che  di  sua  man  tessute  avea 
Con  le  sue  fanti,  e  che  or  vedeagli  in  dosso. 
Stranier,  gli  disse  con  alate  voci, 
Di  questo  io  te  cercar  voglio  la  prima: 
Chi  sei  tu?  Donde  sei  ?  Da  chi  tai  panni?  3o5 
Non  ci  fai  creder  tu  che  ai  nostri  lidi 
Misero,  errante  e  naufrago  approdasti  ? 

E  il  saggio  Ulisse  replicògli:  Forte, 
Regina,  i  mali  raccontar  che  molti 
M'inviaro  gli   Dei.   Quel  che  più  brami  3io 
Sapere,  io  toccherò.  Lontana  giace 
Un'  isola  nel  mar  che  Ogigia  è  detta. 
Quivi  d'  Atlante  la  fallace  figlia 
Dai  ben  torti  capei,  Calipso,  alberga, 
Terribil   Dea,  con  cui  nessun  de'  Numi    3i5 
Conversa,  0  de'  mortali.  Un  Genio  iniquo 
Con  lei  me  solo  a  dimorar  consirinse, 
Dappoi    che  Giove  a  me  per  P  onde   oscure 
La  ratta  nave  folgorando  sciolse. 
Tutti  morti  ne  furo  i  miei  compagni:     320 
Ma  io,  con  ambe  mani  alla  carena 
Della  nave  abbracciatomi,  per  nove 
Giorni  fui    traportato,  e  nella  fosca 
Decima  notte  all'  isoletta  spinto 
Della  Dea,  che  m'accolse  e  amicamente  325 
Mi  trattava  e  nodriva,  e  promettea 
Da  morte  assicurarmi  e  da  vecchiezza; 
Né  però  il  cor  mi  piegò  mai  nel  petto. 
Sette  anni  interi  io  mi  vedrà  con  lei, 
E  di  perenni  lagrime  i  divini  33o 

Panni  bagnava,  che  mi  porse  in  dono. 


a  tosto  che  P  ottavo  anno  si  volse, 


L1DR0  SETTIMO 


35 


La  Diva,  o  fosse  imperiai  messaggio 
Del  figlinol  eli  Saturno,  o  di  lei  stessa 
Mutamento  improvviso,  alle  mie  case      335 
Ritornar  confortavami.  Su  travi 
Da  multipliei  nodi  in  un  congiunte 
Con  molti  doni  arcommiatommi:  pane 
Candido  e  dolce  vin  diemmi  ,  e  odorate 
Vesti  vestimmi,  e,  ad  incresparmi  il  mare,  3<$o 
Un  placido  mandò  vento  innocente. 
Io  deci  viaggiava  e  sette  giorni 
Su  le  liquide  strade.  Al  nuovo  albore 
Mi  snrse  incontro  co1  suoi  monti  ombrosi 
L'isola  vostra,  e  a  me  infelice  il  core   345 
Riilra,  benché  altri  guai  ni1  apparecchiasse 
Nettim,  che  incitò  i  venti ,  il  mar  commosse, 
Mi  precise  la  via 5  né  più  speranza 
Già  m'avanzava,  che  il  naviglio  frale 
Me  gemente  portasse  ali1  onde  sopra.       35o 
Ruppelo  al  fine  il  turbo.  A  nuoto  allora 
Misurai  questo  mar,  finché  alla  vostra 
Contrada  il  vento  mi  sospinse,  e  il  flutto. 
Quivi  alla  terra,  nell1  uscir  dell'acque, 
Franto  un'  (inda  m'avria,  che  me  in  acute  355 
Punte  cacciava  ,  e  in  disamabil   riva  : 
Se  non  ch'io,   ritirandomi  dal  lido, 
Tanto  notava,  che  a  un  bel  fiume  sceso 
Da  Giove  io  giunsi ,  ove  opportuno  il  loco 
Parvenu,  e  liscio;  né  in  balia  de' venti.  3Go 
Scampai,  le  forze  raccogliendo.  Intanto 
Spiegò  i  suoi  veli  la  divina  Notte, 
Ed  io,  lasciato  da  una  parte  il  fiume, 
Sovra  un   letto  di  foglie  e  tra  gli  arbusti 
Giacqui,  e  m1  infuse  lungo  sonno  un  Dio.  365 
Dormii  l'intera  notte  insino  all'alba, 
Dormii  sino  al  meriggio  ;  e  già  calava 
Verso  Occidente  il  Sole  ,  allor  che  il  dolce 
Sonno  m'  abbandonò.   Vidi  le  ancelle 
Della  tua  figlia  trastullar  su  l'erba,        3^0 
E  lei  tra  quelle,   che  una  Dea  mi  parve, 
E  a  cui  preghiere  io  porsi;  ed  ella  senno 
Mostrava  tal,  qual  non  s'attende  mai 
L'  uom  da  una  età  sì  fresca  ,  in  cui  s'abbatta  , 
Perchè  la  fresca  età  sempre  folleggia.      3j5 
Ella  recente  pan  ,  vino  possente, 
Ella  comodo  bagno  a  me  nel  fiume, 
Ed  ella  vesti.  Me  infelice  il  fato 
Render  potrà ,  ma  non  potrà  bugiardo. 

Ed  Alcinoo  rppente:  Ospite,  in  questo    38o 
La  mia  figlia  sfallì ,  che  non  condusse 
Te  con  le  ancelle  alla  magion,  quantunque 
Tu  a  lei  primiera  supplicato  avessi. 

Eccelso  eroe  ,   non  mi  biasmar ,  rispose 
Lo  scaltro  Ulisse,  per  cagion  sì  lieve      385 
La  incolpami  fanciulla.  Ella  ni'  ingiunse 
Di  seguitarla  con  le  ancelle;  ed  io 


Men  guardai  per  timor  die  il  tuo  vedermi 
T'  infiammasse  di  sdegno.  Umana,  il  sai, 
Razza  noi  siamo  al  sospettare  inchina.    390 

Ed  Alcinoo  di  nuovo  :  Ospite,  un'  alma 
Già  non  s'  annida  in  me,  che  fuoco  prenda 
Sì  prontamente.  Alla  ragione  io  cedo , 
E  quel  che  onesto  è  più,  sempre  io  trascelgo. 
Kd  oh  piacesse  a  Giove,  a  Palla  e  a  Febo,  395 
Che,  qual  ti  scorgo,  e  d'  un  parer  con  meco 
Sposa  volessi  a  te  far  la  mia  figlia, 
Genero  mio  chiamarti,  e  la  tua  stanza 
Fermar  tra  noi  !  Case  otterresti  e  beni 
Da  me,  dove  il  restar  non  ti  sgradisce  :  400 
Che  ritenerti  a  forza,   e  l'ospitale 
Giove  oltraggiar,  nullo  qui  fia  che  ardisca. 
Però  così  su  1'  alba  il  tuo  viaggio 
Noi  disporrem ,  che  abbandonarti  al  sonno 
Nella  nave  potrai,  mentre  i  Feaci  4°5 

L'  azzurra  calma  romperan  co'  remi  : 
Né  cesseran,  che  nella  Patria  messo 
T'abbiano,  e  ovunque  ti  verrà  desio, 
Foss' anco  oltre  l'Eubéa,  cui  più  lontana 
D'ogni  altra  regi'on  che  alzi  dal  mare,  4'° 
Dicon  que' nostri  che  la  vider,  quando 
A  Tizio,  figlio  della  terra,  il  biondo 
Radamanto  condussero.  All'Eubéa 
S' indrizzàr,  l'afferrar,  ne  ritornaro 
Tutto  in  ungiornoje  non  fu  grave  impresa.  4'5 
Conoscerai  quanto  sien  bene  inteste 
Le  nostre  navi,  e  i  giovani  gagliardi 
Nel  voltar  sottosopra  il  mar  co'  remi. 

Gioì  a  tai  detti  il  paziente  Ulisse, 
E  le  braccia  levando,  O  Giove  padre,  4^0 
Sclamò ,  tutte  adempir  le  sue  promesse 
Possami  Alcinoo!  Ei  gloria  eterna  avranne, 
Ed  io  porrò  nelle  mie  case  il  piede. 

Queste  correan  tra  lor  parole  alterne. 
Ma  la  Reina  candida  le  braccia  ,  fa5 

Arete ,  intanto  alle  fantesche  impose 
Il  letto  collocar  sotto  la  loggia , 
Belle  gittarvi  porporine  coltri, 
E  tappeti  distendervi ,  e  ai  tappeti 
Manti  vellosi  sovrapporre.  Uscirò  4^0 

Quelle ,  tenendo  in  man  lucide  faci , 
Il  denso  letto  sprimacciaro  in  fretta, 
E  rientrate,  Sorgi,  ospite,  or  puoi, 
Dissero  a  Ulisse  ,  chiuder  gli  occhi  al  sonno: 
Né  punto  al  forestier  l' invito  spiacque.  435 
Cosi  ei  sotto  il  portico  sonante 
Là  s'  addormia  ne'  traforati  letti. 
Alcinoo  si  corcò  del  tetto  eccelso 
Ne'  penetrali  ;  e  a  lui  da  presso  Arete, 
La  consorte  real ,  che  a  se  ed  a  lui        44° 
Preparò  di  sua  mano  il  letto  e  i  sonni. 


LIBRO  OTTAVO 


ARGOMENTO 


Coneresso  de' Feaci,  in  ci  si  delibera  se  Ulisse  debba  essere  alla  Patria  sua  r.condo,.»  Alcinoo  da  «n 
solenne  convito,  nel  quale  Deroodoco  canta  d'una  catti,  che  Ulisse  medesimo  e  Achille  ebbero  un  giorno 
ra  loro.  Il  primo  non  può  ritenere  le  lagrime.  Si  passa  a,  «...chi,  -'«1,  da  prova  d,  se  al  disco,  ed 
«ve  Demodoco  canta  la  rete  di  Vulcano.  Doni  che  „  fanno  ad  Ulisse .Questi  ad  un  secondo  con,,!,,  seni, 
ricordare  dallo  slesso  cantore  il  gran  cavallo  di  legno  e  la  caduta  di  Tro,a  ;  e  s.  lasca  d.  nuovo  cadere  .1 
pianto  dagli  occhi.  Alcinoo  allora  il  sollecita  a  manifestarsi,  a  dire  il  suo  nome,    e   a    raccontare   le  sue   «»- 


lVla  tosto  che  rosata  ambo  le  palme 
Comparve  in  ciel  l'aggiornatrice  Aurora, 
Surse  di  letto  la  sacrata  possa 
Bel  magnanimo  Alcinoo,  e  il  divin  surse 
Rcvesciator  delle  cittadi  Ulisse.  5 

La  possanza  d'Alcinoo  al  parlamento, 
Che  i  Feaci  tenean  presso  le  navi, 
Prima  d'ogni  altro  mosse.  A  mano  a  mano 
Veni'ano  i  Feacesi,  e  su  polite 
Pietre  sedeansi.  L1occhiglauca  Diva,  io 

Cui  d'Ulisse  il  ritorno  in  mente  stava, 
Tolte  del  regio  banditor  le  forme , 
Qua  e  là  s'  avvolgea  per  la  cittade, 
E  appressava  ciascuno,  e,  Su,  dicea, 
Su,  prenci  e  condottieri,  al  foro,  al  foro,  i5 
Se  udir  vi  cai  dello  stranier  che  giunse 
Ad  Alcinoo  testé  per  molto  mare, 
E  assai  più,  chedell'uom,  del  Nume  ha  in  viso. 

Disse,  e  tutti  eccitò.  Della  raccolta 
Gente  furo  in  brev'  ora  i  seggi  pieni.        ao 
Ciascun  guardava  con  le  ciglia  in  arco 
Di  Laerte  il  figliuol:  che  a  lui  Minerva 
Sovra  il  capo  diffuse  e  su  le  spalle 
Divina  grazia,  ed  in  grandezza  e  in  fiore 
Crebbelo,  e  in  gagliarclia,  perch'  ei  ne'  petti  2.5 
Destar  potesse  riverenza  e  affetto, 
E  de1  nobili  giuochi ,  ove  chiamato 
Fosse  a  dar  di  sé  prova,  uscir  con  vanto. 

Concorsi  tutti ,  e  in  una  massa  uniti, 
Tra  loro  arringò  Alcinoo  in  questa  guisa:  3o 
O  condottieri  de1  Feaci ,  e  prenci, 
Ciò  che  il  cor  dirvi  mi  comanda,  udite. 
Questo  a  me  ignoto  foresi ier,  che  venne 
Ramingo,  e  ignoro  ancor,  se  donde  il  Sole 
Nasce,  o  donde  tramonta,  ai  tetti  miei,      35 
Scorta  dimanda  pel  viaggio,  e  prega 
Gli  sia  ratto  concessa.  Òr  noi  P  usanza 
Non  seguirem  con  lui?  Uomo,  il  sapete, 
Ai  tetti  miei  non  capitò,  che  mesto 
Languir  dovesse  sovra  queste  piagge  ^o 

Per  difetto  di  srorta  i  giorni  e  i  mesi. 
Traggasi  adunque  nel  profondo  mare 
Legno  dalP  onde  non  battuto  ancora  , 
E  s'  eleggan  cinquanta  e  due  garzoni , 
Tra  il  popol  tutto,  gli    ottimi.  Costoro,  45 
Varato  il  legno,  e  avvinti  ai  banchi  i  remi , 
Subite  e  laute  ad  apprestar  m'andranno 
Mense,   che  a  tutti  oggi  imbandite  io  voglio. 
Ma  quei  che  di  bastone  ornan  la  mano, 
L1  ospite  nuovo  ad  onorar  con  meco  5o 

Vengano  ad  una  ;  e  il  banditor  mi  chiami 


L'  immortale  Demodoco,  a  cui  Giove 
Spira  sempre  de1  canti  il  più  soave, 
Dovunque  Pestio,  che  P infiamma,  il  porti. 
Detto,  si  mise  in  via.  Tutti  i  scettrati  55 

Seguianlo  ad  una;  e  ali1  immollai  cantore 
L'  araldo  indirizzavasi.  I  cinquanta 
Garzoni,  e  due,  come  il  Re  imposto  avea, 
Furo  del  mar  non  seminato  al  lido, 
La  nave  negra  nel  profondo  imre  6o 

Trassero,  alzaro  P  albero  e  la  vela. 

I  lunghi  remi  assicurar  con  forti 
Lacci  di  pelle  ,  a  maraviglia  il  tutto  ; 
E,  le  candide  vele  al  vento  aperte, 
Arrestato  nell'alta  onda  la  nave  :  65 
Poscia  d'Alcinoo  ritrovar  l'albergo. 

Già  i  portici  s'empiean,  s'empieano  i  chiostri, 
Non  che  ogni  stanza,   della  varia  gente, 
Che  s'accogliea ,  bionde  e  canute  teste, 
Una  turba  infinita.  Il  Re  quel  giorno        70 
Diede  al  sacro  coltel  dodici  agnelle  , 
Otto  corpi  di  vetri  ai  bianchi  denti, 
E  due  di  tori  dalle  torte  corna. 
Gli  scojàr,  gli  acconciar,  ne  apparecchiaro 
Convito  invidiabile.   L1  araldo  7 5 

Ritorno  feo,  per  man  guidando  il  vate, 
Cui  la  Musa  portava  immenso  amore, 
Benrhè  il  ben  gli  temprasse  e  il  male  insieme: 
Degli  occhi  il  vedovò,  ma  del  più  dolce 
Canto  arricchillo.    Il  banditor  nel  mezzo  80 
Sedia  d'argento  borchiettata  a  lui 
Pose,  e  l'affisse  ad  una  gran  colonna: 
Poi  la  cetra  vocale  a  un  aureo  chiodo 
Gli  appese  sovra  il  capo,  ed  insegnògli, 
Come  a  staccar  con  mano  indi  l'avesse.    85 
Ciò  fatto,  un  desco  gli  distese  avanti 
Con  panier  sopra ,  e  una  capace  tazza , 
Ond'ei,  qual  volta  nel  pungea  desio, 
Del  vermiglio  licor  scaldasse  il  petto. 
Come  la  fame  rintuzzata ,  e  spenta  90 

Fu  la  sete  in  ciascun,  l'egregio  vate, 
Che  già  tutta  seti  tinsi  in  cor  la  Musa, 
De' forti  il  pregio  a  risonar  si  volse, 
Sciogliendo  un  canto,  di  cui  sino  al  cielo, 
Salse  in  que'dì  la  fama.  Era  l'antica         gii 
Tenzon  d'Ulisse  e  del  peliade  Achille, 
Quando  di  acerbi  delti  ad  un  solenne 
Convito  sacro  si  ferirò  entrambi. 

II  Re  de1  prodi  Agamennón  gioia 
Tacitamente  in  sé,  visti  a  contesa  100 
Venire  i  primi  degli  Achei:  che  questo 
Della  caduta  d'Ilio  era  il  segnale. 

Tanto  da  Febo  nella  sacra  Pit©, 


LIHnO  OTTAVO 


Varcato  appena  della  soglia  il  marmo, 
Piedini  allora  udì,  che  di  que1  mali ,     io5 
Che  sovra  i  Teucri,  per  voler  di  Giove, 
Rovesciarsi  doveano,  e  su  gli  Acluvi, 
Si  cominciava  a  dispiegar  la  tela. 

A  tai  memorie  il  Laerziade,  preso 
L'ampio «d  ambe  le  min  purpureo  manto,  i  io 
Sci  trasse  in  testa,  e  il  nobil  volto  ascose, 
Vergognando  che  lagrime  i  Feaci 
Vcdesserlo  stillar  sotto  le  ciglia. 
Tacque  il  cantor  divino;  ed  ei,  rasciutte 
Le  guance  in  frrtta,  dalla  testa  il  manto   1 15 
Si  tolse,  e,  dato  a   una   ritonda  coppa 
Di  piglio,  libò  ai  Numi.  I  Feacesi , 
Cui   gioja  «rano  i   «armi,  a   ripigliarli 
Il  poeta  eccitavano,   che  apu'a 
Nuovamente  le  labbra;   e  nuovamente     120 
Coprirsi  il  volto  e  lagrimare  Ulisse. 
Così,  gocciando  lagrime,  da  tutti 
Celossi.  Alcinoo  sol  di  lui  s'avvide, 
E  l'adocchiò,  sedendogli  da  presso, 
Oltre  che  forte  sospirare  ndillo;  125 

E,   più   non  aspettando,   Udite,   disse, 
Della  Feacia  condoli  ieri  e  prenci. 
Già  del  commi  convito,  e  dell1  amica 
De'  convili  solenni  arguta  cetra  , 
Godemmo.  Usciamo,  e  ne1  diversi  giuochi  i3o 
Proviamci,  perchè  l'ospite,  com' aggia 
Rimesso  il  pie  nelle  pai  cine  case, 
Narri   agli  amici,  che  l'udranno  attenti, 
Quanto  al  cesto  e  alla  lotta ,  e  al  salto  e  al  corso. 
Cede  a  noi,  vaglia  il  vero,  ogni  altra  genie.  1 35 

Disse,  ed  entrò  in  cammino;  e  i  prenci  insieme 
Seguianlo.  Ma  l'araldo,  alla  caviglia 
Riappiccata  la  sonante  cetra  , 
Presp  il  cantor  per  mano,  e  fuor  del  tetto 
Mcnollo:   indi  guidavalo  per  quella  i^o 

Strada  in  cui  posto  erasi   Alcinoo  e  i  capi. 
Movean  questi  veloce  al  Foro  il  piede, 
E  gente  innumerabile  ad  un  corpo 
l.or  tenea  dietro.  Ed  ecco  sorger  molta, 
Per  cimentarsi,  gioventù  forzuta.  i^5 

Sorse  Acroneo  ed  Oci'alo,  Eleatréo  sorse, 
E  Nauteo  e  Primneo  e   A  urinilo  :  levossi 
Eretmeo  ancor,   Ponle'o,   Proto,  Toóne, 
Non  che  Anabesinéo,   non  che   Amfialo, 
Di   Polinéo  Tectonide  la  prole;  i5o 

E  non  eh'  Eurialo  all'  omicida  Mai  te 
Somigliante,  e  Naubolide ,  che  tutti, 
INI  a  dopo  il  senza  neo  Laodamanle, 
Vincea  di  corpo  e  di  beltà.  Né  assisi 
I  tre  restar  figli  d'Alcinoo:  «lesso  1 55 

Laodamante,  Alio,   che  al  Rcge  nacque 
Secondo  ,  e  Clitoréo  pari  ad  un  Nume. 

Del  corso  fu  la  prima  gara.   Un  lungo 
Spazio  slendeasi  alla  carriera  ;  e  tutti 
Dalle  mosse  volavano  in   un  groppo,        160 
Densi  globi  di  polvere  levando. 
Avanzò  gli  altri  Clitonéo,  che,  giunto 
Della  carriera  al  fin,  lasciolli  indietro 
Quell'intervallo,  che  i  gagliardi  muli 
I  tardi  lascian  corpulenti  buoi,  i65 

Se  lo  stesso  noval  fendono  a  un'  ora. 
Succede  al  corso  1'  ostinata  lotta , 
Ed  Eurialo  prevalse.  Il  maggior  salto 
Aiufialo  spiccollo,  e  il  disco  lunge 


37 
170 


Non  iscagliò  nessun,  eom' Elatréo. 
Laodamante ,  il  real  figlio  egregio , 
Nel  pugile  severo  ebbe  la  palma. 

Fine  al  diletto  de' certami  posto, 
Parlò  tra  lor  Laodamante:  Amici, 
Su  via,  1' estraneo  domandiam  di  queste  1-5 
Prove,  se  alcuna  in  gioventù  ne  apprese. 
Di  buon  taglio  e' mi  sembra;  e,  doveai  fianchi, 
Dove  alle  gambe,  e  dellp  inani  ai  dossi 
Guardisi ,  e  al  fermo  collo ,  una  robusta 
Natura  io  veggio,  e  non  mi  parche  ancora  180 
Degli  anni  verdi   l'abbandoni  il  nerbo. 
Ma  il  fransero  i  disagi  all'onde  in  grembo: 
Che  non  è,  quanto  il  mar,  siccome  io  credo, 
Per  isconfig";er  I' uom,  benché  assai  forte. 

Laodamante,  il  tuo  parlar  fu  bello,  i85 

Eurialo  rispondea.  Però  l' abborda 
Tu  stesso,  e  il  tenta;  e  a  fuori  uscir  l'invita. 

Come  d'Alcinoo  l' incolpabil  figlio 
Questo  ebbe  udito,  si  fé'  innanzi,  e,  stando 
Nel  mezzo,  Orsù,  gli  disse,  ospite  padre,  190 
Tu  ancor  ne' giochi  le  tue  forze  assaggia, 
Se  abun  mai  ne  apparasti  a'  giorni  tuoi, 
E  degno  è  ben  che  non  ten  mostri  ignaro  : 
Quando  io  non  so  per  l'uom  gloria  maggiore, 
Che  del  pie  con  prodezza  e  della  mano,  ig5 
Mentre  in  vita  riman ,  poter  valersi. 
T'arrischia  dunque,  e  la  tristezza  sgombra 
Dall'  alma.  Poco  il  desiato  istante 
Del  tuo  viaggio  tarderà  :  varala 
Fu  già  la  nave ,  e  i  remigi  son  pronti.  200 

Mi  così  gli  rispose  il  saggio  Ulisse  : 
Laodamante,  a  che  cotesto  invito, 
Deridendomi  quasi?  Io  più,  che  giochi, 
Disastri  volgo  per   1' afflitta  mente, 
Io,  che  tanto  patii,  sostenni  tanto,        ao5 
E  or  qui  ,   mendico  di   ritorno  e  scorta  , 
Siedomi,  al  Re  pregando,  e  al  Popol  tutto. 

Il  bravo  Eurialo  a  viso  aperto  allora  : 
Uom  non  mi  sembri  tu  ,  che  si  conosca 
Di  quelle  pugne  che  la  stirpe  umana      210 
Per  suo  diletto  esercitar  costuma. 
Tu   m'  hai   vista  di  tal,  che  presso  nave 
Di  molti  banchi  s'  affaccendi ,  capo 
Di  marinari  al  trafficare  intesi, 
Che  in  mente  serba  il  carico,  ed  al  vitto  2i5 
Pensa,  e  ai  guadagni  con  rapina  fatti: 
Ma  nulla  certo  dell'atleta  tieni. 

Mi  rollo  bieco,  e  replicógli  Ulisse: 
Male  assai  favellasti ,   e  ad  uom  protervo 
Somigli  in  tutto.  Così  è  ver  che  i  Numi  320 
Le  più  care  non  dati  doti  ad  un  solo, 
Sembiante ,  ingegno  e  ragionar  che  piace. 
L'  un  bellezza  non  ha  ,   ma  della  mente 
GÌ'  interni  sensi  in  colai  guisa  esprime , 
Che  par  delle  parole  ornarsi  il  volto.      225 
Gode  chiunque  il  mira.   Ei,  favellando 
Con  soave  modestia  ,'e  franco  a  un  tempo, 
Spicca  in  ogni  consesso  ;  e  allor  che  passa 
Per  la  città  ,'  gli  occhi  a  sé  attrae,  qual  Nume. 
L'altro  nel  viso  e  nelle  membra  un  mostra  23o 
Degl'immortali  Dei:  pur  non  si  vede 
Grazia  che  ai  detti  suoi  s'avvolga  intorno. 
Così  te  fregia  la  beltà ,  né  meglio 
Formar  saprian  gli  slessi  Eterni  un  volto: 
Se  non  che  poco  della  mente  vali.  a35 


J>S 


ODISSEA 


a5o 


255 


26: 


Mi  trafiggesti  F  anima  nel  petto  , 
Villane  voci  articolando  :  io  nuovo 
Non  son  de' giochi,  qual  tu  cianci ,  e  credo 
Anzi,   eh1  io  degli  atleti  andai  tra  i  primi, 
Finche,  potei  de1  verdi  anni  e  di  queste  9.4° 
Braccia  fidarmi.  Or  me,  che  aspre  fatiche 
Durai,  tra  Tarmi  penetrando  e  Tonde, 
GÌ'  infortunj  domaro.  E  non  pertanto 
Cimenterommi  :  che  bordare  troppo 
Fu  il  tuo  sermon ,  né  più  tenermi  io  valgo.  245 
Disse;  e  co' panni  stessi,  in  eh* tra  involto, 
Lanciossi,  ed  afferrò  massiccio  disco, 
Che  quelli,  onde  giocar  solean  tra  loro, 
Molto  di  mole  soverchiava  ,  e  pondo. 
Rotollo  in  aria,  e  con  la  man  rohtista 
Lo  spinse:  sonò  il  sasso,  ed  i  Feaci, 
Que'  naviganti  celrhri  ,  que'  forti 
Remigatori,  s'abbatterò  in  terra 
Per  la  foga  del  sasso,  il  qual,  partito 
Da  sì  valida  destra,  i  segni  tutti 
Rapidamente  sorvolò.  Minerva, 
Vestite  umane  forme  ,  il  segno  pose  , 
E  ali1  ospite  conversa,  Un  cieco,  disse, 
Trovar,  palpando,  tei  potria:  che  primo, 
Né  già  di  poco,  e  solitario  sorge.  260 

Per  questa  prova  dunque  alcun  timore 
Non  fanga:  lunge  dal  passarti,  alcuno 
Tra  i  Feaci  non  fi  a  che  li  raggiunga. 
Rallegrossi  a  tai  voci ,  e  si  compiacque 
Il  Laerzi'ade,  che  nel  circo  uom  fosse 
Che  tanto  il  favon'a.  Quindi  ai  Feaci 
Più  mollemente  le  parole  volse: 
Quello  arrivate,  o  damigelli,  e  un  altro 
Pari,  o  più  grande,  fulminarne  in  breve 
Voi  mi  vedrete,  io  penso.  Ed  anco  in  altri  270 
Certami,  0  cesto,  o  lotta,  o  corso  ancora, 
Chi  far  periglio  di  sé  stesso  agogna, 
Venga  in  campo  con  me:  poiché  di  vero 
Mi  provocaste  oltre  misura.  Uom  vivo 
Tra  i  Feaccsi  io  non  ricuso,  salvo  2^5 

Laodamante,  che  ricetto  dammi. 
Chi  entrar  vorrebbe  con  l1  amico  in  giostra? 
Stolto  e  da  nulla  è  senza  dubbio,  e  tutte 
Storpia  le  imprese  sue  ,  chiunque  in  mezzo 
D'un  popolo  stranier  con  chi  l1  alberga  280 
Si  presenta  a  contendere.  Degli  altri 
Nessun  temo,  o  dispregio,  e  son  con  tutti 
Nel  di  più  chiaro  a  misurarmi  pronto, 
Come  colui  che  non  mi  credo  imbelle, 
Quale  il  cimento  sia.  L1  arco  lucente      285 
Trattare  appresi:   imbroccherei  primajo, 
Saettando  un  guerricr  dell1  oste  avversa, 
Benché  turba  d1  amici  a  me   ci1  intorno 
Contra  quell'  oste  disfrenasse  i  dardi. 
Sol  Filottete  mi  vincea  dell'arco,  290 

Mentre  a  gara  il  tcndean  sotto  Ilio  i  Greci: 
Ma  quanti  su  la  terra  or  v'ha  mortali, 
Cui  la  forza  del  pane  il  cor  sostenta , 
Io  di  gran  lunga  superar  mi  vanto  : 
Che  non  vo1  pormi  io  già  co1  prischi  eroi,  2g5 
Con  Barite  d1  Ecalia,  e  con  Alcide, 
Che  agli  Dei  stessi  di  scoccar  nel!1  arte 
Si  pareggiare  Che  ne  avvenne?  Giorni 
Sorser  pochi  ad  Eurito,  e  le  sue  case 
Noi  videro  invecchiar,  poscia  che  Apollo  3oo 
Forte  si  corruccio  che  disfidato 


L'avesse  all'arco,  e  di  sua  man  l'ucciso. 
Dell'asta  poi,  quanto  nessun  di  freccia 
Saprebbe,  io  traggo.  Sol  nel  corso  io  temo, 
Non  mi  vantaggi  alcun  :  che,  tra  che  molto  3o5 
M'afflisse  il  mare,  e  che  non  fu  il  mio  legno 
Sempre  vettovagliato,  a  me,  qual  prima, 
Non  ubbidisce  I1  infedel  ginocchio. 
Ammutolì  ciascuno,  e  Alcinoo  solo 
Rispose:  Forestier,  la  tua  favella  3io 

Sgradir  non  ci  potea.  Sdegnato  a  dritto 
De' motti  audaci,  onde  colui  ti  morse, 
La  virtù  mostrar  vuoi  che  t'accompagna, 
Virtù,  che  or  da  chi  tanto  o  quanto  scorga, 
Più  biasmata  non  fia.  Matti  m'ascolta,  3 1 5 
Acciocché  un  dì,  quando  nel  tua  palagio 
Sederai  con  la  sposa  e  i  figli  a  mensa, 
E  quel  «he  di  gentile  in  noi  s'annida, 
Rimembrerai,  possi  a  un  illustre  amico 
Favellando  narrar ,  quali  redammo  320 

Studi  dagli  avi  per  voler  di  Giove. 
Non  siam  né  al  cesto,  né  alla  lotta  egregi; 
Ma  rapidi  moviam,  correndo,  i  passi, 
E  a  maraviglia  navighiamo.  In  oltre 
Giocondo  sempre  il  banchettar  ci  torna,  32.5 
Musica  e  danza,  ed  il  cangiar  di  veste, 
I  tepidi  lavacri  e  i  letti  molli. 
Su  dunque  voi,  che  tra  i  Feaci  il  sommo 
Pregio  dell'arte  della  danza  avete, 
Fate  che  lo  straniero  a'  suoi  più  cari,    33o 
Risalutate  le  paterne  mura , 
Piacciasi  raccontar,  quanto  anche  al  ballo, 
Non  che  al  nautico  studio  ed  alla  corsa , 
Noi  da  tutte  le  genti  abbiam  vantaggio. 
E  tu,  Pontonoo,  per  l'arguta  cetra,       335 
Che  nel  palagio  alla  colonna  pende  , 
Vanne,  e  al  divin  Demodoco  la  reca. 
Sorse,  e  partì  l'araldo;  e  al  tempo  stesso 
Sorsero  i  nove  a  presedere  ai  giuochi 
Giudici  eletti  dai  comuni  voti ,  3^o 

Ed  il  campo  agguagliaro ,  e  dilataro , 
Rimosse  alquanto  le  persone,  il  circo. 
Tornò  l'araldo  con  la  cetra,  e  in    mano 
La  pose  di  Demodoco ,  che  al  circo 
S'adagiò  in  mezzo.  Danzatori  allora         345 
D'alta  eccellenza,  e  in  sul  fiorir  degli  anni, 
Feano  al  vate  corona,  ed  il  bel  circo 
Co'  presti  piedi  percoteano.    Ulisse 
De1  frettolosi  pie  gli  sfolgorìi 
Molto  lodava  ;  e  non  si  riavea  35o 

Dallo  stupor  che  gP  ingombrava  il  petto. 
Ma  il  Poeta  divin,  citareggiando, 
Del  bellicoso  Marte,  e  della  cinta 
Di  vago  serto  il  crin  Vener  Ciprigna , 
Prese  a  cantar  gli  amori,  ed  il  furtivo  355 
Lor  conversar  nella  superba  casa 
Del  Re  del  fuoco ,  di  cui  Marte  il  casto 
Letto  macchiò  nefandamente,  molti 
Doni  offerti  alla  Dea,  con  cui  la  vinse. 
Repente  il  Sole,  che  la  colpa  vide,         36o 
A  Vulcan  nunziolla;  e  questi,  udito 
L'annunzio  doloroso,  alla  sua  negra 
Fucina  corse,  un'  immortai  vendetta 
Macchinando  nelP  anima.  Sul  ceppo 
Piantò  una  magna  incude;  e  col  martello  365 
Nodi,  per  ambo  imprigionarli,  ordia 
A  frangersi  impossibili,  0  a  disciorsi. 


LI  DUO   OTTAVO 


H 


Fabbricate  le  insilile,  pi,  contra  Marte 

D'  ira  bollendo,  alla  secreta  stanza, 

Ove  steso  giacragli  il  raro  letto ,  S^o 

S'avviò  in  fretta,  e  alla  lettiera  bella 

Sparse  per  tutto  i  fini  lacci  intorno, 

E  molti  sospendeane  all'alte  travi, 

Quai  fila  sottilissime  d'aragna, 

Con  tanta  orditi  e  sì  ingegnosa  fraude,  3^5 

die  né  d'  un  Dio  li  potea  1'  occhio  tórre. 

Poscia  che  tutto  degP  industri  inganni 

Circondato  ebbe  il  letto,  ir  finse  in  Lcnno, 

Terra  ben  fabbricata,  e  più  che  ogni  altra 

Cittade,  a  lui  diletta.  In  questo  mezzo  38o 

Marte,  che  d'oro  i  corridori  imbriglia  , 

Alle  vedette  non   istava  indarno. 

Vide  partir  l1  egregio  fabbro,  e,  sempre 

Nel  cor  portando  la  di  vago  serto 

Cinta  il  capo  Ciprigna,  alla  magione       385 

Del  gran  mastro  de1  fuochi  in  fretta  mosse. 

Ritornata  di  poco  era  la  Diva 

Dal  Saturnide  onnipossente  padre 

Nel  conjugale  albergo  ;  e  Marte,  entrando, 

La  trovò  che  posava,  e  lei  per  mano      3qo 

Prese,  e  a  nome  chiamò:  Venere,  disse, 

Ambo  ci  aspetta  il  solitario  letto. 

Di  casa  usci  Vulcano:  altrove  a  Lenno 

Vassene ,  e  ai  Sintii  di  selvaggia   voce. 

Piacque  l'invito  a  Venere,  e  su  quello    3y5 
Salì  con  Marte,  e"  si  corcò:  ma  i  lacci 
Lor  s'  avvolgean  per  cotal  guisa  intorno, 
Che  stendete  una  man,  levare  un  piede, 
Tutto  era  indarno;  e  s'accorgeano  alfine, 
Non  aprirsi  di  scampo  alcuna  via.  400 

S'avvicinava  intanto  il  fabbro  illustre, 
Che  volta  die  dal  suo  viaggio  a  Lenno: 
Perocché  il  Sole  spi'ator  la  trista 
Storia  gli  raccontò.  Tutto  dolente 
Giunse  al  suo  ricco  letto,  ed  arrestossi  ^o5 
Nell'atrio:  immensa  ira  l'invase,  e  tale 
Dal  petto  un  grido  gli  scoppiò,  che  tutti 
Dell'  Olimpo  1'  udir  gli  abitatori. 
O  Giove  padre,  e  voi,  disse,  beati 
Numi,  che  d' immortal  vita  godete,        4'° 
Cose  venite  a  rimirar  da  riso, 
Ma  pure  insopportabili:  Ciprigna, 
Di  Giove  figlia,   me,  perchè  impedito 
De'  piedi  son,  cuopre  d'infamia  ognora, 
Ed  il  suo  cor  nelP  omicida  Marte  4,J> 

Pone,  come  in  colui  che  bello  e  sano 
Nacque  di  gambe,  dove  io  mal  mi    reggo. 
Chi  sen  vuole  incolpar?  Non  forse  i  soli, 
Che  tal  non   mi  dovean  mettere  in  luce, 
Parenti  miei?  Testimon  siate,  o  Numi,  4^0 
Del  lor  giacersi  uniti ,  e  dell'  ingrato 
Spettacol  che  oggi  sostener  m1  è  forza. 
Ma  infredderan  nelle  lor  voglie,  io  credo, 
Benché  sì  accesi,  e  a  cotai  sonni  in  preda 
Più  non  vorranno  abbandonarsi.  Certo  4^5 
Non  si  svilupperan  d1  este   catene, 
Se  tutti  prima  non  mi  torna  il  padre 
Quei ,  eh'  io  posi  in  sua  man ,  doni  dotali 
Per  la  fanciulla  svergognata  :  quando 
Bella ,  sia  loco  al  ver,  figlia  ei  possiede,  43o 
Ha  del  proprio  suo  cor  non  donna  punto. 

Disse;  p  i  Dei  s' adunato  alla  fondata 
Sul  rame  casa  di  Vulcano.  Venne 


Nettuno,  il  Dio  per  cui  la  terra  trema, 

Mercurio  venne  de'  mortali  amico,  435 

Venne  Apollo  dal  grande  arco  d'argento. 

Le  Dee  non  già;  che  nelle  stanze  loro 

Riteneale  vergogna.    Ma  i  datori 

D'  ogni  bramato  ben  Dei  sempiterni 

Nell'atrio  s'adunar:  sorse  tra  loro  440 

Un  riso  inestinguibile,  mirando 

Di  Vulcan  gli  artifici;  e  alcun,  volgendo 

Gli  occhi  al  vicino,  in  tai  parole  uscia: 

Fortunati  non  sono  i  nequitosi 

Fatti,  e  il  tardo  talor  l'agile  arriva.       445 

Ecco  Vulcan,  benché  sì  tardo,  Marte, 

Che  di  velocilà  tutti  d'Olimpo 

Vince  gli  abitator,  cogliere:  il  colse, 

Zoppo  essendo,  con  l'arte;  onde  la  multa 

Dell'adulterio  gli  può  tórre  a  dritto.   45o 

Allor  così  a  Mercurio  il  gajo  Apollo  : 
Figlio  di  Giove,  messaggiero  accorto, 
Di  grate  cose  dispcnsier  cortese , 
Vorrestu  avvinto  in  sì  tenaci  nodi 
Dormire  all'  aurea  Venere  da  presso  ?    4^5 

Oh  questo  fosse,  gli  rispose  il  Nume 
Licenzioso,  e  ad  opre  turpi  avvezzo , 
Fosse,  o  Sir  dall'  argenteo  arco,  e  in  legami 
Tre  volte  tanti  io  mi  trovassi  avvinto, 
E  intendessero  i  Numi  in  me  lo  sguardo  460 
Tutti,  e  tutte  le  Dee!  Non  mi  dorria 
Dormire  all'  aurea  Venere  da  presso. 

Tacque;  e  in  gran   riso  i  Sempiterni  diero. 
Ma  non  ridea  Nettuno,  anzi  Vulcano, 
L' inclito  mastro,  senza  Gii  pregava  ,       4^5 
Liberasse  Gradivo,  e  con  alate 
Parole  gli  dicea  :  Scioglilo.   Io  t'entro 
Mallevador,  che  agl'Immortali  in  faccia 
Tutto  ei  compenserà,  com'  é  ragione. 

Questo,  rispose  il  Dio  dai  pie  distorti      47° 
Al  Tridentier  dalle  cerulee  chiome, 
Non  ricercar  da  me.  Triste  son  quelle 
Malleverie  che  dannosi  pe'  tristi. 
Come  legarti  agi'  Immortali  in  faccia 
Potrei,  se  Marte,  de' suoi  lacci  sciolto,  4y5 
Del  debito,  fuggendo,  anco  s'affranca? 

Io  ti  satisfarò ,  rispose  il  Nume 
Che  la  terra  circonda,  e  fa  tremarla. 

E  il  divin  d'ambo  i  pie  zoppo  ingegnoso: 
Bello  non  fora  il  ricusar,  né  lice.  480 

Disse,  e  d'un  sol  suo  tocco  i  laccijnfranse. 

Come  liberi  fnr,  saltaro  in  piede, 
E  Marte  in  Tracia  corse:  ma  la  Diva 
Del  riso  amica,   riparando  a  Cipri, 
In  Pafo  si  fermò,  dove  a  lei  sacro  4^5 

Frondeggia  un  bosco,  ed  un  aitar  vapora. 
Qui  le  Grazie  lavato,  e  del  fragrante 
Olio,  che  la  beltà  cresce   de'  Numi  , 
Unsero  a  lei  le  delicate  membra  : 
Poi  così  la  vestir,  che  meraviglia  4y° 

Non  meo  che  la  Dea  stessa,  era  il  suo  manto. 

Tal  cantava  Demodoco  ;  ed  Ulisse 
E  que'  remigator  forti,  que'  chiari 
Navigatori,  di  piacere,  udendo, 

Le  vene  ricercar  sentiansi,  e  Possa.        49^ 

Ma  di  Laodamante  e  d'  Alio  soli , 
Che  gareggiar  con  loro  altri  non  osa , 

Ad  Alcinoo  mirar  la  danza  piacque. 

Nelle  man  tosto  la  leggiadra  palla 


u 


ODISSEA 


Si  reearo,  che  ad  essi  avea  Y  industre    Soo 
Polibo  fatta,  e  colorata  in  rosso. 
L'uri  la  palla  gittava  in  vèr  le  fosche 
Nubi,  curvato  indietro;  e  l'altro,  un  salto 
Spiccando,  riceveala,  ed  al  compagno 
La  rispingea  senza  fatica  o  sforzo,  5o5 

Pria  che  di  nuovo  il  suol  col  pie  toccasse. 
Gittata  in  alto  la  vermiglia  palla, 
La  nutrice  di  molti  amira  terra 
Co1  dotti  piedi  cominciaro  a  battere, 
A  far  volte  e  rivolte  alterne  e  ripide,    5io 
Mentre  lor  l* applaudi'a  dagli  altri  giovani 
Nel  circo ,  e  acute  al  ciel  grida  s'  alzavano. 
Cosi  ad  Alcinoo  I1  Itacese  allora  : 
O  de'  mortali  il  più  famoso  e  grande, 
Mi  promettesti  danzatori  egregi  5i5 

E  ingannato  non   m'hai.  Chi  può  mirarli 
Senza  inarcar  dello  stupor  le  ciglia? 
Gioì  d1  Alcinoo  la  sacrata  possa  , 
E  ai  Feaci  rivolto,  Udite,  disse, 
Voi  che  per  sangue  e  merlo  i  primi  siete.  520 
Saggio  assai  panni  il   forestiero,  e  degno 
Che  di  ricchi  l'orniam  doni  ospitali. 
Dodici  reggon  questa  gente  illustri 
Capi,  e  tra  loro  io  tredicesmo  siedo. 
Tunica  e  manto,  ed  un  talento  d'oro    525 
Presentiamgli  ciascuno,  e  tosto,  e  a  un  tempo, 
Ond'  ei ,  cosi  donato  ,  alla  mia  cena 
Con  più  gioja  nel  cor  vegna  e  s1  assida. 
Eurialo,  che  il  ferì  d'acerbi  motti, 
Co1  doni,  e  in  un  con  le  parole,  il  plachi.  53o 
Assenso  die  ciascuno,  e  un  banditore 
Mandò  pe'doni;  e  così  Eurialo:  Alcinoo; 
11  più  famoso  de'  mortali  e  grande, 
L'ospite  io  placherò,  come  tu  imponi. 
Gli  offrirò  questa  di  temprato  rame        535 
Fedele  spada,  che  d'argento  ha  l'elsa, 
La  vagina  d'  avorio  ;  e  fu  1'  avorio 
Tagliato  dall'  artefice  di  fresco. 
Non  l'avrà,  io  penso,  il  forestiere  a  sdegno. 
Ciò  detto,  a  Ulisse  in  man  la  spada  pose  54o 
Con  tali  accenti  :  Ospite  padre,  salve. 
Se  dura  fu  profferta  e  incauta  voce, 
Prendala  e  seco  il  turbine  la  porti. 
E  a  te  della  tua  donna  e  degli  amici, 
Donde  lungi, e  trai  guai, gran  tempo  vivi,   545 
Giove  conceda  i  desiati  aspetti. 
Salve,  gli  replicò  subito  Ulisse  , 
Amico,  e  tu.  Gli  abitator  d'Olimpo 
Dianli  felici  dì  :  né  mai  nel  petto 
Per  volger  d'anni  uopo  o  desir  ti  nasca  55o 
Di  questa  spada  eh'  io  da  te  ricevo  , 
Benché  placato  già  sol  da'  tuoi  detti. 
Tacque;  e  il  buon  brando  agli  omeri  sospese. 
Già  dechinava  il  Sole,  e  innanzi  a  Ulisse 
Stavano  i  doni.  Gli  onorati  araldi  555 

Nella  reggia  porterò  i  doni  eletti , 
Che  dai  figli  del  Re  tolti ,  e  all'  augusta 
Madre  davante  collocati  furo. 
Alcinoo  entrò  alla  reggia,  e  seco  i  prenci, 
Che  altamente  sederò;  e  del  Re  il  sacro  56o 
Valore  in  forma  tal  parlò  ad  Arete  : 
Donna,  su  via,  la  più  sald'arca  e  bella 
Fuor  traggi,  ed  una  tunica  vi  stendi, 
E  un  manto,  di  cui  nulla  offenda  il  lustro. 
Scaldisi  in  oltre  allo  stranici-  nel  cavo   565 


Rame  sul  foco  una  purissim'onda, 
Perch'  ei ,  le  membra  asterse,  e  visti  in  beli» 
Ordin  riposti  de'  Feaci  i  doni , 
Meglio  il  cibo  gli  sappia,  e  più  gradito 
Scendagli  al  cote  per  l' orecchio  il  canto.  570 
Io  questa  gli  darò  di  pregio  eccelso 
Mia  coppa  d'  oro,  acciò  non  sorga  giorno, 
Ch' ei  d'Alcinoo  non  pensi,  al  Saturnale 
Ubando  nel  suo  tetto,  e  agli  altri  Numi. 
Disse;  ed  Arete  alle  sue  fanti   ingiunse     5^5 
Porre  il  treppiede  in  su  le  brace  ar  lenti. 
Quelle  il  treppiede  in  su  le  ardenti  brace 
Posero,  e  versar  1'  onda,  e  le  raccolte 
Legne  accendeanvi  sotto:  il  cavo  rame 
Cingean  le  fiamme,  e  si  scaldava  il  fonte.  58o 
Arete  fuor  della  secreta  stanza 
Trasse  dell'arche  la  più  salda   e  bella, 
E  tutti  con  la  tunica  e  col  manto 
Vi  allogò  i  doni  in  vestimenta  e  in  oro. 
Indi  assennava  l'ospite:  Il  coverchio        585 
Metti  tu  stesso,  e  bene  avvolgi  il  nodo, 
Non  forse  alcun  ti  nuoccia,  ove  te  il  dolce 
Sonno  cogliesse  nella  negra  nave. 
L'accorto  eroe,  che  non  udilla  indarno, 
Mise  il  coverchio,  e  l'intricato  nodo       590 
Prestamente  formò,  di  cui  mostrato 
Gli  ebbe  il  secreto  la  dedalea  Circe. 
E  qui  ad  entrar  la  dispensicra  onesta 
L'  invitava  nel  bagno.   Ulisse  vide 
I  lavacri  fumar  tanto  più  lieto,  5g5 

Che  tai  conforti  s'  accostar  di  rado 
Al  suo  corpo  dal  dì  che  della   Ninfa 
Le  grotte  più  noi  ritcucaii,   dov'  era 
D'ogni  cosa  adagialo  al  par  d'  un  Nume. 
Lavato  ed  unto  per  le  scorte  ancelle,       600 
E  di  manto  leggiadro  e  di  leggiadra 
Tunica  cinto,  alla  gioconda  mensa 
Da'  tepidi  lavacri  Ulisse  giva. 
Nausica ,  cui  splendei  tutta  nel  volto 
La  beltà  degli  Dei,  della  superba  6o5 

Sala  fermossi  alle  lucenti  porte. 
Sgnardava  Ulisse,  e  l'ammirava,  e  queste 
Mandavagli  dal  sen  parole  alate: 
Felice,  ospite,   vivi,  e  ti  ricorda, 
Come  sarai  nella  natia  tua  terra,  610 

Di  quella,  onde  pria  venne  a  te  salute. 
Nausica,  del  prò'  Alcinoo  inclita  figlia, 
Ulisse  rispondeale,  oh!  così  Giove, 
L'altitonante  di  Giunon  marito, 
Voglia  che  il  dì  del  mio  ritorno  spunti,  6i5 
Com'  io  nel  dolce  ancor  nido  nativo 
Sempre,  qual  Dea,  t'onorerò:  che  fosti 
La  mia  salvezza  tu  ,  fanciulla  illustre. 
Già  le  carni  partiansi ,  e  nelle  coppe 
Gli  umidi  vini  si  mesccano.  Ed  ecco      620 
Il  banilitor  venir,  guidar  per  mano 
L'onorato  da  tutti  amabil  vate, 
E  adagiarlo  ,  facendogli  d1  un'  alta 
Colonna  appoggio,  ai  convitati   in  mezzo. 
Ulisse  allor  dall'  abbrostita  e  ghiotta        625 
Schiena  di  pingue ,  dentibianeo   verro 
Tagliò  un  florido  brano,  ed  all'araldo, 
Te',  disse,  questo,  e  al  vate  il  porta,  ond'io 
Rendagli,  benché  afflitto,  un  qualche  onore. 
Chi  é  che  in  pregio  e  in  riverenza  i  vati  63o 
Non  tenga?  i  vali,  che  ama  tanto,  e  a  cui 


LlliRO  OTTAVO 


Sì  dolci  melodie  la  Musa  impara. 
Portò  l'araldo  il  dono,  e  il  vate  il  prese, 

E  per  Palma  gli  andò  tacita  gioja. 
Alle  vivande  intanto  e  alle  bevande  635 

Porgean  la  mano;  e  furo  spenti  appena 
Della  fame  i  desiri  e  della  sete, 
Che  il  saggio  Ulisse  tali  accenti  sciolse: 
Demodoco,  io  te  sopra  ogni  vivente 
Sollevo,  te,  che  la  canora  figlia  640 

Del  sommo  Giove,    o  Apollo  stesso  inspira. 
Té   i  casi  degli  Achivi ,  e  ciò  che  opraro, 
Ciò  che  soffrirò,  con  estrema  cura, 
Quasi  visto  P avessi,  o  da  que1  prodi 
Guerrieri  udito,  su  la  cetra  poni.  645 

Via,  dunque,  siegui,  e  I' edifizio  canta 
IVI  «rati  cavallo,  che  d' inteste  travi, 
Con  Pallade  al  suo  fianco,  Epèo  construsse, 
E  Ulisse  penetrar  fio  nella  rocca 
Dardauia  pregno  (stratagemma  insigne!)  65o 
Degli  eroi  per  cui  Troja  andò  in  faville. 
Ciò  fedelmente  mi  racconta,  e  lutti 
Sdamar  m'udranno,   ed  attestar  che  il  netto 
Di  tutta  la  sua  fiamma  il  Dio  t'accende. 
Demodoco,  die  pieno  era  del  Nume,       655 
D'alto  a  narrar  prendea,  come  gli  Achivi, 
Gittato  il  foco  nelle  tende,  i  legni 
Parte  salirò,  e  aprir  le  vele  ai  venti, 
Parte  sedean  col  valoroso  Ulisse 
Ne1  fianchi  del  cavallo  entro  la  rocca.     660 
I  Troi,  standogli  sotto  in  cerchio  assisi, 
Molte  cose  dicean  ,  ma  incerte  tutte , 
E  in  tre  sentenze  divideansi:  o  il  cavo 
Legno  intagliato  lacerar  con  P  armi , 
O  addurlo  in  cima  d'una  rupe,  e  quindi  665 
Precipitarlo,  o  il  simulacro  enorme 
Agli  adirati  Numi  offrire  in  vota 
Questo  prevalse  alfin  :  poiché  destino 
Era  che  allor  perisse  Ilio  superbo  , 
Che  ricettata  nel  suo  grembo  avesse       670 
L'  immensa  mole  intesta,  ove  de1  Greci, 
Morte  ai  Troi  per  recar,  sedeano  i  capi. 
Narrava  pur ,  come  de'  Greci  i  figli , 
Fuor  di  quella  versatisi,  e  lasciate 
Le  cave  insidie,  la  citlade  a  terra  6^5 

Gii  taro;  e  come,  mentre  i  lor  compagni 
Guastavan  qua  e  là  palagi  e  templi , 
Ulisse  di  Deifobo  alla  casa 
Col  divin  Menelao  corse,  qual  Marte, 
E  un  duro  v'ebbe  a  sostener  conflitto,  680 
Donde  usci  vincitore,  auspice  Palla. 
A  tali  voci ,  a  tai  ricordi  UUsse 
Struggeasi  dentro,  e  per  le  smorte  guance 
Piovea  lagrime  giù  dalle  palpebre. 
Qual  donna  piange  il  molto  amato  sposo,  685 
Che  alla  sua  terra  innanzi,  e  ai  cittadini 
Ctddc  e  ai  pargoli  suoi,  da  cui  lontano 
Volea  tener  P  ultimo  giorno;  ed  ella, 
Che  moribondo  il  vede  e  palpitante, 
Sovra  lui  s'abbandona,  ed  urla  e  stride,  690 
Mentre  ha  di  dietro  chi  dell'asta  il  tergo 
Le  va  battendo,  e  gli  omeri,  e  le  intima 
Schiavitù  dura,  e  gran  fatica  e  strazio, 
Sì  che  già  del  dolor  la  miserella 
Smunto  ne  porta  e  disfiorato  il  volto  :  69.5 


.  Così  Ulisse  di  sotto  alle  palpebre 
Consumatrici  lagrime  piovea. 
Pur  del  suo  pianto  nou  s'accorse  alcuno, 
Salvo  re  Alcinoo,  che  sedeagli  appresto, 
E  gemere  il  sentia  :  però  ai  Feaci,  700 

Udite ,  disse ,  o  condottieri  e  prenci. 
Deppnga  il  vate  la  sonante  cetra  ; 
Che  a  tutti  il  canto  suo  grato  non  giunge. 
Dal  primo  istante  eh1  ei  toccolla,  in  pianto 
Cominciò  a  romper  P  ospite  ,  a  cui  siede  705 
Certo  un'antica  in  sen  cura  mordace. 
La  mano  adunque  dalle  corde  astenga; 
E  lieto  allo  stranier  del  par  che  a  noi  , 
Che  il  ricettammo,  questo  giorno  cada. 
Consiglio  altro  non  v'ha.  Per  chi  tal  festa?  710 
Per  chi  la  scorta  preparata,  e  i  doni, 
D'  amistà  pegni,  .e  le  accoglienze  oneste  ? 
Un  supplice  straniero  ad  uom ,  che  punto 
Scorga  diritto  ,  e  di  fratello  in  vece. 
Ma  tu  di  quel  ch'io  domandarti  intendo,  7 1 5 
Nulla  celarmi  astutamente  :  meglio 
Torneranne  a  te  stesso.  11  nome  dimmi , 
Con  che  il  padre  solea ,  solea  la  madre  , 
E  i  cittadin  chiamarti ,  ed  i  vicini  : 
Che  senza  nome  uom  non  ci  vive  in  terra,  720 
Sia  buono  o  reo,  ma,  come  aperse  gli  occhi, 
Di'  genitori  suoi  P  acquista  in  fronte. 
Dimmi  il  tuo  suol,  le  genti  e  la  cittade, 
Sì  che  la  nave  d'  intelletto  piena 
Prenda  la  mira,  e  vi  ti  porti.  I  legui    725 
Della  Feacia  di  nocchier  mestieri 
Non  han  ,  ne  di  timon:  mente  hanno,  e  tutti 
Sanno  i  disegni  di  chi  stavvi  sopra , 
Conoscon  le  cittadi  e  i  pingui  campi , 
E  senza  tema  di  mina  o  storpio  ,  730 

Rapidissimi  varcano  ,  e  di  folta 
Nebbia  coverti,  le  marine  spume. 
Bensì  al  padre  Nausitoo  io  dire  intesi , 
Che  Nettun  contra  noi  forte  s'adira, 
Perchè  illeso  alla  Patria  ogni  mortale     735 
Riconduciamo  ;  e  che  un  de'  nostri  legni 
Ben  fabhricati  ,  al  suo  ritorno  ,  il  Dio 
Struggerà  nelle  fosche  onde;  e  la  nostra 
Cittade  coprirà  d'  alta  montagna. 
Ma  effetto  abbiano,  o  no,  queste  minacce,  740 
Tu  mi  racconta,  né  fraudarmi  il  vero, 
I  mari  scorsi  e  i  visitati   lidi. 
Parlami  delle  genti ,  e  delle  terre 
Che  di  popol  ridondano,  e  di  quante 
Veder  t'avvenne  nazioni  agresti ,  745 

Crudeli,  ingiuste,  o  agli  stranieri  amiche, 
A  cui  timor  de'  Numi  alberga  in  petto. 
Né  mi  tacer,  perchè  secreto  piangi 
Quando  il  fato  di  Grecia  e  d' Ilio  ascolti. 
Se  venne  dagli  Dei  strage  cotanta,  750 

Lor  piacque  ancor  clie  degli  eroi  le  morti 
Fossero  il  canto  dell'  età  future. 
Ti  perì  forse  un  del  tuo   sangue  a  Troja, 
Genero  prode,  o  suocero  ,  i  più  dolci 
Nomi  al  cor  nostro  dopo  i  figli  e  i  padri  ?  755 
O  forse  un  fido,  che  nell'alma  entrarti 
Sapea,  compagno  egregio?  È  qual  fratello 
L'  uom  che  sempre  usa  teco,  e  a  cui  fornirò 
D'alta  prudenza  l'intelletto  i  Numi. 


PlSOZVOKTE 


LIBRO    NONO 


ARGOMENTO 


Ulisse  incornili.'!»  il  racconto  delle  avventure  sue  dopo  la  soa  partenza  di  Troja.  Battaglia  co  Ciconi,  che 
avean  soccorso  i  Troiani.  Arrivo  al  paese  de' Lotofagi,  o  sia  mancatori  del  loto.  Descrizione,  d  una  sin- 
golare isoletla ,  e  della  spelonca  del  ciclope  Poliremo.  Questi  gli  d.vora  sei  de  compagni  ;  ed  egli ,  dopo 
averlo  acciecalo,  si  salva  con  gli  altri ,  mediante  uno  strai 


emina    nuovo  che  seppe  inventare. 


Alcinoo  Rege,  che  ai  mortali  tutti 
Di  grandezza  e  di  gloria  innanzi  vai , 
Bello  è  l'udir,  gli  replicava  Ulisse, 
Cantor,  come  Demodoco,  di  cui 
Pari  a  quella  d1  un  Dio  suona  la  voce:       5 
Né  spettacol  più  gralo  Ravvi,  che  quando 
Tutta  una  gente  si  dissolve  in  gìoja, 
Quando  alla  mensa,  che  il  ca'ntor  rallegra, 
Molti  siedono  in  ordine,  e  le  lanci 
Colme  di  cibo  son,  di  vino  l'urne,  io 

Donde  coppier  nell'auree  tazze  il  versi, 
E  ai  convitati  assisi  il  porga  in  giro. 
Ma  tu  la  storia  de'  miei  guai  domandi, 
Perdi1  io  rinnovi  ed  inacerbi  il  duolo. 
Qual  pria  dirò,  quaì  poi,  qual  nell'estremo  i5 
Racconto  serberò  delle  sventure, 
Che  gravi  e  molte  m1  invi'aro  i  Numi? 
Prima  il  mio  nome,  acciò,  se  vita  un  giorno 
Mi  si  concede  riposata  e  ferma, 
Dell1  ospitalità  ci  unisca  il  nodo,  ao 

Benché  quinci  lontan  sorga  il  mio  tetto. 
Ulisse,  il  Aglio  di  Laerte,  io  sono, 
Per  tutti  accorgimenti  al  mondo  in  pregio, 
E  già  noto  per  fama  in  sino  agli  astri. 
Abito  la  serena  Itaca,  dove  a5 

Lo  seuotifronde  Nérito  si  leva 
Superbo  in  vista,  ed  a  cui  giaccion  molte 
Non  lontane  tra  loro  isole  intorno, 
Dulichio,  Same,  e  la  di  selve  bruna 
Zacinlo.  AH1  orto  e  al  mezzogiorno  queste,  3o 
Itaca  al  polo  si  rivolge,  e  meno 
Dal  continente  fugge:  aspra  di  scogli, 
Ma  di  gagliarda  gioventù  nutrice. 
Deh  qual  giammai  l1  ttom  può  della  natia 
Sua  contrada  veder  cosa  più  dolce?  35 

Calipso,  inclita  Diva,  in  cave  grotte 
Mi  ritenea,  mi  ritenea  con  arte 
Nelle  sue  case  la  dedalea  Circe, 
Desiando  d1  avermi  entrambe  a  sposo. 
Ma  né  Calipso  a  me,  né  Circe  il  core      4° 
Piegava  mai;  che  di  dolcezza  tutto 
La  Patria  avanza,  e  nulla  giova  un  ricco 
Splendido  albergo  a  chi  da'  suoi  disgiunto 
Vive  in  estrania  terra.  Or  tu  mi  chiedi 
Quel  che  da  Troja  prescriveami  Giove      4^ 
Lacrimabil  ritorno;  ed  io  tei  narro. 
Ad  Ismaro,  de1  Ciconi  alla  sede, 
Me,  che  lasciava  Troja,  il  vento  spinse. 
Saccheggiai  la  città,  strage  menai 
Degli  abitanti;  e  sì  le  molte  robe  5o 

Dividemmo,  e  le  donne,  che  alla  preda 
Ciascuno  ebbe  ugual  parte.  Io  gli  esortava 
Partir  subito  e  in  fretta;  e  i  forsennati, 


Dispregiando  il  mio  dir,  pecore  pingui, 
Pingui  a  scannar  tortocornuti  tori,  55 

E  larghi  nappi  ad  asciugar  sul  lido. 
S1  allontanalo  in  questo  mezzo,  e  voce 
Dicro  i  Ciconi  ai  Ciconi  vicini, 
Che  più  addentro  abitavano.  Costoro, 
Che  in  numero  vincesti  gli  altri,  ed  in  forza,  6o 
E  battagliare  a  pie,  come  dal  carro, 
Sapeau  del  pari,  mattutini,  e  tanti, 
Quante  son  fronde  a  primavera  e  fiori, 
Vennero;  e  allor  di  cielo  a  noi  meschini 
Riversò  addosso  un  gran  sinistro  Giove.  65 
Stabile  accanto  alle  veloci  navi 
Pugna  si  commrltea  :  d1  ambo  le  parti 
Volava»  le  pungenti  aste  omicide. 
Finché  il  mattili  durava,  e  il  sacro  Sole 
Acquistava  del  ciel,  benché  più  scarsi,     70 
Sostenevam  della  battaglia  il  nembo. 
Ma  come  il  Sol,  calandosi  ali1  Occaso, 
L1  ora  menò,  che  dal  pesante  giogo 
Si  disciolgono  i  buoi,  l1  Achiva  forza 
Fu  dall1  aste  de1  Ciconi  respinta.  ^5 

Sei  de1  compagni  agli  schinieri  egregi 
Perde  ogni  nave:  io  mi  salvai  col  resto. 
Lieti  nel  cor  della  schivata  morte, 
E  «le1  compagni  nella  pugna  uccisi 
Dolenti  in  un,  ci  allargavam  dal  lido:      80 
Ma  le  ondivaghe  navi  il  lor  cammino 
Non  proseguian,  che  tre  fiate  in  prima 
Non  si  fosse  da  noi  chiamalo  a  nome 
Ciascun  di  quei  che  giacean  freddi  addietro. 
L1  adunator  de1  nembi  olimpio  Giove        85 
Contro  ci  svegliò  intanto  una  feroce 
Tempesta  boreal,  che  d'atre  nubi 
La  terra  a  un  tempo  ricoverse,  e  il   mare, 
E  la  notte  di  cielo  a  piombo  scese. 
Le  vele  ai  legni,  che  moveansi  obbliqui,  9C 
Squarciò  in  tre  e  quattro  parti  il  forte  turbo. 
Noi  del  timore  ammainammo,  e  ratto 

I  navigli  affrettammo  in  vèr  la  spiaggia, 
Ove  due  giorni  interi,  e  tante  notti, 
Posavam  lassi,  e  addolorati  e  muti.  gì 

Ma  come  l1  Alba  dai  capelli  d1  oro 

II  di  terzo  recò,  gli  alberi  alzati, 
E  dispiegate  le  candide  vele, 
Entro  i  navigli  sedevam,  la  cura 

Al  timonier  lasciandone,  ed  al  vento.     io( 
Tempo  era  quello  da  toccar  le  amate 
Sponde  natie:  se  non  che  Borea,  e  un1  aspra 
Corrente  me,  che  la  Maléa  girava, 
Respinse  indietro,  e  da  Citerà  svolse. 
Per  nove  infausti  di  sul  mar  pescoso       io! 
I  venti  rei  uà  tiaportaro.  Al  fine 


ODISSEA  LIBRO  IVOINO 


u 


Nel  decimo  sbarrammo  in  sii  le  rive 
He1  Lotofagi,   un  popolo  a  cui  cibo 
E  d'  una  pianta  il  florido  germoglio. 
Entrammo  nella  terra,  acqua  attignemmo,  i  io 
E  pasteggiammo  appo  le  navi.   Estinti 
Della  fame  i  desiri  e  della  sete, 

10  due  scelgo  de1  nostri,  a  cui   per  terzo 
Giungo  un  araldo,  e  a  investigar  li  mando, 
Quai  mortali  il  paese  alberghi  e  nutra.   ii5 
Partirò,  e  s1  affronlaro  a  ([nella  gente, 
Che,  lunge  dal  voler  la  vita  loro, 

11  dolce  loto  a  savorar  lor  porse. 
Chiunque  l1  esca  dilettosa  e  nuova 
Gustalo  avea,  con  le  novelle  indietro     120 
Non  bramava  tornar:  colà  bramava 
Starsi,  e,  mangiando  del  soave  loto, 

La  contrada  natia  sbandir  dal  petto. 
E  ver  eh1  io  lagninosi  al  mar  per  forza 
Li  ricondussi,  entro  i  cavati  legni  ia5 

Li  cacciai,  gli  annodai  di  .-«otto  ai  banchi: 
E  agli  altri  risalir  con  gran  prestezza 
Le  negre  navi  comandai,  non  forse 
Ponesse  alcun  nel  dolce  loto  il  dente, 
E  la  Patria  radesscgli  dal  core.  i3o 

Quei  le  navi  saltino,  e  sovra  i  banchi 
Sedean   I'  un  dopo  Pallio,  e  gian  battendo 
Co1  pareggiati  remi  il  mar  canuto. 

Ci  portammo  oltre,  e  de'  Ciclopi  altieri, 
Che  vivon  senza  leggi,  a  visU  fummo.    1 35 
Questi,   lasciando  ai  Numi  ogni  pensiero, 
Ne  ramo  o  seme  por,  ne  soglion  gleba 
Col  vomero  spezzar;   ma  il  tutto  viene 
Non  seminato,   non  piantato  o  arato, 
L'orzo,  il  frumento  e  la  gioconda  vite,      i^o 
Che  si  carca  di  grosse  uve,  e  cui  Giove 
Con  pioggia   tempestiva  educa  e  cresce. 
Leggi  non   han,   non  radunanze,  in  cui 
Si  consulti  tra  lor:  de1  monti  eccelsi 
Dimorali  per  le  cime,  o  in  antri  cavi;   i45 
Su  la  moglie  ciascun  regna  e  su  i  figli, 
Né  l1  uno  ali1  altro  tanto  o  quanto  guarda. 
Ai  Ciclopi  di  contra,  e  ne  vicino 
Troppo,  né  lunge,  un1  isoletta  siede 
Di  foreste  ombreggiata,  ed  abitata  l5o 

Da  un'  infinita  nazìon  di  capre 
Silvestri,  onde  la  pace  alcun  non  turba; 
Che  il  cacciatoi-,  che  per  burroni  e  boschi 
Si  consuma  la  vita,  ivi  non   entra, 
Non  aratore  o  mandrian  v'alberga.  1 55 

Manca  d1  umani  totalmente,  e  solo 
Le  belanti  caprette,  inculla,  pasce. 
Peiò  che  navi  dalle  rosse  guance 
Tu  cerchi   indarno  tra  i  Ciclopi,  indarno 
Cerchi  fabbro  di  nave  a  saldi  banchi,      160 
Su  cui  passare  i  golfi,  e  le  straniere 
Città  trovar,  qual  delle  genti  è  usanza, 
Che  spesso  van  1'  una  dell'  altra  ai  lidi, 
E  ali1  isola  deserta  addur  coloni. 
Malvagia  non  è  certo,  e  in  sua  stagione    i65 
Tutto  darebbe.  Molli  e  irrigui  prati 
Spiegansi  in  riva  del  canuto  mare. 
Si  vestirian  di  grappi  ognor  le  viti, 
E  così  un  pingue  suolo  il  vomer  curvo 

.  Riceverla,  che  altissima  troncarvi  170 

Potriasi  al  tempo  la  bramata  messe. 
Che  del  porto  dirò?  Non  v1  ha  di  fune 


80 


i85 


190 


95 


Né  d'ancora  mestieri;  e  chi  già  entrovvi, 
Tanto  vi  può  indugiar,  che  de1  nocchieri 
Le  voglie  si  raccendano,  e  secondi  io5 

Spirino  i  venti.  Ma  del  porto  in  cima 
S  apre  una  grotta,  sotto  cui  zampilla 
L'argentina  onda  d'ima  fonte,  e  a  cui 
Fan  verdissimi  pioppi  ombra  e  corona. 
Là  smontavamo,  e  per  1'  oscura  notte, 
Noi,  spenta  ogni  veduta,  un  Dio  scorgea 
Che  una  densa  caligine  alle  navi 
Stava  d'  intorno,  né  splendea  di  cielo 
La  Luna,  che  d'  un  nembo  era  coverta 
Quindi  nessun  1'  isola  vide,  e  i  vasti 
Flutti  al  lido  volventisi,  ebe  prima 
Approdati  non  fossimo.  Approdati , 
Tutte  le  vele  raccogliemmo,  uscimmo 
Sul  lido,  e  l'Alba  dalle  rosee  dita, 
Nel  sonno  disciogliendoci,  aspettammo. 

Sorta  la  figlia  del  mattino  appena, 
L' isoletta,  che  in  noi  gran  maraviglia 
Destò,  passeggiavamo.  Allor  le  Ninfe, 
Prole  cortese  dell'  egioco  Giove, 
Per  fornir  di  convito  i  miei  compagni, 
Quelle  capre  levaro.  E  noi  repente, 
Presi  i  curvi  archi  e  le  asticciuole  acute, 
E  tre  schiere  di  noi  fatte,  in  tal  guisa 
Il  monte  fulminammo,  e  il  bosco  tutto, 
Ch'  io  non  so,  se  dai  Numi  insìbrev'ora  200 
Fu  concessa  giammai  caccia  sì  ricca. 
Dodici  navi  mi  seguiano,  e  nove 
Capre  ottenne  ciascuna:  io  dieci  n'ebbi. 
Tutto  quel  giorno  sedevamo  a  mensa 
Tra  carni  immense  e  prezioso  vino:         2o5 
Poiché  restava  su  le  navi  ancora 
Del  licore,  onde  molte  anfore  e  molte 
Riempiuto  avevam,  quando  la  sacra 
Dispogliammo  de'  Ciconi  cittade. 
E  de'  Ciclopi  nel  vicin  paese  210 

Levate  infanto  tenevam  le  ciglia, 
E  salir  vedevamo  il  fumo,  e  miste 
Col  belo  dell'  agnelle  e  delle  capre 
Raccoglievam  le  voci.  11  Sole  ascoso, 
Ed  apparse  le  tenebre,  le  membra  2i5 

Sul  inariii  lido  a  riposar  gettammo. 

Ma  come  del  mattin  la  figlia  sorse, 
Tutti  chiamati  a  parlamento,  Amici, 
Dissi,  vi  piaccia  rimaner,  menti' io 
Della  gente  a  spiar  vo'  col  mio  legno,  220 
Se  ingiusta,  soperchievole,  selvaggia, 
O  di  core  ospitai  siasi,  ed  a  cui 
Timor  de'  Numi  si  racchiuda  in  petto. 
Detto,  io  montai  la  nave,  e  ai  remiganti 
Montarla  ingiunsi,  e  liberar  la  fune.       225 
E  ([uei  ratto  ubbidirò;  e  già  su  i  banchi 
Sedean  1'  un  dopo  l'altro,  e  gian  battendo 
Co'  pareggiati  remi  il  mar  canuto. 

Giunti  alla  terra,  che  sorgeaci  a  fronte, 
Spelonca  eccelsa  nell'estremo  fianco        23o 
Di  lauri  opaca,  e  al  mar  vicina,  io  vidi. 
Entro  giaceavi  innumerabil  greggia, 
Pecore  e  capre;  e  di  recise  pietre 
Composto,  e  di  gran  pini  e  querce  ombrose, 
Allo  recinto  vi  correa  d'intorno.  235 

Uom  gigantesco  abita  qui,  che  lunge 
Pasturava  le  pecore  solingo. 
In  disparte  costui  vivea  da  tutti, 


44 


ODISSEO 


240 


245 


E  rose  inique  nella  mente  cruda 
Covava:  orrendo  mostro,  né  sembiante 
Punto  alla  stirpe  che  di  pan  si  nutre, 
Ma  più  presto  al  cucuzzolo  selvoso 
D'  una  montagna  smisurata,  dove 
Non  gli  s'  alzi  da  presso  altro  cacume. 
Lascio  i  compagni  della  nave  a  guardia, 
E  con  dodici  sol,  che  i  più  robusti 
Mi  pareano,  e  più  arditi,  in  via  mi  pongo, 
Meco  in  otre  caprili  recando  un  negro 
Licor  nettareo,  che  ci  die  Marone 
D'Evantéo  figlio,  e  sacerdote  a  Febo,    a5o 
Cui  d1  Isniaro  le  torri  erano  in  cura. 
Soggiornava  del  Dio  nel  verde  bosco, 
F.  noi  di  santa  riverenza  tocchi 
Con  la  moglie  il  salvammo,  e  con  la  prole. 
Quindi  ei  mi  porse  incliti  doni:  sette     255 
Talenti  d1  òr  ben  lavorato,  un1  urna 
D'argento  tutta,  e  dodici  d'un  vino 
Soave,  incorruttibile,  celeste 
Anfore  colme;  un  vin  ch'egli,  la  casta 
Moglie  e  la  fida  dispensiera  solo,  260 

Non  donzelli  sapeanlo,  e  non  ancelle. 
Quandunque  ne  bevean,  chi  empiea  la  tazza  , 
Venti  metri  infondea  d'acqua  di  fonte, 
E  tal  dall'urna  scoverchiata  odore 
Spirava,  e  sì  divin,  che  somma  noja       265 
Stato  sarfa  non  confortarne  il  petto. 
Io  dell1  alma  bevanda  un  otre  adunque 
Tenea,  tenea  vivande  a  un  zaino  in  grembo: 
Clic  ben  diceami  il  cor,  quale  di  strana 
Eorza  dotato  le  gran  membra,  e  insieme  270 
Debil  conoscitor  di  leggi  e  dritti, 
Salvatic'uom  mi  si  farebbe  incontra. 
Alla  spelonca  divenuti  in  breve, 
Lui  non  trovammo,  che  per  l'erte  cime 
Le  pecore  lanigere  aderbava.  2j5 

Entrati,  gli  occhi  stupefatti  in  giro 
Noi  portavam  :  le  aggraticciate  corbe 
Cedeano  al  peso  de' formaggi,  e  piene 
D'agnelli  e  di  capretti  eran  le  stalle; 
E  1  più  grandi,  i  mezzani,  i  nati  appena,  280 
Tutti,  come  l'etade,  avean  del  pari 
Lor  propria  stanza;  e  i  pastorali  vasi, 
Secchie,  conche,  catini,  ov'  ei  le  poppe 
Premer  solea  delle  feconde  madri  , 
Entro  il  siere  notavano.  Qui  forte  285 

I  compagni  pregavanmi  che,  tolto 
Pria  di  quel  cacio,  si  tornasse  addietro, 
Caprelti  s'adducessero  ed  agnelli 
Alla  nave  di  fretta ,  e  in  mar  s'entrasse. 
Ma  io  non  volli ,  benché  il  meglio  fosse  :     290 
Quando  io  bramava  pur  vederlo  in  faccia, 
E  trar  doni  da  lui,  che  riuscirci 
Ospite  si  inamabile  dovea. 
Tiacceso  il  foco,  un  sacrifizio  ai  Numi 
Femmo,  e  assaggiammo  del  rappreso  latte :2o,5 
L-uli  1' atlendevam  nell'antro  assisi. 
Venne,   pascendo  la  sua  greggia,  e  in  collo 
Pondo  non  lieve  di  risecca  selva , 
Che  la  cena  cocessegli ,  portando. 
Davanti  all'antro  giltò  il  carro,  e  tale  3oo 
Lcvossene  un  romor ,  che  sbigottiti 
Nel  più  interno  di  quel  ei  ritraemmo. 
Ei  dentro  mise  le  feconde  madri, 
E  gl'irchi  a  cielo  aperto,  ed  i  montoni 


Nella  corte  lasciò.  Poscia  una  vasta         3o5 
Sollevò  in  alto  ponderosa  pietra, 
Che  ventiduo  da  quattro  ruote  e  forti 
Carri  di  loco  non  avriano  smossa, 
E  P  ingresso  acciecò  della  spelonca. 
Fatto,  le  agnelle,  assiso,  e  le  belanti     3io 
Capre  mugnea,  tutto  serbando  il  rito, 
E  a  questa  i  parti  mettea  sotto,  e  a  quella. 
Mezzo  il  candido  latte  insieme  strinse, 
E  su  i  canestri  d'intrecciato  vinco 
Collocollo  ammontato:  e  l'altro  mezzo,  3i5 
Che  dovea  della  cena  esser  bevanda, 
Il  riceverò  i  pastorecci  vasi. 
Di  queste  sciolto  cotidiane  cure, 
Mentre  il  foco  accendea,  ci  scòrse,  e  disse: 
Forestieri ,  chi  siete  ?  E  da  quai  lidi       320 
Prendeste  a  frequentar  1'  umide  strade? 
Siete  voi  trafficanti?  O  errando  andate, 
Come  corsali,  che  la  vita  in  forse, 
Per  danno  altrui  recar,  metlon  su  i  flutti? 
Della  voee  al  rimbombo,   ed   all'orrenda  325 
Faccia  del  mostro,  ci  s'infranse  il  core. 
Pure  io  così  gli  rispondea  :  Siam  Greci  , 
Che  di  Troja  partiti  e  trabalzati 
Su  pel  ceruleo  mar  da  molti  venti , 
Cercando  il  suol  natio,  per  altre  vie,     33o 
E  con  viaggi  non  pensati,  a  queste, 
Così  piacque  agli   Dei ,  sponde  afferrammo. 
Seguimmo,  e  cen  vanliam,  per  nostro  capo 
Quell'atride  Agamennone  che  il  mondo 
Empieo  della  sua  fama,  ei  che  distrusse     335 
Città  si  grande,  e  tante  genti  ancisc. 
Ed  or,  prostesi  alle  ginocchia  tue, 
Averci  ti  preghiam  d'ospiti   in  grado, 
E  d'un  tuo  dono  rimandarci  lieti. 
Ah!  temi,  o  potentissimo,  gli  Dei:         3/jO 
Che  tuoi  supplici  siam  ,  pensa  ,  e  che  Giove 
Il  supplicante  vendica,  e  l'estrano, 
Giove  ospitai ,  che  Parcompagna,  e  il  rende 
Venerabile  altrui.  Ciò  detto  ,  io  tacqui. 
Ed  e?  con  atroce  alma:  O  ti  fallisce,        345 
Straniero,  il  senno,  o  tu  di  lunge  vieni, 
Che  vuoi  che  i  Numi  io  riverisca  e  tema. 
L'  Egidarmato  di  Saturno  figlio 
Non  temono  i  Ciclopi ,  o  gli  altri  Tddii  : 
Che  di  loro  siam  noi  molto  più  forti.     35o 
Né  perchè  Giove  inimicarmi  io  debba  , 
A  te  concederò  perdono,  e  a  questi 
Compagni  tuoi ,  se  a  me  il  mio  cor  noi  delta. 
Ma  dimmi:  ove  approdasti?  All'  orlo  est  remo 
Di  questa  terra ,  o  a  più  propinquo  lido  ?      355 
Così -egli  tastommi;  ed  io,  che  molto 
D'esperienza  ricettai  nel  petto, 
Ravvistomi  del  tratto,  incontanente 
Arte  in  tal  modo  gli  rendei  per  arte: 
Nettuno  là, 've  termina,  e  s'avanza         36o 
La  vostra  terra  con  gran  punta-in  mare, 
Spinse  la  nave  mia  contra  uno  scoglio, 
E  le  spezzale  tavole  per  l'onda 
Sen  portò  il  vento.  Dall'estremo  danno 
Con  questi  pochi  io  mi  sottrassi  appena.     365 
Nulla  il  barbaro  a  ciò:  ma,  dando  un  lancio, 
La  man  ponea  sovra  i  compagni ,  e  due 
Brancavane  ad  un  tempo,  e,  quai  cagnuoli, 
Percoteali  alla  terra,  e  ne  spargea 
Le  cervella  ed  il  sangue,  A  brano  a  brano   370 


LIBRO  NONO 


Dilacerolli,  e  s'imbandì  la  cena. 

Qual  digiuno  leon,  ohe  in  monte  alberga, 

Carni  ed  interiora,  ossa  e  midolle, 

Tutto  vorò,  consumò  tutto.  E  noi 

A  Giove  ambo  le  man  tra  il  pianto  alzammo,  3^5 

Spettacol  miserabile  scorgendo 

Con  gli  occhi  nostri ,  e  disperando  scampo. 

Poiché  la  gran  ventraja  empiuto  s'ebbe, 
Pasteggiando  dell'uomo,  e  puro  latte 
Tracannandovi  sopra,  in  fra  le  agnello   38o 
Tutto  quant'era  ei  si  distese  ,  e  giacque. 
Io,  di  me  ricordandomi,  pensai 
Farmigli  presso,  e  la  pungente  spada 
Tirar  nuda  dal  fianco,  e  al  petto,  dove 
La  corata  dal  fegato  si  cinge,  385 

Ferirlo.  Se  non  eh1  io  vidi  che  certa 
Morte  noi  pure  incontreremmo,  e  acerba: 
Che  non  era  da  noi  tor  dall'  immenso 
Vano  dell'antro  la  sformata  pietra 
Che  il  Ciclope  fortissimo  v'  impose.         3go 
Però,  gemendo,  attendevam  l'aurora. 

Sorta  P  aurora,  e  tinto  in  roseo  il  cielo, 
Il  foco  ei  raccendea,   mugnea  le  grasse 
Pecore  belle,  acconciamente  il  tutto, 
E  i  parti  a  questa  mettea  sotto,  e  a  quella.  3g5 
Né  appena  fu  delle  sue  cure  uscito, 
Che  altri  due  mi  ghermì  de1  cari  amici, 
E  carne  umana  desinò.  Satollo, 
Cacciava  il  gregge  fuor  dell'antro,  tolto 
Senza  fatica  il  disonesto  sasso,  4°° 

Che  dell'antro  alla  bocca  indi  ripose, 
Qual  chi  a  faretra  il  suo  coverchio   assesta. 
Poi  su  pel  monte  si  mandava  il  pingue 
Gregge  davanti,  alto  per  via  fischiando. 

Ed  io  tutti  a  raccolta  i  miei  pensieri       4°5 
Chiamai,  per  iscoprir,  come  di  lui 
Vendicarmi  io  potessi,  e  un'immortale 
Gloria  comprarmi  col  favor  di  Palla. 
Ciò  al  fin  mi  parve  il  meglio.  Un  verde,  enorme 
Tronco  d'oliva,  che  il  Ciclope  svelse       410 
Di  terra,  onde  fermar  con  quello  i  passi, 
Entro  la  stalla  a  inaridir  giacea. 
Albero  scorger  credevam  di  nave 
Larga,  mercanteggiante,  e  l'onde  brune 
Con  venti  remi  a  valicare  usata  :  $ib 

Sì  lungo  era  e  sì  grosso.  Io  ne  recisi 
Quanto  è  sei  piedi ,  e  la  recisa  parte 
Diedi  ai  compagni  da  polirla.  Come 
Polita  fu,  da  un  lato  io  l'affilai, 
L'abbrustolai  nel  foco,  e  sotto  il  fimo,     4ao 
Ch'ivi  in  gran  copia  s' accogliea,  l'ascosi. 
Quindi  a  sorte  tirar  coloro  io  feci, 
Che  alzar  meco  dovessero,  e  al  Ciclope 
L'  adusto  palo  conficcar  nell'  occhio, 
Tosto  che  i  sensi  gli  togliesse  il  sonpo.    4^5 
Fortuna  i  quattro,  eh'  io  bramava,  apj*into 
Donommi,  e  il  quinto  io  fui.  Cadea  la  sera, 
E  dai  campi  tornava  il  fier  pastore, 
Che  la  sua  greggia  di  lucenti  lane 
Tutta  introdusse  nel  capace  speco:  4^° 

O  di  noi  sospettasse,  o  prescrivesse 
Così  il  Saturnio.  Nuovamente  imposto 
Quel,  che  rimosso  avéa,  disconcio  masso, 
Pecore  e  capre  alla  tremola  voce 
Mungea  sedendo,  a  maraviglia  il  tutto,  435 
E  a  questa  mettea  sotto,  e  a  quella  i  parti. 


Fornita  ogni  opra,  m'abbrancò  di  nuovo 
Due  de' compagni,  e  cenò  d'essi  il  mostro. 
Allora  io  trassi  avanti,  e,  in  man   tenendo 
D'  edra  una  coppa,  Te',  Ciclope,  io  dissi:  44° 
Poiché  cibasti  umana  carne,  vino 
Bevi  ora,  e  impara,  qual  su  l'onde  salse 
Bevanda  carreggiava  il  nostro  legno. 
Questa  ,  con  cui  libar,  recarti  io  volli , 
Se  mai,  compunto  di  nuova  pietade ,     44^ 
Mi  rimandassi  alle  paterne  case. 
Ma  il  tuo  furor  passa  ogni  segno.  Iniquo! 
Chi  più  tra  gP  infiniti  uomini  in  terra 
Fia  che  s'accosti  a  le?  Male  adoprasti. 

La  coppa  ei  tolse,  e  bchbe,  ed  un  supremo  45o 
Del  soave  licor  prese  diletto , 
E  un'  altra  volta  men  chiedea  :  Straniero, 
Darmene  ancor  ti  piaccia ,  e  mi  palesa 
Subito  il  nome  tuo,  perch'io  ti  porga 
L'ospitai  dono  che  li  metta  in  festa.      4^5 
Vino  ai  Ciclopi  la  feconda  terra 
Produce  col  favor  di  tempestiva 
Pioggia,  onde  Giove  le  nostre  uve  ingrossa: 
Ma  questo  è  ambiosia  e  nettare  celeste. 

Un'  altra  volta  io  gli  stendea  la  coppa.    4^° 
Tre  volle  io  la  gli  stesi;  ed  ei  ne  vide 
Nella  stoltezza  sua  tre  volte  il  fondo. 
Quando  m'  accorsi  che  saliti  al  capo 
Del  possente  licor  gli  erano  i  fumi , 
Voci  blande  io  drizzavagli:  il  mio  nome.  465 
Ciclope,  vuoi?  L'- avrai:  ma  non  frodarmi 
Tu  del  promesso  a  me  dono  ospitale. 
Nessuno  è  il  nome  :  me  la  madre  e  il  padre 
C.hiaman  Nessuno,  e  lutti  gli  altri^amici. 
Ed  ei  con  fiero  cor:  L'  ultimo  eh'  io      47° 
Divorerò ,  sarà  Nessuno.  Questo 
Riceverai  da  me  dono  ospitale. 

Disse,  e  die  indietro,  e  rovescion  cascò. 
Giacea  nell'antro  con  la  gran  cervice 
Ripiegata  su  P  omero  ;  e  dal  sonno  ,        fa5 
Che  tutti  doma,  vinto,  e  dalla  molta 
Crapula  oppresso,  per  la  gola  fuori 
Il  rìegro  vino,  e  della  carne  i  pezzi, 
Con  sonanti  mandava  orrendi  rutti. 
Immantinente  dell1  ulivo  il  palo  /fSo 

Tra  la  cenere  io  spinsi;  e  in  questo  gli  altri 
Rincorava  ,  non  forse  alcun  per  tema 
M'  abbandonasse  nel  miglior  dell'  opra. 
Come,  verde  quantunque,  a  prender  damma 
Vicin  mi  parve,   rosseggiante  il  trassi     4^5 
Dalle  ceneri  ardenti,  e  al  mostro  andai 
Con  intorno  i  compagni  :  un   Dio  per  fermo 
D'  insolito  ardimento  il  cor  ci  armava. 
Quelli  afferrar  l'acuto  palo,  e  in  mezzo 
Dell'  occhio  il  conficcaro;  ed  io  di  sopra,  4<)0 
Levandomi  su  i  pie  ,  movealo  in  giro. 
E  come  allor  che  tavola  di  nave 
Il  trapano  appuntato  investe  e  fora  , 
Che  altri  il  regge  oqn  mano,  altri  tirando 
Va  d'ambo  i  lati  le  roregge, 'e  attorno  49^ 
L'instancabile  trapano  si  volve  : 
Sì  nell'  ampia  lucerna  il  trave  acceso 
Noi  giravamo.  Scaturiva  il  sangue, 
La  pupilla  bruciava,  ed  un  focoso 
Vapor,  che  tutta  la  palpebra  e  il  ciglio  5oo 
Struggeva,  usci'a  della  pupilla,  e  l'ime 
Crepitarne  io  senti'a  rotte  radici. 


u 


ODISSEA 


5lO 


5i5 


Qnal  se  fabbro  talor  nell'  onda  fredda 
Attuffò  un'  ascia  o  una  stridente  score, 
E  temprò  il  l'erro  ,  e  gli  die  forza  ;  tale  5o5 
V  occhio  intorno  al  troncon  cigola  e  frigge. 
Urlo  il  Ciclope  sì  tremendo  mise, 
E  tanto  l'antro  rimbombò,  che  noi 
Qua  e  là  ci  spargemmo  impauriti.    . 
Ei  fuor  cavossi  dell1  occhiaja  il  trave, 
E  da  sé  lo  scagliò  di  sangue  lordo, 
Furiando  per  doglia:  indi   i  Ciclopi, 
Che  non  lontani  le  ventose  cime 
Abitavan  de'  monti  in  cave  grotte, 
Con  voce  alta  chiamava.  Ed  i  Ciclopi 
Quinci  e  quindi  accorrean,  la  voce  udita, 
E  ,  soffermando  alla  spelonca  il  passo, 
Della  cagione  il  ricluedean  del  duolo. 
Per  quale  offesa,  o  Polifemo,  tanto 
Gridastu  mai?  Perchè  così  ci  turbi         5ao 
La  balsamica  notte  e  i  dolci  sonni? 
Furati  alcun  la  greggia?  o  uccider  forse 
Con  inganno  ti  vuole,  o  a  forza  aperta  ? 
E  Polifemo  dal  profondo  speco: 
Nessuno,  amici,  uccidemi,  e  ad  inganno,  525 
Non  già  con  la  virtude.  Or  se  nessuno 
Ti  nuoce,  rispondeano,  e  solo  alberghi, 
Da  Gioveè  il  moi  bo,e  non  v1hascampo.  Al  padre 
Puoi  bene,  a  re  Nettun,  drizzare  i  prieghi. 
Dopo  ciò,  ritornar  su  i  lor  vestigi  :        53o 
Ed  a  me  il  cor  ridea,  che  sol  d1  un  nome 
Tutta  si  fosse  la  mia  frode  ordita. 
Polifemo  da  duoli  aspri  crucciato, 
Sospirando  altamente,  e  brancolando 
Con  le  mani,  il  pietron  di  loco  tolse.    535 
Poi,  dove  r  antro  vaneggiava,  assiso 
Sfavasi  con  le  braccia  aperte  e  stese , 
Se  alcun  di  noi,  che  tra  le  agnelle  uscisse, 
Giungesse  ad  aggrappar:  tanta  ei  credeo 
Semplicitade  in  me.  Ma  io  gli  amici       54o 
E  me  studiava  riscattar,  correndo 
Per  molte  strade  con  la  mente  astuta: 
Che  la  vita  ne  andava,  e  già  pendea 
Su  le  teste  il  disastro.  Al  fine  in  questa, 
Dopo  molto  girar,  fraudo  io  m' arresto.  545 
Montoni  di  gran  mole,  e  pingui  e  belli, 
Di  folta  carchi  porporina  lana , 
Rinchiudea  la  caverna.  Io  tre  per  volta 
Prendeane,  e  iti  un  gli  unia  tacitamente 
Co' vinchi  attorti,  sovra  cui  solca  55o 

Polifemo  dormir:  quel  ch'era  in  mezzo, 
Portava  sotto  il  ventre  un  de' compagni, 
Cui  fean  riparo  i  due  eh1  ivan  da  lato  , 
E  così  un  uomo  conducean  tre  bruti. 
Indi  afferrai  pel  tergo  un  ariete  555 

Maggior  di  tutti,  e  della  greggia  il  fiore; 
Mi  rivoltai  sotto  il  lanoso  ventre  , 
E,  le  mani  avvolgendo  entro  ai  gran  velli, 
Con  fermo  cor  ini  v'  attenea  sospeso. 
Così ,  gemendo,  aspettavano  l1  aurora.      56o 
Sorta  Paurorar,  e  tinto  in  roseo  il  cielo, 
Fuor  della  grotta  i  maschi  alla  pastura 
Gittavansi;  e  le  femmine  non  munte, 
Che  gravi  molto  si  sentian  le  poppe, 
Riempiean  di  belati  i  lor  serragli. 
Il  padron,  cui  ferìan  continue  doglie, 
D'ogni  montone,  che  diritto  stava, 
Palpava  il  tergo;  e  non  s'avvide  il  folle 


565 


Che  dalle  pance  del  velluto  gregge 
Pendcan  gli  uomini  avvinti.  Ultimo  liscia  5^o 
De1  suoi  velli  bellissimi  gravato 
L'ariete,  e  di  me,  cui  molte  cose 
S'  aggiravan  per  1'  alma.  Polifemo 
Tai  detti ,  brancicandolo,  gli  volse: 
Ariete  dappoco,  e  perchè  fuori  5^5 

Così  da  sezzo  per  la  grotta  m'esci? 
Già  non  solevi  dell1  agnelle  addietro 
Restarli:  primo,  e  di  gran    lunga,   i  molli 
Fiori  del  prato  a  lacerar  correvi 
Con  lunghi  passi;  degli  argentei  fiumi    58o 
Primo  giungevi  alle  correnti  ;  primo 
Ritornavi  da  sera  al  tuo  presepe  : 
Ed  ogyi  ultimo  sei.  Sospiri  forse 
L'occhio  del  tuo  signor?  l'occhio  che  un  tristo 
Mortai  mi  svelse  co1  suoi  rei  compagni,  585 
Poiché  doma  col  vin  ni1  ebbe  la  mente, 
Nessuno,  ch'io  non  credo  in  salvo  ancora. 
Oh!  se  a  parte  venir  de1  miei  pensieri 
Potessi,  e,  voci  articolando,  dirmi, 
Dove  dalla  mia  forza  ei  si    ricovra ,         590 
Ti  giuro  che  il  cervel  dilla  percossa 
Testa  schizzato  scorreria  per  l'antro, 
Ed  io  qualche  riposo  avrei  da'  mali 
Che  Nessuno  recomtni ,  un  uom  da  nulla. 
Disse;  e  da  sé  lo  spingea  fuori  al  pasco.  5g5 
Tosto  che  dietro  a  noi  l1  infame  speco 
Lascialo  avemmo,  ed  il  conile  ingiusto, 
Tardo  a  sciorini  io  non  fui  dall'ariete, 
E  poi  gli  altri  a  slegar,  che,  ragunale 
Molte  in  gran  frelta  piedilunghe  agnelle,  600 
Cacciavansele  avanti  in  sino  al  mare. 
Desiati  apparimmo ,  e  come  usciti 
Dalle  fauci  di  Morte,  a  quei  che  in  guardia 
Rimaser  della  nave,  e  che  i  compagni , 
Che  non  vedeano,  a  lagrimar  si  diero.  6o5 
Ma  io  non  consentirlo,  e  con  le  ciglia 
Cenno  lor  fea  di  ritenere  il   pianto , 
E  comandava  lor  che,  messe  in  nave 
Le  molte  in  pria  vellosplcndenli  agnelle, 
Si  fendessero  i  flutti.  E  già  il  naviglio   610 
Salian,  sedean  su  i  banchi,  e  percotendo 
Gian  co'  remi  concordi  il  bianco  mare. 
Ma  come  fummo  un  gridar  d'uom  lontani, 
Così  il  Ciclope  io  motteggiai:  Ciclope, 
Color  che  nel  tuo  cavo  antro,  le  grandi  61 5 
Forze  abusando,  divorasti  ,  amici 
Non  eran  dunque  d'un  mortai  da  nulla, 
E  il  mal  te  pur  coglier  dovea.   Malvagio! 
Che  la  carne  cenar  nelle   tue  case 
Non  temevi  degli  ospiti.  Vendetta  620 

Però  Giove  ne  prese,  e  gli  altri  Numi. 
A  queste  voci  Polifemo  in  rabbia 
Montò  più  alta,  e  con    istrana  possa 
Scagliò  d'  un  monte  la  divella  cima  , 
Che  davanti  alla  prua  caddemi  :  al  tonfo  625 
L'acqua  levossi,  ed  innondò  la  nave, 
Che  alla  terra  crude!,  dai  rifluenti 
Flutti  portata,  quasi  a  romper  ve^ne. 
Ma  io,  dato  di  piglio  a  un   lungo  palo, 
Ne  la  staccai,  pont.indo;  ed  i  compagni  63o 
D' incurvarsi  sul  remo,  e  in  salvo  addursi, 
Più  de'  cenni  pregai,  che  della  voce  : 
E  quelli  tutte  ad  inarcar  le  terga. 
Scorso  di  mar  due  volte  tanto,  i  delti 


LIBRO  NONO 


A  Polìfemo  io  rivolgca  di  nuovo ,  G35 

Pcnchè  gli  amici  rou  parole  blande 
D'  ambo  i  lati  tenesscrmi  r  Infelice! 
Perchè  la  fera  irritar  vuoi  più  ancora  ? 
Cosi  poc'  anzi  a  saettar  si   mise , 
Clic  tre  dita  mancò,  che  risospinto         640 
Non  percotose  al  continente  il  legno. 
Fa  che  gridare  o  favellar  ci  senta, 
E  volerà  per  l1  aere  un1  altra  rupe, 
Che  le  nostre  cervella,  e  in  un  la  nave 
Sfracellerà  :  tanto  colui  dardeggia.  645 

L'alto  mio  cor  non  si   piegava.  Quindi, 
Ciclope,   io  dissi  con   lo  sdegno  in   petto, 
S*  «Iella  notte,   in  che  or  tu  giaci,  alcuno 
Ti  chiederà,  gli  narrerai  che  Ulisse, 
D1  Itaca  abitator,  figlio  a  Laerte,  65o 

Siruggitor  di  cittadi,  il  dì  ti  tolse. 

Egli  allora,  ululando,  Ohimè!  rispose, 
Da'  prischi  vaticinj  eccomi  còlto. 
Indovino  era  qui  ,  prode  uomo  e  illustre, 
Telemo  ,  fìgliuol  tP  Boriino,  che  avea      655 
Dell1  arte  il  pregio,  ed  ai  Ciclopi  in  mezzo 
Profetando  invecchiava.  Ei  queste  cose 
Mi  presagì  :  mi  presagì  che  il  caro 
Lume  dell1  occhio  spegneriami  Ulisse. 
Senonch'iosemprenom  gigantescoe  bello,  660 
E  di  forze  invincibili  dotato, 
Rimirar  m'aspettava;   ed  ecco  in  vece  . 
La  pupilla  smorzarmi  un  piccoletto 
Greco  ed  imbelle,  che  col  vin    mi  vinse. 
Ma  qua,  su  via,  vientene  , Ulisse,  ch'io  665 
Ti  porga  P ospitai  dono  ,  e  Nettuno 
Di  fortunare  il  tuo  ritorno  prieghi. 
Io  di  lui  nacqui,  ed  ei  seti  vanta,  e  solo, 
Voglial ,  mi  sanerà,  non  altri,  io  credo, 
Tri  i  mortali  nel  mondo,  oinciel  trai  Numi.670 

Oh!  così  potess'io,   ratto  ripresi, 
Te  spogliar  della  vita,  e  negli  oscuri 
Precipitar   regni  di  Plulo ,  come 
Né  da  Nettuno  ti  verrà  salute. 

Ed  ei ,  le  palme  alla  stellata  volta  6^5 

Levando,  il  supplicava:  O  chiomazzurro, 
Che  la  terra  circondi ,  odi  un  mio  voto. 
Se  tuo  pur  son  ,  se  padre  mio  ti  chiami, 
Di  tanto  mi  contenta  :  in  patria  Ulisse  , 


D'  Itaca  abitator,  figlio  a  Laerte,  680 

Struggilo!*  di  cittadi ,  unqua  non  rieda. 
E  dove  il  natio  suolo,  e  le  paterne 
Case  il  destin  non  gli  negasse,  almeno 
Vi  giunga  tardi  e  a  slento,  e  in  nave  altrui, 
Perduti  in  pria  tutti  i  compagni;  e  nuove  685 
Nell'avita  magion  trovi  sciagure. 

Fatte  le  preci,  e  da  Nettuno  accolte, 
Sollevò  un  masso  di  più  vasta  mole  , 
E,  rotandol  nell'aria,  e  una  più  grande 
Forza  immensa  imprimendovi,  lanciotto.  690 
Cadde  dopo  la  poppa  ,  e  del  timone 
La  punta  rasentò:  levossi  al  tonfo 
L'onda,  e  il  legno  coprì,  che  ali1  isoletta, 
Spinto  dal  mar ,  subitamente  giunse. 
Quivi  eran  I'  altre  navi  in  su  l'arena,  695 
E  i  compagni  ,  che  assisi  ad  esse  intorno 
Ci  attendean  sempre  con  agli  occhi  il  pianto. 
Noi  tosto  in  secco  la  veloce  nave 
Tirammo,  e  fuor  n'uscimmo,  e,  del  Ciclope 
Trattone  il  gregge,  il  dividemmo  in  guisa,  700 
Che  parte  ugual  n'ebbe  ciascuno.  E  vero 
Che  voller  che  a  me  sol,  partite  l'agne, 
Il  superbo  ariete  anco  toccasse. 
Io  di  mia  mano  al  Saturnide,  al  cinto 
D'oscure  nubi  Correttor  del  Mondo,      yo5 
L'  uccisi ,  e  n1  arsi  le  fiorite  cosce. 
Ma  non  curava  i  sacrifizi  Giove , 
Che  anzi  tra  sé  volgea ,  com'  io  le  navi 
Tutte,  e  tutti  i  compagni  al  fin  perdessi. 
L' intero  dì  sino  al  calar  del  Sole 
Sedevam  banchettando:  il  Sole  ascoso, 
Ed  apparse  Ir  tenebre,  le  membra 
Sul  maria   lido  a  riposar  gettammo. 

Ma  come  del  mattin  la  figlia ,  P  Alba 
Ditirosata  in  Oriente  sorse , 
1  compagni  esortai*,  comandai  loro 
Di  rimbarcarsi ,  e  liberar  le  funi. 
E  quei  si  rimbarcavano ,  e  su  i  banchi 
Sedean  I'  un  dopo  l' altro ,  e  percotendo 
Gian  co'  remi  concordi  il  bianco  mare.  730 
Cosi  noi  lieti  per  lo  scampo  nostro , 
E  per  P  altrui  sventura  in  un  dolenti , 
Del  mar  di  nuovo  solcavam  le  spume. 


710 


T.5 


LIBRO  DECIMO 


ARGOMENTO 


Misse  giunge  all'isola  Eolia.   Eolo  gli  fa  il  dono   d'un  otre,  io  coi  tulli  i  venti ,  non  compresovi  zefiro, 
rinchiusi.  I   compagni  sciolgono  l'otre;  e  i  venti  ne  su 


Uli. 
son  rinchiusi.  I  compagni  sciolgono  l'otre;  e  i  venti  ne  scappano,  e  riportano  Ulisse  ad  Eolo,  che  il  discac- 
cia da  sé.  Passa  alla  città  de'  Lestrigoni ,  popolo  anche  questo  antropofago,  e  perde  la  più  parte  de'  compa- 
gni e  le  navi,  eccetto  una,  con  la  quale  arriva  all'isola  di  Circe.  Costei  gli  trasforma  in  porci  la  metà  de' 
compagni,  salvo  uno,  che  viene  a  darne  la  nuova.  Ulisse  con  l'erba  Moli,  che  Mercurio  gli  diede,  scioglie 
l'incauto.  Slato  on  anno  con  Circe  questa  il  consiglia  d'ire  alla  casa  di  Plutone;  ed  ei  s'apparecchia, 
perduto  uno  de'  compagni,  a  ubbidirla. 


G 


itingemmo  nell'  Eolia ,  ove  il  diletto 
Agl'immortali  Dei  d' Ippota  figlio, 
Eolo,  abitava  in  isola  natante, 
Cui  tutta  un  muro  d1  infrangigli  rame , 


E  una  liscia  circonda  eccelsa  rupe.  i 

Dodici,  sei  d'  un  sesso  e  sei  dell'altro, 
Gli  nacquer  figli  in  casa  ;  ed  ei  congiunse 
Per  nodo  maritai  suore  e  lratelli  , 


Il 


ODISSEA 


Che  avean  degli  anni  il  più  bel  fior  sul  volto. 
Costoro  ciascun  dì  siedon  tra  il  padre      io 
Caro,  e  l'augusta  madre,  ad   una  mensa 
Di  varie  carca  dilicate  dapi. 
Tutto  il  palagio,  finché  il  giorno  splende , 
Spira  fragranze  ,  e  d'  armonie  risuona. 
Poi,  caduta  su  l'isola  la  notte,  i5 

Chiudono  al  sonno  le  bramose  ciglia 
In  traforati  e  attappezzati  letti 
Con  le  donne  pudiche  i  fidi  sposi. 
Questo  il  paese  fu,  questo  il  superbo 
Tetto,  in  cui  me  por  un  intero  mese       20 
Co'  modi  più  gentili  Eolo  trattava. 
Di  molte  cose  mi  chiedea  :  di  Troja, 
Del  navile  de'  Greci ,  e  del  ritorno;- 
E  il  tutto  io  gli  narrai  di  punto  in  punto. 
Ma  come,  giunta  del  partir  mio  l'ora,    25 
Parole  io  mossi  ad  impetrar  licenza, 
Èi ,  non  che  dissentir,  del  mio  viaggio 
Pensier  si  tolse  e  cura,  e  della  pelle 
Di  bue  novenne  appresentommi  un  otre, 
Che  imprigionava  i  tempestosi  venti  :        3o 
Poiché  de'  venti  dispensier  supremo 
Fu  da  Giove  nomato;  ed  a  sua  voglia 
Stringer  lor  puote,  o  rallentare  il  freno. 
L'otre  nel  fondo  del  naviglio  avvinse 
Con  funicella  lucida  d' argento,  35 

die  non  ne  uscisse  la  più  picciol'aura; 
E  sol  tenne  di  fuori  un  opportuno 
Zefiro,  cui  le  navi  e  i  naviganti 
Diede  a  spinger  su  1'  onda.  Eccelso  dono, 
Che  la  nostra  follia  volse  in  disastro  !      4° 
Nove  dì  senza  posa ,  e  tante  notti 
Veleggiavamo;  e  già  veniaci  incontro 
Nel  decimo  la  Patria,  e  ornai  vicini 
Quei  vedevam  che  raccendeano  i  fochi; 
Quando  me  stanco,  perch'io  regger  volli  45 
Della  nave  il  timon,  né  in  mano  altrui , 
Onde  il  corso  affrettar,  lasciarlo  mai, 
Sorprese  il  sonno.  I  miei  compagni  intanto 
Favellavan  tra  loro,  e  fean  pensiero 
Che  argento  ed  oro  alle  mie  case,  doni  5o 
Del  generoso  Ippotade ,  io  recassi. 
Numi  !  come  di  sé ,  dicea  taluno 
Rivolto  al  suo  vicin ,  tutti  innamora 
Costui,  dovunque  navigando  arriva! 
Molti  da  Troja  dispogliata  arredi  55 

Riporta  belli  e  preziosi;  e  noi, 
Che  le  vie  stesse  misurammo ,  a  casa 
Torniam  con  le  man  vote.  In  oltre  questi 
L' Ippotade  gli  die  pegni  d'amore. 
Gvsù,veggiam  quanto  insuogremboasconda6o 
D'  oro  e  d'  argento  la  bovina  pelle. 
Così  prevalse  il  mal  consiglio.  L'  otre 
Fu  preso  e  sciolto;  e  immantinente  tutti 
Con  furia  ne  scoppiar  gli  agili  venti. 
La  subitami  orribile  procella 
Li  rapi'a  dalla  Patria,  e  li  portava 
Sospirosi  nell'  alto.  Io,  cui  l'  infausto 
Sonno  si  ruppe,  rivolgea  nell'  alma, 
Se  di  poppa  dovessi  in  mar  lanciarmi , 
O  soffrir  muto,  e  rimaner  tra  i  vivi. 
Soffrii,  rimasi:  ma,  coverto  il  capo, 
Giù  nel  fondo  io  giacea,  mentre  le  navi, 
Clic  i  compagni  di  lutto  empicino  indarno, 
Ricacciava  in  Eolia  il  fiero  turbo. 


65 


70 


Scendemmo  a  terra,  acqua  attignemmo,  e  a  men- 
Presso  le  navi  ci  adagiammo.  Estinta     (sa  ^5 
Del  cibarsi  e  del  ber  V  innata  voglia  , 
Io  con  un  de'  compagni  e  con  P  araldo 
M'inviai  d'Eolo  alla  magion  superba; 
E  tra  la  dolce  sposa  e  i  figli  cari  80 

Banchettante  il  trovai.  Sul  limitare 
Sedevano  della  porta.  Alto  stupore 
Mostraro  i  figli,  e  con  parole  alate, 
Ulisse,  mi  cliccati ,  come  venistu  ? 
Qual  t'assalì  demone  avverso?  Certo        85 
Cosa  non  fu  da  noi  lasciata  indietro, 
Perchè  alla  Patria  e  al  tuo  palagio,  e  ovunque 
Ti  talentasse  più,  salvo  giungessi. 
Ed  io  con  petto  d'amarezza  colmo: 
Tristi  compagni ,  e  un  sonno  infausto  a  tale  90 
Condotto  m'hanno.  Or  voi  sanate,  amici, 
Che  il  potete ,  tal  piaga.  In  questa  guisa 
Le  anime  loro  io  raddolcir  tentai. 
Quelli  ammutirò.  Ma  il  crucciato  padre , 
Via,  rispose,  da  questa  isola,  e  tosto,    95 
O  degli  uomini  tutti  il  più    malvagio  : 
Che  a  me  né  accor,  né  rimandar  con  doni 
Lice  un  mortai  che  degli  Eterni  è  in  ira. 
Via  ,  poiché  1'  odio  lor  qua  ti  condusse. 
Così  Eolo  sbandia  me  dal  suo  tetto,        100 
Che  de'  gemiti  miei  tutto  sonava. 
Mesti  di  nuovo  prendevam  dell'alto: 
Ma  si  stancavan  di  lottar  con  1'  onda , 
Remigando,  i  compagni,  e  del  ritorno 
Moria  la  speme  ne' dogliosi  petti.  io5 

Sei  dì  navigammo ,  e  notti  sei  ; 
E  col  settimo  Sol  della  sublime 
Città  di  Lamo  dalle  larghe  porte  , 
Di  Lestrigonia,  pervenimmo  a  vista. 
Quivi  pastor,  chea  sera  entra  col  gregge,  1  io 
Chiama  un  altro,  che  fuor  con  l'armentoesce. 
Quivi  uomo  insonne  avria  doppia  mercede, 
L' una  pascendo  i  buoi,  l'altra  le  agnelle 
Dalla  candida  lana  :  sì  vicini 
Sono  il  diurno  ed  il  notturno  pasco.       n5 
Bello  ed  ampio  n'è  il  porto;  eccelsi  scogli 
Cerchiatilo  d'ogni  parte,  e  tra  due  punte, 
Che  sporgon  fuori  e  ad  incontrar  si  vanno, 
S' apre  un1  angusta  bocca.  I  miei  compagni, 
Che  nel  concavo  porto  a  entrar  fur  pronti,  120 
Propinque  vi  tenean  le  ondivaganti 
Navi ,  e  avvinte  tra  lor;  quando  né  grande 
Vi  s'alza  mai,  né  picciola  onda,  e  sempre 
Una  calma  vi  appar  tacita  e  bianca. 
Io  sol  rimasi  col  naviglio  fuori ,  1  25 

Che  al  sasso  estremo  con  in  torta  fune 
Raccomandai:  poi,  su  la  rupe  asceso, 
Quanto  si  discopn'a ,  mirava  intorno. 
Lavor  di  bue  non  si  scorge*  ,  né  d'  uomo  : 
Sol  di  terra  salir  vedenti  un  fumo.  i3o 

Scelgo  allor  due  compagni,  e  con  l'araldo 
Mandoli  a  investigar,  quali  l'ignota 
Terra  produce  abitatori  e  nutre. 
La  via  diritta  seguitar,  per  dove 

I  carri  condureano  alla  cittade  1 35 
Dagli  alti  monti  la  troncata  selva; 

E  s'  abbatterò  a  una  real  fanciulla, 
Del  Lestrigone  Antifale  alla  figlia, 
Che  del  fonte  d'Artacia,  onde  costuma 

II  cittadino  alti-nere,  in  quel  punto      tfo 


LIBRO  DECIMO 


h 


Alle  pure  scendea  linfe  d'argento. 
Le  si  fero  da  presso,   e  chi  del  loco 
Re  fosse,  e  su  qual  gente  avesse  impero, 
La  domandarli;  ed  ella  pronta  P  alto 
Loro  additò  con  man  tet'o  del  padre.     i£5 
Tocro  ne  aveano  il  limitare  appena, 
Che  femmina  trovar  di  sì  gran  mole, 
Che  rassembrava  una  montagna  ;  e  un  gelo 
Si  sentirò  d'orror  correr  pel  sangue. 
Costei  di  botto  Antifate  chiamava  i5o 

Dalla  pubblica  piazza,  il  rinomato 
Marito  suo,  che  disegnò   lor  tosto 
Morte  barbara  e  orrenda.   Uno  affcrronne, 
Che  gli  fu  cena  ;  gli  altri  due  con  fuga 
Precipitosa  giunsero  alle  navi.  1 55 

Di  grida  la  cittade  intanto  empiea 
Antifate.  I  Lestrigoni  P  udirò, 
E  acrorrean  chi  da  un  lato  e  chi  d .ili1  altro, 
Forti  di  braccio,  in  numero  infiniti, 
E  giganti  alla  vista.  Immense  pietre        160 
Così  dai  monti  a  fulminar  si  diero , 
Che  d1  uomini  spiranti  e  infranti  legni 
Sorse  nel  porto  un  suon  tetro  e  confuso. 
Ed  alcuni  infilzati  eran  con  Paste, 
Quali  pesci  guizzanti ,  e  alle  ferali  i65 

Mense  future  riserbati.  Mentre 
Tal  seguia  strage,  io,   sguainato  il  brando, 
E  la  fune  recisa,  a1  miei  compagni 
Dar  di  forza  nel  mar  co1  remi  ingiunsi, 
Se  il  fuggir  morte  premea  loro;  e  quelli   170 
Di  tal  modo  arrancavano  ,  che  i  gravi 
Itili,  che  piovean  d'  alto ,  il   mio  naviglio 
Lietamente  schivò;  ma  gli  altri  tutti 
Colà  restaro  sfracellati  e  spersi. 

Contenti  dello  scampo,  e  in  un  dogliosi  i^5 
Per  li  troppi  compagni  in  si  crudele 
Guisa  periti,  navigammo  avanti, 
E  su  P  isola  Eéa  sorgemmo ,  dove 
Circe,    Diva  terribile,  dal  crespo 
Crine  e  «lai  dolce  canto,  avea  soggiorno.    180 
Suora  germana  del  prudente  Eeta, 
Dal  Sole  aggiornator  nacque ,  e  da  Persa 
Dell1  antico  Occàn  figliuola  illustre. 
Taciti  a  terra  ci  accostammo,  entrammo, 
Non  senza  un  Dio  che  ci  guidasse,  il  cavo  i85 
Porto,  e  sul  lido  uscimmo;  e  qui  due  giorni 
Giacevamo,  e  due  notti,  il  cor  del  pari 
La  stanchezza  rodendoci  e  la  doglia. 

Come  recato  ebbe  il  dì  terzo  PAlba, 
Io  presa  Pasta  ed  il  pungente  brando,   190 
Rapidamente  andai  sovra  un'altezza, 
Se  d'uomo  io  vedessi  opra,  o  voce  udissi. 
Fermato  il  pie  su   la  scoscesa  cima, 
Scórsi  un  fumo  salir  d1  infra  una  selva 
Di  querce  annose,  che  in  un  vasto  piano   ig5 
Di  Circe  alla  maginn  sorgeano  intorno. 
Entrar  disposi  senza  indugio  in  via, 
E  il  paese  cercar:   poi,  ripensando, 
AI  legno  in  vece  rivoltare  i  passi, 
Cibo  dare  ai  compagni,  e  alcuni  prima  200 
A  esplorare  inviar,  mi  parve  il  meglio. 
Già  tra  la  nave  e  me  poco  restava  : 
Quando  ad  un  de1  Celesti,  in  cui  pietade 
Per  quella  solitudine  io  destai, 
Grosso  ed  armato  di  ramose  corna  2o5 

Drizzare  alla  mia  volta  un  cervo  piacque. 

PlNDE5IO>"TK 


Spinto  dal  Sole,  che  il  cuocea  co1  raggi, 
De1  paschi  use/a  della  foresta ,  e  al  fiume 
Scendea  con  labbra  sitibonde  ;  ed  io 
Su  la  spina  lo  colsi  a  mezzo  il  tergo      aio 
Sì,  che  tutto  il  passò  Pasta  di  rame. 
Nella  polve  radè,  mandando  un  grido, 
E  via  ne  volò  Palma.  Accorsi,  e,  il  piede 
Pontando  in  esso,  dalla  fonda  piaga 
Trassi  il  cerro  sanguigno,  ed  il  sanguigno  21 5 
Cerro  deposi  a' terra:  indi  virgulti 
Divelsi  e  giunchi,  attorcigliaili,  fune 
Sei  spanne  lunga  ne  composi,   e  i  morti 
Piedi  ne  strinsi  dell'  enorme  fera. 
Al  fin  sul  collo  io  la  mi  tolsi,  e  mossi,  220 
Su  la  lancia  poggiandomi,  al  naviglio: 
Che  mal   potuto  avrei  sovra  una  sola 
Spalla  portar  cosi  sformata  belva. 
Presso  la  nave  scaricaila  ;  e  ratto 
Con  soavi   parole  i  miei  compagni,  225 

A  questo  rivolgendomi  ed  a  quello, 
Così  tentai  rianimare  :  Amici , 
Prima  del  nostro  dì  d'Aide  alle  porte 
Non  calerem,  benché  ci  opprima  il  duolo. 
Su,  finché  cibo'  avemo ,  avem  licore,      a3o 
Non   inettiamli   in  obblio  ;  né  all' importuna 
Fame  lasciamei  consumar  di  dentro. 
Quelli ,  ubbidendo  alle  mie  voci  ,  uscirò 
Delle  latebre  loro,  e,  in  riva  al  mare, 
Che  frumento  non  genera,  venuti,  a35 

Stupian  del  cervo:  sì  gran  corpo  egli  era! 
E  come  sazj  del  mirarlo  furo, 
Ne  apparecehiaro  non  vulgar  convito , 
Sparse  prima  di  chiara  onda  le  palme. 
Così  tutto  quel  di  sino  all'  occaso  a4o 

Di  carne  opima  e  di  fumoso  vino 
L'alma  riconfortammo:  il  Sol  caduto, 
E  comparse  le  tenebre ,  nel  sonno 
Ci  seppellimmo  al  mormorio  dell'  onde. 

Ma,  sorta  del  mattin  la  rosea  figlia ,         a45 
Tutti  io  raccolsi  a  parlamento ,  e  dissi  : 
Compagni ,  ad  onta  di  guai  tanti ,  udite. 
Qui,  d'onde  l'Austro  spira  o  l'Aquilone, 
E  in  qual  parte  il  Sole  alza,  in  qual  deehina, 
Noto  non  è.  Pur  consultare  or  vuoisi,    25o 
Qual  consiglio  da  noi  prender  si  debba , 
Se  v1  ha  un  consiglio  :  di  che  forte  io  temo. 
Io  d'  in  su  alpestre  poggio  isola  vidi 
Cinta  da  molto  mar,  che  bassa  giace, 
E  nel  cui  mezzo  un  nereggiante  fumo    a55 
D'infra  un  bosro  di  querce  al  ciel  si  volve. 

Rompere  a  questo  si  sentirò  il  core , 
D' Antifate  memorando,  e  del  Ciclope 
La  ferocia,  i  misfatti,  e  le  nefande 
Della  carne  dell' uom   mense  imbandite.  260 
Strida  metteano,  e  discioglieansi  in  pianto. 
Ma  del  pianto  che  prò?  che  delle  strida? 
Tutti  in  due  schiere  uguali  io  li  divisi  , 
E  diedi  ad  ambo  un  duce:  all'una  il  saggio 
Euriloco,  e  me  all'altra.  Indi  nel  cavo  255 
Rame  dell1  elmo  agitavam  le  sorti  , 
Ed  Euriloco  uscì ,  che  in  via  si  pose 
Senza  dimora.  Ventidue  compagni, 
Lacrimando,  il  seguian;  né  affatto  asciutte 
Di  noi,  che  rimanemmo,  eran  le  guance.  270 

Edificata  con  lucenti  pietre 
D.  Circe  ad  essi  la  magion  s'  offerse, 
7 


5o 

Che  vagheggiava  una  feconda  vaile. 
Montani  lupi  e  leon  falbi,  ch'ella 
Mansuefatti  avea  con  sue  bevande, 
Stavano  a  guardia  del  palagio  eccelso, 
Né  lor  già  s'  avventavano;  ma  in  vece 
Lusingando  scotean  le  lunghe  code, 
E  su  Tanche  s'ergeano.  E  quale  i  cani 
Blandiscono  il  signor,  che  dalla  mensa 


ODISSEA 


275 


280 


285 


290 


Si  leva,  e  ghiotti  borconcelli  ha  in  mano; 
Tal  quelle  di  forte  unghia  orride  belve 
Gli  ospiti  nuovi,  che  smarriti  al  primo 
Vederle  s'  arretrato,  ivan  blandendo. 
Giunti  alle  porte,  la  Dressa  udirò 
Dai  ben  torti  capei,  Circe,  che  dentro 
Canterellava  con  leggiadra  voce, 
Ed  un'ampia  tessea,  lucida,  fina, 
Maravigliosa,  immortai  tela,  e  quale 
•  Della  man  delle  Dive  uscir  può  solo. 
Polite  allor,  d'uomini  capo,  e  molto 
Più  caro  e  in  pregio  a  me.  che  gli  altri  tutti, 
Sciogliea  tai  detti:  Amici,  in  queste  mura 
Soggiorna,  io  non  so  ben,  se  donna  o  Diva, 
Che,  tele  oprando,  del  suo  dolce  canto  295 
Tutta  fa  risentir  la  casa  intorno. 
Voce  mandiamo  a  lei.  Disse,  e  a  lei  voce 
Mandato;  e  Circe  di  là  tosto,  ov'era, 
Levossi,  e  aprì  le  luminose  porte, 
E  ad  entrare  invitavali.  In  un  groppo    3oo 
La  seguian  tutti  incautamente,  salvo 
Euriloco,  che  fuor,  di  qualche  inganno 
Sospettando,  restò.  La  Dea  li  pose 
Sovra  splendidi  seggi  ;  e  lor  mescea 
11  Pramnio  vino  con  rappreso  latte,        3o5 
Bianca  farina  e  mei  recente;  e  un  succo 
Giungeavi  esizìal,  perchè  con  questo 
Della  Patria  1'  obbh'o  ciascun  bevesse. 
Preso  e  votato  dai  meschini  il  nappo, 
Circe  batteali  d'una  verga,  e  in  vile      3io 
Stalla  chiudeali  :  avean  di  porco  testa, 
Corpo,  setole,  voce;  ma  lo  spirto 
Serbavan  dentro,  qual  da  prima,  integro. 
Così  rinchiusi,  sospirando,  furo: 
Ed  ella  innanzi  a  lor  del  cornio  i  frutti  3 1 5 
Gettava,  e  della  rovere  e  dell'elee  , 
De'  verri  accovacciati  usato  cibo. 
Nunzio  verace  dell'  infausto  caso 
Venne  rapido  Euriloco  alla  nave. 
Ma  non  potea  per  iterati  sforzi 
La  lingua  disnodar:  gonfi  portava 
Di  pianto  i  lumi,  e  un  violento  duolo 
L'alma  gli  percotea.  Noi,   figurando 
Sventure  nel  pensier,  con  maraviglia 
L'interrogammo;  ed  ei  l'eccidio  al  fine  325 
De'  compagni  narrò:  Nobile  Ulisse, 
Attraversato  delle  querce  il  bosco, 
Come  tu  comandavi,  eccoci  a  fronte 
Magion  construtta  di  politi  marmi, 
Che  di  mezzo  a  una  valle  alto  s'  ergea.     33o 
Tessea  di  dentro  una  gran  tela,  e  cauto, 
Donna  o  Diva  chi '1  sa?  stridulo  alzava. 
Voce  mandaro  a  lei.  Levossi ,  e  aperse 
Le  porte,  e  ne  invitò.  Tutti  ad  un  corpo 
Nella  magion  disavvedutamente  335 

Seguianla:  io  no,  che  sospettai  di  frode. 
Svanirò  insieme  tutti;  e  per  istarmi 
Lungo  ch'io  feci,  ad  esplorare  assiso, 


320 


Traccia  d'alcun  di  lor  più  non  m'apparve. 
Disse;  ed  io  grande  alle  mie  spalle,  e  acuta  34o 
Spada  d'argento  bullettami  appesi, 
Appesi  un  valid'arco,  e  ingiunsi  a  lui, 
Che  innanzi  per  la  via  stessa  mi  gisse. 
Ma  Euriloco,  i  ginocchi  ad  ambe  mani 
Stringendomi,  e  piangendo,  Ah!  mal  mio  grado, 
Con  supplici  gridò  parole  alate,  (  3{5 

Là  non  guidarmi,  o  del  gran  Giove  alunno, 
Donde,  non  che  altri  ricondur,  tu  stesso 
Ritornar  non  potrai.  Fuggiam,  fuggiamo 
Senza  indugio  con  questi,  e  la  vicina     35o  . 
Parca  schiviam,  finché  schivarla  è  dato. 
Euriloco,  io  risposi,  e  tu  rimanti, 
Di  carne  e  vino  a  riempirti  il  ventre, 
Lungo  la  nave.  Io,  cui  severa  stringe 
Necessitate,  andrò.  Ciò  detto,  a  tergo     355 
La  nave  negra  io  mi  lasciava,  e  il  mare. 
Già  per  le  sacre  solitarie  valli 
Della  Maga  possente  all'  alta  casa 
Presso  io  mi  fea,  quando  Mercurio,  il  Nume 
Che  arma  dell'  aureo  caduceo  la  destra,  36o 
In  lorma  di  garzone,  a  cui  fiorisce 
Di  lanuggine  molle  il  mento  appena, 
Mi  venne  incontro,  e  per  la  man  mi  prese, 
E,  Misero!  diss' ri  con  voce  amica, 
Perchè  ignaro  de' lochi,  e  tutto  solo,      365 
Muovi  così  per  queste  balze  a  caso? 
Sono  in  poter  di  Circe  i  tuoi  compagni, 
E  li  chiudon,  quai  verri,  anguste  stalle. 
Venistu  forse  a  riscattarli?  Uscito 
Dell'  immagine  tua  penso  che  a  terra      370 
Tu  ancor  cadrai.  Se  non  che  trarli  io  voglio 
Fuor  d'  ogni  storpio,  e  in  salvo  porti.  Prendi 
Questo  inirabii  farmaco,  che  il  tristo 
Giorno  dal  capo  tuo  storni,  e  con  esso 
Trova  il  tetto  di  Circe,  i  cui  perversi    375 
Consigli  tutti  io  t'  aprirò.  Bevanda 
Mista,  e  di  succo  esiziale  infusa, 
Colei  t'appresterà:  ma  le  sue  tazze 
Contra  il  iarmaco  mio  nulla  vai  ranno. 
Più  oltre  intendi.  Come  te  la  Diva         38o 
Percosso  avrà  d'una  sua  lunga  verga, 
Tu  cava  il  brando  che  ti  pende  al  fianco, 
E,  di  ferirla  in  atto,   a  lei  t1  avventa. 
Circe,  compresa  da  timor,  sue  nozze 
T'offrirà  pronta:  non  voler  tu  il  letto  385 
Della  Dea  ricusare,  acciò  ti  sciolga 
Gli  amici,   e  amica  ti  si  renda.  Solo 
Di  giurarti  constringila  col  grande 
Degl'  immortali  Dei  giuro,  che  nulla 
Più  non  sarà  per  macchinarti  a  danno;  390 
Onde,  poiché  t'avrà  l'armi  spogliate, 
Del  cor  la  forza  non  ti  spogli  ancora. 
Finito  il  ragionar,  l'erba  salubre 
Porsemi  già  dal  suol  per  lui  divelta, 
E  la  natura  divisonne:  bruna 
N' è  la  radicp;  il  fior  bianco  di  latte; 
Moli  i  Numi  la  chiamano:  resiste 
Alla  mano  morial,  che  vuol  dal  suolo 
Staccarla;  ai  Dei,  che  tutto  ponno,  cede. 
Detto,  dalla  boscosa  isola  il  Nume  400 

Alle  pendici  dell'Olimpo  ascese; 
Ed  io  vèr  Circe  andai;  ma  di  pensieri 
In  gran  tempesta  m'  ondeggiava  il  core. 
Giunto  alla  Diva  dalle  belle  trene, 


395 


LIBBO  DECIMO 


La  voce  alzai  dall'  atrio,  lidi  rami,  e  ratta  4o5 
Lcvossi,  e  aprì  le  luminose  porte, 
E  m'invitava;  io  la  seguia  non  lieto. 
Sovra  un  distinto  d1  argentini  cliiovi 
Seggio  a  grand1  arte  fatto,  e  vago  assai, 
Mi   pose:  lo  sgabello  i   pie  reggea.  ^io 

Quindi  enn  alma,  che  pensava  mali, 
La  mista  preparommi  in  aureo  nappo 
Bevanda  incantatrice,  ed  io  la  presi 
Dalla  sua  mano,  e  bebbi;  e  non  mi  norque. 
Però  in  quel  che  la  Dea  me  della  lunga  4<5 
Verga  percosse,  e,  Vanne,  disse,  e  a  terra 
Co1  tuoi  compagni  nella  stalla  giaci, 
Tirai  dal  fianco  il  brando,  e  contra  lei, 
Di  trafiggerla  in  atto,  io  mi  scagliai. 
Circe,  mandando  una  gran*  voce,  corse  4'JO 
Ripida  sotto  il  colpo,  e  le  ginocchia 
Con  le  braccia  aflerrorami,  e  queste  alate 
Parole  mi  drizzò,  non  senza  pianto: 
Chi  sei  tu?  donde  sei?  la  Patria  dove? 
Dove  i  parenti  a  te?  Stupor  m1  ingombra,425 
Che  P  inranto  bevuto  in  te  non  possa, 
Quando  io  non  vidi,  cui  passasse  indarno 
Per  la  chiostra  de1  denti  il  mio  veleno. 
Certo  un1  anima  invitta  in  petto  chiudi. 
Saresti!   forse  quel  sagace  Ulisse,  4^0 

Che  Mercurio  a  me  sempre  iva  dicendo 
Dover  d'  Ilio  venir  su  negra  nave? 
Per  fermo  sei.  Nella  vagina  il  brando 
Riponi,  e  sali  il  letto  mio:  dal  core 
D'  entrambi  ogni  sospetto  amor  bandisca.  435 
Circe,  risposi ,  che  da  me  richiedi? 
Jo  cortese  vèr  te,  che  sozze  belve 
Mi  trasformasti  gli  uomini?  Rivolgi 
Tacite  frodi  entro  te  stessa;  ed  io 
La  tua  penetrerò  stanza  secreta,  44° 

Onde,  poiché  m'avrai  l'armi  spogliate, 
Del  cor  la  forza  tu  mi  spogli  ancora? 
No,  se  non  giuri  prima,  e  con  quel  grande 
Degl'immortali  Dei  giuro,  che  nulla 
Più  non  sarai  per  macchinarmi  a  danno.  44^ 
Dissi  ;  e  la  Dea  giurò.  Di  Circe  allora 
Le  belle  io  salsi  maritali  piume. 
Quattro  serviano  a  lei  nel  suo  palagio 
Di  quelle  Ninfe  che  dai  boschi  nate 
Sono,  o  dai  fonti  liquidi,   o  dai  sacri,    4^° 
Che  devolvonsi  al  mar,  rapidi  fiumi. 
L'  una  gittava  su  i  politi  seggi 
Bei  tappeti  di  porpora,  cui  sotto 
Bei  tappeti  mettea  di  bianco  lino: 
L'  altra  mense  d'  argento  innanzi  ai  seggi  455 
Spiegava,  e  d'oro  v'imponea  canestri: 
Mesrea  la  terza  ncll'  argentee  brocche 
Soavissimi  vini,  e  d'auree  tazze 
Copria  le  mense:  ma  la  quarta  il  fresco 
Fonte  recava,  e  raccendea  gran  fuoco     4^° 
Sotto  il  vasto  treppiè,  che  l'onda  cape. 
Già  fervra  questa  nel  cavato  bronzo, 
E  me  la  Ninfa  guidò  al  bagno,  e  l'onda 
Pel  capo  mollemente  e  per  le  spalle 
Spargermi  non  cessò,  eh'  io  mi  sentii     4^5 
Di  vigor  nuovo  rifiorir  le  membra. 
Lavato  ed  unto  di  licor  d'oliva, 
E  di  tunica  e  clamide  coverto, 
Sovra  un  distinto  d'  argentini  cliiovi 
Seggio  a  grand' arte  fatto,  e  vago  assai,  4"o 


Mi  pose:  lo  sgabello  i  pie  reggea. 
E  un'altra  Ninfa  da  bel  vaso  d'oro 
Purissim' acqua  nel  bacil  d'argento 
Mi  versava,  e  stendeami  un  liscio  desco, 
Che  di  candido  pane  e  di  serbate  fa5 

Dapi  a  fornir  la  dispensieri  venne. 
Cibati,  mi  dicea  la  veneranda 
Dispensiera,   ed  instava;  ed  io,  d'ogni  esca 
Schivo,  in  altri  pensieri,  e  tutti  foschi, 
Truca  la  mente,  pur  sedendo,  infissa,     fòo 
Circe,  ratto  che  avvidesi  eh'  io  mesto 
Non  mi  curava  della  mensa  punto, 
Con  queste  m'appressò  voci  sul  labbro: 
Perché  così,  qual  chi   non  ha  favella, 
Siedi,  Ulisse,  struggendoti,  e  vivanda     4^5 
Non  tocchi,  né  bevanda?  In  te  sospetto 
S'annida  forse  di  novello  inganno? 
Dopo  il  mio  giuramento  a  torto  temi. 
Ed  io:  Circe,  qual  mai  retto  uomo  e  saggio 
Vivanda  tocclieria  prima,  o  bevanda,     49° 
Che  i  suoi  vedesse  riscattati  e  salvi? 
Fa  che  liberi  io  scorga  i  miei  compagni, 
Se  vuoi  che  della  mensa  io  mi  sowegna. 
Circe  usci  tosto  con  in  man  la  verga, 
E  della  stalla  gì'  infelici  trasse,  4q5 

Che  di  porci  novenni  avean  l'aspetto. 
Tutti  le  stavan  di  rincontro;  e  Circe, 
D'uno  all'altro  passando,  un  prezioso 
Sovra  lor  distendea  benigno  unguento. 
Gli  odiati  peli,  che  la  tazza  infesta         5oo 
Produsse,  a  terra  dalle  membra  loro 
Cadevano;  e  ciascun  più,  che  non  era, 
Grande  apparve  di  corpo,  e  assai  più  fresco 
D'etade  in  faccia,  e  di  beltà  più  adorno. 
Mi  ravvisò  ciascuno,  ed  afirrrommi  5o5 

La  destra;  e  un  così  tenero  e  sì  forte 
Compianto  si  levò,  che  la  magione 
Ne  risonava  orrendamente,  e  punta 
Senti'asi  di  pietà  la  stessa  Maga. 
Ella,  standomi  al  fianco,  O  sovrumano    5io 
Di  Laerte  figliuol,  provvido  Ulisse, 
Corri ,  diceami ,  alla  tua  nave,   e  in  secco 
La  tira,  e  cela  nelle  cave  grotte 
Le  ricchezze  e  gli  arnesi:  indi  a  me  torna, 
E  i  diletti  compagni  adduci  teco.  5i5 

M'entrò  il  suo  dir  nell'alma.  Al  lido  io  corsi, 
E  i  compagni  trovai,  che  appo  la  nave 
Di  lagrime  nutriansi  e  di  sospiri. 
Come,  se  riedon  le  satolle  vacche 
Dai  verdi  prati  al  ruslicale  albergo,        520 
I  vitelli  saltellano,  e  alle  madri, 
Che  più  serraglio  non  ritienli -o   chiostra, 
Con  frequente  muggir  corrono  intorno: 
Così  con  pianto  a  me,  vistomi  appena, 
Intorno  s'aggiravano  i  compagni,  5a5 

E  quei  mostravan  su  la  faccia  segni, 
Che  vi  si  scorgerian,  se  il  dolce  nido, 
Dove  nacquero  e  crebbero,  se  l'aspra 
Itaca  avesser  tocca.  O,  lagrimando 
Dicean,  di  Giove  alunno,  una  tal  gioja       53o 
Sarebbe  a  stento  in  noi,  se  ci  accogliesse 
D'Itaca  il  porto.  Ma ,  su  via,  l'acerbo 
Fato  degli  altri  raccontar  ti  piaccia. 
Ed  io  con  dolce  favellar:  La  nave 
Si  tiri  in  secco,  e  nelle  cave  grotte         535 
Le  ricchezze  si  celino  e  gli  arnesi. 


ODISSEA 


Poi  seguitemi  in  fretta;  ed  i  compagni 
Nel  tetto  sacro  dell'illustre  Circe 
Vedrete  assisi  ad  una  mensa,  in  cui 
Di  là  d'ogni  desìo  la  copia  regna.  5^o 

Pronti  obbedirò.  Ripugnava  Euriloco 
Solo,  ed  or  questo  m'arrestava,  or   quello, 
Gridando,  Sventurati,  ove  ne  andiamo? 
Qual  mai  vi  punge  del   disastro  sete, 
Che  discendiate  alla  Maliarda,  e  vòlti       545 
Siate  in  leoni,  in  lupi,  o  in  sozzi  verri, 
Il  suo  palagio  a  custodir  dannati? 
L'ospizio  avrete  del  Ciclope,  quando 
Calaro  i  nostri  nella  grotta,  e  questo 
Prode  Ulisse  guidavali,  di  cui  55o 

Morte  ai  miseri  fu  lo  stolto  ardire. 

Così  Euriloco;  ed  io  la  lunga  spada 
Cavar  pensai  della  vagina,  e  il  capo 
Dal  busto  ai  pie  sbalzargli  in  su  la  polve, 
Benché  vincol  di  sangue  a  me  l'unisse.       555 
Ma  tutti  quinci  riteneanmi,  e  quindi 
Con  favella  gentil:  Di  Giove  alunno, 
Costui  sul  lido,  se  ti  piace,   in  guardia 
Della  nave  rinfangasi  ,  e  alla  sacra 
Magion  noi  guida.  Detto  ciò,  dal  mare       56o 
Meco  venian,  né  restò  quegli  indietro: 
Tanto  della  minaccia  ebbe  spavento. 

Cura  prendeasi  Circe  in  questo  mezzo 
Degli  altri,  che  lavati,  unti,  e  di  buone 
Tuniche  cinti  e  di  bei  manti  furo.         565 
Seduti  a  mensa  li  trovammo.  Come 
Si  sguardaro  l'un  l'altro,  e  sul  passato 
Con  la  mente  tornaro,  in  pianti  e  in  grida 
Davano;  ne  gemean  pareti  e  volte. 
M'appressò  allora,  e  mi  parlò  in  tal  guisa  5^0 
L'inclita  tra  le  Dive:  O  di  Laerte 
Gran  prole,  o  ricco  di  consigli  Ulisse, 
Modo  al  dirotto  lagrimar  si  ponga. 
Noto  è  a  me  pur,  quanti  nel  mar  pescoso 
Duras'e  affanni,  e  so  le  crude  offese      8^5 
Che  vi  recaro  in  terra  uomini  ostili. 
Su  via,  gioite  ornai,  finché  nel  petto 
Vi  rinasca  l'ardir,  ch'era  in  voi,  quando 
Itaca  alpestre  abbandonaste  in  prima. 
Bassi  or  gli  spirti  avete,  e  freddo  il  sangue, 58o 
Per  la  memoria  de'  viaggi  amari 
Nelle  menti  ancor  viva,  e  l'allegrezza 
Disimparaste  tra  cotanti  guai. 

Agevolmente  ci  arrendemmo.  Quindi 
Pel  continuo  rotar  d'un  anno  intero        585 
Giorno  non  ispuntò,  che  a  lauta  mensa 
Me  non  vedesse  e  i  miei  compagni  in  festa. 
Ma,  rivolto  già  l'anno,  e  le  stagioni 
Tornate  in  sé  col  variar  de'  mesi, 
Ed  il  cerchio  dei  dì  molti  compiuto,      590 
I  compagni,  traendomi  in  disparte, 
Infelice!  mi  dissero,  del  caro 
Cielo  nativo  e  delle  avite  mura 
Non  ti  rammenterai,  se  vuole  il  fato 
Che  in  vita  tu  rimanga,  e  le  rivegga?         5g5 

Sano  avviso  mi  parve.  Il  Sol  caduto, 
E  coverta  di  tenebre  la  terra, 
Quei  si  corcaro  per  le  stanze;  ed  io, 
Salito  il  letto  a  maraviglia  bello 
Di  Circe,  supplichevoli  drizzai  600 

Alla  Dea,  che  m'udì,  queste  parole: 
Attienimi,  0  Circe,  le  impromesse,  e  al  caro 


Rendimi  nafi'o  ciel,  cui  sempre  vola, 
Non  pure  il  mio,  ma  de1  compagni  il  core, 
De1  compagni,  che  stanno  a  me  d'intorno,  6o5 
Sempre  che  tu  da  me    t'apparti,  e  tutta 
Con  le  lagrime  lor  mi  struggon  1'  alma. 

0  di  Laerte  sovrumana  prole, 

La  Dea  rispose,  ritenervi  a  forza 
Io  più  oltre  non  vo\  Ma  un'altra  via    610 
Correre  in  prima  è  d'uopo:  è  d'uopo  i  foschi 
Di  Pluto  e  di   Proserpi »a  soggiorni 
Vedere  in  prima,  e  interrogar  lo  spirto 
Del  Teban  vate,  die,  degli  occhi  cieco, 
Puro  conserva  della  mente  il  lume;        61 5 
Di  Tiresia,  cui  sol  die  Proserpìna 
Tutto  portar  tra  i  morti  il  senno  antiro. 
Gli  altri  non  son  che  vani  spettri  ed  ombre. 

Rompere  il  core  io  mi  sentii.  Piagnea  , 
Su   le  piume  giacendomi,  né  i  raggi       620 
Volea  del  Sol  più  rimirare.  Al  fine  , 
Poiché  del  pianger  mio,  del  mio  voltarmi 
Su  le  piume  io  fui  sazio,  Or  qual,  ripresi, 
Di  tal  viaggio  sarà  il  duce?  All'Orco 
Nessun  giunse  finor  su   negra  nave.         6j5 

Per  difetto  di  guida,  ella  rispose, 
Non  t1  annojar.  L'  albero  alzato  ,  e  aperte 
Le  tue  candide  vele,  in  su  la  poppa 
T'assidi,  e  spingerà  Borea  la  nave. 
Come  varcato  l'Oceano  avrai,  63o 

Ti  appariranno  i  bassi  lidi ,  e  il  folto 
Di  pioppi  eccelsi  e  d'  infecondi  salci 
Bosco  di  Proserpìna  ;  a  quella  piaggia , 
Che  l'Oceàn  gorghiprofondo  batte, 
Ferma  il  naviglio,  e  i  regni  entra  di  Pluto.  635 
Rupe  ivi  s'alza,  presso  cui  due  fiumi 
S'  urtan  tra  lor  romoreggiando ,  e  uniti 
Nell'Acheronte  cadono:  Cocito  , 
Ramo  di  stige,  e  Piriflegetonte. 
Appressati  alla  rupe,  ed  una  fossa,         640 
Che  un  cubito  si  stenda  in  lungo  e  in  largo, 
Scava,  o  prode,  tu  stesso;  e  mei  con  vino, 
Indi  vin  puro  e   limpidissima  onda 
Versavi,  a  onor  de1  trapassati ,  intorno, 
E  di  bianche  farine  il  tutto  aspergi.        6^5 
Poi  degli  estinti  prega  i  frali  e  vóti 
Capi,  e  prometti  lor  che  nel  tuo  tetto, 
Entrato  con  la  nave  in  porto  appena , 
Vacca  infeconda,  dell'armento  fiore, 
Lor  sagrificherai,  di  doni  il  rogo  6"io 

Riempiendo;  e  che  al  sol  Tiresia,  e  a  parte, 
Immolerai  nerissimo  ariete, 
Che  della  greggia  tua  pasca  il  più  bello. 
Compiute  ai  Mani  le  preghiere,  uccidi 
Pecora  bruna,  ed  un  monton,  che  all'Orco  655 
Volgan  la  fronte:  ma  converso  tieni 
Del  fiume  alla  corrente  in  quella  il  viso. 
Molte  Ombre  accorreranno.  A' tuoi  compagni 
Le  già  sgozzate  vittime  e  scojate 
Mettere  allor  sovra  la  fiamma,  e  ai  Numi ,  660 
Al  prepotente  Pluto  e  alla  tremenda 
Proserpìna  drizzar  voti  comanda. 
E  tu  col  brando  sguainato  siedi , 
Né  consentir,  che  anzi,  che  parli  al  "vate, 

1  Mani  al  sangue  accostinsi.  Repente       665 
Il  profeta  verrà ,  Duce  di  genti , 

Che  sul  viaggio  tuo ,  sid  tuo  ritorno 
Pel  mar  pescoso  alle  natie  contrade 


LIBHO  DECIMO 


s: 


Ti  darà,  quanto  basta,  indizio  e  lume. 

Così  la  Diva;  e  d'in  mi  l1  aureo  trono     670 
L'Aurora  comparì.  Tunica  e  manto 
Circe  stessa  vestimmi  5  a  sé  ravvolse 
Fella  ,  candida  ,  {ina  ed  ampia  gonna  ; 
Si  stride  al  fianco  un1  aurea  fascia,  e  un  vago 
Su  i  ben  torli  capei  velo  s1  impose.         6^5 
Ma  io,  passando  d1  una  in  altra  stanza, 
Confortava  i  compagni ,  e  ad  uno  ad  uno 
Con  molli  detti  gli  abbordava:  Tempo 
Non  è  più  da  sfiorare  i  dolci  sonni. 
Partiamo,  e  tosto.  Il  mi  consiglia  Circe.    680 

Si  levaro,  e  obbedirò.  Ahi  che  né  quinci 
Mi  si  concesse  riconrlurli  tutti  ! 
Un  Elpcnore  v1  era  ,  il  qual  ^P  etate 
Dopo  gli  altri  venia  ,  poco  Dell1  armi 
Forte  ,  né  troppo  della  mente  accorto.    685 
Caldo  del  buon  licore,  onde  irrigossi, 
Si  divise  dagli  altri,  ed  al  palagio 
Mi  si  corcò,  per  rinfrescarsi,  in  cima. 
Udito  il  suon  della  pai  lenza,  e  il  moto, 
Riscossesi  ad  un  tratto,  e,  per  la  lunga  690 
Scala  di  dietro  scendere  obbli'ando, 


Mosse  di  punta  sovra  il  tetto,  e  cadde 
Precipite  dall'  alto  :  il  collo  ai  nodi 
Gli  s'infranse,  e  volò  l'anima  a  Dite. 

bagu natisi  i  miei,  Forse,  io  lor  dissi,     6g5 
Alle  patrie  contrade  andar  credete. 
Ma  un  altro  pria  la  venerabil  Diva 
Ci  destinò  cammin,  che  ai  foschi  regni 
Di  Pluto  e  di  Proserpina   conduce , 
Per  quivi  interrogar  del  rinomato  700 

Teban  Tiresia  V  indovino  spirto. 

Duol  mortale  gli  assabe  a  questi  detti. 
Piangeano,  e  fermi  rimanean  lì  lì, 
E  la  chioma  stracciavansi  :  ma  indarno 
Lo  strazio  della  chioma  era,  ed  il  pianto.  ^©5 

Mentre  al  mar  tristi  tendevamo,  e  spesse 
Lagrime  spargevam,  Circe,  che  in  via 
Pur  s'era  posta,  alla  veloce  nave 
Legò  la  bruna  pecora  e  il  montone. 
Ci  oltrepassò,  che  non  ce  ne  avvedemmo,  710 
Con  pie  leggiero.  Chi  potria  de1  Numi 
Scorgere  alcun  che  qua  o  là  si  mova, 
Quando  dall'occhio  uman  voglion  celarsi? 


LIBRO  UNDECIMO 


ARGOMENTO 

Ulisse,  continuando  la  sna  narrazione,  giunge  ai  Cimnrrj ,  e  va  nell'Inferno.  Compiute  le  debite  ceri- 
monie, gli  appariscano  le  Ombre  de' morii  ;  e  quella  d'  Elpenore  è  la  prima  con  cui  favella.  Poi  Tiresia 
l' informa  de  venturi  suoi  rasi  ,  e  gì'  insegna  come  superarli.  Appariiion  della  madre  ,  dalla  quale  intende 
lo  stato  della  propria  famiglia.  Vengon  poi  le  antiche  eroine,  e  appresso  gli  eroi,  tra  i  quali  Agamennone, 
Achille  ed  Ajace.  Finalmente  vede  Minosse.,  Tino,  Tantalo,  Sisifo  ed  Ercole:  finché,  preso  da  timore, 
ritorna  in  fretta  alla  nave. 


c, 


jriunti  al  divino  mare,  il  negro  legno 
Prima  varammo,  albero  ergemmo  e  vele, 
E  prendemmo  le  vittime,  e  nel  cavo 
Legno  le  introducemmo:  indi  col  molto 
Terrore  e  pianto  v'  entravam  noi  stessi.     5 
La  dal  crin  crespo  e  dal  canoro  labbro 
Dea  veneranda  un  gonfiator  di  vela 
Vento  in  poppa  mandò ,  che  fedelmente 
Ci  accompagnava  per  1'  ondosa  via  : 
Tal  che  oziosi  nella  ratta  nave  10 

Dalla  cerulea  prua  giacean  gli  arnesi  , 
E   noi  tranquilli  sedevam  ,  la  cura 
Al  timonier  lasciandone,  ed  al  vento. 
Quanto  il  dì  risplendè,  con  vele  spase 
Navigavamo.  Spento  il  giorno,  e  d'ombra  i5 
Ricoperte  le  vie  ,  dell1  Oceano 
Toccò  la  nave  i  gelidi  confini, 
Là  've  la  gente  de'  Cimmerj  alberga, 
Cui  nebbia  e  bujo  sempiterno  involve. 
Monti  pel  cielo  stelleggiato ,  o  scenda,     20 
Lo  sfavillante  d'  ór  Sole  non  guarda 
Quegl' infelici  popoli,  che  trista. 
Circonda  ognor  pernizi'osa  notte. 
Addotto  in  su  1'  arena  il  buon  naviglio  , 
E  il  montone  e  la  pecora  sbarcati ,  2  j 

Alla  corrente  dell'  Oceano  in  riva 
Camminavam  ,  finché  venimmo  ai  lochi 


Che  la  Dea  e1  insegnò.  Quivi  per  mano 

Euriloco  teneano  e  Perimede 

Le  due  vittime;  ed  io,fuor  tratto  il  brando,  3o 

Scavai  la  fossa  cubitale,  e  mele 

Cou  vino,  indi  vin  puro  e  lucid'  onda 

Versàivi,  a  onor  de' trapassati ,  intorno, 

E  di  bianche  farine  il  tutto  aspersi. 

Poi  degli  estinti  le  debili  teste  35 

Pregai,  promisi  lor  che  nel  mio  tetto, 

Entrato  con  la  nave  in  porto  appena  , 

Vacca  infeconda,  dell'armento  fiore, 

Lor  sagrificherei ,  di  doni  il  rogo 

Riempiendo;  e  che  al  sol  Tiresia, capartelo 

Immolerei  nerissimo  ariete, 

Che  della  greggia  mia  pasca  il  più  bello. 

Fatte  ai  Mani  le  preci,  ambo  afferrai 

Le  vittime,  e  sgozzàile  in  su  la  fossa, 

Che  tutto  riceveane  il  sangue  oscuro.       4^ 

Ed  ecco  sorger  della  gente  morta 

Dal  più  cupo  dell' Èrebo,  e  assembrarsi 

Le  pallid'  Ombre  :  giovanette  spose  , 

Garzoni  ignari  delle  nozze,  vecchj 

Da  nemica  fortuna  assai  versati,  5o 

E  verginelle  tenere,  che  impressi 

Portano  i  cuori  di  recente  lutto; 

E  molti  dalle  acute  aste  guerrieri 

Nel  campo  un  dì  (eriti,  a  cui  rosseggia 


Go 


65 


70 


75 


80 


85 


9° 


95 


Sul  petto  ancor  V  insanguinato  usbergo  5  55 
Accorrean  quinci  e  quindi,  e  tanti  a  tondo 

Aggiravan  ■*  f°sSa»  e  con  tai  Sri<*a> 
Q?  io  ne  gelai  per  subitana  tema. 
Pure  a  Euriloco  ingiunsi,  e  a  Perimede 
Le  già  scannate  vittime  e  scojate 
Por  su  la  fiamma,  e  molti  ai  Dei  far  voti, 
Al  prepotente  Pioto  e  alla  tremenda 
Pioserpina:  ma  io  col  brando  ignudo 
Sedea,  né  consentia  che  al  vivo  sangue, 
Pria  ch'io  Tiresia  interrogalo  avessi , 
S1  accostasser  dell1  Ombre  i  vóti  capi. 
Primo  ad  offrirsi  a  me  fu  il  simulacro 
D'Elpenore,  di  cui  non  rinchiudea 
La  terra  il  corpo  nel  suo  grembo  ancora. 
Lasciato  in  casa  l1  avevam  di  Circe 
Non  sepolto  cadavere  e  non  pianto  : 
Che  incalzavaci  allor  diversa  cura. 
Piansi  a  vederlo,  e  ne  sentii  pietade , 
E,  con  alate  voci  a  lui  converso, 
Elpenore,  diss'io,  come  scendesti 
Nell'oscura  caligine?  Venisti 
Più  ratto  a  pie,  eh-1  io  su  la  negra  nave 
Ed  ei ,  piangendo  :  O  di  Laerte  egregia 
Prole,  sagace  Ulisse,  un  nequitoso 
Demone  avverso,  e  il  molto  vin  m'  offese. 
Stretto  dal  sonno  alla  magione  in  cima, 
Men  disciolsi  ad  un  tratto;  e,  per  la  lunga 
Di  calar  non  mernbrando  interna  scala, 
Mossi  di  punta  sovra  il  tetto,  e  d1  alto 
Precipitai  :  della  cervice  i  nodi 
Ruppersi,  ed  io  volai  qua  con  lo  spirto. 
Ora  io  per  quelli  da  cui  lunge  vivi , 
Per  la  consorte  tua ,  pel  vecchio  padre , 
Che  a  tanta  cura  t'allevò  bambino, 
Pel  giovane  Telemaco,  che  dolce 
Nella  casa  lasciasti  unico  germe , 
Ti  prego,  quando  io  so  che  alla  Circea 
Isola  il  legno  arriverai  di  nuovo, 
Ti  prego  che  di  me  ,  signor  mio,  vogli 
Là  ricordarti ,  onde  io  non  resti ,  come 
Della  partenza  spiegherai  le  vele  , 
Senza  lagrime  addietro  e  senza  tomba, 
E  tu  venghi  per  questo  ai  Numi  in  ira. 
Ma  con  quell1  armi,  ch'io  vestia  ,  sul  foco 
Mi  poni ,  e  in  riva  del  canuto  mare        100 
A  un  misero  guerrier  tumulo  innalza, 
Di  cui  favelli  la  ventura  etade. 
Queste  cose  m'adempii;  ed  il  buon  remo, 
Cli'  io  tra  i  compagni  miei,  mentre  vivea, 
Solea  trattar,  sul  mio  sepolcro  infiggi.    io5 
Sventurato,  io  risposi,  a  pien  fornita 

Sarà,  non  dubitarne,  ogni  tua  voglia. 
Cosi  noi  sedevam  ,  meste  parole 
Parlando  alternamente ,  io  con  la  spada 
Sul  vivo  sangue  ognora,  e  a  me  di  contra  1  io 
La  forma  lieve  del  compagno,  a  cui 
Suggeria  molti  accenti  il  suo  disastro. 
Comparve  in  questo  dell'antica  madre 
L'Ombra  sottile,  d'Anticléa,  che  nacque 
Dal  magnanimo  Autolieo,  e  a  quel  tempo  1 15 
Era  tra  i  vivi ,  eh'  io  per  Troja  sciolsi. 
La  vidi  appena,  che  pietà  mi  strinse, 
E  il  lagrimar  non  tenni  :  ma  né  a  lei  , 
Quantunque  men  dolesse,  io  permettea 
Al  sangue  atro  appressar,  se  il  vate  prima  120 


ODISSEA 

Favellar  non  s'udfa.  Levossi  al  fine 
Con  l'aureo  scettro  nella  man  famosa 
L'  alma  Tebana  di  Tiresia,  e  ratto 
Mi  riconobbe,  e  disse:  Uomo  infelice, 
Perchè,  del  Sole  abbandonali  i  raggi,     i^5 
Le  dimore  inamabili  de'  morti 
Scendesti  a  visitar?  Da  questa  fossa 
Ti  scosta,  e  torci  in  altra  parte  il  brando, 
Sì  eh'  io  beva  del  sangue,  e  il  ver  ti  nani. 
Il  pie  ritrassi,  e  invaginai  l'acuto  i3o 

D'argentee  borchie  tempestato  brando. 
Ma  ei,  poiché  bevuto  ebbe,  in  tal  guisa 
Movea  le  labbra:  Rinomato  Ulisse, 
Tu  alla  dolcezza  del  ritorno  aneli, 
E  un  Nume  invidioso  il  ti  contende.       i35 
Come  celarti  *da  Nettun ,  che  grave 
Contra  te  concepì  sdegno  nel  petto 
Pel  figlio,  a  cui  spegnesti  in  fronte  l'occhio? 
Pur,  sebbene  a  gran  pena,  Itaca  avrai, 
Sol  che  te  stesso  e  i  tuoi  compagni  affreni,  140 
Quando,  tutti  del  mar  vinti  i  perigli, 
Approderai  col  ben  formato  legno 
Alla  verde  Trinacria  isola,  in  cui 
Pascon  del  Sol,  che  tutto  vede  ed  ode, 
I  nitidi  montoni  e  i  buoi  lucenti.  i45 

Se  pasceranno  illesi,  e  a  voi  non  caglia, 
Che  della  Patria ,  il  rivederla  dato  , 
Benché  a  stento,  vi  fia.  Ma,  dove  osiate 
Lana  o  corno  toccargli,  eccidio  a1  tuoi , 
E  alla  nave  io  predico,  ed  a  te  stesso.    i5o 
E,  ancor  che  morte  tu  schivassi,  tardo 
Fora,  ed  infausto,  e  senzatin  sol  compagno, 
E  su  nave  straniera,  il  tuo  ritorno. 
Mali  oltra  ciò  t'  aspetteranno  a  casa  : 
Protervo  stuol  di  giovani  orgogliosi,        i55 
Clic  ti  spolpa,  ti  mangia,  e  alla  divina 
Moglie  con  doni  aspira.  È  ver  che  a  lungo 
Non  rimarrai  senza  vendetta.  Uccisi 
Dunque  o  per  frode,  o  alla  più  chiara  luce, 
Nel  tuo  palagio  i  temerarj  amanti,  1G0 

Prendi  un  ben  fatto  remo,  e  in  via  ti  metti  : 
Né  rattenere  il  pie,  che  ad  una  nuova 
Gente  non  sii,  che  non  conosce  il  mare, 
Né  cosperse  di  sai  vivande  gusta , 
Né  delle  navi  dalle  rosse  guance,  i65 

O  de'  politi  remi,  ale  di  nave, 
Notizia  vanta.  Un  manifesto  segno 
D'  esser  nella  contrada  io  ti  prometto. 
Quel  dì  che  un  altro  pellegrino,  a  cui 
T'abbatterai  per  via,  te  quell'arnese,    170 
Con  che  al  vento  su  l'aja  il  gran  si  sparge, 
Portar  dirà  su  la  gagliarda  spalla, 
Tu  repente  nel  suol  conficca  il  remo. 
Poi,  vittime  perfette  a  re  Nettuno 
Svenate,  un  loro,  un  ariete  e  un  verro,   1^5 
Riedi  ,  e  del  cielo  agli  abitanti  tutti 
Con  l'ordine  dovuto  offri  ecatombe 
Nella  tua  reggia,  ove  a  te  fuor  del  mare, 
E  a  poco  a  poco  da  muta  vecchiezza 
Mollemente  consunto,  una  cortese  10O 

Sopravverrà  morte  tranquilla,  mentre 
Felici  intorno  i  popoli  vivranno. 
L' oracol  mio,  che  non  t'inganna,  è  questo. 
Tiresia  ,  io  rispondea  ,  così  prescritto 
(Chi  dubbiarne  potrebbe  ?) hanno  i  Celesti.  1 85 
Ma  ciò  narrami  ancora:  io  delia  madre 


L1BK0  UNDECtMO 


■ 


L;  anima  scorgo,  che  tacente  siede 
Appo  la  cava  fossa,  e  d'uno  sguardo, 
Non  che  d'un  motlo,  il  suo  figliuol  non  degna. 
Che  far  degg'  io  perchè  mi  riconosca?     190 
Ed  r»"Ii  :  Troppo  bene  io  nella  mente 
Lo  ti  porrò.  Quai  degli  spirti  al  sangue 
Non  difeso  da  te  giunger  potranno, 
Sciorran  parole  non  bugiarde  :  gli  altri 
Da  te  si  ritrarran  taciti  indietro.  ig5 

Svelate  a  me  tai  cose ,  in  seno  a  Dite 
Del  profetante  Re  l1  alma  s'  immerse. 
Ma  io  di  là  non  mi  togliea.   La  madre 
S'accostò  intanto,  né  del  negro  sangue 
Prima  beve,  che  ravvisommi,  e  queste  200 
Mi  drizzò  lagrimanrlo  alate  voci  : 
Deh  come,  tìgli  noi  mio,  scendestu  vivo 
Sotto  l'atra  caligine?  Chi  vive, 
Difficilmente  questi  alberghi  mira, 
Però  che  vasti  fiumi  e  paurose  ao5 

Correnti  ci  dividono,   e  il  temuto 
Oceàn,  cui  varcare  ad  noni  non  lice, 
Se  noi  trasporta  una  dedalea  nave. 
Forse  da  Troja ,  e  dopo  molti  errori , 
Con  la  nave  e  i  compagni  a  questo  bujo  aio 
Tu  vieni  ?  Né  trovar  sapesti  ancora 
Itaca  tua?  né  della  tua  consorte 
Riveder  nel  palagio  il  caro  volto  ? 
O  madre  mia,  necessità,  risposi, 
L'alma  indovina  a  interrogar  m'addusse  ai5 
Del  tebauo  Tirrsia.   Il 'suolo  acheo 
Non  vidi  ancor,  né  i  liti  nostri  attinsi; 
Ma  vo  ramingo,  e  dalle  cure  oppresso, 
Dappoi  che  a  Troja  ne1  puledri  bella 
Seguii,  per  disertarla,  il  primo  Atride.  220 
Su  via ,  mi  narra ,  e  schiettamente  ,  come 
Te  la  di  lunghi  sonni  apportatrice 
Parca  domò.  Ti  vinse  un  lungo  morbo , 
O  te  Diana  faretrata  assalse 
Con  improvvisa  non  amara  freccia?         225 
Vive  1'  antico  padre ,  il  figlio  vive  , 
Che  in  Itaca  io  lasciai?  Nelle  man  loro 
Resta,  o  passò  ad  altrui  la  mia  ricchezza, 
E  eh'  io  non  rieda  più ,  si  fa  ragione  ? 
E  la  consorte  mia  qual  cor,  qual  mente  23o 
Serba?  Dimora  col  fancitdlo,  e  tutto 
Gelosamente  custodisce,  o  alcuno 
Tra  i  primi  degli  Achei  forse  impalinoli;»? 
Riprese  allor  la  veneranda  madre: 
La  moglie  tua  non  lasciò  mai  la  soglia    235 
Del  tuo  palagio;  e  lentamente  a  lei 
Scorron  nel  pianto  i  dì ,  scorron  le  notti. 
Slranier  nel  tuo  retaggio,  in  sin  eh'  io  vissi, 
Non  entrò:  il  figlio  su  i  paterni  campi 
Vigila  in  pace,  e  alle  più  illustri  mense,  240 
Cui  1'  invita  ciascuno,  e  che  non  dee 
Chi  nacque  al  regno  dispregiar ,  s'  asside. 
Ma  in  villa  i  dì  passa  Laerte,  e  mai 
A  cittade  non  vien  :  colà  non  letti , 
Non  coltri,  o  strati  sontuosi,  o  manti.  245 
Di  vestimenta  ignobili  coverto 
Dorme  tra  i  servi  al  focolare  il  verno 
Su  la  pallida  cenere;  e  se  torna 
L'arida  estate,  o  il  verdeggiante  autunno, 
Lettucci  umili  di  raccolte  foglie  25o 

Slesi  a  lui  qua  e  là  per  la  feconda 
Sua  vigna  preme  travagliato,  e  il  duolo 


Nutre  piangendo  la  tua  sorte:  arrogi, 
La  vecchiezza  increscevole  che  il  colse. 
Non  altrimenti  de'  miei  stanchi  giorni    a55 
Giunse  il  termine  a  me,  cui  non  Diana, 
Sagittaria  infallibile ,  di  un  sordo 
Quadrello  assalse,  o  di  que' morbi  invase, 
Che  soglion  trar  delle  consunte  membra 
L'  anima  fuor  con  odiosa  tabe  :  a6o 

Ma  il  desio  di  vederti,  ma  l'affanno 
Della  tua  lontananza,  ma  i  gentili 
Modi  e  costumi  tuoi,  nobile  Ulisse, 
La  vita  un  dì  sì  dolce  hannomi  tolta. 
Io,  pensando  tra  me,  l'estinta  madre      a65 
Volea  stringermi  al  sen:  tre  volte  corsi. 
Quale  il  mio  cor  mi  sospingea,  ver  lei. 
E  tre  volle  m'  uscì  fuor  delle  braccia, 
Come  nebbia  sottile ,  o  lieve  sogno. 
Cura  più  acerba  mi  trafisse;  e  ratto,     270 
Ahi,  madre,  le  diss' io,  perchè  mi  sfuggi 
D'abbracciarti  bramoso,  onde  anco  a  Dite, 
Le  man  gittando  1'  un  dell'  altro  al  collo , 
Di  duol  ci  satolliamo  ambi,  e  di  pianto? 
Fantasma  vano,  acciò  più  sempre  io  m'anga,  2i5 
Forse  1'  alta  Proserpina  mandommi  ? 
O  degli  uomini  tutti  il  più  infelice, 
La  veneranda  genitrice  aggiun*e , 
No,  l'egregia  Proserpina,  di  Giove 
La  figlia,  non  l' inganna.  E  de'  mortali  280 
Tale  il  destin,  dacché  non  son  più  in  vita, 
Che  i  muscoli  tra  sé,  l'ossa  ed  i  nervi 
Non  si  conci ungan  più  :  tutto  consuma 
La  gran  possanza  dell'ardente  foco, 
Come  prima  le  bianche  ossa  abbandona,  285 
E  vagola  per  1'  aere  il  nudo  spirto. 
Ma  tu  d'  uscire  alla  superna  luce 
Da  questo  bujo  affretta;  e  ciò  che  udisti, 
E  porterai  nell'anima  scolpito, 
Penelope  da  te  risappia  un    giorno.         290 
Mentre  così  favellavano,  sospinte 
Dall'inclita  Proserpina  le  figlie 
Degli  eroi  comparfano,  e  le  consorti, 
E  traean  della  fossa  al  margo  in  folla. 
Io ,  come  interrogarle  ad  una  ad  una     2ci5 
Rivolgea  meco  ;  e  ciò  mi  parve  il  meglio. 
Stretta  la  spada,  non  patia  che  tutte 
Reessero  ad  un  tempo.  Alla  sua  volta 
Così  accorrea  ciascuna ,  e  1'  onorato 
Lignaggio  ed  i  suoi  casi  a  me  narrava.  3oo 
Prima  s' appresentò  l'illustre  Tiro, 
Che  del  gran  Salmonéo  figlia,  e  consorte 
Di  Creteo,  un  de'  figli  noi  d'Eolo,  sé  disse. 
Costei  d'  un  fiume  nell'  amore  accesa  , 
Dell'  Enipéo  divin ,  che  la  più  bella        3o5 
Sovra  i  più  ameni. campi  onda  rivolve, 
Spesso  a  bagnarsi  in  quegli  argenti  entrava. 
L'azzurro  Nume  che  fa  terra  cinge, 
Nettuno ,  in  forma  di  quel  Dio ,  corcossi 
Delle  sue  vorticose  acque  alla  foce;         3io 
E  la  porporeggiante  onda  d' intorno 
Gli  stette,  e  in  arco  si  piegò,  qual  monte, 
Lui  celando,  e  la  giovane,  cui  tosto 
Sciols'ei  la  zona  virginale,   e  un  casto 
Sopore  infuse.  Indi  per  man  la  prese,   3i5 
E  chiamolla  per  nome  ,  e  tai  parole 
Le  feo  :  Di  questo  amor,  donna,  t'allegra. 
Compiuto  non  avrà  1  aiuiu  il  suo  giro, 


335 


34o 


345 


35o 


56 

Che  diverrai  di  bei  faneiulli  madre, 
Ouando  vane  giammai  degl'Immortali    320 
Non  riescon  le  nozze.  I  bei  fanciulli 
Prendi  in  cura,  e  nutrisci.  Or  vanne,  e  sappi, 
Ma  il  sappi  sola,  che  tu  in  me  vedesti 
Nettuno,  il  Nume  che  la  terra  scuote. 
Disse;  e  ne'  gorghi  suoi  P  accolse  il  mare.  325 
Ella  di  Neleo  e  Pelia,  onderà  grave, 
S1  alleviò.  Forti  del  sommo  Giove 
Ministri ,  l1  un  nclP  arenosa  Pilo  , 
NelP  ampia  P  altro,  e  di  feconde  gregge 
Ricca  laolco ,  ebbe  soggiorno  e  scettro.  33o 
Quindi  altra  prole,  Esón,  Ferete ,  e  il  chiaro 
Domator  di  cavalli  Amitaóne  , 
Diede  a  Creteo  costei  ,  che  delle  donne 
Reina  parve  alla  sembianza  e  agli  atti. 
Poi  d1Asópo  la  figlia,  Antiopa,  venne, 
Che  dell1  amor  di.  Giove  andò  superba, 
E  due  figli  creò,  Zeto  e  Annone. 
Tebe  costoro  dalle  sette  porte 
Primi  fondaro  ,  e  la  munir  di  torri  : 
Che  mal  potean  la  spaziosa  Tebe 
Senza  torri  guardar,  benché  gagliardi. 
Venne  d'Amfitrión  la  moglie,  Alcmena, 
Che  al  Saturnide  P  animoso  Alcide, 
Cor  di  leone  ,  partorì.  Megara , 
Di  Creonte  magnan'mo  figliuola, 
E  moglie  dell'invitto  Ercole,  venne. 
D'Edipo  ancor  la  genitrice  io  vidi, 
La  leggiadra  Epicasta ,  che  nefanda 
Per  cecità  di  mente  opra  commise, 
L1  uom  disposando  da  lei  nato.   Edipo 
La  man,  con  che  avea  prima  il  padre  ucciso, 
Porse  alla  madre  :  né  celaro  i  Dei 
Tal  misfatto  alle  genti.  Ei  per  crudele 
Voler  de1  Numi  nell1  amena  Tebe 
Addolorato  su  i  Cadmei  regnava.  355 

Ma  la  donna,  cui  vinse  il  proprio  affanno, 
L1  infame  nodo  ad  un1  eccelsa  trave 
Legato,  scese  alla  magion  di  Pluto 
Dalle  porte  infrangibili,  e  tormenti 
Lasciò  indietro  al  figlinol,  quanti  ne  danno  36o 
Le  ultrici  Furie,  che  una  madre  invoca. 
Vidi  colei  non  men  ,  che  ultima  nacque 
Ali1  Iaside  Anfi'ón,   cui  P  arenosa 
Pilo  negli  anni  andati ,  e  il  MinYe'o 
Orromeno  ubbidia;  l1  egregia  Clori ,        365 
Che  Neleo  di  lei  preso  a  sé  congiunse, 
Poscia  eh1  egli  ebbe  di  dotali  doni 
La  vergine  ricolma.  Ed  ella  il  feo 
Ricco  di  vaga  e  di  lui  degna  prole  , 
Di  Nestore,  di  Cromio,  e  dell'eroe 
Pereclimeno;  e  poi  di  quella  Pero^ 
Che  maraviglia  fu  d1  ogni  mortale. 
Tutti  i  vicini  la  chiedean  :  ma  il  padre 
Sol  concedeala  a  chi  le  belle  vacche 
Dalla  lunata  spaziosa  fronte,  3^5 

Che  appo  sé  riteneasi  il  forte  Ificle , 
Gli  rimenasse ,  non  leggiera  impresa  , 
Dai  pascoli  di  Filaca.  L'  impresa 
Melampo  assunse,  un  indovino  illustre; 
Se  non  che  a  lui  s'attraversaro  i  fati,    38o 
E  pastori  salvatichi ,  da  cui 
Soffrir  dovè  d1  aspre  catene  il  pondo. 
Ma  non  prima,  già  in  sé  rivolto  Panno, 
I  mesi  succedettersi  ed  i  giorni, 


385 


3go 


5(j5 


4oo 


ODISSEA 

E  compier  le  stagioni  il  corso  usalo, 
Che  Ificle,  a  cui  gli  oracoli   de*1  Numi 
Svelati  avea  l' irreprensibil  vate  , 
I  suoi  vincoli  ruppe  ;  e  così  al  tempo 
L'alto  di  Giove  s1  adempiea  consiglio. 
Leda  comparve,  da  cui  Tindaro  ebbe 
Due  figli  alteri,  Castore  e  Polluce, 
L1  un  di  cavalli  domatore,  e  P  altro 
Pugile  invitto.  Benché  P  alma  terra 
Ritengali  nel  8>n  ,  di  vita  un  germe 
(Così  Giove  tra  POmbre  anco  gli  onora) 
Serbano:  ciascun  giorno,  e   alternameme, 
Ri'apron  gli  occhi ,  e  chiudonli  alla  luce , 
E  gloriosi  al  par  van  degli  Eterni. 
Dopo  costei  mi  si  parò  davanti 
D'Aloéo  la  consorte,  Ifimidéa, 
Cui  di  dolce  d1  amor  nodo  si  strinse 
Lo  Scuotiterra.  Ingenerò  due  figli , 
Oto  a  un  Dio  pari ,  e  P  inclito  Ifi'alte , 
Che  la  luce  del  Sol  poco  fruirò. 
Né  di  statura  ugual,  né  di  beltade,        4°5 
Altri  nodrì  la  comun  madre  antica, 
Sol  che  fra  tutti  d1  Ori'on  si  taccia. 
Non  avean  tocco  il  decim1  anno  ancora, 
Che  in  largo  nove  cubiti,   e  tre  volte 
Tanto  cresciuti  erano  in  lungo  i  corpi.  410 
Questi  volendo  ai  sommi  Dei  su  P  etra 
Nuova  portar  sediziosa  guerra  , 
L'Ossa  sovra  P Olimpo,  e  sovra  l'Ossa 
L1  arbovifero  Pelio  impor  tentaro  , 
Onde  il  cielo  scalar  di  monte  in  monte;  4' 5 
E  il  fean ,  se  i  volti   pubertà  infiorava: 
Ma  di  Giove  il  figlinolo  e  di  Latona 
Sterminolli  ambo,  che  del  primo  pelo 
Le  guance  non  ombravano  ,  ed  il  mento 
Fedra  comparve  ancor,  Procri  e  Arianna,  420 
Che  P  amante  Teseo  rapì  da  Creta  , 
E  al  suol  fecondo  della  sacra  Alene 
Condur  volea.  Vane  speranze  !  In  Nasso, 
Cui  cinge  un  vasto  mar,  fu  da  Diana, 
Per  P  indizio  di  Bacco,  aggiunta  e  morta.  fo5 
Né  restò  Mera  inosservata  indietro , 
Né  Climene  restò,  né  Pabborrita 
Erifile,  che  il  suo  diletto  sposo 
Per  un  aureo  monil  vender  poteo. 
Ma  dove  io  tutte  degli  eroi  le  apparse   4'° 
Figlie  nomar  volessi ,  e  le  consorti , 
Pria  manchen'ami  la  divina  Notte. 
E  a  me  par  tempo  da  posar  la  testa 
O  in  nave  o  qui ,  tutta  del  mio  ritorno 
Ai  Celesti  lasciando,  e  a  voi,  la  cura.     4^5 
Tacque.  I  Feaci  per  P oscura  sala 
Stavansi  muti ,  e  nel  piacere  assorti. 
Ruppe  il  silenzio  P  immortai  Regina, 
La  bracciobianca  Arete  :  Feacesi , 
Che  vi  par  di  costui?  del  suo  sembiante?  44® 
Della  maschia  persona?  e  di  quel  senno 
Che  in  lui  risiede?  Ospite  è  mio,  ma  tutti 
DelPonor,  ch'io  ricevo,  a  parte  siete. 
Non  congedate  in  fretta  ,  e  senza  doni , 
Chi  nulla tien,  voi,  che  di  buono  in  casa  44^ 
Per  favor  degli  Dei  tanto  serbale. 
Qui  favellò  Echenéo  ,  che  gli  altri  tutti 
Vincea  d1  etade  :  Fuor  del  segno,  amici, 
Arete  non  colpì  con  la  sua  voce. 
Obbediscasi  a  lei  :  se  non  che  prima      4^° 


3;o 


455 


4f>5 


Del  Re  1'  esempio  attenderemo,  e  il  detto 

Ciò  sarà  eh1  ella  vuole,  Alcinoo  disse, 
Se  vita  e  scettro  a  me  lascian  gli   Dei. 
Ma,  benché  tanto  di  parlir  gli  tardi, 
L*  ospite  indugi  sino  al  nuovo  Sole, 
Si  eli1  io  tutti  i  regali  insieme  accoglia. 
Cura  esser  dee  comun  che  lieto  ei  parta, 
E  più,  che  d'  altri,  mia,  s'io  qui  son  primo. 

Alcinoo  re.  che  di  grandezza  e  fama, 
Riprese  Ulisse,  ogni  mortale  avanzi,       fó° 
Sei  mesi  ancor  mi  riteueste ,  e  sei , 
E  6da  scorta  intanto  e  ricchi  doni 
M'apparecchiaste,  io  non  dovrei  sgradirlo: 
Che  quanto  io  tornerò  con  man  più  piene 
A1  miei  sassi   natii,  tanto   la  gente 
Con  più  onore  accori  amini  e  con  più  affetto, 

Ed   Alcinoo  in  risposta:   Allora,   Ulisse, 
Che  ti  adocchiamo,  un  impostor  fallace, 
D'  alte  menzogne  inaspettato  fabbro  , 
Scorger  non  sospettiam  ,  quali  benigna  470 
La  terra  qua  e  là  molti   ne  pasce. 
Leggiadria  di  parole  i  labbri  t'  orna  , 
Né  prudenza  minor  t1  alberga  in  petto. 
L'opre  de1  Greci  e  le  tue  doglie,  quasi 
Lo  spirto  della   .Musa  in  te  piovesse,       4^5 
Ci  narrasti  così  ,  eh1  era  un  vederle. 
Deb  siegui  ,  e  dimmi,  se  t'  apparve  alcuno 
Di  tanti  eroi  che  veleggiaro  a  Troja 
Teco  ,  e  spenti  rimanervi.   La  Notte 
Con  lenti  passi  or  per  lo  ciel  cammina, 480 
E,  finche  ci  esporrai  stupende  cose, 
Non  fia  chi  del  dormir  qui  si  rammenti. 
Quando  parlar  di  te  sino  ali1  aurora 
Ti  consentisse  il  dnol ,  sino  all'  aurora 
Io  penderei  dalle  tue  labbra  immoto.      4^5 

V'ha  un  tempo,  Alcinoo,  di  racconti,  ed  havvi, 
Ulisse  ripigliò,  di  sonni  un  tempo. 
Che  se  udir  vuoi  più  avanti,  io  non  ricuso 
La  sorte  di  color  molto  più  dura 
Rappresentarti ,  che  scampar  dai  rischj   49° 
D1  una  terribil  guerra  ,  e  nel  ritorno  , 
Colpa  d'una  rea  donna,  ohimè!  perirò. 

Poiché  le  femminili  Ombre  famose 
La  casta  Proserpina  ebbe  disperse, 
Mesto ,  e  cinto  da  quei  che  fato  uguale 
Trovar  d'Egisto  negl'infidi  alberghi, 
Si  levò  d1  Agamennone  il  fantasma. 
Assaggiò  appena  dell1  oscuro  sangue, 
Che  ravvisommi  ;  e  dalle  tristi  ciglia 
Versava  in  copia  lagrime ,  e  le  mani 
Mi  stendea  di  toccarmi  invan  bramose: 
Che  quel  vigor,  quella  possanza,  ch'era 
Nelle  sue  membra  ubbidienti  ed  atte , 
Derelitto  P  avea.  Lagrime  anch1  io 
Sparsi  a  vederlo,  e  intenerii  nell'alma,  5o5 
E  tai  voci,  nomandolo  ,  gli   volsi  : 
O  inclito  d'Atréo  figlio,  o  de1  prodi 
Re,  Agamennone,   qual  destin  ti  vinse, 
E  i  lunghi  t'  arrecò  sonni  di  Morte  ? 
Nettuno  in  mar  ti  domò  forse  ,  i  fieri   5io 
Spirti  eccitando  de1  crudeli  venti  ? 
O  t'  offesero  in  terra  uomini  ostili , 
Che  armenti  depredavi  e  pingui  gregge, 
O  delle  patrie  mura,  e  delle  caste 
Donne  a  difesa,  roteavi  il   hra-ido  ?         5 1  5 

Laerziade  preclaro,  accorto  Ulisse, 

PlSPEMOSTE 


LIUttO  U3DECIM0  s7 

Ratto  rispose  delPAtride  l'Ombra, 
Me  non  domò  Nettuno  all'onde  sopra, 
Né  m'  ofìesero  in  terra  uomini  ostili. 
Egislo,  ordita  con  la  mia  perversa  5ao 

Donna  una  frode,  a  sé  invitommi,  e  a  mensa, 
Come  alle  greppie  inconsapevol  bue, 
L'  empio  mi  trucidò.  Cosi  morii 
Di  morte  infelicissima  ;  e  non  lun<»e 
Gli  amici  mi  cadean ,  quai  per  illustri  5?5 
Nozze,  o  banchetto  sontuoso,  o  lauta 
A  dispendio  comun  mensa  imbandita, 
Cadono  i  verri  dalle  bianche  saune. 
Benché  molli  a'  tuoi  giorni  oin  folta  pugna 
Vedessi  estinti,  o  in  singoiar  certame,  53o 
Non  solita  pietà  tocco  t'  avrebbe  , 
Noi  mirando,  che  stesi  all'  ospitali 
Coppe  intorno  eravam  ,  mentre  correa 
Purpureo  sangue  il  pavimento  tutto. 
La  dolente  io  sentii  voce  pietosa  535 

Della  figlia  di  Priamo,  di  Cassandra, 
Cui  Clitennestra  m'  uccidea  da  presso  , 
La  moglie  iniqua;  ed  io,  giacendo  a  terra, 
Con  moribonda  man  cercava  il    brando  : 
Mi  la  sfrontata  si  rivolse  altrove,  54o 

Né  gli  occhi  a  me,  che  già  scendea  tra  l'Ombre, 
Chiudere ,  né  compor  degnò  le  labbra. 
No,  più  rea  ceste,  più  crudel  non  dassi 
Di  donna ,  che  si  atroci   opre  commetta  , 
Come  questa  infedel.  che  il  dannoestremo  545 
Tramò  cui  s'  era  vergine  congiunta. 
Lasso!  dove  io  credea  che,   ritornando, 
Figliuoli  e  servi  m'  accorrian  con  festa , 
Costei,  che  tutta  del  peccar  sa  Parte, 
Sé  ricoprì  d' infamia  ,  e  quante  al  mondo  55o 
Verranno,  eie  più  oneste  anco,  ne  asperse. 

Oh  quanta,  io  ripigliai,  sovra  gli  Alridi 
Le  femmine  attirato  ira  di  Giove! 
Fu  di  molti  de'  Greci  Elena   strage  ! 
E  a  te,  cogliendo  dell'assenza  il  tempo,  555 
Funesta  rete  Clitennestra  tese. 

Quindi  troppa  tu  stesso,  ei  rispondea, 
Con  la  tua  donna  non  usar  dolcezza , 
Né  il  tutto  a  lei  svelar ,  ma  parte  narra 
De' tuoi  secreti  a  lei,   parte  ne  taci,       56o 
Benché  a  te  dalla  tua  venir  disastro 
Non  debba:  che  Penelope,  la  saggia 
Figlia  d' Icario ,  altri  consigli  ha  in  core. 
Moglie  ancor  giovinetta,  e  con  un  bimbo, 
Che  dalla  mamma  le  pendea  contento,  565 
Tu  la  lasciavi ,  navigando  a  Troja  : 
Ed  oggi  il  tuo  Telemaco  felice 
Già  s'  asside  uom  tra  gii  uomini,  e  il  diletto 
Padre  lui  vedrà  un  giorno ,  ed  egli  al  padre 
Giusti  baci  porrà  sovra  la  fronte.  5^0 

Ma  la  consorte  mia  uè  questo  almeno 
Mi  consentì ,  eh'  io  satollassi  gli  occhi 
Nel  volto  del  mio  figlio ,  e  pria  mi  spense. 
Credi  al  fine  a'  miei-detti ,  e  ciò  Del  fondo 
Serba  del  petto  :  le  native  spiagge  575 

Secretamente  afferra,  e  a  tutti  ignoto, 
Quando  fidar  più  non  si  puote  in  donna. 
Or  ciò  mi  conta,  e  schiettamente:  udisti, 
Dove  questo  mio  figlio  i  giorni  tragga? 
In  Orcomeno  forse  ?  O  forse  tienlo         58o 
Pilo  arenosa .  o  la  capace  Sparta 
Presso  sé  Menelao  ?  Certo  non  venne 
8 


495 


5oo 


98 


ODISSEA. 


Finor  sotterra  i!  mio  grillile  Oreste. 
Eri  io:  Perchè  di  ciò  domandi,  Atride , 
Me,  cui  né  conto  è  pur  se  Oreste  spira  585 
Le  dolci  aure  di  sopra,  o  qui  soggiorna? 
Lode  non  merla  il  favellare  al   venlo. 
Così  parlando  alternamente,  e  il  volto 
Di  lagrime  rigando,  e  il  suol  di  Dile, 
Ce  ne  stavam  disconsolali  ;  ed  ecco         590 
Sorger  lo  spirto  del  peliade  Achille, 
Di  Patroclo,  d1  Antiloro  e  d' Ajace, 
Che  gli  Achei  tutti,  se  il  Pelide  togli, 
Di  corpo  superava  e  di  sembiante. 
Mi  riconobbe  del  veloce  al  corso  5g5 

Eacide  l1  imago  ;  e  ,  lamentando  , 
O,  disse,  di  Laerte  inclita  prole, 
Qual  nuova  in  mente,  sciagurato,  volgi 
Macchina,  che  ad  ogni  altra  il  pregio  scemi  ? 
Come  osasti  calar  ne1  foschi  regni,  600 

Degli  estinti  magion,  che  altro  non  sono 
Che  aeree  forme  e  simulacri  ignudi? 
Di  Peleo,  io  rispondea,  figlio,  da  cui 
Tanto  spazio  rimase  ogni  altro  Greco, 
Tiresia  io  scesi  a  interrogar,  che  P arte  6o5 
Di  prender  in1  insognasse  Itaca  alpestre. 
Sempre  involto  ne1  guai,  PAcaica  terra 
Non  vidi  ancor,  né  il  patrio  lido  attinsi. 
Ma  di  te,  forte  Achille,  uom  più  beato 
Non  fu,  né  giammai  fia.  Vivo  d'un  Nume  610 
T'onoravamo  al  pari,  ed  or  tu  regni 
Sovra  i  defunti.   Puoi  tristarti  morto? 
Non  consolarmi  della  morte,  a  Ulisse 
Replicava  il  Pelide.  Jo  pria  torrei 
Servir  bifolco  per  mercede  a  cui  61 5 

Scarso  e  vii  cibo  difendesse  i  giorni, 
Che  del  Mondo  defunto  aver  P  impero. 
Su  via,  ciò  lascia,  e  del  mio  figlio  illustre 
Parlami  in  vece.  Nelle  ardenti  pugne 
Corre  tra  i  primi  avanti?  E  di  Peleo,    620 
Del   mio  gran  genitor,  nulla  sapesti? 
Siegunn  fedeli  a  reveri  rio  i   molti 
Mirmidoni,  o  nelP  Ellada  ed  in  Ftia 
Spregiato  vive  per  la  troppa  etade, 
Che  le  membra  gli  agghiaccia?  Ah!  che  guardarlo 
Sotto  i  raggi  del  Sol  più  non  mi  lice:  (625 
Che  passò  il  tempo  che  la  Troica  sabbia 
D'esanimi  io  covrìa  corpi  famosi, 
Proteggendo  gli  Achei.  S'io  con  la  forza, 
Che  a  que1  giorni  era  in  mo,  toccar  potessi  63o 
Per  un  istante  la  paterna  soglia, 
A  chiunque  oltraggiarlo,  e  degli  onori  ' 
Fraudarlo  ardisse,  questa  invitta  mano 
Metterebbe  nel  core  alto  spavento. 
Nulla,   io  risposi,  di  Peleo,  ma  tutto        635 
Del  figliuol  posso,  e  fedelmente,  dirti, 
Di  Neottolemo  tuo,  che  all'oste  Achiva 
Io  stesso  sopra  cava  e  ti'  uguai  fianchi 
Munita  nave  rimenai  da  Sciro. 
Sempre  che  ad  Ilio  tenevano  consulte,    6/J0 
Primo  egli  a  favellar  s'alzava  in  piedi, 
Né  mai  dal  pun.'o  deviava:  soli 
Gareggiavam  con  lui  Nestore  ed  io. 
Ma  dove  l'armi  si  prendean,  confuso 
Già  non  restava  in  fra  la  turba,  e  ignoto:  645 
Precorroa  tutti,  e  di  gran  lunga,  e  intere 
Le  falangi  strnggea.  Quant' ei  mandasse, 
Propugnacol  de'  Greci,  anime  all'Ore*), 


Da  me  non  t' aspeltare.  Abbiti  solo, 
Che  il  telefide  Euripilo  trafisse  65o 

Fra  i  suoi  Cetéi,  che  gli  modano  intorno; 
Euripilo  di  Troja  ai  sacri  muri 
Per  la  impromessa  man  d'  una  del  Rege 
Figlia  venuto,  ed  in  quell'oste  intera, 
Dopo  il  deiforme  Mennone,  il  più  bello.    655 
Che  del  giorno  dirò,  che  il  fior  de'  Greci 
Nel  construtto  da  Epéo  cavallo  salse, 
Che  in  cura  ebb1  io,  poiché  a  mia  voglia  solo 
Apriasi,  o  rinchiudessi,  il  cavo  agguato? 
Tergeansi  capi  e  condottier  con  mano    660 
Le  umide  ciglia  ,  e  le  ginocchia  sotto 
Tremavano  a  ciascun;  né  bagnare  una 
Lagrima  a  lui.   né  di  pallore  un'  ombra 
Tingere  io  vidi  la  leggiadra  guancia. 
Bensi  prieghi  porge  uni,  onde  calarsi       665 
Giù  del  cavallo,  e  della  lunga  spada 
Palpeggiava  il  grand1  else,  e  l'  asta  grave 
Crollava,  mali  divisando  a  Troja. 
Poi,  la  cittade  incenerita,   in  nave 
Delle  spoglie  più  belle  adorno  e  carco    630 
Montava,  e  illeso:  quando  lunge,  o  presso  , 
Di  spada,  o  strai,  non  fu  giammai  chi  vauto 
Del  ferito  Neottolemo  si  desse. 
Dissi;  e  d1  Achille  alle  veloci  piante 
Per  li  prati  d'  asfodelo  vestili  6^5 

L'alma  da  me  sen  giva  a  lunghi  pttssi, 
Lieta,  che  udì  del  figliuol  suo  la  lode. 
D'  altri  guerrieri  le  sembianze  tristi 
Compariano;  e  ciascun  suoi  guai  narrava. 
Sol  dello  spento  telamonio  Ajaee  680 

Stava   in  disparte  il   disdegnoso  spirto, 
Perchè  vinto  da  me  nella  contesa 
Dell'  armi  del  Pelide  appo  le  navi. 
Teti,  la  madre  veneranda,  in  mezzo 
Le  pose,  e  giudicaro  i  Teucri  e  Palla.    685 
Oh  còlta  mai  non  avess' io  tal  palma, 
Sp  1'  alma  terra  nel  suo  vasto  grembo 
Celar  dovea  sì  gloriosa  testa , 
Ajace,  a  cui  d'aspetto  e  d'opre  illustri, 
Salvo  l'irreprensibile  Pelide,  690 

Non  fu  tra  i  Greci  chi  agguagliarsi  osasse! 
Io  con  blande  parole,  Ajace,  dissi , 
Figlio  del  sommo  Telamon,  gli  sdegni 
Per  quelle  maladette  arme  concetti 
Dunque  né  morto  spoglierai?  Fatali        695 
Certo  reser  gli  Dei  quell'arme  ai  Greci, 
Che  in  te  perderò  una  sì  ferma  torre. 
Noi  per  te  nulla  men,  che  per  Achille, 
Dolenti  andiam;  nèalcunn'èin  colpa,  il  credi  : 
Ma  Giove,  che  infinito  ai  bellicosi  700 

Danai  odio  porta,  la  tua  morte  volle. 
Su  via,  t'accosta,  o  Re,  porgi  cortese 
L'orecchio  alle  mie  voci,  e  la  soverchia 
Forza  del  generoso  animo  doma. 
Nulla  egli  a  ciò:   ma,  ritraendo  il  piede,  70.5 
Fra  P  altre  degli  estinti   Ombre  si  mise. 
Pur,  seguendolo  io  quivi,  una  risposta 
Forse  data  ei  m' avria  ;  se  non  che  voglia 
Altro  di   rimirar  in'  ardea  nel  pelto. 
Minosse  io  vidi,  del  Saturnio  il  chiaro     710 
Figliuol,  che  assiso  in  trono,  e  un  aureo  scettro 
Stringendo  in  man,  tenea  ragione  all'Ombre, 
Che  lutto,  qual   seduta  e  quale   in   piedi, 
Conio  di  sé  rendeangli  enlro  P  oscura 


Li  IMO  1/ADfcClMO 


SI 


Di   Pluto  casa  dalle  larghe  porle.  715 

Vi<li  il  grande  Orion,  che  delle  fiere, 
Che  uccise  un  dì  sovra  i  boscosi   mouti, 
Or  gli  spelici  seguii  de1  prati  Inferni 
Per  l1  asfodelo  in  caccia;  e  maneggiava 
Perpelua   mazza  d1  infrangihil   rame.  720 

Ecco  poi   Tizio,  della  Terra  figlio. 
Che  sforzar  non  temè  Palma  di  Giove 
Sposa,  Latona ,  che  volgeasi  a  Pito 
Per  le  ridenti  Panopée  campagne. 
Sul  teneri  distendevasi,  e  ingombrava     •jiS 
Quanto  in   di  nove  ara  di  fami  un  giogo; 
E  due  avoltoi,  l1  un  quinci,  e  I' altro  quindi, 
Ch'  ei  con   mano  scacciar  tentava  indarno, 
Rodeangli  il  cor,  sempre  ficcando  addentro 
Nelle  fibre  rinate  il  curvo  rostro.  ^3o 

Slava  là  preso  con  acerba  pena 
Tantalo  in  piedi  entro  un  argenteo  lago, 
La  cui  beli1  onda  gli  toccava  il   mento. 
Sitibondo  mostratasi,  e  una  stilla 
Non   ne  potea  gustar:  che  quante  volte  ^35 
Chinava  il  veglio  le  bramose  labbra, 
Tante  Tonda  foggia  dal  fondo  assorta, 
Si   che  appartagli  ai  pie  solo  una  bruna 
Da  un  Genio  avverso  inaridita  terra. 
Piante  superbe,   il  melagrano,  il  pero,   740 
E  di   lucide  pomi   il   melo  adorno, 
E  il  dolce  fico,  e  la  canuta  oliva, 
Gli  piegavan  sul  capo  i  carchi   rami; 
E  in   quel  eh1  egli  stendea  dritto  la  destra, 
Vèr  le  nubi  lanciava  i  rami    il  vento.      7^ 

Sisifo  altrove  smisurato  sasso 
Tra  V  una  e  1'  altra  man  portava,  e  doglia 
Pungealo  inenarrabile.  Costui 
La  gran  pietra  alla  cjma  alta  d1  un  monte, 
Urtando  con  le  man,  coi  pie  pontando,  700 
Spingea:  ma  giunto  in  sul  ciglion  non  era, 
Che  risospinta  da  un   poter  supremo 
Rotolavasi  rapida  pel  chino 
Sino  alla  valle  la  pesante  massa. 
Ei  nuovamente  di  tutta  sua  forza  ^55 

Su  la  cacciava:  dalle  membra  a  gronde 
Il  sudore  colavagli,  e  perenne 
Dal  capo  gli  salìa  di  polve  un  nembo. 

D'Ercole  mi  s'offerse  al  fin  la  possa, 
Anzi  il  fantasma:  però  eh1  ei  de'  Numi  760 
Giocondasi  alla  mensa,  e  cara  sposa 
Gli  siede  accanto  la  dal  pie  leggiadro 


?7° 


?7:> 


Ebe,  di  Giove  figlia  e  di  Giunone, 
Che  muta  il  passo  coturnata  d'  oro. 
Srhiamazzavan  gli  spirti  a  lui  d'intorno,  765 
Come  volanti  augei  da  subitana 
Tema  compresi;  ed  ei  fosco,  qual  notte, 
Con  P  arco  in  mano,  e  con  lo  strai  sul  uervo, 
Ed  in  atto  ad  ognor  di  chi  saetta, 
Orrendamente  qua  e  là  guatava. 
Ma  il  petto  attraversavagli  uua  larga 
D'  òr  cintura  terribile,  su  cui 
Storiate  vedeansi  opre  ammirande, 
Orsi,  cinghiai  feroci  e  leon  torvi, 
E  pugne,  e  stragi,  e  sanguinose  morti: 
Cintura,  a  cui  P  eguale  o  prima  ,  o  dopo, 
Non  fabbricò,  qual  che  si  fosse,  il  mastro. 
Mi  sguardo,   riconobbemi,  e  con  voce 
Lugubre,   O,  disse,  di  Laerte  figlio, 
Ulisse  accorto,  ed  infelice  a  un'ora,       780 
Certo  un  crudo  t'  opprime  avverso  fato, 
Qual  sotto  i   rai  del  Sole  anch'  io  sostenni. 
Figliuol  quantunque  dell'egioco  Giove, 
Pur,  soggetto  vivendo  ad   uom  che  tanto 
Valea  manco  di  me,  molto  io  soffersi.    785 
Fatiche  gravi  ei  m'  addossava,  e  un  tratto 
Spedimmi  a  quinci  trarre  il  Can  trifauce, 
Che  la  prova  di  tutte  a  me  più  dura 
Sembravagli;  ed  io  venni,  e  quinci  il  Cane 
Trifauce  trassi  ripugnante  indarno,  790 

D'Ermete  col  favore  e  di   Minerva. 
Tacque,  e  nel  più  profondo  Èrebo  scese. 
Di  loco  io  non  moveami,  altri  aspettando 
De'  prodi,  che  sparirò,  è  ornai  gran  tempo. 
E  que'  duo  forse  mi  sarieu  comparsi,     795 
Ch'io  più  veder  bramava,  eroi  primieri, 
Teseo  e  Piritoo,  gloriosa  prole 
Degl'  immortali  Dei.  Ma  un  infinito 
Popol  di  spirti  con  frastuono  immenso 
Si  ragunava;  e  in  quella  un  improvviso  800 
Timor  m'assalse,  non  V  orribil  testa 
Della  tremenda  Gorgone  la  Diva 
Proserpina  inviasse  a  me  dall'  Orco. 
Dunque  senza  dimora  al  cavo  legno 
Mossi,  e  ai  compagni  comandai  salirlo,  80 j 
E  liberar  le  funi;  ed  i  compagni 
Ratto  il  saliano,  e  s'  assidean  su  i  banchi. 
Pria  P  aleggiar  de'  remi  il  cavo  legno 
Mandava  innanzi  d' Ocèan  su  l'onde: 
Poscia  quel,  che  levossi,  ottimo  vento.  810 


e» 


ODISSEA 


LIBRO  DUODECIMO 


ARGOMENTO 


Ritorno  all'isola  di  Circe,  esequ 


quie  d'Elpenore,  e  partenza  d'Ulisse.  Questi,  ammaestralo  da  Circe  .vince 
il  pericolo  delle  Sirene,  schiva  le  Pietre  erranti  ,  e  passa  tra  Scilla  e  Cariddi,  non  perù  senza  perdita  di  due 
dc'eompagni.  Arrivo  all'isola  Trinacria  ,  cioè  alla  Sicilia,  ove  i  compagni  uccidono  1  buoi  del  Sole,  e  ci- 
calisi delle  loro  carni.  Giove  fulmina  la  nave,  e  lutti  periscono,  eccello  Ulisse,  ebe  su  gli  avanzi  della  nave 
si   pone.  In  tale  stalo  ripassa  tra  Scilla  e  Cariddi,    salvandosi    da    quest'ultima  con    un'arte   maramgliosa  ;  e 


pone.  Jn  tale  sialo  rip. 
dopo  dieci   giorni  giunge  all'isola  di  Calipso.  E  qui   ha  fine  la  sua  narrazione 


.Poiché  la  nave  uscì  dalle  correnti 
Del  gran  fiume  Oceano,  ed  all'Eòa 
Isola  giunse  neirimmenso  mare, 
Là,  Ve  gli  alberghi  dell'Aurora,  e  i  balli 
Sono,  e  del   Sole  i  lucidi  Levanti,  5 

Noi  dalla  nave,  che  fu  in  secco  tratta, 
Scesi,  e  corcati  su  la  muta  spiaggia, 
Aspettammo  dell'Alba  il  sacro  lume. 
Ma  come  del  mattin  la  bella  figlia 
Colorò  il  ciel  con  le  rosate  dita,  io 

Di  Circe  andaro  alla  magione  alcuni, 
Che  dell'estinto  Elpenore  la  fredda 
Spoglia  ne  riportassero.  Troncammo 
Frassini  e  abeti,  e  all'infelice  amico, 
Dolenti   il  core,  e  lagninosi  il  ciglio,  i5 

L'esequie  femmo,  ove  sporger  più  il  lido. 
Né  prima  il  corpo  e  le  armi  ebbe  arse  il  foco, 
Che  noi,  composto  un  tumulo,  ed  eretta 
Sopravi  una  colonna,  il  ben  formato 
Remo  infiggemmo  della  tomba  in  cima.     20 

Mentr'eravamo  al  tristo  ufficio  intenti, 
Circe,  che  d'Aide  ci  sapea  tornati, 
S'adornò,  e  venne  in  fretta,  e  con  la  Dea 
Venncr  d'un  passo  le  serventi  Ninfe, 
Forza  di  carni  e  pan  seco  recando,  a5 

E  ros*o  vino,  che  le  vene  infiamma. 
L'inclita  tra  le  Dee  stava  nel  mezzo, 
E  cosi  favellava:  O  sventurati, 
Che  in  carne  viva  nel  soggiorno  entraste 
D'Aide,  e  di  cui  la  sorte  è  due  fiate         3o 
Morir,  quando  d'ogni  altro  uomo  è  unasola, 
Su  via,  tra  i  cibi  scorra  ed  i  licori 
Tutto  a  voi  questo  dì  su  le  mie  rive. 
Come  nel  ciel  rosseggerà  l'Aurora, 
Navigherete;  ma  i',  cammino,  e  quanto     35 
Di  saper  v'è  mestieri,  udrete  in  prima, 
Sì  che  non  abbia  per  un  mal  consiglio 
Grave  in  terra,  od  in  mare,  a  incorvi  danno. 

Chi  persuaso  non  sanasi  ?  Quindi 
Tra  lanci  piene  e  coronate  tazze,  40 

Finché  il  Sol  si  mostrò,  sedemmo  a  mensa. 
Il  Sol  celato,  ed  imbrunito  il  mondo, 
Si  coIcaro  i  compagni  appo  la  nave. 
Ma  Circe  me  prese  per  mano,  e  trasse 
Da  parte,  e  a  seder  pose;  indi,  seduta         /f5 
Di  contra,  interrogommi ,  ed  io  su  tutto 
La  satisfeci  pienamente.  Allora 
Tai  parole  sciogliea  l'illustre  Diva: 
Tu  compiesti  ogni  cosa.  Or  quello  ascolta, 
Ch'  io  vo'  manifestarti,  e  che  al  bisogno    00 
Ti  torneranno  nella  mente  i  Numi. 
Alle  Sirene  giungerai  da  prima, 


55 


Go 


65 


Che  affascinan  chiunque  i  lidi  loro 
Con  la  sua  prora  veleggiando  tocca. 
Chiunque  i  lidi  incautamente  afferra 
Delle  Sirene,  e  n'ode  il  canto,  a  lui 
Né  la  sposa  ledei,  né  i  cari  figli 
Verranno  incontro  su  le  soglie  in  festa. 
Le  Sirene,  sedendo  in  un  bel  prato, 
Mandano  un  canto  dalle  argute  labbra, 
Che  alletta  il  passeggier  :  ma  non  lontano 
D'  ossa  d'  umani  putrefatti  corpi , 
E  di  pelli  marcite,  un  monte  s'alza. 
Tu  veloce  oltrepassa,  e  con  mollila 
Cera  de'  tuoi  così  l'orecchio  tura, 
Che  non  vi  possa  penetrar  la  voce. 
Odila  tu,  se  vuoi;  sol  che  diritto 
Te  della  nave  all'albero  i  compagni 
Leghino,  e  i  piedi  stringanti,  e  le  inani: 
Perchè  il  diletto  di   sentir  la  voce 
Delle  Sirene  tu  non  perda.  E  dove 
Pregassi,  o  comandassi  a1  tuoi  di  sciorti, 
Le  ritorte  raddoppino,  ed  i  lacci. 
Poiché  trascorso  tu  sarai,  due  vie 
Ti  s'apriranno  innanzi;  ed  io  non  dico, 
Qual  più  giovi  pigliar,  ma,  come  d'ambo 
Ragionato  t'avrò,   tu  stesso  il  pensa. 

Vedrai  da  un  lato  discoscese  rupi 
Sovra  l'onde  pendenti,  a  cui  rimbomba 
Dell'azzurra  Anfitrite  il  salso  fiotto. 
GÌ'  Iddii  beati  nella  lor  favella 
Chiamanle  Erranti.  Nonché  ogni  altro  augello, 
Trasvolarle  non  sanno  impunemente 
Né  le  colombe  pur,  che  al  padre  Giove 
Recan  l'ambrosia:  la  polita  pietra 
Sempre  alcuna  ne  fura,  e  della  spenta 
Surroga  in  vece  altra  colomba  il  padie 
Nave  non  iscampò  dal  periglioso 
Varco  sin  qui:  che  de1  navigli  tutti 
Le  tavole  del  pari  e  i  naviganti 
Sen  porta  il  vincitor  flutto,  e  la   pregna 
Di  mortifero  foco  atra  procella. 
Sola  quell'Argo,  che  solcava  il  mare, 
Degli  uomini  pensiero,  e  degli  Dei, 
Trapassar  valse  ,  navigando  a  Coleo  :         c)5 
E  se  non  che  Giunon,  cui  molto  a  cuore 
Giasone  stava,  di  sua  man  la  spinse, 
Quella  non  meno  aviian  contra  le  vaste 
Rupi  cacciata  i  tempestosi  flutti.     - 

Dall'altra  parte  havvi  due  scogli:  l'uno   100 
Va  sino  agli  astri,  e  fosca  nube  il  cinge, 
Né  su  l'acuto  vertice,  l'estate 
Corra,  o  l'autunno,  un  puro  ciel  mai  ride. 
Montarvi  non  potrebbe  altri,  o  calarne, 


:» 


So 


85 


<)° 


ODISSEA   LIB.  XII 


ti, 


Venti  mani  movesse,  e  venti  piedi:       io5 
Si  liscio  è  il  sasso,  r  la  costa  superba. 
[Sei  mezzo  vòlta  ali" Occidente  e  ali1  Orco 
S'  apre  oscura  caverna,  a  cui  davanti 
Dovrai  ratto  passar;  giovane  arciero, 
Che  dalla  nave  disfrenasse  il  dardo,         no 
Non  toccherebbe  P  incavato  speco. 
Scilla  ivi  alberga ,  che  moleste  grida 
Di   mandar  non  rista.  La  costei  voce 
Altro  non  par  che  un  guajolar  perenne 
Di  lattante  cagnuol:  ma  Scilla  è  atroce  1 1 5 
Mostro,  e  sino  ad  un  Dio.  che  a  lei  si  fesse, 
Non   mirerebbe  in   lei  senza  ribrezzo. 
Dodici  ha  piedi,  anteriori  tutti  , 
Sei  lunghissimi  colli,  e  su  ciascuno 
Spaventosa  una  testa,  e  nelle  bocche       120 
Di  spessi  denti  un  triplicato  giro, 
E  la  morte  più  amara  in  ogni  dente. 
Con  la  metà  di  sé  nell'incavato 
Speco  profondo  ella  s' att uffa  ,  e  fuori 
Sporge  le  teste,  riguardando  intorno,     ia5 
Se  delfini  pescar,   lupi,  o  alcun  puote 
Di  que'  mostri  maggior  che  a  mille  a  mille 
Chiude  Anfitrite  ne1  suoi  gorghi  ,  e  nutre. 
Né  mai  nocchieri  oltrepassaro  illesi: 
Poiché  quante  apre  disoneste  bocche,     i3o 
Tanti  dal  cavo  legno  uomini  invola. 
Men  P  altro  s'alza  contrapposto  scoglio, 
E  il  dardo  tuo  ne  colpin'a  la  cima. 
Grande  verdeggia  in  questo,  e  d'ampie  foglie 
Selvaggio  fico;  e  alle  sue  falde  assorbe  1 35 
La  temuta  Cariddi  il  negro  mare. 
Tre  fiale  il  rigetta,  e  tre  nel  giorno 
L'  assorbe  orribilmente.  Or  tu  a  Cariddi 
Non  t'accostar,  me  ntrcil  mar  negro  inghiotte: 
Che  mal  sapria  dalla  mina  estrema  lijo 

Nettuno  stesso  dilivrarti.  A  Scilla 
Tienti  vicino,  e  rapido  trascorri. 
Polder  sei  de"1  compagni  entro  la  nave 
Torna  più  assai .  che  perir  lutti  a  un  tempo. 

Tal  ragionava;  ed  io:  Quando  m'avvegna   i45 
Schivare,  o  Circe,  la  fatai  Cariddi, 
rìcspinger  ,  dimmi  il  ver,  Scilla  non  deggio, 
Che  gli  amici  a  distruggermi    s'avventa? 

O  sventurato,  rispondra  la   Diva, 
Dunque  le  pugne  in  mrnte  ed  i  travagli   i5o 
Rivolgi  ancor,  né  ceder  pensi  ai  Numi? 
Cosa  mortai  credi  tu  Scilla?  Etern» 
Credila,  e  duro,  e  faticoso,  e  immenso 
Male  ,  ed  inespugnabile,  da  cui 
Schermo  non  havvi,  e  cui  fuggir  fia  il  meglio.  1 55 
Se  indugi,  e  vesti  appo  lo  scoglio  l'armi, 
Sbucherà,   temo,   ad  un   secondo   assalto, 
E  tanti   de'  compagni  un'  altra  volta 
Ti  rapirà,  quante  spalanca  bocche. 
Vola  dunque  sul  pelago,  e  la  madre       ìoo 
Cratéi ,  che  al  inondo  generò  tal  peste , 
E  ritenerla,  che  a  novella  preda 
Non  si  slanci,  potrà,   nel  corso  invoca. 

Allora  incontro  ti  verran  le  belle 
Spiagge  della  Trinacria  isola,  dove  i65 

Pasce  il  gregge  del  Sol,  pasce  l'armento: 
Sette  branchi  di  buoi,  d' agnelle  tanti, 
E  di  teste  cinquanta  i  branchi  tulli. 
Non  cresce,  o  scema,  per  natale,  o  morte, 
Brauco  ;  e  le  Dive  sono  i  lor  pastori,     170 


Faetusa  e  Lampezie  il  crin  ricciute , 
Che  partorì  d' Iperlone  al  figlio  , 
Ninfe  leggiadre ,  la  immortai  Neera. 
Come  P  augusta  madre  ambo  le  Ninfe 
Dopo  il  felice  parto  ebbe  nodrite,  i^5 

A  soggiornar  lungi  da  se  mandolle 
Nella  Trinacria  ;  e  le  paterne  vacche 
Dalla  fronte  lunata,  ed  i  paterni 
Monton  lucenti  a  custodir  lor  diede. 
Pascoleranno  intatti  .  e  a  voi  soltanto     180 
Calerà  del  ritorno?  il  suol  nativo, 
Non  però  senza  guai ,  fiavi  concesso. 
Ma  se  giovenca  molestate,  od  agna  , 
Sterminio  a  te  predico,  e  al  legno  e  a'  tuoi. 
E  pognam,  che  tu  salvo  ancor  re  andassi,  i85 
Riederai  tardi ,  e  a  gran  fatica ,  e  solo. 
Disse;  e  sul  trono  d'or  l'Aurora  apparve. 

Circe,  non  molto  poi,  da  me  rivolse 
Per  l'isola  i  suoi  passi:  ed  io,  trovata 
La  nave,  a  entrarvi,  e  a  disnodar  la  fune,  190 
Confortava  i  compagni  ;  ed   i  compagni 
V'entraro,  e  s'assidean  su  i  banchi,  e  assisi 
Fean  co'  remi  nel  mar  spume  d' argento. 
La  Dea  possente  ci  spedì  un  amico 
Vento  di  vela  gonfiator,  che  fido  195 

Per  l'ondoso  cammin  ne  accompagnava: 
Si  che ,  deposti  nella  negra  nave 
Dalla  prora  cerulea  i  lunghi  remi  , 
Sedevamo ,  di  spingerci  e  guidarci 
Lasciando  al  timonier  la  cura,  e  al  vento.  200 

Qui,  turbato  del  core,   Amici,  io  dissi, 
Dej,no  mi  par  che  a  tutti  voi  sia  conto 
Quel  che  predisse  a  me  P  inclita  Circe. 
Scollate  adunque,  acciocché,  tristo  o  lieto, 
Non  ci  sorprenda  ignari  il  nostro  fato.  2o5 
Sfuggire  in  pria  delle  Sirene  il  verde 
Prato ,  e  la  voce  dilettosa  ingiunge. 
Vuole  eh'  io  P  oda  io  sol  :  ma  voi  diritto 
Me  della  nave  all'  albero  legate 
Con  fune  sì,  ch'io  dar  non  possa  un  crollo;  sio 
E  dove  di  slegarmi  io  vi  pregassi 
Pur  con   le  ciglia,  o  comandassi,  voi 
Le  ritorte  doppiatemi,  ed  i  lacci. 

Mentre  ciò  loro  io  discopria  ,  la  nave  , 
Che  area  dapoppail  vento,  in  picriol  tempo2i5 
Delle  Sirene  al!1  isola  pervenne. 
Là  il  ^ento  cadde,  ed  agguagliossi  il  mare, 
E  l'orde  assonnò  un  demone  I  compagni 
Si  levar  pronti,  e  ripiegar  le  vele, 
E  nella  nave  collocai  le  :  quindi  220 

Srdean  su  i  banchi,  ed  imbiancavan  l'onde 
Co'  forti  remi  di  polito  abete. 
Io  la  duttile  cera ,  onde  una  tonda 
Tenea  gran  mazza ,  sminuzzai  con   destro 
Rame  affilato;  ed  i  frammenti  n'iva        225 
Rivoltando  e  premendo  in  fra  le  dita. 
Né  a  scaldarsi  tardò  la  molle  pasta; 
Perocché  lucidissimi  dall'  alto 
Scoccava  i  rai  d'  Iperìone  il  figlio. 
De'  compagni  incerai  senza  dimora  23o 

Le  orecchie  di  mia  mano  ;  e  quei  diritto 
Me  della  nave  all'  albero  legaro 
Con  fune,  i  pie  stringendomi  ,  e  le  mani. 
Poi  su  i  banchi  adagiavansi ,  e  co'  remi 
Faticano  il  mar,  che  ne  tornava  bianco   235 
Già,  vogando  di  forza,  eravam,  quanto 


Sa 


OMSSliA 


245 


260 


2«5 


Corre  un  grido  deB1  uomo ,  alle  Sirene 
Vi<:ini.  Udito  il  flagellar  de'  remi , 
K  non  lontana  ornai  vista  la  nave , 
Un  dolce  canto  cominciaro  a  sciorre  :     240 
O  mollo  illustre  Ulisse,   o  degli  Achei 
Somma  gloria  immorlal,  su  via,  qua  vieni, 
Ferma  la  nave ,  e  il  nostro  canto  ascolta. 
Nessun  passò  di  qua  su  negro  legno, 
Che  non  udisse  pria  questa,  che  noi 
Dalle  labbra  mandiam  ,   voce  soave  ; 
Voce ,  che  inonda  di  diletto  il  core, 
E  di  molto  saver  la  mente  abbrlla. 
Che  non  pur  ciò ,  che  sopportato  a  Troja 
Per  celeste  voler  Teucri  ed  Argivi  ,        25o 
Noi  conosciam  ,  ma  non  avvien  su   tutta 
La  delle  vite  serbatrice  terra 
Nulla,  che  ignoto  o  scuro  a  noi  rimanga. 
Così  cantaro.  Ed  io,  porger  volendo 
Più  da  vicino  il  dilettato  orecchio,  255 

Cenno  ai  compagni  fea,  che  ogni  legame 
Fossemi  rotto;  e  quei  più  ancor  sul  remo 
Incurvavano  il  dorso,   e  Peri  mede 
Sorgea  ratto,  ed  Euriloco,  e  di  nuovi 
Nodi  cingeanmi.  e  mi  premean  più  ancora 
Come  trascorsa  fu  tanto  la  nave , 
Che  non  potea  la  perigliosa  voce 
Delle  Sirene  aggiungerci ,  coloro 
A  sé  la  cera  d ali1  orecchie  tosto  , 
E  dalle  membra  a  me  tolsero  i  lacci. 
Già  rimanca  l1  isola  indietro;  ed  ecco 
Denso  apparirmi  un  fumo  e  vasti  fluiti, 
E  gli  orecchi  intronarmi  alto  fragore. 
Ne  sbigottirò  i  miei  compagni,  e  i  lunghi 
Remi  di  man  lor  caddero,  e  la  nave,    270 
Che  de'  fidi  suoi  remi  era  tarpata  , 
Là  immantinente  s1  arrestò.  Ma  io 
Di  su  ,  di  giù  per  la  corsia  movendo , 
E  con  blanda  favella  or  questo,  or  quello 
De1  compagni  abbordando,  O,  dissi,  meco  2^5 
Sin  qua  passati  per  cotanti  affanni , 
Non  ci  sovrasta  un  maggior  mal,  che  quando 
L1  infinito  vigor  di  Polifemo 
Nell'antro  ci  chimica.  Pur  quinci  ancora 
Col  valor  mio  vi  trassi ,  e  col  mio  senno,  280 
E  vi  fia  dolce  il  rimembrarlo  un  giorno. 
Via,  dunque,  via,  ciò  eh1  io  comando,  tutti 
Facciami  voi,  stando  sovra  i  bandii,  Tonde 
Pcrcotete  co1  remi,  e  Giove,  io  spero, 
Concederà  dalle  correnti  scampo.  285 

Ma  tu  ,  che  il  timon  reggi,  abbiti  in  mente 
Questo,  né  Pobbh'ar:  guida  il  naviglio 
Fuor  del  fumo  e  del  fiotto,  ed  all'opposta 
Rupe  ognor  mira,  e  ad  essa  lienti,  o  noi 
Getterai  nell1  orribile  vorago.  290 

Tutti  alla  voce  mia  ratto  ubbidirò. 
Se  non  ch'io  Scilla,  immedicabil  piaga, 
Tacqui,  non  forse,  abbandonati  i  banchi, 
L1  un  sovra  Paltro  per  soverchia  tema 
Della  nave  cacciassersi  nel  fondo.  295 

E  qui,  di  Circe,  che  vietommi  P  arme, 
Negletto  il  disamabile  comando  , 
Io  dell1  arme  vestiami,  e  con  due  lunghe 
Neil1  impavida  mano  aste  lucenti 
Saba  sul  palco  della  nave  in  prua,  3oo 

Attendendo  colà,  che  l'efferata 
Abitatrice  dell1  infame  scoglio 


Indi,  gli  amici  a  m'involar,  sbalzasse: 
Né,  perchè  del  ficcarli  in  tutto    il  bruno 
Macigno  stanchi  io  mi  sentissi  gli  occhi,  3o5 
Da  parte  alcuna  rimirarla  io  valsi. 
Navigavamo  addolorati  intanto 
Per  P  angusto  senlier:   Scilla  da  un  lato, 
Dall'  altro  era  l'orribile  Cariddi, 
Che  del  mare  inghiottia  P  onde  spumose.  3io 
Sempre  che  rigettavate,  siccome 
Caldaja  in  mollo  rilucente  foco , 
Mormorava  bollendo;  e  i  larghi  sprazzi, 
Che  andava n  sino  al  cielo,  in  vetta  d'ambo 
Gli  scogli  ricadevano.   Ma  quando  3i5 

I  salsi  flutti  1  inghiottiva,  tutta 
Commoveasi   di  dentro,   ed  alla  rupe 
Terribilmente  rimbombava  intorno, 
E,  P  onda  il  seno  aprendo,  un'  azzurrigna 
Sabbia  parea  nell'  imo  fondo:  verdi  320 

Le  guance  di  paura  a  tutti  io  scórsi. 
Mentre  in  Cariddi  tenevam  le  ciglia, 
Una  morte  temendone  vicina, 
Sei  de'  compagni,  i  più  di  man  gagliardi, 
Scilla  rapinimi  dal  naviglio.  Io  gli  occhi  325 
Torsi,  e  li  vidi  che  levati  in  alto 
Braccia  e  piedi  agitavano,  ed  Ulisse 
Chiamavan,  lassi,!  per  l'estrema  volta. 
Qiial   ppsrator  che  su  pendente  rupe 
Tuffa  di  bue  silvestre  in  mare  il  corno  33o 
Con  lunghissima  canna,   un'infedele 
Esca  ai  minuti  abitatori  offrendo, 
E  fuor  li  trae  dell'  onda,  e  palpitanti 
Scagliali  sul  terreo:  non  altrimenti 
S<illa  i  compagni  dal  naviglio  alzava,      335 
E  innanzi  divoravuli  allo  speco, 
Che  do'enti  mcttean  grida,  e  le  mani 
Nel  gran  disastro  mi  stendeano  indarno. 
Fra  i  molti  acerbi  casi,  ond' io  sostenni 
Solcando  il  mar,  la  vista,  oggetto  mai    34o 
Di  cotanta  pietà  non  mi  s'offerse. 
Scilla  e  Cariddi  oltrepassate,  in  faccia 
La  feconda  ci  apparve  isola  amena, 
Ove  il  gregge  del  Sol  pasce,  e  l'armento; 
E  ne  giungean  dall'ampie  stalle  a  noi    345 
I  belati  su  l'aure  ed  i  muggiti. 
Gli  avvisi  allor  mi  si  sveglialo  in  mente 
Del  Teban  vate  e  della  maga  Circe, 
Ch'io  Pisola  schivar  del  Sol  dovessi, 
Di  cui  rallegra  ogni  vivente  il  raggio.     35o 
Ond'io,  Compagni,  lor  dicea,  per  quanto 
Siate  angosciati,  la  sentenza  udite 
Del  teban  vate  e  della  maga  Circe 
Ch'  io  P  isola  schivar  debba  del  Sole, 
Di  cui  rallegra  ogni  vivente  il  raggio.     355 
Circe  affermava  che  il  maggior  de'  guai 
Quivi  e'  incoglierla.  Lasciarla  indietro 
Ci  convien  dunque  con  la  negra  nave. 
Colpo  tai  detti  fu  quasi  mortale. 
Né  a  molestarmi  Euriloco  in  tal  guisa    36o 
Tardava:  Ulisse,  un  barbaro  io  ti  chiamo. 
Perchè  di  forze  abbondi,  e  mai  non  cedi, 
Né  fibra  è  in  te  che  non  sia  ferro,  a'  tuoi 
Contendi  il  toccar  terra,  e  di  non  parca 
Cena  sul  lido  ristorarsi.  Esigi  365 

Che  in  mezzo  le  notturne  ombre  su  questo 
Pelago  a  caso  erriam,  benché  la  notte 
Gravi  produca  disastrosi  venti. 


LIBPO  DUODECIMO 


sa 


Or  chi  fuggir  potrà  l1  ultimo  danno, 

Dove  repente  un  procelloso  fiato  3"0 

Di  Mezzodì  ci  assalga,  o  di  Ponente, 

Che.  de1  Numi  anco  ad  onta,  il  legno  sperda  ? 

S'obbedisca  oggi  alla  divina  notte, 

K  la  cena  nell'isola  s'appresti. 

Come  il  dì  spunti,  salirem  di  nuovo       3^5 

La  nave,  e  nell'immensa  onda  entreremo. 

Questa  favella  con  applauso  accolta 
Fu  dai  compagni  ad  una;  e  io  ben  m'avvidi 
Che  mali  un  Genio  prepolente  ordia. 
Euriloco,  io  risposi,  oggimai  troppa,       38© 
Tutti  conlra  ad  un  sol,  forza  mi  fate. 
Giurate  almeno,  e  col  più  saldo  giuro, 
Che  se  greggi  troviam,  troviamo  armenti, 
Non  sia  chi,  spinto  da  stoltezza  iniqua, 
Giovenca  uccida,   o  pecorella  offenda:     385 
Ma  tranquilli  di  ciò  pasteggerete, 
Che  in  don  vi  porse  la  benigna  Circe. 
Quelli  giuraro,  e  non  si  tosto  a  fine 
L' inviolabil  giuro  ebber  condotto, 
Che  la  nave  nel  porto  appo  una  fonte    390 
Fermaro,  e  ne  smontaro,  e  lauta  cena 
Solertemente  apparecchiar  sul  lido. 
Paga  delle  vivande  e  de'  licori 
La  naturale  avidità  pungente, 
Risovveniinsi  di  color  che  Scilla  3g5 

Dalla  misera  nave  alto  rapiti 
Vorossi,  e  li  piangevi,  finché  discese 
Su  gli  occhi   lagrimosi  il  dolce  sonno. 

Già  corsi  avea  del  suo  cammin  due  terzi 
La  notte,  e  dechinavano  le  stelle,  400 

Quando  il  cinto  di   nembi  olimpio  Giove 
Destò  un  gagliardo,  turbinoso  vento, 
Che  la  terra  coverse,  e  il  mar  di  nubi, 
E  la  notte  di  cielo  a  piombo  cadde. 
Ma  come  poi  1'  oricrinita  Aurora  4°5 

Colorò  il  ciel  con  le  rosate  dita, 
Tirammo  a  terra  il   legno,  e  in   cavo   speco 
De'  seggi  ornato  delle  Ninfe,  ch'ivi 
I  lor  balli  tessean,  l'introducemmo. 
Subito  io  tutti  mi  raccolsi  intorno,         4'° 
Y. .  Compagni,  diss'io,  cibo  e  bevanda 
Restanci  ancor  nella  veloce  nave 
Se  non  vogliam   perir,  lungi,  vedete, 
La  man  dal  gregge  e  dall'  armento:  al  Sole, 
Terribil  Dio,  che  tutto  vede,  ed  ode,     4'5 
Pascono  i   moni  oli  pingui  e  i  bianchi  tori. 
Dissi;  e  acchetarsi   i  generosi   petti. 

Per  un  intero  mese   Austro  giammai 
Di  spirar  non   restava,   e  poscia  fiato 
Non  sorgea  mai,  diedi  Levante  o d'Austro.  4^o 
Finché  il   pan  non  fallì  loro,  ed  il  vino, 
Ubbidienti,  e  della  vita  avari, 
Rispettavan  1'  armento.  E  già  la  nave 
Nulla  con'ener»  più.  Givano  adunque, 
Come  il  bisogno  li   pungea,  dispersi         4^5 
Per  l'isola,  d'augelli  e  pesci   in   traccia, 
Con  archi  ed  ami,  o  di  quale  altra  preda 
Lor  venisse  alle  man  :  però  che  forte 
Rodeali  dentro  l'importuna  fame. 
Io,  dai  compagni  scevro,  una  remota       fòo 
Cercai  del  piede  solitaria  piaggia, 
Gli   Eterni  a  supplicar,  se  alcun  la  via 
Mi  dimostrasse  del  ritorno;  e  in  parte 
Giunto,  che  d'aura  non  senttasi  colpo, 


Sparsi  di  limpid'onda,  e  a  tutti  alzai     435 
Gli  abitanti  del  cielo  ambo  le  palme. 
Né  guari  andò,  che  d'  un  tranquillo  sonno 
Gli  occhi  ed  il  petto  n'empiermi  i   Numi. 

Euriloco  frattanto  un  mal  consiglio 
Pose  innanzi  ai  compagni  :  O  da  sì  acerbe  44o 
Sciagure  oppressi,  la  mia  voce  udite. 
Tutte  odiose  certo  ad  uom  le  morti: 
Ma  nulla  tanto,  che  il  perir  di  fame. 
Che  più  si  tarda?  Meniani  via  le  belle 
Giovenche,  e  sagrifici  ai  Numi  offriamo.    445 
Che  se  afferrar  ci  sarà  dato  i  lidi 
Nativi,  al  Sole  Iperi'one  un  ricco 
Tempio  illustre  alzeremo,  appenderemo 
Molti  alle  mura  preziosi  doni. 
E  dov' ei,  per  li  buoi  dalla  superba         45o 
Testa  crucciato,  sperder  voglia  il  legno, 
Né  alcun   Dio  gli  contrasti,  io  tolgo   l'alma 
Pria  tra  i  flutti  esalar,  che,   su  deserta 
Isola  stando,  intisichir  più  a  lungo. 

Disse;  e  tutti  assentiano.   Incontanente,    4^5 
Del  Sol  cacciate  le  più  belle  vacche 
Di  fronte  larga,  e  con   le  corna  in  arco, 
Che  dalla  nave  non  pasccan  lontane, 
Stavano  ad  esse  intorno;  e,  còlte  prima, 
Per  difetto  che  avean  di  candid' orzo,    460 
Tenere  foglie  di  sublime  quercia, 
Voti  feano  agli  Dei.  Compinti  i  voti, 
Le  vittime  sgozzaro,  e  le  scojaro, 
E,  le  cosce  tagliatone,  di  zirbo 
Le  coprirò  doppiate,  e  i  crudi  brani      4°5 
Sopra  vi  coilocaro.  Acqua  ,  che  il  rosso 
Vino  scusasj-e,  onde  patian  disagio, 
Versavan  poi  su  i  mirifici  ardenti  , 
E  abbrostian  tutti  gl'intestini.  Quindi, 
Le  cosce  ornai  combuste,  ed  assaggiate   4y° 
Le  interiora,  tutto  l'altro  in  pezzi 
Fu  messo,  e  infitto  negli  acuti  spiedi. 
E  a  me  usci  delle  ciglia  il  dolce  sonno. 
Sorsi,  e  alla  nave  in  fretta  io  mi  condussi. 
Ma  vicina  del  tutto  ancor  non  m'era,    475 
Ch'  io  mi  sentii  dall'  avvampate  carni 
Muovere  incontro  un  odoroso  vento, 
E  gridai,   lamentando,  ai  Numi  eterni  : 
O  Giove  padre,  e  voi ,  Dei  sempre  stanti, 
Certo  in  un  crudo  e  fatai  sonno  voi       4$° 
Mi  seppelliste,  se  doveasi  intanto 
Compier  da  cotestoro  un  tal  misfatto. 

Nunzia  non  tarda  dell'  ucciso  armento, 
Lampezie  al  Sole  andò  di   lungo  peplo 
Coperta   II  Sole,  in  grande  ira  montato,   4^5 
Si  volse  ai  Numi,  e,  Giove,  disse,  e  voi 
Tutti,   immortali   Dei,  paghino  il  fio 
Del  Laerzi'ade  Ulisse  i  rei  compagni  , 
Che  le  giovenche  trucidarmi  osaro, 
Della  cui  vista,  o  ch'io  per  la  stellata  490 
Volta  salissi,  o  discendessi,  nuovo 
Diletto  ciascun  dì  prendea  il  mio  core. 
Colpa  e  pena  in   lor  sia  d'una  misura: 
O  calerò  nella  magion  di  Plufo  , 
E  al  popol  morto  porterò  mia  luce.         49^ 

E  il  nimbifero  Giove  a  lui  rispose: 
Tra  gì'  Immortali,  o  Sole,  ed  i  mortali 
Vibra  su  1'  alma  terra,  e  in  cielo,  i  raggi. 
Io  senza  indugio  d'  un  sol  tocco  lieve 
Del  fulmine  affocato  il  lor  naviglio  5oo 


64 


ODISSEA. 


Sfracellerò  del  negro  mar  nel  «eno. 

Queste  cose  Calipso  un  giorno  udfa 
Dal  messaggier  Mercurio,  e  a  me  narrolle 
La  ricciuta  il  bel  crin  ninfa  Calipso. 

Giunto  alla  nave,  io  rampognava  or  questo  5o5 
De1  compagni,  ed  or  quel:  ma  violato 
L'armento  fu,  né  avea  compenso  il  male. 
Strani  prodigi  intanto  agi1  infelici 
Mostravano  gì1  Iddìi  :  le  fresche  pelli 
Strisciavan  sul  terren,  muggitale  incotte  5io 
Carni,  e  le  crude,  agli  scliidoni  intorno, 
E  de1  buoi  lor  sembrava  udir  la  voce. 
Pur  del  fior  dell'  armento  ancor  sei  giorni 
Si  cibaro  i  colpevoli.  Comparsa 
La  settim1  alba,  il  turbinoso  vento  5i5 

Stancossi:  e  noi  ci  rimbarcammo,  e,  alzato 
L1  albero  prontamente,  e  dispiegate 
Le  bianche  vele,  ci  mettemmo  in  mare. 

Di  vista  già  della  Trinacria  usciti, 
Altro  non  ci  apparia  che  il  cielo  e  l'onda,  5ao 
Quando  il  Saturnio  sul  veloce  legno 
Sospese  in  alto  una  cerulea  nube, 
Sotto  cui  tutte  intenebrarsi  Tacque. 
La  nave  non  correa  che  un  tempo  breve; 
Poiché  ratto  uno  stridulo  Ponente,        £>25 
Infuriando,  imperversando,  venne 
Di  contra,  e  ruppe  con  tremenda  buffa 
Le  due  funi  dell1  albero,  che  a  poppa 
Cadde;  ed  antenne  in  uno,  e  vele  e  sarte 
Nella  sentina  scesero.  Percosse  53o 

L1  alber,  cadendo,  al  timoniere  in   capo, 
E  P  ossa  fracassógli  ;  ed  ei  da  poppa 
Saltò  nel  mar,  di  palombaro  in  guisa , 
E  cacciata  volò  dal  corpo  l'alma. 
Ma  Giove,  che  tonato  avea  più  volte,   535 
Scagliò  il  fulmine  suo  contro  la  nave , 
Che  si  girò ,  dal  fulmine  colpita 
Del  Saturnio,  e  s1  empieo  di  zolfo  tutta. 
Tutti  fuor  ne  cascarono  i  compagni , 
E  ad  essa  intorno  1'  ondeggiante  sale ,    5^0 
Oliai  corvi,  li  portava;  e  così  Giove 
Il  ritorno  togliea  loro,  e  la  vita. 
Io  pel  naviglio  su  e  giù  movea , 
Finché  gli  sciolse  la  tempesta  i  Banchi 
Dalla  carena  t  che  rimase  inerme.  545 


Poi  la  base  dell1  albero   l1  irata 

Onda  schiantò  :  ma  di  taurino  cuojo 

Rivestialo  una  striscia,  ed  io  con  questa 

L'albero  e  la  carena  in  un    legai, 

E  sopra  mi  vessisi;  e  tale  i  venti  55o 

Esiziali  mi  spingean  su  l1  onde. 

Zefiro  a  un  tratto  rallentò  la  rabbia  : 

Senonché  sopraggiunse  un  Austro  in  fretta, 

Che,  nojandomi  forte,  in  ver  Cariddi 

Ricondur  mi  volea.   L'intera  notte  555 

Scorsi  su  i  flutti  ;  e  col  novello  Sole 

Tra  la  grotta  di  Scilla,  e  la  corrente 

Mi  ritrovai  della  fatai  vorago, 

Che  in  quel  punto  inghiottii  le  salse  spume. 

Io,  slanciandomi  in  alto,  a  quel  selvaggio  5Go 

M1  aggrappai  fico  eccelso,  e  mi  v1attcnni, 

Qual  vipistrello;   che  né  dove  i   piedi 

Fermar,  né  come  ascendere,  io  sapea , 

Tanto  eran  lungi  le  radici,  e  tanto 

Remoti  dalla  mano  i  lunghi  ,  immensi    565 

Rami,  che  d1  ombra  ricoprian  Cariddi. 

Là  dunque  io  nPattenea,  bramando  sempre 

Che  rigettati  dall'"  orrendo  abisso 

Fosser  gli  avanzi  della  nave.   Al  fine 

Dopo  un  lungo  desio  vennero  a  galla.     5jo 

Nella  stagion  che  il  giudicante,  sciolte 

Varie  di  caldi  giovani  contese , 

Sorge  dal  foro,  e  per  cenar  suvvia, 

Dell'onde  uscirò  i  sospirati  avanzi. 

Le  braccia  apersi  allora,  %e  mi  lasciai      5y5 

Giù  piombar  con  gran  tonfo  alPonde  in  mezzo, 

Non  lunge  da  que1  legni;  a  cui  m' assisi 

Di  sopra ,  e  delle  man  remi  io  mi  feci. 

Ma  degli  uomini  il  padre  e  de1  Celesti 

Di  rivedermi  non  permise  a  Scilla  ;        58o 

Che  toccata  sariami  orrida  morte. 

Per  nove  di  mi  trabalzava  il  fiotto, 

E  la  decima  notte  i  Dei  sul  lido 

Mi  gettar  dell1  Ogigia  isola  ,  dove 

Calipso  alberga  ,  la  divina  Ninfa  ,  585 

Clie  raccoglieami  amica ,  e  in  molte  guise 

Mi  confortava.  Perchè  ciò  ti  narro  ? 

Tai  cose,  Alcinoo  illustre  ,  ieri  le  udivi, 

Le  udi'a  con  teco  la  tua  casta  donna  , 

E  ciò  ridir,  eh1  io  dissi,  a  me  non  torva.  5cjo 


LIBRO  DECIMOTERZO 


ARGOMENTO 


Nuovi  regali  ad  Ulisse.  Tulio  è  collocalo  nella  nave  ,  elle  ad  Ilaca  dee  condurlo.  E"li  s'accommiata  dal 
Re,  e  s'  imbarca.  I  Feaci  il  depongono  in  su  la  spiaggia,  mentre  do  rima  ;  e  al  lor  rilorno  Nettuno  converte 
in  pietra  la  nave  loro.  Destatosi,  Ulisse  non  riconosce  la  Patria  per  cagi  in  d'una  nebbia,  che  Pallide  eli 
levo  intorno.  Questa  gli  appare  in  forma  di  pastorello:  gl'insegna,  qual  modo  dovrà  tenere  per  uccidere  i 
Proci;  e  gli  suggerisce  di  nascondere  in  nei  antro  vicino  i  doni  che  ■  Feaci ,  in  partendo,  aveau  lasciati  sul 
lido.  Finalmente    il    trasforma  in  vecchio  mendico,  acciocché  niuno  in  Itaca  il  riconosca. 


^tavansi  tutti  per  l1  oscura  sala 
Taciti,  immoti,  e  nel  diletto  assorti. 
Così  al  fine  il  silenzio  Alcinoo  ruppe: 
Poiché  alla  mia  venisti  alta,  e  di  rame 
Solido  e  liscio  edificata  casa,  5 

No,  Ulisse,  non  cred1  io  die  al  tuo  ritorno 
L1  onde  t'agiteran,  comunque  afflitto 
T'abbia  sin  qui  co1  suoi  decreti  il  fato. 
Voi  tutti,  che  votar  nel  mio  palagio 
Del  serbato  ai  più  degni  ardente  vino       io 
Solete  i  nappi,  ed  ascoltare  il  vale, 
L'animo  a  quel,  ch'io  vi  dichiaro,  aprite. 
Le  vesti  e  l'  oro  d'  artificio  miro, 
E  ogni  altro  don,  che  de1  Feaci  i  capi 
Recaro  al  forestior,  l'arca  polita  l5 

Già  nel  suo  grembo  accolse.  Or  d'un  treppiede 
Anco  e  d'un' urna  il  presentiam    per  testa. 
Indi  f.ireni  che  tirtta  in  questi  doni, 
Di  cui  male  potremmo  al  grave  peso 
Regger  noi  soli,  la  città  concorra.  20 

Disse;  e  piacquero  i  detti .  e  al  proprio  albergo 
Ciascun,   lo  piume  a  ritrovar,  si  volse. 
Ma  come  del  mattiti  la  bella  figlia 
Aperse  il  cicl  con  le  rosate  dita, 
Ver  la  nave  affrettavansi,   portando  25 

Il  bel,  che  onora  I'  nom,  bronzo  foggiato. 
Lo  stesso  Re,  ch'entrò  per  questo  in  nave, 
Attentamente  sotto  i  banchi  il  mise, 
Onde,  mentre  daran  de'  remi  in  acqua, 
Non  impedisse  alcun  de'  Feacesi  3o 

Giovani,  e  l'offendesse  urna  o  treppiede. 
Ne  di  condursi  al  real  tetto,  dove 
La  mensa  gli  altendea,  tardaro  i  prenci. 

Per  lor  d'  Alcinoo  la  sacrata  possa 
Un  bue  quel  giorno  uccise  al  ghirlandato  35 
D'atre  nubi  Signor  dell'Universo. 
Arse  le  pingui  cosce,  un  prandio  lauto 
Celebrali   lietamente;  e  il  venerato 
Dalla  gente  Demodoco,  il  divino 
Cantor,  percuote  la  sonante  cetra.  4° 

Ma  Ulisse  il  capo  alla  diurna  lampa 
Spesso  torcea,  se  tramontasse  al  fine; 
Che  il  ritorno  nel  cor  sempre  gli  stava. 
Quale  a  villan,  che  dalla  prima  luce 
Co'  negri  tori  e  col  pesante  aratro  4^ 

Un  terren  franse  riposato  e  duro, 
Cade  gradito  il  sole  in  occidente 
Pel  de.-sio  della  cena,  a  cui  s'avvia 
Con  le  ginocchia,  che  gli  treman  sotto: 
Tal  cadde  a  Ulisse  in  occidente  il  Sole.    5o 
Tosto  agli  amanti  del  remar  Feaci, 

Pf.NDEMOSTB 


E  al  Re,  più  che  ad  altrui,  così  drizzassi  : 
Facciansi,  Alcinoo,  i  libamenti,  e  illeso 
Mandatemi;  e  gì'  Iddìi  vi  guardin  sempre. 
Tutti  ho  già  i  miei  desir:  pronta  è  la  scorta,  55 
E  della  nave  in  sen  giacciono  i  doni, 
Da  cui  vogliano  i   Dei  che  prò  mi  vegna. 
Vogliano  ancor,  che  in  Itaca  1'  egregia 
Consorte  io  trovi,  e  i  cari  amici  in  vita. 
Voi,  restandovi  qui,  serbate  in  gioja  60 

Quelle,  che  uniste  a  voi,   vergini  spose, 
E  i  dolci  figli  che  ne  aveste:  i  Numi 
V  ornin  d'ogni  virtù,  né  possa  mai 

I  dì  vostri  turbar  pubblico  danno. 
Tacquejeapplaudi'a ciascuno,  e  molto  instava,65 

Si  compiacesse  allo  stranier,  da  cui 
Uscita  era  sì  nobile  favella. 
Ed  Alcinoo  all'araldo  allor  tardetti: 
Pontonoo,  il  vino  mesci,  e  a  tutti  in  giro 
Porgilo,  acciò  da  noi,  pregato  Giove,       70 
S'accommiati  oggimai  l'ospite  amico. 
Mescè  l'araldo  il  vino,  e  il  porse  in  giro; 
E  tutti  dai  lor  seggi  ngl'  immortali 
Numi  libare  Ma  il  divino  Ulisse 
Sorse,  e  d'  Arete  in   man  gemina  pose      ?5 
Tazza  rotonda,  e  lai  parole  sciolse: 
Vivi  felici  dì,  Regina  illustre, 
Finché  vecchiezza  ti  sorprenda,  e  morte, 
Comun  retaggio  degli  umani.  Io  parto: 
Te  del  popol,  de'  figli  e  del  marito  80 

II  rispetto  feliciti  e  l'amore. 

Disse,  e  varcò  la  soglia.  Alcinoo  innanzi 
Muover  gli  fece  il  banditor,  che  al  ratto 
Legno  il  guidasse  e  al  mare;  e  Arete  dietro 
Tre  serve  gli  spedi,  1' una  con  tersa  85 

Tunica  in  mano,  ed  un  lucente  manto, 
L'altra  con  la  fedele  arca,  e  con  bianchi 
Pani  la  terza,  e  rosseggiane  viui. 
Tutto  da  lor,  come  sul  lido  furo, 
I  remiganti  tolsero,  e  nel  fondo  go 

Della  nave  allogar:  poi  su  la  poppa 
Steser  candidi  lini  e  bella  coltre, 
Dove  tranquillo  il  foteslier  dormisse. 
Vi  montò  egli,  e  tacito  corcossi. 
E  quei  sedean  su  i  banchi,  e,  poiché  sciolta  q5 
Dal  traforato  sasso  ebher  la  fune, 
Fatigavan  co'  remi  il  mar  canuto. 
Ma  un  dolce  sonno  al  Laerziade,  un   sonno 
Profondo,  ineccitabile,  e  alla  morte 
Per  poco  egual,  su  le  palpebre  scese.      100 
Come  talvolta  in  polveroso  campo 
Quattro  maschi  destrieri  a  un  cocchio  aggiunt  i, 
9 


K 


ODISSEA 


E  tutti  dal  flagri  percossi  a  un  tempo, 
Senibran  levarsi  nei  vóto  aere  in  alto, 
E  la  prescritta  via  compier  volando:        io5 
Sì  la  nave  correa  con  alta  poppa, 
Dietro  da  cui  precipitava  il  grosso 
Del  risonante  mar  flutto  cilestro. 
Correa  sicura,  né  l1  avrìa  sparvi»'  •, 
Degli  augei  velocissimo,  raggiunta,  no 

Con  sì  celere  prora  i  salsi  flutti 
Solcava,  un  uom  seco  recando  ai  Dii 
Pari  di  senno,  che  infiniti  affanni 
Durati  avea  tra  l'armi,  avea  tra  l'onde, 
E  allor, d^bblio  sparsa  ogni  cura,  in  braccio  1 1 5 
D'  un  sonno  placidissimo  giacea. 
Quando  comparve  quel  sì  fulgid'  astro, 
Che  della  rosea  Aurora  è  messaggiero, 
La  ratta  nave  ad  Itaca  approdava. 

Il  porto  è  qui  del  mai  in  vecchio  Forco,  lao 
Che  due  sporgenti  in  mar  lidi  scoscesi, 
E  l'uno  all'altro  ripieganti  incontra, 
Sì  dal  vento  riparano  e  dal  fiotto, 
Che  di  fune  raestier  non  v'  han  le  navi. 
Spande  sovra  la  cima  i  larglii  rami  ia5 

Vivace  oliva,  e  presso  a  questa  un  antro 
S'apre  amabile,  opaco,  ed  alle  Ninfe 
Najadi  sacro.  Anfore  ed  urne,  in  cui 
Forman  le  industri  pecchie  il  mei  soave, 
Vi  son  di  marmo  tutte,  e  pur  di  marmo  i3o 
Lunghi  telai,  dove  purpurei  drappi, 
Maraviglia  a  veder,  tesson  le  Ninfe. 
Perenni  onde  vi  scorrono,  e  due  porte 
Mettono  ad  esso:  ad  Aquilon  si  volge 
L'una,  e  schiudesi  all'uom;  l'altra,  che  Noto  1 35 
Guarda,  ha  più  del  divino,  ed  un    mortale 
Per  lei  non  varca:  ella  è  la  via  de'  Numi. 

In  questo  porto  ai  Feacesi  conto 
Dirittamente  entrò  l'agile  nave, 
Che  sul  lido  andò  mezza:  di  sì  forti        i4<> 
Remigatori  la  spingean  le  braccia! 
Si  gittaro  nel  lido 5  e  Ulisse  in  prima 
Co'  bianchi  lini  e  con  la  bella  coltre 
Sollevar  dalla  nave,  e  seppellito 
Nel  sonno,  siccom' era,  in  su  l'arena   i^S 
Poserlo  giù.  Poi  ne  levaro  i  doni, 
Ch'ei  riportò  dalla  Feacia  gente 
Per  favor  di  Minerva,  e  al  piede  uniti 
Li  collocaro  della  verde  oliva, 
Fuor  del  cammin,  non  s'avvenisse  in  loro  i5o 
Viandante,  e  la  man  su  lor  mettesse, 
Mentre  l'eroe  dormia.  Quindi  ritorno 
Fean  con  la  nave  alla  natia  contrada. 

Nettuno  intanto,  che  serbava  in  mente 
Le  minacce  che  un  dì  con  tra  il  divino  i55 
Laerziade  scagliò,  così  il  pensiero 
Ne  spiava  di  Giove:  0  Giove  padre, 
Chi  più  tra  ì  Dei  m'  onorerà,  se  onore 
Nieganmi  i  Feacesi,  che  mortali 
Sono  e  a  me  deon  l'origine?  Io  credea  160 
Che  della  sua  nativa  isola  ai  sassi 
Giunger  dovesse  tra  gli  affanni  Ulisse, 
Cui  non  invidiava  io  quel  ritorno 
Che  tu  gli  promettesti,  e  del  tuo  capo 
Confermasti  col  cenno.  Ma  i  Feaci  i65 

Dormendo  il  trasportar  su  ratta  nave, 
E  in  Itaca  il  deposero,  e  il  colmaro 
Di  doni  in  bronzo,  e  in  oro,  e  in  bei  tessuti: 


Ricchezza  immensa,  e  qual  dall'arsa  Troja 
Recato  ei  non  avria,  se  con  la  pr»»da,     170 
Che  gli  toccò,  ne  ritornava  illeso. 

O  della  terra  scuotitor  possente, 
Il  nubiadunator  Giove  rispose, 
Qual  parola  parlasti?  Alcun  de'  Numi 
Te  in  dispregio  non  ha,  né  lieve  fora     1^5 
Dispregiar  Dio  sì  poderoso  e  antico. 
Ma  dove  uom  troppo  di  sue  forze  altero 
T'osasse  ingiuriar,  tu  ne  puoi  sempie, 
Qual  più  l'aggradirà,  prender  vendetta. 

Mi  starei  forse,  o  nubipadre  Giove,  180 

Neltun  riprese,  s'io  dal  tuo  corruccio 
Non  mi  guardassi  ognora?  Io  de'  Feaci, 
Perchè  di  rifondar  gli  ospiti  il  vezzo 
Perdano  al  fin,  strugger  vorrei  nel  mare 
L'inclita  nave  ritornante;  e  in  oltre        i85 
Grande  alla  lor  città  montagna  imporre. 

Ciò,  replicava  il  Nubipadre,  il  meglio, 
Ottimo  Nume,  anco  a  me  sembra:  quando 
I  Feacesi  scorgeran  dal  lido 
Venir  la  nave  a  tutto  corso,  e  poco        190 
Sarà  lontana,  convertirla  in  sasso 
Che  di  naviglio  abbia   sembianza,  e  oggetto 
Si  mostri  a  ognun  di  maraviglia;  e  in  oltre 
Grande  alla  lor  città  montagna  imporre. 

Lo  Scuotiterra,  udito  questo  appena,         195 
Si  portò  a  Scheria  in  fretta,  e  qui  fermossi. 
Ed  ecco  spinta  dagl'illustri  remi 
Su  per  1'  onde  venir  1'  agile  nave. 
Egli  appressolla,   e  convertilla  in  sasso, 
E  d'  un  sol  tocco  della  man  divina  200 

La  radicò  nel  fondo.  Indi  scomparve. 

Molte  allor  de'  Feaci  in  mar  famosi 
Fur  le  alterne  parole.  Ahi  chi  nel  mare 
Legò  la  nave  che  vèr  noi  solcava 
L'  acque  di  volo,  e  che  apparia  già  tutta?  ao5 
Così,  gli  occhi  volgendo  al  suo  vicino, 
Favellava  talun;  ma  rimanea    • 
La  cagion  del  portento  a  tutti  ignota. 
Se  non  che  Alcinoo  a  ragionar  tra  loro 
Prese  in  tal  foggia:  Oh  Dei!  còlto  io  mi  veggo,  2 1  o 
Qual  dubbio  v'ha?  dai  vaticinj  antichi 
Del  padre,  che  dicea,  come  sdegnato 
Nettun  fosse  con  noi,  perchè  securo 
Riconduciam  su  l1  acque  ogni  mortale. 
Dicea,  che  insigne  de'  Feaci  nave,  2i5 

Dagli  altrui  nel  redire  ai  porti  suoi, 
Distruggerla  nell'oscure  onde,  e  questa 
Cittade  coprirla  d'  alta  montagna. 
Così  arringava  il  vecchio,  ed  oggi  il  tutto 
Si  compie.  Or  via,  sottomettiamei  ognuno:  220 
Dal  ricondur  cessiam  gli  ospiti  nostri, 
E  dodici  a  Nettuno  eletti  tori 
Sagrifichiam,  perchè  di  noi  gì' incresca, 
Né  d'alto  monte  la  città  ricuopra. 
Disse.  Penetrò  in  quelli  un  timor  sacro,  225 
E  i  cornigeri  tori  apparecchiaro. 

Mentre  intorno  all'aitar  prieghi  a  Nettuno 
Drizzavan  della  Scheria  i  duci  e  i  capi , 
Svegliossi  il  pari  agl'Immortali  Ulisse, 
Che  su  la  terra  sua  dormia  disteso,         23o 
Né  la  sua  terra  riconobbe:  stato 
N'era  lunge  gran  tempo,  e  Palla  cinto 
L'avea  di  nebbia,   per  celarlo  altrui, 
E  di  quanto  è  meslier  dargli  contezza, 


Sì  <-he  la  moglie,  i  ciltadin,  gli  amici 
Noi  rawisin,  che  pria  de1  tristi  Proci 
Fatto  ei  non  abbia  universal  macello. 
Quindi  ogni  cosa  gli   parrà  mutata, 
Le  lunghe  strade,   i  ben  difesi  porti, 
E  le  ombrose  foreste,  e   l'alte  rupi.  240 

Sguardo  fermo  su  i  p;è  la  patria  ignota, 
Poi  non  tenne  le  lagrime,  e  la  mano 
Batté  su  P  anca,  e  lagrimando  disse: 
Misero  !  tra  qtial  nuova,  estrania  gente 
Sono  io?  Chi  sa,  se  nequitosa  e  cruda,  245 
O  giusta  in  vece,  ed  ospitale  e  pia? 
Ove  questa  recar  molta  ricchezza, 
Ove  ire  io  stesso?  Oh  nella  Scheria  fosse 
Rimasta,  ed  io  giunto  all'eccelsa  casa 
D1  altro  signor  magnanimo,  che  accolto  a5o 
Dolcemente  m1  avesse,  e  rimandato 
Scemamente!  Io  dove  porla  ignoro, 
Né  lasciarla  vo'  qui,  che  altri   la  involi. 
Men  che  saggi  eran  dunque,  e  men  che  probi 
De'  Feacesi  i  condottieri  e  i  capi,  a55 

Che  non  alla  serena  Itaca,  come 
Dicean,  ma  in  questa  sconosciuta  piaggia 
Condor  mi  fero.   Li  punisca  Giove 
De'  supplici  custode ,  a  cui  nessuno 
Celasi ,  e  che  non  lascia  inulto  un  fallo.  360 
Queste  ricchezze  noveriam,  veggiamo, 
Se  via  non  ne  portò  nulla  la  nave. 

Dette  tai  cose,  i  tripodi  superbi 
Contava,  e  P  urne,  e  Poro,  e  le  tessute 
Vesti  leggiadre  ;  e  non  falliagli  nulla.       a65 
Ma  la  sua  Patria  sospirava,  e  molti 
Lungo  il  lido  del  mar  romoreggiante 
Passi  e  lamenti  fea.  Pallade  allora, 
Di  pastorello  delicato  in  forma, 
Quale  un  figlio  di  He  mostrasi  al  guardo,   270 
S1  offerse  a  lui:  doppia  e  ben  fatta  veste 
Avea  d' intorno  agli  omeri,   calzari 
Sotto  i  piò  molli,  e  nella  destra   un   dardo. 
Gioì  Ulisse  a  mirarla,  e  incontanente 
Le  mosse  incontro  con  tai  detti:  Amico,  2^5 
Che  qui  primiero  mi  f  affacci,  salve. 
Deh  non  mi  t1  affacciar  con  alma  ostile: 
Ma  questi  beni  e  me  serba,  che  abbraccio 
Le  tue  ginocchia,  e  te,  qual  Nume,  invoco. 
Che  terra  è  questa?  che  città?  che  gente?  280 
Una  dell1  ondicinte  isole  forse? 
O  di  fecondo  continente  spiaggia, 
Che  scende  in  sino  al  mar?  Schietto  favella. 

Stolto  sei  bene,  o  di  lontan  venisti, 
La  Dea  rispose  d ali1  azzurro  sguardo,       285 
Se  di  questa  contrada,  ospite,  chiedi. 
Cui  non  è  nota?  La  conosce  appieno 
Qual  vèr  1'  aurora  e  il  Sol,  qual  vèr  P  oscura 
Notte  soggiorna.   Alpcstra  sorge,  e  male 
Vi  si  cavalca,  né  si  stende  assai.  290 

Sterile  non  però  torna:  di  grano 
Risponde,  e  d1  uva,  e  la  rugiada  sempre 
Bagnala,  e  il  nembo:  ottimo  pasco  i  buoi 
E  le  capre  vi  trovano,  verdeggia 
D'ogni  pianta,  e  perenne  acqua  P  irriga.  2g5 
Sin  d1  Ilio  ai  campi,  che  dal  suolo  Acheo, 
Como  sentii  narrar,  mollo  distanno, 
D1  Itaca  giunge,  o  forestiero,   il  nome. 

Al  nome  della  Patria,  che  su  i  labbri 
Dell1  immortai  sonò  figlia  di  Giove,         3oo 


LlliRO  DECIMOTERZO 
235 


•■"• 


S1  empie  di  gioja  il  Laciziadc.  e  tardo 
A  risponder  non  fu,  benché,  volgendo 
Nel  suo  cor  sempre  gli  artifici   usati, 
Contraria  al  vero  una  novella  ordisse. 
Io  già  d1  Itaca  udi'a  nelP ampia  Creta,     3o5 
Che  lunpi  nel  mar  giace,  e  donde  io  venni, 
Metà  recando  de1  miei  beni ,  e  ai  figli 
Lasciandone  metà.  Di  Creta  io  fuggo, 
Perchè  vi  uccisi  Orsiloco,  il  diletto 
D1  Idomenéo  figli  noi  ,  da  cui  nel  corso    3io 
Uorn  non  era  colà  che  non  perdesse. 
Costui  di  tutta  la  Trojana  preda, 
Che  tanti  in  mezzo  alPonde,  in  mezzo  alParme, 
Travagli   mi  costò,   volea  fraudarmi, 
Sdegnato,  eh1  io   d1  altri  guerrieri  duce  3i5 
Sotto  il  padre  di  lui  ser»ir  negassi. 
In  quel  eh1  ei  nella  strada  uscia  dal  campo, 
Gli   tesi  insidie  con  un  mio  compagno, 
E  di  lancia  il  ferii.  Notte  assai  fosca 
L'aere  ingombrava,e,non  che  agli  altri,  alui,320 
Che  di  vita  io  spogliai  ,  rimasi  occulto. 
Trovai  sul  lido  una  Fenicia  nave, 
E  a  quegl1  illustri  naviganti  ricca 
Mercede  offersi,  e  li  pregai  che  in  Pilo 
Mi  ponessero,  o  in  Elide  divina ,  3a5  - 

Dominio  degli  Epe'i.  Se  non  che  il  vento 
Indi  gli  svolse,   e  forte  a  lor  mal  cuore  ; 
Che  inganni  non  pensavano.  Venimmo , 
Notturni  errando,  a  questa  piaggia,  e  a  forza 
Di  remi,  e  con  gran  stento,  ilportoentrammo. 
Né  della  cena  favellossi  punto,  (33o 

Benché  ciascuno  in  grande  uopo  ne  fosse  5 
Ma  ,  del  naviglio  alla  rinfusa  usciti , 
Giacevam  su  V  arena.  Ivi  un  tranquillo 
Sonno  me  stanco  invasele  quei,  levate  335 
Dalla  nave  ,  e  deposte ,  ov1  io  giaeea , 
Le  mie  ricchezze,  in  vèr  la  popolosa 
Sidone  andaro,  e  me  lasciar  nel    duolo. 

Sorrise  a  questo  la  degli  occhi  azzurra, 
E  con  man  careggiollo;  e  uguale  a  donna  34o 
Bella,  di  gran  sembiante,  e  di  famosi 
Lavori  esperta,  in  un  momento  apparve, 
E  a  così  fatti  accenti  il  volo  sciolse  : 
Certo  sagace  anco  tra  i  Numi ,  e  solo 
Colui  saria,  che  d1ingannar  nelP  arte       345 
Te  superasse!  Sciagurato,  scaltro, 
Di  frodi  insaziabile,  non  cessi 
Dunque  né  in   Patria  dai   fallaci  detti, 
Che  ti  piaccion  così  sin  dalla  culla? 
Ma  di  questo  non  più  :  che  d^st  tizie  ambo  35o 
Maestri  siam  5  tu  di  gran  lunga  tutti 
D1  inventive  i  mortali ,  e  di  parole 
Sorpassi;  tutti   io  di  gran  lunga  i  Numi. 
Dunque  la  figlia  ravvisar  di  Giove 
Tu  non  sapesti,  che  a  te  assisto  sempre  355 
Nelle  tue  prove,  e  te  conservo,  e  grazia 
Ti  fei  trovare  appo  i  Feaci?  E  or  venni 
Per  ammonirti,  e  per  celare  i  fatti 
Col  mio  soccorso  a  te  splendidi  doni , 
Non  che  narrarti  ciò  che  per  destino     36o 
Nel  tr.o  palagio  a  sopportar  ti  resta. 
Tu  soffri,  benché  astretto;  ead  uomooadonna 
L1  arrivo  tuo  non  palesar:  ma  tieni 
Chiusi  nel  petto  i  tuoi  dolori,  e  solo 
Col  silenzio  rispondi  a  chi  ^oltraggia.    3G5 

E    tosto  il  ricco  di  consigli  Ulii>se  : 


té 


ODISSEA 


Difficilmente ,  o  Dea,  filò  ravvisarti 
Mortai,  cui  t'apprésenti ,  ancor  clic  saggio, 
Tante  forme  rivesti.  Io  ben  rammento 
Che  visitar  tu  mi  degnavi  un  giorno,     370 
Mentre  noi ,  figli  degli  Achivi  ,  a  Troja 
Combaltevam:  ma  poiché  l'alte  torri 
Rumammo  di  Priamo,  e  su  le  navi 
Partimmo,  e  un  Dio  l'Àchiva  oste  disperse, 
Più  non  ti  scórsi,  o  del  Tonante  figlia,  375 
Né  m'avvidi  unqna  che  m'entrassi  in  nave, 
Per  cavarmi  d'  affanno.   Abbandonalo 
Solo  a  me  slesso,  e  afflitto  io  già  vagando, 
Finché  pria  che  il  tuo  labbro  in  tra  i  Feaci 
Mi  confortasse,  e  nella  lor  cittade  38o 

M'introducessi  tu,  le  mie  sventure 
GP  Immortali  finirò.  Ora  io  ti  prirgo 
Pel  tuo  gran  padre,  quando  in  terra  estrana, 
Non  nella  Pallia  mia,  credomi,  e  temo 
Che  tu  di  me  prender  li  voglia  gioco,  385 
Ti  priego  dirmi,  o  Dea,  se  veramente 
Degli  occhi  Itaca  io  veggio,  e  del  pie  calco. 
E  la  Dea  che  rivolge  azzurri  i  lumi  : 
Tu  mai  te  stesso  non  obblii.  Quind1  io 
Non  posso  ai  mali  abbandonarti  in  preda;  390 
Tal  moslri  ingegno,  tal  facondia  e  senno. 
Altri,  che  dopo  error  molti  giungesse, 
Sposa  e  figli  mirar  vorn'a  repente; 
E  a  te  nulla  sapere,  o  chieder  piace, 
Se  con  gran  cura  non  assaggi  e  tenti      3q5 
Prima  la  tua,  che  invan  t'aspetta,  e  a  cui 
Scorroo  nel  pianto  i  dì,  srorron  le  notti. 
Dubbio  io  non  ebbi  mai  del  tuo  ritorno, 
Benché  ritorno  solitario  e  tristo  : 
Se  non  che  al  zio  Netlun  con  te  crucciato  400 
Dell1  occhio  che  spegnesti  al  figlio  in  fronte, 
Repugnar  non  volea.  Ma  or  ti  mostro 
D'Itaca  il  sito,  e  a  credermi  io  ti  sforzo. 
Ecco  il  porto  di  Forcine ,  e  la  verde 
Frondosa  oliva  che  gli  sorge  in  cima.     4<>5 
Ecco  non  lunge  l'opaco  antro  ameno, 
Alle  Najadi  sacro  :  la  convessa 
Spelonca  vasta  riconosci ,  dove 
Ecatombi  legittime  alle  Ninfe 
Sagrificar  solevi.  Ecco  il  sublime  410 

Nerito  monte  che  di  selve  ondeggia. 
Disse,  e  ruppe  la  nebbia,  e  il  silo  apparve. 
Giubbilò  Ulisse  alla  diletta  vista 
Della  sua  Patria,  e  baciò  l'alma  terra. 
Poi,  levando  le  man,  subitamente  4i5 

Le  Ninfe  supplicò:  Najadi  Ninfe, 
Non  credea  rivedervi,   e  con  devote 
Labbra  in  vece  io  salulovi,  o  di  Giove 
Naie,  a  cui  doni  porgerem  novelli, 
Se  me  in  vita  conserva,  e  dì  felici         /[-io 
A  Telemaco  mio  concede  amica 
La  bellicosa  del  Saturnio  figlia. 
Ti  rassicura,  e  non  temer,   riprese 
La  Dea  dagli  occhi  di  cilest.ro  tinti, 
Che  d'ajuto  ioti  manchi.  Or  senza  indugio  4a5 
Nel  cavo  sen  della  divina  grotta, 
Su  via,  poniam  queste  ricchezze  in  salvo, 
E  di  ciò  consulliam  che  più  ti  torna. 
Tacque,  ed  entrava  nella  grotta  oscura, 
Le  ascosaglie  cercandone;  ed  Ulisse,       43o 
L'oro  ed  il  bronzo,  e  le  superbe  vesti 
Portando,  la  seguia.  Tutto  depose 


Acconciamente  dell'  egioco  Giove 
La  figlia,  e  l'antro  d'  un  macigno  chiuse. 
Ciò  fatto,  al  pie  della  sacrata  oliva         /{35 
Ambi  sedendo,  e  investigando  I' arte- 
Di  tor  di  mezzo  i  temerai  j  Proci, 
Così  a  parlar  la  prima  era  Minerva  : 
Studiar  convicnti,  o  Laerziade  ,  come 
Metter  la  man  su  gli  arroganti, drudi,    44° 
Che  legnano  in  tua  casa,  oggi  è  lerz'anno, 
E  della  moglie  tua  con   riechi   doni 
Chiedono  a  gara  le  bramate  nozze. 
Ella,  ognor  sospirando  il  luo  ritorno, 
Ciascun  di  speme  e  d'impromesse  allatta,  44^ 
Manda  messaggi  a  tutti,  ed  altro  ha  in  core. 
Ah!  dunque,  le  rispose  il  saggio  Ulisse, 
Me  dell' atride  Agamennón  l'acerbo 
Fato  attendea  nelle  paterne  case, 
Se  il  tutto,  inclita  Dea,  tu  non  m'aprivi.  45o 
Ma  tu  la  via,  che  a  vendicarmi  io  prenda, 
M'addita,  e  a  ine  soccorri,  e  queil' audace 
Spirto  m'infondi,  che  accendeami,    quando 
Sfcmmo  di  Troja  le  famose  mura. 
Mi  starai  tu  del  pari  al  fianco  sempre?  ^55 

10  pugnar  con  trecento  allor  non  temo. 
Sempre  al  fianco  in'  avrai  ,  non  m'  uscirai , 

La   Dea  riprese  dalle  glauche  luci, 

Di  vista  un  sol  momento  in  questa  impresa. 

Questi  superbi,  che  le  tue  sostanze         4^° 

Mandano  a  male,  imbralteran  di  sangue 

L'immenso  pavimento,  e  di  cervella. 

Ma  io  così  vo'  trasformarti ,  Ulisse  , 

Che  riconoscer  non  ti  possa  uom  vivo. 

Colesta  liscia  ed  ancor  fresca  pelle  ,         4^5 

Che  le  membra  flessibili  ti  cnopre , 

Disseccherò,  raggrinzerò;  di   biondo 

Nulla  ti  rimarrà  sovra  la  tesla^ 

E  te  cireonderan  miseri  panni , 

Da  cui  lo  sguardo  di  ciascun  rifugga.      47° 

Gli  occhi  poi  sì  belli  ora,  e  sì  vivaci, 

Saran  sì  oscuri,  e  avran  tai  pieghe  intorno, 

Che  turpe  ai  Proci,  calla  tua  donna  e  al  figlio  , 

Cui  lasciasti  bambin  ,  cosa  parrai. 

Tu  prima  cerca  de'  tuoi  pingui  verri      47^ 

11  fido  guardi'an  che  t'ama,  ed  ama 
Telemaco,  ama  la  tua  saggia  donna. 
Il  troverai  ,  che  guarderà  la  nera 
Greggia  che  beve  d' A  re  t  usa  al  fonte , 

E  alla  pietra  del  Corvo  addenta,  e  rompe  480 
La  dolce  ghianda  ,  per  la  cui  virtude 
Il  florido  sul  dosso  adipe  cresce. 
Quivi  ti  ferma,  ed  al  suo  fianco  assiso 
D'ogni  cosa  il  richiedi;  ed  io  frattanto 
Andrò  alla  bella  nelle  donne  Sparla  ,      4^5 
In  traccia  del  figliuol,  che  vi  s'addusse, 
Onde  saper  di  te  dal  bellicoso 
Menelao  biondo,  e  udir,  se  vivi,  e  dove. 

Perchè  non  dirgliel  tu,  cui  noto  è  il  tutto? 
Rispose  il  ricco  di  consigli  Ulisse.  4o° 

Forse  perch'  ci  su  1'  infecondo  mare 
Tormenti  errando,  come  il  padre  ,  e  intanto 
Le  sue  sostanze  a  male  altri  gli  mandi  ? 

Ciò  non  t'affligga,  ripigliò  la  Dea 
Che  cilestre  in  altrui  le  luci  intende.     ^g5 
Io  stessa,  nome  ad  acquistarsi  e  grido, 
Già  1'  inviava  là  ,  've  nulla  il  turba  : 
Là , 've  tranquillo,  e  d'ogni  cosa  agiato, 


LIBUO  DECIMOTEliZO 


N 


Nel  regal  siede  dell1  Al  ride  albergo. 
So  ben  che  agguati  in  nave  negra  i  Proci  5oo 
Tendongli,  desiando  a  lui  dar  morie 
Pria  oh' ei  torni;  ma  invan  :  che  anzi, lui  vivo, 
Coprirà  i  suoi  nemici,  e  tuoi,  la  terra. 
Ditte  Minerva,  e  della  sua  polente 
Verga  1"  eroe  torco.  S1  inaridisce  5o5 

La  molle  cute,  e  si  rincrespa  5  rari 
Spuntano  ,  e  bianchi  su  la  testa  i  crini  ; 
Tu  Ita  d'  un  vecchio  la  persona  ei  prende 
Rotto  dagM  anni,  e  stanco;  e  foschi,  estinti 
Son  gli  occhi,  in  che  un  divin  foco  brillava.  5io 


Tunica  trista,  e  mala  cappa  in  dosso 
L1  amica  Dea  cacciógli ,  ambo  squarciate  , 
Discolorale  ,  affumicale  e  sozze  : 
Sopra  gli  vestì  ancor  di   ratto  cervo 
Un  gran  cuojo  spelato,  e  nella  destra    5 1 5 
Pose  bastone;  ed   una  vii  bisaccia, 
Che  in  più  luoghi  s1  apria  ,  per  una  torta 
Coreggia  antica  agli  omeri  sospese. 
Preso  il  consiglio  che  più  acconcio  parve, 
L1  un   dall'altro  staccarsi;  e  alla  divina    5ao 
Sparta  ,  del  figlio  in  traccia,  andò  Minerva. 


LIBRO  DECIMOQUARTO 


ARGOMENTO 

Ulisse  giunge  alla  casa  d'Enne'o.  Condizione  in  cai  trovasi  qneslo  bnnn  serro,  accoglienza  ch'ei  fa  al  suo 
padrone  senza  conoscerlo,  e  colloquio  che  hanno  Ira  loro.lMisse  finge  d'esser  di  Creta,  e  racconla  le  sne 
false  avventure.  Sacrifizio  d'E^mén,  e  cena.  Sopravvennla  una  notte  fredda  e  tempestosa,  Ulisse  con  altra 
finta  novella  ottiene  un  manto  dal  servo  ;  e  questi  va  a  coricarsi  sotto  una  spelonca  in  guardia  delle  sue  mandre. 


E 


,  la  riva  lasciata,  entrò  in  un'aspra 
Strada  ,  e  per  gioghi  e  per  silvestri  lochi, 
Là  »i  rivolse,  dove  Palla   móstro 
Gli  avea  l1  inclito  Euméo.   di  cui  fra  tutti 
D'Ulisse  i  miglior  servi  alcun  non  era,     5 
Che  i   beni  del  padton   meglio  gtiatda-.se. 
Trovollo  assiso  nella  prima  entrata 
D1  uu  ampio  e  bello  ed  altamente  estrulto 
Recinto  a  un  colle  solitario  in  cima. 
Il  fabbricava  Euméo  con   pietre  tolte         10 
Da  una  cava  propinqua,  e  mentre  lungi 
Sfavasi  Ulisse,  e  senz1  alcun  dal  veglio 
Laerte,   o  da  Penelope,  soccorso: 
l)1  un1  irta  siepe  ricingealo,  e  folti 
Di  bruna,  che  spezzò,  quercia  scorzata    i5 
Pali   frequenti  vi  piantava  intorno. 
Dodici  v'eran  dentro  una  appo  l1  altra 
Comode  stalle,  che  cinquanta  a  sera 
Madri  feconde  ricci  ean  ciascuna. 
I   maschi  dormian  fuor;  molto  più  scarsi,  20 
Perchè  scemati  dalP  ingordo  dente 
De1  Proci ,  a  cui  mandar  sempre  dovea 
L1  ottimo  della  greggia  il  buon  custode. 
Trecenlo  ne  contava  rgli,  e  sessanta; 
E  presso  lor,  quando  volgea  la  notte,      a5 
Quattro  cani  giacean  pari  a  leoni, 
Clic  il  pnstor  di  sua  mano  avea  nodrili. 
Calzari  allor  s1  accomodava  ai  piedi  , 
Di   bue  tagliando   una  ben   tinta  pelle  , 
Mentir  chi  qua  chi  là  giano  i  garzoni.     3o 
Tre  conducean  la  nera  roandra,  e  il  quarto 
Alla  cittade  col  tributo  usato 
Lo  stesso  Euméo  spedìalo,  e  a  que1  superbi, 
Cui  ciascun  dì  gli  avidi  ventri  empiea 
Della  sgozzata  vittima  la  carne.  35 

Videro  Ulisse  i  latratori  cani , 
E  a  lui  con  grida  corsero  :  ma  egli 
S'  assise  accorto ,  e  il  baston  pose  a  terra. 
Pur  fiero  strazio  alle  sue  stalle  avanti 
Sofifiia,  s1  Euméo  non  era ,  il  qual,  veloce  l\o 


Scagliandosi  dall1  atrio,  e  la  bovina 

Pelle  di  man  lasciandosi  cadere , 

Sgridava  i  suoi  mastini,  e  or  questo,  or  quello 

Con  spesse  pietre  qua  o  là  cacciava. 

Poi,  rivolto  al  suo  Re,  Vecchio,  gli  disse,  45 

Poco  falli  non  te  n'andassi  in  pezzi , 

E  il  biasmo  in  me  ne  ricadesse ,  quasi 

Sciagure  altre  io  non  pata,  io,  che  dolente 

Siedo,  e  piango  un  signore  ai  Numi  eguale, 

E  i  pingui  verri  all'altrui  gola  allevo;     5o 

Mentr1  ei  s1  aggira  per  estranie  terre 

Famelico  e  digiuno  ;  ove  ancor  viva , 

E  gli  splenda  del  Sole  il  dolce  lume. 

Ma  tu  sieguimi ,  o  vecchio,  ed  al  mio  albergo 

Vietitene,  acciò  ,  come  di  cibo  e  vino      55 

Sentirai  sazio  il  naturai  talento , 

La  tua  Patria  io  conosca,  e  i  mali  tuoi. 

Ciò  detto,  gli  entrò  innanzi,  e  l1  introdusse 
Nel  padiglione  suo.  Qui  di  fogliosi 
Virgulti  densi  ,  sovra  cui  velloso  60 

Cuojo  distese  di  selvaggia  capra  , 
Gli  feo ,  non  so  qual  più,  se  letto,  o  segg:o. 
L1  eroe  gioia  dell1  accoglienza  amica  , 
E  così  favellava  :  Ospite,  Giove 
Con  tutti  gli  altri  Dei  compia  i  tuoi  voti,  65 
E  d'accoglienza  tal  largo  ti    paghi. 

E  tu  cosi  gli  rispondesti,  Euméo: 
Ruon  vecchio,  a  me  non  lice  uno  straniero, 
Fosse  di  te  men  degno,  avere  a  scherno; 
Che  gli  stranieri  tutti  ed  i  mendichi        70 
Vengon  da  Giove.  Poco  fare  io  posso, 
Poco  potendo  far  servi  che  stanno 
Sempre  in  timor  sotto  un  novello  impero: 
Pure  anco  un  picciol  don  grazia  ritrova. 
Colui  fraudaro  del  ritorno  i  Numi ,  75 

Che  amor  sincero  mi  portava ,  e  dato 
Podere  avriami,  e  casa,  e  donna  molto 
Bramata;  e  quanto  al  fin  dolce  signore 
A  servo  dà,  che  in  suo  prò  sudi,  e  il  cui 
Travaglio  prosperar  degnino  i  Dei ,  80 


ODISSEA 


Come  arridono  al  mio.  Certo  ei  giovato, 

Se  incanutiva  qui,  molto  m'avrebbe. 

Ma  prrì  l1  infelice.  Ah  perchè  tutta 

D'  Elena  in  vece  non  perì  la  stirpe 

Che  «li  cotanti  eroi  sciolse  le  membra?    85 

Quel  prode  anch'  ei  volger  le  prore  armato , 

Per  Ponor  degli  Atridi,  a  Troja  volle. 

Detto  così,  la  tunica  si  strinse 
Col  cinto,  ed  alle  stalle  in  fretta  mosse, 
E,  tolti  due  dalla  rinchiusa  mandra         90 
Giovinetti  porcelli,  ambo  gli  uccise, 
Gli  abbronzò,  gli  spartì,  negli  appuntati 
Spiedi  gì1  infisse:  indi,  arrostito  il  tutto, 
Caldo  e  fumante  negli  stessi  spiedi 
Recollo,  e  il  pose  al  Laerziade  innanzi ,  g5 
E  di  farina  candida  P  asperse. 
Ciò  fatto ,  e  in  tazza  d'  ellera  mesciuto 
L'  umor  dolce  dell1  uva  ,  a  lui  di  fronte 
S1  assise,  e  rinrorollo  in  questa  forma  : 
Su  via,  quel  mangia,  oforestier,  che  a  servi  100 
Lice  imbandir  ,  di  porcellelti  carne  : 
Quando  i  più  grandi  corpi  ed  i  più  pingui 
Li  divorano  i  Proci,  a  cui  non  entra 
Pietade  in  petto,  ne  timor  de1  Numi. 
Ma  non  aman  gli  Dei  l'opre  malvage ,  io5 
E  il  giusto  ricompensano,  ed  il  retto. 
Quelli  che  armati  su  le  altrui  riviere 

,    Scendono  ,  e  a  cui  tornar  Giove  consente 
Co1  legni  carchi  alla  natia  contrada , 
Spavento  ad  essi  ancor  delle  divine         110 
Vendette  passa  nel  rapace  spirto. 
Certo  per  voce  umana  o  per  divina 
Han  della  morte  del  mio  Re  contezza , 
Poiché  né  gareggiar ,  come  s1  addice , 
Per  la  sua  donna,  né  ai  dominj  loro     1  i5 
Voglionsi  ricondur;  ma  gli  altrui  beni 
Senza  pudore  alcun  struggono  in  pace. 
Giove  dì  o  notte  non  produce  ,  in  cui 
Una  vittima  o  due  paghi  li  renda, 
E  il  più  scelto  licor  bevono  a  oltraggio.  120 
Dovizia  molta  ei  possedea,  qnal  venti 
Sul  continente ,  0  in  Itaca ,   mortali 
Non  felicita  insieme.  Udirla  vuoi  ? 
Dodici  armenti  nell1  Epiro ,  e  tante 
Di  pecorelle  greggi  e  di  inajali,  ia5 

Tanti  di  capre  comodi  serragli , 
Di  domestici  tutto ,  e  di  stranieri 
Pastori  a  guardia.  In  Itaca  serragli 
Di  capre  undici ,  e  larghi,   e  nell1  estremo 
Tutti  della  campagna,  e  con  robusti       i3o 
Custodi ,  che  ogni  dì  recano  ai  drudi 
Qual  nel  vasto  capril  veggion  più  grassa 
Bestia,  e  più  bella.  Io  sovra  i  porci  veglio, 
E  della  mandra  il  fior  sempre  lor  mando. 
Ulisse  intanto  senza  dir  parola  1 35 

Tutto  in  cacciar  la  fame  era ,  e  la  sete , 
E  mali  ai  Proci  macchinava  in  petto. 
Rinfrancati  eh1  egli  ebbe  i  fiacchi  spirti , 
Euméo  la  tazza,  entro  cui  ber  solea , 
Colma  gli  porse,  ed  ei  la  prese,  e  questi  140 
Detti,  brillando  in  core,  ad  Euméo  volse  : 
Amico,  chi  l1  uom  fu  sì  ricco  e  forte, 
Che  del  suo  ti  comprò ,  come  racconti  ? 
Morto  tu  il  dici  per  l1  Atride.  Io  forse 
Conobbilo.  Il  Saturnio  e  gli  altri  Numi  145 
Sanno,  s'  io  di  lui  visto  alcuna  posso 


Contezza  darti,  io,  che  vagai  cotanto. 

Vecchio  ,  rispose  Euméo  d1  uomini  capo  , 
Pellegrin  che  venisse  oggi  il  ritorno 
Del  Rege  a  nunzìar  ,  né  la  sua  donna     i5o 
Gli  crederebbe,  né  il  diletto  figlio  : 
Troppo  usati  a  mentir  son  questi  erranti, 
Che  mestieri  han  desilo.  Un  non  ne  giunge  , 
E  alla  Reina  mia  non  si  presenta , 
Che  false  cose  non  favelli  ,  o  vane  :         1  55 
Tutti  ella  accoglie  con  benigno   aspetto, 
Cento  cose  domanda  ,  e  dalle  ciglia 
Le  cadono  le  lagrime  :  costume 
Di  donna,  cui  morì  lo  sposo  altrove. 
Echi  m 'accerta  che  tu  ancor,  buon  vecchio,  160 
Una  favola  a  ordir  non  fossi  pronto, 
Dove  tunica  e  manto  altri  ti  desse  ? 
Ma  i  cani,  io  temo,  ed  i  veloci  augelli 
Tutta  dalPossa  gli  staccar  la  cute, 
O  i  pesci  il  divoralo,  e  Possa  ignude    i65 
Giaccion  sul  lido  nell'  arena  involte. 
Così  perìo,  lungo  agli  amiri  affanno 
Lasciando,  ed  a  me  più, che,  ovunque  io  vada, 
Non  ispero  trovar  bontà  sì  grande, 
Non,  se  del  padre  e  della  madre  al  dolce  170 
Nativo  albergo  io  riparassi.  E  vero 
Che  rivederli  ardentemente  io  bramo 
Nella  terra  natia:    pur  men  li  piango 
D1  Ulisse,  ond1  io  P  assenza  ognor  sospiro. 
Ospite,  così  appena  io  nomar  Poso,      1^5 
Benché  lontan  da  ine:    tanto  ei  m'amava, 
Tal  pigliaci  di  me  cura  e  pensiero. 
Maggior  fratello,  dopo  ancor  la  cruda 
Sua  dipartita  ,  io  più  sovente  il  chiamo. 

Dunque,  P  eroe  riprese,   al  suo  ritorno     180 
Non  rr'-di,  e  stai  sul  niego?  Ed  io  ti  giuro 
Che  Ulisse  riede;  né  già  parlo  a  caso. 
Ma  tu  la  slrenna  del  felice  annunzio 
M1  appresta,  bella  tunica  e  bel  manto, 
Di  cui  mi  coprirai ,  rom1  egli  appaja.       i85 
Prima,  sebben  d'ogni  sostanza  scusso, 
Nulla  io  riceverei  :  che  delle  Inferne 
Porte  al  par  sempre  io  detestai  chi  vinto 
Dalla  sua  povertade  il  falso  vende. 
Chiamo  il  Saturnio  in  testimonio,  chiamo  190 
L'ospitai  mensa,  e  deir  egregio  Ulisse 
Il  venerando  focolar,  cui  venni: 
Ciò  eh1  io  dico,  avverrà   Quest'anno  istesso, 
L'un  mese  uscendo,  o  entrando  l'altro,  il  piede 
Ei  metterà  nella  sua  reggia,  e  grande     195 
Di  chiunque  il  figliuolo,  e  la  pudica 
Donna  gli  oltraggia  ,  prenderà  vendetta. 

E  tu  in  risposta  gli  dicesti  ,  Euméo: 
Né  strenna,  o  vecchio,  io  ti  darò,  né  Ulisse 
Metterà  più  nella  sua  reggia  il  piede.     200 
Su  via,  tranquillo  bevi,  e  ad  altra  cosa 
Voltiam  la  lingua  :  che  mi  cruccia  troppo 
Di  sì  nobil  signor  la  rimembranza. 
Lasciam  da  parte  i  giuramenti  ,  e  Ulisse 
Venga,  qual  bramiam  tutti,  io,  la  Regina,  2o5 
E  l'antico  Laerte,  e  il  pari  a  un  Nume 
Telemaco,  per  cui  tremando  io  vivo. 
Questo  fanciullo,  che  d'Ulisse  nacque, 
E  cui  poscia ,  qual  pianta  in  florid'  orto , 
Crebber  gli  Dei, sì  ch'iocredeacheil  padre  210 
Di  senno  agguaglien'a ,  come  d'  aspetto  , 
La  dritta  mente  or  degli  Eterni  alcuno 


LIBRO  DECIMOQUARTO 


7" 


Gli  offese,  io  penso,  o  de' mortali.  Ei  mos>e, 
L1  orme  paterne  investigando ,  a  Pilo, 
E  agguati  i  Proci  tendongli  al  ritorno,  2i5 
Percbè  tutto  d'Arcesio  il  sangue  manchi. 
Or  né  di  questo  più  ;  trarranlo  a  morte 
Forse  i  nemici  ,  o  forse  a  vóto  ancora 
Le  insidie  andranno,  e  la  sua  destra  Giove 
Sul  capo  gli  terrà.  Ma  tu  gli  affanni       220 
Tuoi  stessi,  o  vecchio,  e  il  tuo  destin  mi  narra. 
Chi  sei  tu?  Donde  sei?  Dove  i  parenti? 
Dove  la  tua  città?  Quai  ti  menaro 
Nocchieri,  e  di  qual  guisa,  e  con  qual  nave? 
Certo  in  Itaca  il  pie  non  ti  condusse.     225 
Tutto,  rispose  lo  scaltrito  Ulisse, 
Schiettamente  io  dirò.  Ma  un  anno  intero, 
Che,  fuori  uscito  a  sue  faccende  ogni  altro, 
Da  noi  si  consumasse  ad  una  lauta 
Nel  padiglione  tuo  mensa  tranquilla,       23o 
Per  raccontar  non  basteria  le  pene 
Di  cui  tessermi  ai  Dei  piacque  la  vita. 
Patria  m1  è  V  ampia  Creta ,  e  mi  fu  padre 
Ricco  uom,  cui  di   legittima  consorte 
Molti  nacquero  in  casa  e  crebber  Ggli.  235 
Me  compra  donna  generò,  né  m'ebbe 
Min   per  ciò  de1  fratelli  il  padre  in  conto, 
L1  llacide  Castór  ,  di  cui  mi  vanto 
Sentirmi  il  sangue  nelle  vene,  e  a  cui 
Per  fortuna  ,  dovizia  e  illustre  prole       240 
Divin  remlcasi  dai  Cretesi  onore. 
Sorpreso  dalla  Parca,  e  ad  Aide  spinto, 
Tra  sé  partirò  le  sostanze  i  figli , 
Gittate  in  pria  le  sorti ,  e  me  di  scarsa 
Provvigion  consolaro  ,  e  d1  umil  tetto.    245 
Ma  donna  io  tolsi  di  grati  heni  in  moglie, 
E  a  me  solo  il  dovei  ;  però  eh1  io  vile 
Non  fui  d1  aspetto ,  né  fugace  in  guerra. 
E  benché  nulla  oggi  mi  resti ,  e  gli  anni 
M'opprimano,  ed  i  guai,  la  messe,  io  credo,  25o 
Può  dalla  paglia  ravvisarsi  ancora. 
Forza  tra  V  armi  e  ardir  Marte  e  Minerva 
Sempre  infusero  a  me ,    quando  i  migliori 
Per  gli  agguati  io  scegliea  contra  i  nemici  ; 
O  allor  che  primo,  e  senza  mai  la  morte  255 
Dinanzi  a  me  veder,  nelle  battaglie 
Mi  scagliava,   e  color  che  dal  mio  brando 
Si  sottraeano ,  io  raggiungea  con  P  asta. 
Tal  nella  guerra  io  fui.  Me  della  pace 
Non  dilettavau  l'  arti  ,  o  della    casa         260 
Le  molli  cure,  e  della  prole.  Navi 
Dilettavano,  e  puune,  e  rilucenti 
Dardi,  e  quadrelli  acuti:  amare,  orrende 
Cose  per  molti ,  a  me  soavi  e  belle , 
Come  varj  dell'  uom  sono  i  desiri.  u65 

Prima  che  la  greca  oste  Ilio  cercasse  , 
Nove  fiate  io  comandai  sul  mare 
Contra  gente  straniera;  e  la  fortuna 
Così  m1  arrise ,  che  tra  ciò  che  in  sorte 
Toccommi  della  preda,  e  quel  ch'io  stesso  270 
A  mio  senno  eleggea,  rapidamente 
Crebbe  il  mio  stato,  e  non  passò  gran  tempo, 
Che  in  sommo  pregio  tra  i  Cretesi  io  salsi. 
Ma  quando  Giove  quel  fatai  viaggio 
Prescrisse,  che  mandò  tante  almea  Plato,  273 
A  me  de1  legni  ondivaghi ,  ed  al  noto 
Per  fama  Idomenéo ,  diero  il   governo, 
Né  modo  v1  ebbe  a  ricusar  :  sì  grave 


280 


285 


Il  popolo ,  e  sì  ardita ,  ergea  la  voce. 
Colà  nove  anni  pugnavam  noi  Greci , 
E  nel  decimo  al  fin,  Troja  combusta, 
Ritornavamo  ;  e  ci  disperse  un  Nume. 
Se  non  che  Giove  una  più  ria  ventura 
Contra  me  disegnò.  Passato  un  mese 
Tra  i  figli  cari  appena,  e  la  diletta 
Sposa,  che  vergin  s'era  a  me  congiunta, 
Novella  brama  dell1  Egitto  ai  lidi 
Con  egregi  compagni,  e  su  navigli 
Ben  eorredati  a  navigar  m1  indusse. 
Nove  legni  adornai  ;  né  a  riunirsi  290 

Tardò  l'amica  gente,  a  cui  non  poche 
Pe1  sagrifizj  loro  e  pe1  conviti  , 
Che  duraro  sei  dì ,  vittime  io  dava. 
La  scttim'alba  in  Oriente  apparsa, 
Creta  lasciammo,  e  con  un  Borea  in  poppa  2q5 
Sincero  e  fido  ,  agevolmente  ,   e  come 
Sovra  un  fiume  a  seconda,  il  mar  fendemmo. 
Nave  non  fu  né  leggiermente  offesa , 
E  noi  sicuri  sedevam ,    bastando 
I  timonieri  al  nostro  uopo,  ed  il  vento.  3oo 
Presa  il  dì  quinto  la  bramata   foce 
Del  ricco  di  beli1  onda  Egitto  fiume, 
Io  nel  fiume  arrestai  le  veleggianti 
Navi,  e  ai  compagni  comandai  che  in  guardia 
De1  legni  rimanessero,  e  la  terra  3o5 

Gissero  alcuni  ad  esplorar  dall'alto. 
Ma  questi,  da  un  ardir  folle  e  da  un  cieco 
Desio  portali  ,  a  saccheggiar  le  belle 
Campagne  degli  Egizj ,  a  via  menarne 
Le  donne  e  i   figli  non  parlanti,  i  grami  3io 
Coltivatori  a  uccidere.  Ne  giunse 
Tosto  il  romore  alla  città  ,  né  prima 
L'aurora  comparì,  che  i  cittadini 
Vennero,  e  pieno  di  cavalli  e  fanti 
Fu  tutto  d  campo,  e  del  fulgor  delParmi.  3i5 
Cotale  allora  il  Fulminante  pose 
Desir  di  fuga  de1  compagni  in  petto, 
Che  un  sol  far  fronte  non  osava  :  uccisi 
Fur  parte,  e  parte. presi,  e  ad  opre  dure 
Sforzati;  e,  ovunque  rivolgeansi  gli  occhi,  320 
Un  disastro  apparta.   Ma  il  Saturnide 
Nuovo  consiglio  m'inspirò  nel  core. 
Deli  perché  nell'Egitto  anelilo  non  caddi, 
Se  nuovi  guai   m1  apparecchiava  il  fato? 
Io  l1  elmo  dalla  testa  al  suol  deposi,       3u5 
Dagli  omeri   lo  scudo,  e  gittai   lunge 
Da  me  la  lancia:  indi  ai  cavalli  incontro 
Corsi ,  e  al  cocchio  del  Re  ,  strinsi  e  baciai 
Le  sue  ginocchia;  ed  ei  serbommi  in  vita. 
Compunto  di  pietà  me,  che  piagnea  ,      33o 
Levò  nel  eocchio  ,  e  al  suo  palagio  addusse. 
E  ver  che  gli  altri  m1  assah'an  con  Paste 
Di  rabbia  accesi ,  e  mi  voleano  estinto. 
Ma  il  Re  lontani  e  con  cenni  e  con  voci 
Teneali  per  timor  dell1  ospitale  335 

Giove,  che  i  supplicanti,  a  cui  mercede 
Dall1  uom  non  s^si,  vendicar  suol  sempre. 
Settenni    io  colà  vissi,  e  assai  tesori 
Raccolsi  :  doni  mi  porgea  chiunque. 
Poi,  volgendo  P  ottavo  anno,  un  Fenice  34o 
Comparve,  uom  fraudolento,  e  di  menzogne 
Gran  fabbro,  che  già  molti  avea  tradito. 
Nella  Fenicia  a  seguitarlo  ,  dove 
Casa  e  poderi  avea,  costui  pirgommi  j 


ODISSEA 
345 


7* 

E  seco  io  dimorai  di  Sole  «in  giro. 

Ma  ,  rivolto  già  Panno,  e  lo  stagioni 

Tornate  in  sé  col  trapassar  ile1  mesi, 

Ed  il  cerchio  dei  dì  lunghi  compiuto , 

Far  vela  volle  per  la  Libia,  e  finse 

Non  poter  senza  me  carcar  la  nave.        35o 

Che  nave?  in  Libia  vendermi  a  gran  prezzo 

Pensava  il  tristo,  lo  che  potea?  Costretto, 

Di  nuovo  il  seguitai  :  benché  del  vero 

Mi  trascorresse  per  la  mente  un  lampo. 

Su  Creta  sorse  il  rapido  naviglio,  355 

Clie  un  gagliardo  Aquilon  feriva  in  poppa, 

Mentre  gli  onh'a  I1  ultimo  ccciilio  Giove. 

Già  né  più  Creta  si  veilea ,  né  altra 

Terra,  ma  cielo  in  ogni  parte,  o  mare, 

Quando  il  Fulminator  sul  nostro  capo  36o 

Sospese  d1  alto  una  cerulea  nube, 

Sotto  a  cui  tutte  intenebrarsi  P  acque. 

Tonò  più  volte,  e  al  fin  lanciò  il  suo  telo 

Conlra  la  nave,  che  del  fiero  colpo 

Si  contorse,  s'empieo  di  zolfo,  e  tutti  365 

Ne  capettero  giù.  Quai  corvi ,  intorno 

Le  s1  aggiravau  su  per  P  onde ,  e  Giove 

Lor  togliea  con  la  Patria  anco  la  vita. 

Salvò  me  solo  nel   mortai  periglio  : 

Che  alle  mani  venir  mi  fere  il    lungo     3^o 

Albero  della  nave  ,  a  cui  in'  attenni , 

E  così  mi  lasciai  su  i  tempestosi 

Flutti  portar  per  nove  giorni  ai  venti  : 

Finché  la  notte  decima  mi  spinse 

De1  Tesproti  alla  terra  il  negro  fiotto.     3^5 

Qui  de1  Tesproti  il  Sir,  P  eroe  Fidoue, 

Generoso  m'accolse.  A  sorte  il  figlio 

Sul  lido  mi  trovò  tutto  tremante 

Di  freddo,  e  ornai  dalla  fatica  vinto, 

E,  con  man  sollevatomi  ,  del  padre        38o 

Al  reni  tetto  mi  condusse,  e  pormi 

Tunica  e  manto  si  compiacque  in   dosso. 

Quivi  io  d'Ulisse  udii.  Diceami  il  Rege , 

Cb1  ei  P  accolse  ,  e  il  trattò  cortesemente 

Nel  suo  ritorno  alle  natie  contrade  ;       385 

E  il  rame  e  Por  mostravami,  ed  il  ferro, 

E  quanto  al  fin  di  prezioso  e  bello 

Ulisse  avea  raccolto  ,  e  nella  reggia 

Deposto  :  forza  ,  che  per  dieci  etadi 

Padri  e  figliuoli  a  sostener  bastava.         3go 

E  aggiungea,  che  a  Dodona  era  passato, 

Per  Giove  consultare,  e  udir  dalPalta 

Quercia  indovina ,   se  ridursi  ai  dolci 

Colli  d'Itaca  sua  dopo  sì  lunga 

Stagion  dovea  palesemente  ,  o  ignoto.     3o5 

Poi,  libando,  giurò  ch'era  nel  mare 

Tratti  la  nave,  e  i  remiganti  pronti, 

Per  rimenarlo  in  Itaca.  Ma  prima 

Me  slesso  accommiatò  :  che  per  ventura 

Al  ferace  Duliehio  un  legno  andava        4°o 

Di  nocchieri    Tesproti.  Al  rege  Acasto 

Costor  dovean  raccomandarmi  ,  e  in  vece 

Un  consiglio  tessean  ,   perdi'  io  cadessi 

Nuovamente  ne1  guai.  Come  lontano 

Da  terra  fu  1'  ondivagante  legno  ,  4°5 

Il  negro  m'apparì  giorno  servile. 

Tunica  e  manto  mi  spoglia™,  e  questi 

In  dosso  mi  gettar  laceri  panni  , 

E,  venuti  all'amena  Itaca  a  notte, 

Me  nella  nave  con  ben  torta  e  salda      4'° 


Funo  legare  Indi  n'uscirò,  e  cena 
Frettolosa  del  mar  presero  in  riva. 
Ma  un  Nume  ruppe  i  miei  legami;  ed  io 
Giù  sdrucciolai  pel  timon  liscio  ,  al  mare 
Mi  consegnai  col  petto,  e  ad  ambe  mani  4 15 
Notando  remigai  sì  ,  che  in  brev'  ora 
E^uor  di  lor  vista  io  fui.  Giunsi,  ove  bella 
Sorgea  di  querce  una  foresta,  e  giacqui. 
Quei,  di  me  con  dolore  in  traccia  mossi, 
Né  credendo  cercarne  invan  più  oltre,  420 
Si  rimbarcaro;  e  me  gl'Iddii,  che  ascoso 
Facilmente  m'  avean  ,  d'  un  uom  saputo 
Guidar  benigni  al  pastoreccio  albergo, 
Poiché  in  vita  il  destin  mi  vuole  ancora. 
E  tal  fu  a  lui  la  tua  risposta,  Euméo  :     42^ 
O  degli  ospiti  misero,  tu  l'alma 
Mi  coinmovesli  addentro  ,  i  tuoi  viaggi 
Narrando,  e  i  mali  tuoi.  Sol  ciò  non  lodo, 
Che  d'Ulisse  dicesti,   e  non  tei  credo. 
Perchè,  degno  uom,  qua!  sei,  mentire  indarno? 
So  anch'io  pur  troppo,  qu  al  del  suo  ritorno  (43o 
Speme  nodi  ir  si  possa,  e  l'infinito, 
Che  gli  portano  i  Numi,  odio  io  conosco. 
Quindi  ei  non  cadde,  combattendo,  a  Troja, 
O  degli  amici  in  sen  dopo  la  guerra.      4^5 
Sepolto  avrfanlo  nobilmente  i  Greci  , 
E  dalla  tomba  sua  verria  un   rilampo 
Di  gloria  al  suo  figliuoli  ma  inonorato 
Le  Arpie  crudeli  sei  rapirò  in  vece. 
Tale  io  ne  provo  duo!,  che  appo  la  mandra  44° 
Vivomi  occulto,  ed  a  città  non  vado , 
Se  non  quando  Penelope,  comparso 
Da  qualche  banda  con  novelle  alcuno , 
Chiamami  a  sé  per  caso.   Allora  stanno 
Tutti  d'intorno  allo  straniero,  e  mille  44^ 
Gli  fan  domande;  eo*ì  quei  che  doglia 
Dell'  assenza  dpl  he  sentono  in  petto, 
Come  color ,  che  gioja  ,  e  le  sostanze 
Ne  distruggon  frattanto  in  tutta  pace. 
Ma  io  domande  far  dal  dì  non  amo ,       4^° 
Che  mi  deluse  un  vagabondo  Etólo  , 
Reo  d'  omicidio  ,  che  al  mio  tetto  giunse. 
Molto  io  P  accarezzava;  ed  ei  mi  disse, 
Che  presso  Idomenéo  nell'ampia  Creta 
Veduto  avello  risarcir  le  navi  ^55 

Dalla  procella  sconquassate,  e  aggiunse 
Che  P  estate  o  P  autunno  al  suo  paese 
Capiteria  ben  compagnato  e  ricco. 
Or  non  volermi  tu,  vecchio  infelice  , 
Con  falsi  detti ,  poiché  un  Dio  t'addusse,  460 
Molcere  o  lusingar:  che  non  per  questo 
Ben  trattato  sarai ,  ma  perchè  temo 
L'ospitai  Giove,   e  che  ho  di  te  pietade. 
Un  incredulo  cor  ,  rispose  Ulisse  , 
Tu  chiudi  in  te,  quando  a  prestarmi  fede  4^5 
Né  co'  miei  giuramenti  indur  ti  posso. 
Su  via,  fermisi  un  patto,  e  testimoni 
Ne  shn  dall'  alto  gì'  immortali  Dei. 
Riederà  il  tuo  signor,  com'io  predissi? 
Tunica  e  manto  vestimi,  e  a  Duliehio    4>° 
Mi  manda,  ov' io  da  molti  giorni  ir  bramo. 
Ma  s'  ei  non  torna,  eccita  i  servi,  e   getta 
Me  capovolto  da  un'  eccelsa  rupe  , 
Sì  che  più  non  ti  beffi  alcun  mendico. 
Gran  merto  in  vero,  e  memorabil  nome,  4/5 
Il  pastor  ripigliò,   m'acquisterei 


LIBRO  DECIMOQUARTO 


48o 


Appo  la  nostra  e  la  ventura  etade, 
Se  ,  ricevuto  avendoti  e  trattato 
Ospitalmente,  io  Succidessi,  e  fuori 
Ti  traessi  del  sen  F  anima  cara! 
Come  franco  io  potrei  preghiere  a   Giove 
Porgere  allora!  Or  della  cena  è  il  tempo. 
I  miei  compagni  entreran  tosto  ,  e  lauta 
S'appresterà  nel  padiglion  la  mensa. 
Così  tra  lor  diceano;  ed  ecco  il  nero        485 
Gregge ,  e  i  garzoni  che  ne'  suoi  serragli 
Metteanlo:  immenso  delle  pingui  troje  , 


Ch 


«li 


he  Buttavano  a  corcar,  sorse  il  grugnito. 
Ratto  ai  compagni  favellava   Euméo  : 
L'ottimo  a  ine  de1  porci,  affinchè  muoja  49° 
Pel  venuto  di  lungi  ospite,  e  un  tratto 
Noi  pur  festa  facciara,  noi,  che  soffriamo 
Per  questo  armento  dalle  bianche  sanne, 
Mentre  in  riposo  e  in  gioja  altri  le  nostre 
Fatiche  si  divorano,  e  gli  affanni.  49^ 

Detto  cosi,  con  affilata  scure 
Quercia  seco   recise;  e  quelli   un  grasso 
D'anni  cinque  d'età  porco  menaro, 
E  al  focolare  il   collocar  davanti. 
Né  de1  Celesti  Euméo,  che  molto  senno  5oo 
Nutriva  in  sé,  dimenticoni.  I  peli 
Dal  capo  svelti  del  grugnmte,   in  mezzo 
Gittolli  al  foco,  e  innalzò  voti  ai  Numi 
Pel  ritorno  d'  Ulisse.  Indi  un  troncone 
Della  quercia,  eh1  ei  fèsse,  alto  levando,  5o5 
Percosse,  e  senza  vita  a  terra  stese 
Lì  vittima.  I  garzoni  ad  ammazzarla, 
Ad  abbronzarla  e  a  farla  in   pezzi;  ed  egli 
I  crudi  brani  da  ogni  membro  tolti 
Parte  metleali  su  Tomento,  e  parie        5io 
Di  farina  bianchissima  cospersi 
Consumavali  al  foco.  II  resto  tutto 
Poi  sminuzzaro,  e  Fabbrostiro  infisso 
Con  modo  acconcio  negli  spiedi,  e  al  fine 
Dagli  spiedi  cavato  in  su  la  mensa  5i5 

Poserlo.  Euméo,  che  sapea  il  giusto  e  il  retto, 
Sorse,  e  il  tutto  divise  in  sette  parti: 
Offrì  F  una  alle   Ninfe,   ed  al  figliuolo 
Di  Maja,  e  F  altre  a  ciascun  porse  in  giro. 
Ma  dell1  intera  del  sannuto  schiena  520 

Solo   Ulisse  onorava,  e  gaudio  in  petto 
Spandea  del  Sire,  che  diceagli:  Euméo, 
Cosi  tu  possi  caro  al   padre  Gmve 
Viver,  qual  vivi  a  me,  poiché  si  graude 
Nello  stalo,  in  ch'io  Min,  mi  rendi  onore.  5a5 
E  tu  dicesti,  rispondendo,   Euméo: 
O  preclaro  degli  ospiti,  ti  ciba, 
E  di  quel  godi,  che  imbandirti  io  valgo. 
Concede,  o  niega,  il  Coirettor  del  mondo, 
Come  gli  aggrada  più:  che  tutto  ei  puote.  53o 
Ciò  detto,  ai  Nomi  le  primizie  offerse; 
E,  libato  ch'egli  ebbe,  in  man  d'Ulisse, 
Che  al  suo  loco  sedea,  pose  la  taz^a. 
Mesaulio,  ch'ei  del  proprio,  e  noi  sapendo 
Né  la  Regina,  né  Laerte,  avea,  535 

Mentre  lungi  era  il  Sir,  compro  dai  Taf], 
Il  pane  dispensò.  Stendeano  ai  cibi 
La  mano;  e,  paga  del  mangiar  la  voglia, 
Paga  quella  del  ber,  Mesaulio  il  paue 
Raccolse,  e  gli  altri  a  dar  le  membra  al  sonno  54o 
Ristorati  affrettavausi  e  satolli. 
Fosca  sorvenne  e  disastrosa  notte: 

PlNDEMOSTK 


Giove  piojea  senza  intervallo,  e  fiero 
Di  Ponente  spirava  un  vento  acquoso. 
Ulisse  allor,  poiché  vedeasi  tanto  545 

Carezzato  da  Euméo,  tentare  il  volte, 
Se  gli  prestasse  il  proprio  manto,  o  almeno 
Quel  d' alcun  de'  compagni  aver  gli  fesse. 
Euméo,    diss'egli,  ascoltami,  e  i  compagni 
M'ascoltin  tutti.  Io  millantarmi  alquanto  55o 
Voglio  qual  mi  comanda  il  folle  vino, 
Che  talvolta  i   più  saggi  a  cantar  mosse 
Più  là  d'  ogni  misura,  a  mollemente 
Rider,  spiccar    salti  improvvisi,  ed  anche 
Quello  a   parlar,  ch'era  tacere  il  meglio.  555 
Ma  dacché  un  tratto  a  cicalare  io  presi, 
Nulla  io  terrò  nel  petto.  Oh  di  quel  fióre 
Fossi,  e  tornassi  in  quelle  forze,  ch'io 
Sentiami  al   tempo  che  sott' Ilio  agguati 
Teudemmo,  Ulisse,  ed  il  secondo  Arride,  56o 
E,  cosi  ad  essi  piacque,  io  terzo  duce! 
Tosto  che  alla  cittade  e  all'alte  mura 
Vicini  fummo,  tra  i  virgulti  densi, 
E  nelle  canne  paludose  a  terra 
Giacevara  sotto  l'armi.  Impronta  notte   555 
Ci  assalse:  un  crudo  Tramontan  soffiava 
Scendea  la  neve,  qual  gelata  brina, 
E  gli  scudi  incrostava  il  ghiaccio.  Gli  altri, 
Che  miuti  aveano  e  tuniche,  tranquilli 
Dormian,  poggiando  alle  lor  targhe  il  dosso.  570 
Ma  io,   partendo  dai  compagni,   il  manto 
Nella  stoltezza  mia  lasciai  tra  loro, 
Non  imperando  un  si  pungente  verno; 
E  una  tunica,  un  cingolo  e  uno  scudo 
Meco  sol  tolsi.  Della  notte  il  terzo 
Era,  e  gli  astri  cadevano,  e  ad   Ulisse, 
Che  mi  giacea  da  presso,  io  tai  parole, 
Frugandolo  del  gomito,  rivolsi: 
Illustre  e  scaltro  di  Laerte  figlio, 
Cosi  mi  doma  il  gel ,  eh'  io  più  tra  i  vivi     58o 
Non  rimarrò.  Mi  filila  un  manto.  Un   Dio, 
Che  mi  deluse,  di  vestirmi  solo 
La  tunica  inspirommi.  Or  quale  scampo? 
Ei,  le  parole  udite,  un  suo  partito 
Scelse  di  botto,  come  quei  che  meno      585 
Ai  consigli  nou  fu,  che  all'armi,   pronto. 
Taci,  rispose  con  sommessa  voce, 
Che  alcun  Greco  non  t'oda.  E  poi,  del  braccio 
Facendo,  e  della  man  sostegno  al  mento, 
Amici,  disse,  un  sogno,  un  divin  sogno,  5go 
Dormendo  m'avverti,  che  dilungati 
Troppo  ci  siam  dille  veloci  invi. 
Quindi  al  paslor  di  genti  Agamennone 
Corra  uu  di  noi,  perchè,  se  ben  gli  sembra, 
Ne  mandi  altri  guerrieri,  e  ne  rinforzi.  5g5 
Disse,  e  Toanle,  d' Andremóne  il  figlio, 
Sorse,  e  corse  al  navil,  deposto  prima 
Il   purpureo  suo  manto;  ed  io  con  gioja 
Men  cinsi,  e  vi  stetti  entro,  in  sin  che  apparve 
Sul  trono  d'  ór  la  ditirosea  Aurora.  600 

Se  quel  fior,  quelle'forze  io  non  piangessi, 
Me  forse  alcuu  de'  tuoi  compagni,    Euméo, 
Per  riverenza  e  amore  ad  un  buon  vecchio, 
Di  manto  fornirla  :  ma  or,  veggendo 
Questi  miei  cenci,  ciascun  tiemmi  a  vile.  6o5 
Tu  così,  Euméo,  gli  rispondesti  allora: 
Bella  fu,  amico,  la  tua  storia,  e  uu  motto 
Non  t'  usci  delle  labbra  o  sconcio  o  vano. 


575 


74 


ODISSEA  LIB.  XIV 


Però  di  reste,  o  d'altro,  che  infelice 
Merla  supplicante  uomo,  in  questa  notte  610 
Difetto  nou  avrai.  Ma,  nato  il  Sole, 
T'adatterai  gli  usati  panni  intorno. 
Poche  son  qui  le  cappe,  e  a  suo  piacere 
Di  tunica  non  puote  alcun  mutarsi: 
Star  dee  contento  ad  una  sola  ognuno.  6i5 
Come  giunto  sarà  d'Ulisse  il  figlio, 
Ei  di  vestirti  e  di  mandarti ,  dove 
Ti  consiglia  il  tuo  cor,  pensier  darassi. 
S'alzò,  cosi  dicendo,  e  presso  al  foco 
Poneagli  il  letto,  e  di  montoni  e  capre  620 
Pelli  stendeavi,  in  che  l'eroe  sdrajossi; 
E  d'un  largo  il  coprì  suo  denso  manto, 
Ch'egli  a  sé  stesso  circondar  solea, 
Quando  turbava  il  ciel  fiera  tempesta. 


Così  là  giacque  Ulisse;  e  accanto  a  lui    6^5 
Si  corcaro  i  garzoni  :  ma  corcarsi 
Disgiunto  da'  suoi  verri  Euméo  non  volle. 
Fuori  uscito  ei  s'armava;   e  Ulisse  in  core 
Gioia,  mirando  lui  del  suo  Re  tanto 
Curare  i  beni,  benché  lungi  il  creda.      6*50 
Prima  ei  sospese  agli  omeri  gagliardi 
L'acuta  spada:  indi  a  sé  intorno  un  folto 
Manto  gitiò,  che  il  difendea  dal  vento; 
Tolse  una  pelle  di  corputa  e  gra->sa 
Capra;  e  un  pungente  dardo  in  man  1  ecossi, 635 
Degli  uomini  spavento  e  de'  mastini. 
Tale  s'  andò  a  corcar,  dove  protetti 
Dal  soffio  d'  Aquilone  i  setolosi 
Verri  dormian  sotto  una  cava  rupe. 


LIBRO  DECIM0QU1NT0 


ARGOMENTO 

Minerva  appare  di  notte  a  Telemaco,  e  il  coniarla  di  tornare  in  Itaca.  Ei  si  congeda  da  Menelao,  • 
parte  col  figliuolo  di  Nestore.  Giunto  a  Pilo,  si  rimbarca,  senta  rientrare  nella  citta;  e  accoglie  nella  sua 
nave  un  indovino  d'Argo,  chiamalo  Teocliméuo,  che  fu  costretto  lasciar  la  Patria  per  omicidio.  Frattanto 
colloqui  tra  Ulisse  ed  Euroc'o;  il  quale,  non  riconoscendolo  ancora,  gli  narra,  come  da  corsari  Eemc|  rapilo 
fu  mentr'  era  fanciullo,  dall'isola  Siria,  e  venduto  a  Laerte.  Telemaco,  arrivato  salvo  alle  spiagge  d'Itaca, 
manda  alla  cidi  la  nave,  e  va  tulio  solo  alla  casa  d'Eurae'o,  di  cui  conosce  la  fedeltà. 


N 


eli'  ampia  Lacedemone  Minerva 
Entrava  intanto  ad  ammonir  d'Ulisse 
L'inclita  prole,  che  di  far  ritorno 
Alle  patrie  contrade  era  già  tempo. 
Trovollo  che  giacea  di  Menelao  5 

Neil'  atrio  con  Pisistrnto.  Ingombrava 
Un  molle  sonno  di  Neslorre  il  figlio: 
Ma  l'Ulisside,  cui  l'incerta  sorte 
Del  caro  padre  fieramente  turba, 
Pensavane  ad  ognora,  e  invan  per  lui       io 
D'  alto  i  balsami  suoi  spargea  la  notte. 
La  Dea,  che  azzurri  gli  occhi  in  giro  muove, 
Appressollo,  e,  Telemaco,  gli  disse, 
Non  fa  per  te  di  rimanerti  ancora 
D'Itaca  fuori,  e  lungi  fiali'  allerti  i5 

Turba  malnata  degli  arditi  Proci, 
Che,  divisa  tra  lor  la  tua  sostanza, 
Divorinsi  al  fin  tutto,  e,   non  che  vano, 
Dannoso  a  te  questo  viaggio  torni. 
Levati,  e  pressa  il  valoroso  Atride  20 

Di  congedarti,   onde  nel  tuo  palagio 
Trovi  la  madre  tua,  che  Icario  il  padre 
Co'  fratelli  oggimai  sforza  alla  mano 
D'  Eurimaco,  il  qual  cresce  i  maritali 
Doni,  e  ogni  suo  rivai  d'ambilo  vince.     2.5 
Guarda,  non  del  palagio  a  tuo  dispetto 
Parie  de'  beni  con  la  madre  t'esra: 
Però  che  sai,  qual  cor  s'  abbia  ogni  donna. 
Ingrandir  brama  del  secondo  sposo 
La  nuova  casa;  e  de'  suoi  primi  figli,       3o 
E  di  colui  che  vergine  impalmolla, 
Non  si  rammenta  più,  più  non  ricerca, 
Quando  ei  nel  bujo  della  tomba  giace. 
Tu,  partita  la  madre,  a  quale  ancella 
Più  dabbene  ti  sembri,  e  più  sentita,      35 


Commetti  il  tutto,  finché  illustre  sposa 
Ti  presentino  al  guardo  i  Dei  clementi. 
Altro  dirotti ,  e  il  riporrai  nel  core. 
Degli  amanti  i  più  rei,  che  tor  dal    mondo 
Prima  vorrianti,  che  alla  Patria  arrivi,     4° 
Nel  mar  tra  la  pietrosa  Itaca  e  Sanie 
Stanno  in  agguato.  Io  crederò  che  indarno, 
E  che  la  terra  pria  1'  ossa  spolpate 
De'  tuoi  nemici  chiuderà  nel  seno. 
Non   pertanto  la  nave  indi  lontana  fó 

Tieni,  e  notturno  naviga:  un  amico 
Vento  t1  inviterà  quel  tra  gli  Eterni, 
Chiunque  sia,  che  ti  difende  e  guarda. 
Come  d'Itaca  giunto  alla  più  estrema 
Riva  sarai,  lascia  ir  la  nave,  e  tutti  5o 

Alla  città  i  compagni;  e  tu  il  custode 
Cerca  de'  verri,  che  un  gran  ben  ti  vuole. 
Seco  passa  la  notte,  ed  in  su  l'alba 
Mandai  significando  alla  Regina, 
Che  a  lei  da  Pilo  ritornasti  illeso.  55 

Ciò  detto,  in  un  balen  salse  all'Olimpo. 
Egli  1'  amico  dal  suo  dolce  sonno, 
Urtandolo  del  pie,  subito  scosse, 
E  gli  drizzò  queste  parole:  Sorgi, 
Pisistrato,  ed  al  cocchio  i  corridori  60 

Solidoiinghiati  sottoponi,  e  accoppia, 
Se  anche  il  viaggio  nostro  aver  dee  fine. 
Telen-.co,  il  Nestoride  rispose, 
Benché  ci  tardi  di  partir,   non  lice 
Dell'  atra  notte  carreggiar  per  1'  ombre.    65 
Poco  1'  Aurora  tarderà.  Sostieni 
Tanto  almen,  che  il  di  lancia  esperto  Alride 
Ponga  nel  cocchio  gli  ospitali  doni, 
E  gentilmente  ti  licenzi.  Eterna 
L'  ospite  rimembranza  in  petto  serba         70 


ODISSEA  LIBRO  DEC1MOQWNTO 


Di  chi  un  bel  pegno  n"  amistà  gli   porse. 
Disse;  e  nel  trono  d1  ór  F  Aurora  apparve. 

Il  prode  Menelao  di  letto  allora 
Sorto,  e  d'allato  della  bella  Ele'na, 
Venne  alla  volta   lor:  nò  prima  il  caro      «;5 
Figlinol  d1  Ulisse  Pavvisò,  che  in  fretta 
Della  lucente  tunica  le  membra 
Cinse,  e  «ritto  il  gran  manto  a  se  d1  intorno, 
Ed  uscì   fno»-; ,    e   P  abbordò,  e  gli   disse: 
Figlio  d'  Atréo,  di   Giove  alunno,  duce    80 
Di  »enli,  me  rimanda  oggi  al  diletto 
Nativo  ciel.  cui  già  eon  l'alma  io  volo. 

Telemaco,   rispose  il  forte    Atride, 

10  ritenerli  ani  lunga  stagione 

Non  voglio  a  tuo  mal  cuore.  Odio  chi  suole  85 
Gli  ospiti  suoi  festeggiar  troppo,  o  troppo 
Spregiarli:  il  meglio  sempre  è  star  nel  mezzo. 
Certo  peccan  del   par  chi  discortese 
L'  ospite  c.ireia  di  restar  bramoso, 
E  chi  bramoso  di   partir  1'  arresta.  go 

Care/zdo  indurante,  e  quando  seorgi 
Che  levarsi  disia,  dagli  commiato. 
Tanto  dimora  sol,  eh1  io  non  vulgari 
Doni  nel  cocchio,  te  presente,  ponga: 
E  comandi  alle  femmine  che  un  pronto   o,5 
Conforto  largo  di  serbate  dapi 
T'apprestiti   nella  sala.  E  gloiì'oso 
Del  par  che  utile  a  te  dell1  infinita 
Terra  su  i  campi  non   passar  digiuno. 
Vuoi  tu  aggirarti  per  la  Grecia  e  F  Argo?     100 
Giungerò  i   miei   destrieri,  e  alle  diverse 
Città  ti  condurrò:  treppiede,  o  conca 
Di  bronzo,  o  «lue  bene  apnajati  muli, 
O  vaga  d'  oro  effigiata  tazza , 
Ci  donerà  ciascuno,  e  senza  doni  io5 

Cittade  non  sarà  ebe  ci  accommiati. 

Telemaco  a  rincontro:  Menelao, 
Di  Giove  alunno,  condottier  di  genti, 
Nel  mio  palagio,  ove  nessun  che  il  guardi, 
Partendone,  io  lasciai,  rieder  mi  giova,  110 
Acciocché,  mentre  il  padre  indarno  io  cerco, 
Tutti  io  non  perda  i  suoi  tesori  e  miei. 

Udito  questo,  ad  Elena  e  alle  fanti 
L1  Atride  comandò,  s'apparecchiasse 
Subita  e  lauta  mensa.  Èieoneo,  n5 

Clic  poco  lungi  dal  suo  Re  dormfa, 
Sorto  appena  di  letto,  a  lui  sen  venne; 
E  il   foco  suscitar,  cuocer  le  carni, 
GÌ' impose  Menelao:  né  ad  ubbidirgli 
Tardò  un  istante  di  Boete  il  figlio.  120 

Nell'odorata  solitaria  stanza 
Menelao  scese,  e  non  già  sol:  che  seco 
Scesero  Elena  e  Megapente.  Giunti 
Là, 've  la  ricca  suppelleltil  giace, 
Tolse  F  Atride  biondo  una  ritonda  ia5 

Gemina  coppa,  e  di  levare  un'  urna 
D'  argento  al  figlio  Megapente  ingiunse. 
Ma  la  donna  fermos=i  all'  arebe  innanzi, 
Ove  i  pepli  giacean,  che  da  lei  stessa 
Travagliati  già  fòro,  e  variati  ilo 

Con  ogni  sorta  d'  artificio    Eléna 

11  più  ampio  traeane,  ed  il  più  bello 
Per  moltipbci  fregi:  era  nel  fondo 
Dell'  arca,  e  si  rilane  in  quel  che  alzollo, 
Che  stella  parve  che  dai  flutti  emerga.    1 35 
Con  tai  doni  le  stanze  attraversaro, 


Finché  furo  a  Telemaco  davante, 

Cui  questi  accenti  Menelao  converse: 

Fortunato  cosi,  come  tu  il  brami, 

Ti  consenta,  o  Telemaco,  il  ritorno         140 

L'  altitonante  di  Giunon  marito. 

Io  di  quel,  che  possiedo,  a  te  dar  voglio 

Ciò  che  mi  sembra  più  leggiadro  e  raro: 

Un'  urna  effigiata,  argento  tutta, 

Se  non  quanto  su  i  labbri  oro  gialleggia,    \^5 

Di  Vulcano  fattura.  Il  generoso 

Re  di  Sidone,   Fedimo,  dimoila 

A   me.  che  d'Ilio  ritornava,  e  cui 

Ricettò  ne' suoi  tetti;  e  a  te  io  la  dono. 

L'  Atride  in  mano  gli  mettea  la  tonda      i5o 
Gemina  coppa  :  Megapente  ai  piedi 
Gli  recò  l'urna  sfolgorante;  e  poi 
Elena ,  belli  guancia,  a  lui  di  contra 
Stette  col  peplo  su  le  braccia,  e  disse: 
Ricevi  anco  da  me,  figlio  diletto,  1 55 

Ouest'  altro  dono,  e  per  memoria  tienlo 
Delle  mani  d'  Eléna.  Alla  tua  sposa 
Nel  sospirato  di  delle  sue  nozze 
Le  membra  coprirà.  Rimanga  intanto 
Della  prudente  genitrice  in  guardia;        160 
E  tu  alla  patria  terra,  e  alle  superbe 
Case  de'  padri  tuoi,  giungi  felice. 
Ei  con  gioja  sei  prese;  e  i  doni  tutti, 
Poiché  ammirata  la  materia  e  F  arte 
N'ebbe,  allogò  Pisistrato  nel  carro.  i65 

Quindi  F  Atride  dalla  bionda  testa 
Ambi  condusse  nella  reggia,  dove 
Sovra  i  troni  sedettero.  L'ancella 
Subitamente  da  bel  vaso  d'oro 
Nell'argenteo  bacile  acqua  lucente  170 

Spandea,  siendea  desco  polito,  in  cui 
La  veneranda  dispensicra  i   bianchi 
Pani  venne  ad  imporre,  e  non  già  poche 
Delle  dapi  serbate,  ond' è  custode. 
Eteonéo  partia  le  carni,  e  il  vino  i«;5 

Megapente  versava;  e  i  due  stranieri 
La  mano  all'uno  e  all'altro  ivan  porgendo. 
Ma  come  sazj  della  mensa  furo, 
Aggiogaro  i  cavalli,  e  la  vergata 
Biga  pronti  salirò,  e  F  agitato  180 

Fuor  dell'atrio  e  ilei  portico  sonante. 
Uscì  con  essi   Menelao,  spumosa, 
Perehè  libasser  pria,  ciotola  d'oro 
Nella  destra  tenendo,  e  de'  cavalli 
Fermossi  a  fronte,  e,  propinando,  disse:  i85 
Salute,  o  prodi  giovanetti,  a  voi 
Ed  al  pastor  de'  popoli  salute 
Per  vostra  bocca,  a  Nestore,  che  fnmmi 
Dolce,  qnal  padre,  sotto  i  Teucri  muri. 

Ed  il  saggio  Telemaco  a  rincontro;  190 

Tutto,   non  dubitar,  di  Giove  alunno, 
Saprà  il  buon  vecchio.  Oh  potess'io  non  manco, 
Tosto  eh'  io  sarò  in  Itaca ,  ad  Ulisse 
Mostrare  i  tanti  e,  così  ricchi  doni 
Ch'io  da  te  ricevetti,  e  raccontargli,     to.5 
Quale  accoglienza  io  n'ebbi  e  qnal  commiato! 

Tal  favellava;  e  a  lui  di  sopra  e  a  destra 
Un'aquila  volò,  che  bianca  e  grande, 
Domestica  oca  con  gli  adunchi  artigli 
Dalla  corte  rapi'a.  Dietro  gridando  aoo 

Uomini  e  donne  le  correan:  ma  quella 
S'accostò,  pur  da  destra,   ai  due  garzoni, 


,r, 

E  davanti  ai  destrier  rivolo  in  alto. 
Tutti  gioirò  a  rotai  vista,  e  primo 
Fu  Pisistrato  a  dir:  Nobile  Alride,         2o5 
Pensa  in  te  stesso,  se  a  te  forse,  o  a  noi 
Tal  prodigio  inviaro  i  Sempiterni, 
ti  la  risposta  entro  da  sé  cercava, 
Ma  l1  antivenne  la  divina  Eléna, 
Dicendo,  udite  me.  Quel  ch'io  indovino,  210 
Certo  avverrà:  che  me  P  inspira  un  Nume. 
Come  questa  volante  aquila  scesa 
Dal  natio  monte,  che  i  suoi  parti  guarda, 
Si  rapì  Poca  nel  cortil  nodrila, 
Non  altrimenti  Ulisse,  alle  paterne  2i5 

Case  venuto  da  lontani  lidi. 
Su  i  Proci  piomberà;  se  pur  non  venne, 
E  lor  non  apparecchia  orrida  morte. 
E  Telemaco  allor:  Così  ciò  voglia 
L'altitonante  di  Giunon  marito,  220 

Come  voli  da  me  tu  avrai,  qual  Diva! 
Disse,  e  i  destrieri  flagellò,  che  ratti 
Mosser  per  la  cittade,  e  ai  campi  uscirò. 
Correan  l'intero  dì,  squassando  il  giogo, 
Che  ad  ambi  stava  sul  robusto  collo.      225 
Tramontò  il  Sole,  ed  imbrutitati  le  strade; 
E  i  due  giovani  a  Fera,  e  alla  magione 
Di  Di'ócle  arrivar,  del  prode  figlio 
D1  Orsiloco  d1  Alféo,  dove  riposi 
Ebber  tranquilli,  ed  ospitali  doni.  23o 

Ma  come  al  Sole  con  le  man  rosate 
L'Aurora  aperse  le  celesti   porte, 
I  cavalli  aggiogalo,  e  risalirò 
La  vergolata  biga,  e  P  agitaro 
Fuor  dell'atrio  e  del  portico  sonante.     235 
Sferzò  i  destrieri  Pisistrato,  e  i  destrieri 
Di  buon  grado  volavano:  né  mollo 
Stelter  di  Pilo  ad  apparir  le  torri. 
Allor  così  Telemaco  si  volse 
Al  figliuol  di  Neslorre:  O  di  Nestorre    2/}o 
Figliuol,  non  desti  a  me  fede,  che  sempre 
Ciò  tu  faresti,   che  mi  fosse  gioja? 
Paterni  ospiti  siano,  siam  d1  un' etade, 
E  più  ancor  ci  unirà  questa  viaggio. 
Non   mi  guidare  olirà  il  naviglio  mio,    a/iS 
Colà  mi   lascia:  ritenermi  il  vecchio 
Mal  mio  grado  appo  sé,  di  carezzarmi 
Dcmoso  ,  potrebbe;  e  a  me  bisogna 
Toccare  in  breve  la  natia  contrada. 
Mentre  così  P  un  fai  filava  ali1  altro,  s5o 

Che  (P  attener  la  sua  promessa  i  modi 
Discorrea  con  la  mente,   in  questo  parve 
Dover  fermarsi.  Ripiegò  i  destrieri 
Verso  il  mare  e  il  naviglio;  e  i  bei  presenti, 
Onde  ornato  il  compagno  avea  l1  Atride,  a55 
Scaricò  su  la  poppa.  Indi,  Su  via, 
Monta,  disse,  di  fretta,  e  a1  tuoi  comanda 
Pria  la  nave  salir,  che  me  il  mio  telto 
Riceva,  e  il  tutto  a!  genitore  io  narri. 
So,  qual  chiuda  nel  petto  alma  sdegnosa;  260 
Ti  negherà  il  congedo,  in  su  la  riva 
Verrà  egli  stesso,   e  benché  senza  doni 
Da  lui,  cred'io,  tu  non  partissi,  un  forte 
Della  collera  sua  scoppio  io  preveggo. 
Dette  tai  cose,  alla  città  de1   Pilj  2Ò5 

Spinse  i  destrieri  dal  leggiadro  crine, 
E  ali1  eccelsa  magion  rapido  giunse. 
E  Telemaco  a1  suoi:  Pronti  la  nave, 


ODISSEA 


Compagni,  armate,  e  su  montiamvi,  eandiamo. 

L1  ascoltaro,  o  ubbidirò.  Immantinente  270 

Montava,  e  s'assidea  ciascun  su  i  banchi. 

Ei,  la  partenza  accelerando,  a  Palla 

Prieghi  alla  poppa,  e  sagrifìci  offria; 

Quando  esnl  dalla  verde  Argo  ferace 

Per  non  voluta  uccisione  ignoto  2^5 

Viandante  appressollo:  era  indovino, 

E  di  Melampo  dalla  stirpe  srp^o. 

Nella  madre  di  greggi  inclita  Pilo 

Mrlampo  prima  soggiornava,  e,  come 

Ricco  uom,   superbo  vi  abitava  ostello:    280 

Poi,  fuggendo  la  Patria,  ed  il  più  illustre 

Tra  gli  uomini  Neléo,    che  i  suoi  tesori 

Un  anno  intero  riteneagli  a  forza, 

Capitò  ad  altre  genti,  e  duri  lacci 

Nell'albergo  di   Filaco,   e  dolori  285 

Gravi  sostenne  per  la  vaga  figlia 

Di  Neleo,  e  per  P  audace  opra,  cui  messa 

Gli  avea  nel  capo  la  tremenda  Erinni. 

Ma  scampò  dalla  morte,  e  a  Pilo  addusse 

Le  contrastate  altomngghianti  vacche,     290 

Si  vendicò  dell'  infedel  Neléo, 

E  consorte  al  fratel  la  vaga  Pero 

Da  Filace  menò.  Quindi  ali1  altrice 

Di  nobili  destrieri  Argo  sen  venne, 

Volendo  il  fato  che  su  i  molli  Argivi     295 

Regnasse;  sposa  quivi  scelse;  al  cielo 

Levò  le  pietre  della  sua  dimoia; 

E  i  forti  generò  Mantio  e  Antifàte. 

Di  onesto  il  grande  Oicléo  nacque,  ed'Oicleo 

Il  salvator  di  genti  Anfiarao  ,  3oo 

Cui  tanto  amor  Febo  portava,  e  Giove. 

Pur  di  lecchi ezza  non  toccò  la  soglia  : 

Che,  generati  Anfiìoeo  e  Alcmeóne, 

Sotto  Tebe  perì  dalla  più  avara 

Donna  tradito.  Ma  da  Mantio  al  giorno  3o5 

Clito  uscirò  e  Polifide.  L1  Aurora, 

Per  la  beltà  che  in  Clito  alta  splendea, 

Rapillo,  e  il  collocò  tra  gì1  Immortali; 

E  Febo,  spento  Anfiarao,  concesse 

Più,  che  ad  altr1  uom,  de1  vaticinj  il  dono  3io 

A   Polifide,  il  qual,  crucciato  al  padre, 

Trapassò  in  Iperesia,  ove  a  ciascuno 

Del  futuro  squarciar  solea  il  velame. 

Figlio  a  questo  era  il  pcllegrin  che  stette 
Di  Telemaco  al  fianco,  e  si  chiamava      3i 5 
Teocliméno:  appo  la  negra  nave, 
Meni r1  ci  libava  e  supplicava,  il  colse, 
E  a  lui  con  voci  alate,   Amico,  disse, 
Poi  eh1  io  ti  trovo  a  questi  ufici  intento, 
Pe1  sagrifìzj  tuoi,  pel  Dio  cui  gli  offri,  320 
Per  lo  tuo  capo  slesso,  e  per  cotesti 
Compagni  tuoi,  non  mi  nasconder  nulla 
Di  quanto  io  chiederò.  Chi,  e  donde  sei? 
Dove  i  parenti  a  te?  la  Patria  dove? 

Stranier,  così  Telemaco  rispose,  325 

Su  i  labbri  miei  non  sonerà  che  il  vero. 
Itaca  è  la  mia  Patria,  il  padre  è  Ulisse, 
Se  un  padre  ho  ancor:  quel,  di  cui  forte  io  temo. 
Però  con  negra  nave  e  gente  fida 
Partii,  cercando  per  diversi  lochi  33o 

Novelle  di  quel  misero,  cui  lunge 
Tien  dalla  Patria  sua  gran  tempo  li  fato. 

E   il  pari  ai  Dei  Teoclime'no:  Anch1  io 
L  ungi  erro  dalla  mia,   dacché  v1  uccisi 


LIBRO  DECIMOQCINTO 


77 


Uom  della  mia  tribù,  che  lasciò  molti    335 
Pai  enti  e  amici  prepossenti  in  Argo. 
Delle  lor  man  vendicatrici  uscito, 
Fuggo,  e  sieguo  il  de.-tin  che  P  ampia  terra 
Con  pie  ramingo  a  calpestar  mi  tragge. 
Deli  su  la  nave  tua  me  supplicante  340 

Ricovra,  e  da  color  che  vengon  forse 
Su   i   miei  vestigi,  tu  che  il  puoi,  mi  salva. 

Il  prudente  Telemaco  di   nuovo: 
Dalla  mia  nave,  in  cui  salir  tu  brami, 
Esser  non  potrà  mai  eh1  io  ti  respinga.  345 
Seguimi  pur:  non  mancheranti  in  nave 
Quei,  che  di  darti  è  in  me,  doni  ospitali. 

Ciò  detto,  Tasta  dalla  man  gli  prese, 
E  della  nave  stesela  sul  palco. 
Posria  montov\i,csedeinpoppa,  eal6anco35o 
Seder  si  feo  Teocliine'no.  Sciolte 
Dai  compagni  le  funi,  ei  loro  impose 
Di  correre  agli  attrezzi,  ed  i  compagni 
Ratti  ubbidirò:  il  grosso  abete  in  alto 
Drizzaro,  e  P  impiantaro  entro  la  cava   355 
Base,  di  corda  P  annodaro  al  piede, 
E  le  candide  vele  in  su  tiraro 
Con  bene  attorti  cuoi.  La  Dea  che  in  giro 
Pupille  tinte  d1  azzurrino  muove, 
Precipite  mandò  dal  cielo  un  vento         36o 
Destro,  gagliardo,  perché  in  brevi  istanti 
Misurasse  del  mar  l'onde  il  naviglio. 
Crune  passò  il  buon  legno,  e  la  di   belle 
Acque  irrigata  Calcide,  che  il  Sole 
Già  tramontava,  ed  imbrunian  le  strade;  365 
E,  spinto  sempre  da  quel  vento  amico, 
Cui  governava  un  Dio,  sopra  Fea  sorse, 
E  di    là  costeggiò  P  Elide,  dove 
Regnan  gli   Epci.   Quinci  il  figliuol  d'Ulisse 
Tra  le  scoscese  Echinadi  si  mise,  3^o 

Pur  rivolgendo  nel  suo  cor,  se  i  lacci 
Schiverebbe  de"  Proci  ,  o  vi  cadrebbe. 

Ma  in  altra  parte  Ulisse  e  il  buon  custode 
Sedean  sott' esso  il   padiglione  a  cena, 
E  non  lunge  sedean  gli  altri  pastori.       3^5 
Pago  de1  cibi  il  naturai  talento, 
Ulisse  favellò,  tentando  Euméo, 
S1  ei,  non  cessando  dalle  cure  amiche, 
Ritenerlo  appo  sé  nella  sua  cara 
Stalla  intendesse,  o  alla  città  mandarlo.  38o 
Euméo,  disse,  m'ascolta;  e  voi  pur  tutti. 
Tosto  che  il  del  s'inalbi,  alla  cittade, 
Ond1  io  te  non  consumi ,  ed  i  compagni , 
Condurmi  io  voglio  a  mendicar  la  vita. 
Ma  tu  d'utili  avvisi,  e  d'una  scorta       385 
Fidata  mi  provvedi.  Andrò  vagando 
Di   porla  iti  porta,  e  ricercando,  come 
Sforzami  rea  necessità,  chi  un  pane 
Mi  porga,  ed  una  ciotola.  D'Ulisse 
Mi  farò  ai  tetti ,  e  alla  sua  donna  saggia     390 
Novelle  recheronne,  e  avvolgerommi 
Tra  i  Proci  alteri,  die  lasciarmi  forse 
Nella  lor  copia  non  vorran  digiuno, 
lo.   che  che  piaccia  lor,  subito  e  bene, 
Eseguirò;  poiché  saper  t' è  d'uopo  3o,5 

Che  per  favor  del  messaggiero  Ermete, 
Da  cui  grazia  ed  onore  acquista  ogni  opra, 
Tal  son,  che  ne' servigi,  o  il  foco  sparso 
Raccor  convenga  ,  o  le  risecche  legna 
Fendere ,   o  cuocer  le  tagliate  carni ,      400 


O  il  vin  d'alto  versare,  uffici  tatti 

Che  i  minori  prestar  sogliono  ai  grandi , 

Me  nessun  vjnee  su  P  immensa  terra. 

Sdegnato  assai  gli  rispondesti,  Euméo: 
Ahi!  qual  pensier  ti  cadde,  ospite,  incapo?  4°5 
Brami  perir,  se  raggirarti  pensi 
Tra  i  Proci,  la  cui  folle  oltracotanza 
Sale  del  ciel  sino  alla  ferrea  volta. 
Credi  a  te  somigliare  i  lor  donzelli? 
Giovani  in  belle  vestimenta,  ed  unti      ^\o 
La  chioma  sempre,  e  la  leggiadra  faccia, 
Ministrano  ai  superbi;  e  sempre  carche 
Delle  carni,  de'  pani  e  de'  licori 
Splendono  agli  occhi  le  polite  mense. 
Rimani:  che  né  a  me,  né  de' compagni      4'^ 
Grave  ad  alcun  la  tua  presenza  torna. 
Ma  come  giunto  sia  d1  Ulisse  il  figlio , 
Da  lui  tunica  e  manto,  e  da  lui  scorta 
Riceverai ,  dove  che  andar  t'  aggradi. 

Euméo,  rispose  il  paziente  Ulisse,  420 

Possa  Giove  amar  te,  siccome  io  t'amo, 
Te,  che  al  vagar  mio  lungo  ed  all'inopia 
Ponesti  fine!  Io  non  so  peggio  vita: 
Ma  il  famelico  stomaco  latrante 
GP  inopi  a  errar,  per  acchetarlo,  sforza,  4^5 
E  que'  mali  a  soffrir  ,  che  ad  una  vita 
Povera  s'accompagnano,  e  raminga. 
Or,  quando  vuoi  eh'  io  teco  resti,  e  aspetti 
Telemaco,  su  via,  della  canuta 
Madre  «P  Ulisse  parlami ,  e  del  padre,    4^o 
Che  al  tempo  che  il  figliuol  sciolse  per  Troja, 
Della  vecchiezza  il  limitar  toccava. 
Veggon  del  Sole  in  qualche  parte  i  rai? 
O  d'Aide  la  magion  freddi  gli  accolse? 

Ospite,  ripigliò  l'inclito  Euméo,  1^35 

Altro  da  me  tu  non  udrai  ,  che  il  vero. 
Laerte  vive  ancora ,  e  Giove  prega 
Che  la  stanca  dal  corpo  alma  gli  tragga  : 
Tanto  del  figlio  per  1'  assenza,  tanto 
Per  la  morie  si  duol  della  prudente       44° 
Moglie,  che  intatta  disposollo,  e  in  trista 
Morendo  il  collocò  vecchiezza  cruda. 
La  lontananza  del  suo  Gglio  illustre 
A  poco  a  poco,  ed  infelicemente, 
Sotterra  la  condusse.  Ah  tolga  Giove,     44^ 
Che  qual  ni'  è  amico,  e  con  amor  mi  tratta, 
Per  una  simil  via  discenda  a  Dite! 
Finch' ella  visse,  m'era  dolce  cosa, 
*ebben  dolente  si  mostrasse  in  faccia, 
L'  interrogarla  e  il  ricercarla  spesso:      4*>° 
Poich'ella    mi  nutri  con  la  de'  pepli 
Vaga  Ctimene,  sua  figliuola  egregia, 
E  de'  suoi  parti  1'  ultimo.  Con  questa 
Cresceami,  e  quasi  m'onorava  al  pari. 
Ma  come  fummo  della  nostra  etade         4^ 
Ambi  sul  primo  invidiabil  fiore, 
Sposa  lei  fero  in  Same ,  e  ricchi  doni 
N'  ebbero ,  ed  infiniti  ;  e  me  con  vesti 
Leggiadre  in  dosso,  e  bei  calzari  ai  piedi, 
Mandò  i  campi  abitar  la  mia  signora,     4^° 
Che  di  cor  ciascun  dì  vie  più  m'amava. 
Quanto  seco  io  perdetti  !  E  ver  che  queste 
Fatiche  dure,  in  che  la  vita  io  spendo, 
Mi  forlunano  i  Numi,  e  ch'io  gli  estrani 
Finor  ne  alimentai,  non  che  me  stesso.     4^ 
Ma  di  fatti  conforto,  o  di  parole 


* 


ODISSEA 


Sperare  or  da  Penelope  non  lire: 
Cliè  tutta  in  preda  di  superba  gente 
È  la  magion  ;  riè  alla  Regina  ponno 
Rappresentarsi  e  far  domande  i  servi ,    4y° 
Pigliar  cibo  e  bevanda  al  suo  cospetto, 
E  poi  di  quello  ancor,  die  Filma  loro 
Sempre  rallegra  ,  riportare  ai  eampi. 
Eumeo  ,  rispose  l1  avveduto  Ulisse  , 
Te  dalla  Patria  lungi  e  da'  parenti  fc5 

Pargoletto  sbalzò  dunque  il  tuo  fato? 
Orsù,  ciò  dimmi,  e  schiettamente:  venne 
La  città  disertata,  in  cui  soggiorno 
Avea  la  madre  veneranda  e  il  padre? 

0  incautamente  abbandonato  fosti  4^° 
Presso  le  agnelle  o  i  tori,  e  gente  ostile 
Ti  rapì  sulle  navi,  e  ai  tetti  addusse 

Di  questo  Re,  che  ti  comprò  a  gran  prezzo? 

Ed  a  rincontro  Fuméo,  d'  uomini  capo  : 
Quando  a  te  risaperlo ,  ospite,  cale ,      fò5 
Tacito  ascolta,  e  goditi,  e  alle  labbra 
Metti,  assiso,  la  tazza.  Or  così  lunghe 
Le  notti  van  ,  che  trapassar  si  ponno 
Parte  dormendo  ,  e  novellando  parte. 
Né  corcarti  t'  è  d'uopo  innanzi  al  tempo:  49° 
Anco  il  gran  sonno  nuoce.  Ove  degli  altri 
Ciò  piacesse  ad  alcuno,    esca  e  s1  addorma  : 
Ma,  fatto  bianco  1'  Oriente ,  siegua , 
Non  digiuno  però,  gì1  ispidi  verri. 
E  noi  sediam  nel  padiglione  a  mensa,    4<)5 
Ambi  a  vicenda  delle  nostre  doglie 
Diletto,  rimembrandole,  prendendo  ; 
Poiché  de1  mali  ancora  uom,  che  sofferse 
Molto,  e  molto  vagò,  prende  diletto. 

Ccrt'  isola  ,  se  mai  parlar  ne  udisti  ,  5oo 

Giace  a  Delo  di  sopra,  e  Siria  è  detta, 
Dove  segnati  del  corrente  Sole 

1  ritorni  si  veggono.  Già  grande 

Non  è  troppo,  ina  buona;  armenti  e  greggi 
Produce  in  copia,  e  ogni  speranza  vince  5o5 
Col  frumento  e  col  vino.  Ivi  ìa  fame 
Non  entra  mai,  né  alcun  funesto  morbo 
Consuma  lento  i  miseri  mortali: 
Ma  come  il  crine  agli  abitanti  imbianca, 
Cala  ,  portando  in  man  Parco  d'argento,  5io 
Apollo  con  Artemide ,  e  gli  uccide 
Di  saetta  non  vista  un  dolce  colpo. 
Due  cittadi  ivi  son  di  nerbo  eguale; 
E  l1  Ormenide  Ctesio,  il  mio  divino 
Padre,  dell1  una  e  l'altra  il  fren  reggea.  5 1 5 
Capitò  un  giorno  di  Fenicj ,  scaltra 
Gente,   e  del  mar  misuratriep   illustre, 
Rapida  nave  negra,  che  infinite 
Chiudea  in  sé  stessa  bagattelle  industri. 
Sedusser  questi  una  fenicia  donna ,         5ao 
Che  il  padre  schiava  nel  palagio  avea, 
Bella,  di  gran  persona,  e  di  leggiadri 
Lavori  esperta.  I  maculati  panni 
Lavava  al  fonte  presso  il  cavo  legno  , 
Quando  un  di  qne1  ribaldi  a  ciò  la  trasse,  52.5 
Che  alle  femmine  incaute,  ancor  che  vote 
Non  sien  d'ogni  virtude,  il  senno  invola. 
Poscia  chi  fosse,  richiedeale ,  e  donde 
Venuta;  ed  ella  senza  indugio  l'alte 
Del  padre  mio  case  additegli,  e  disse:  53o 
Io  cittadina  della  chiara  al  mondo 
Sidone  metallifera ,  e  del  ricco 


5& 


140 


Aribante  figliuola  esser  mi  vanto. 

Tafj  ladroni  mi  rapirò  un  giorno, 

Che  dai  campi  tornava,  e  mi  venderò,  535 

Trasportata  sul  mare,  a  quel  signore, 

Che  ben  degno  di  me  prezzo  lor  diede. 

Non  li  sana,  colui  rispose  allora, 
Caro  dunque  il  seguirci,  ed  il  superbo 
De'  tuoi  parenti  rivedere  albergo? 
Riveder  lor,  che  pur  son  vivi,  e  in  fama 
Di  dovizia  tra  noi?  Certo  mi  fora, 
La  donna  ripigliò,  sol  che  voi  tutti 
Di  ricondurrai  al  natio  suol  giuriate 
Salva  sul  mar  navigero,  e  sicura.  545 

Disse  ;  e  tutti  giuravano.  E    in  tal  guisa 
Tra  lor  di  nuovo  favellò  la  donna  : 
Statevi  or  cheti,  e  o  per  trovarmi  al  fonie, 
E  incontrarmi  tra  via,  nessun  mi  parli. 
Risaprebbelo  il  vecchio  ,  e  di  catene       55o 
Me  graverebbe,  sospettando,  e  a  voi 
Morte,  cred'io,  marehineria.  La  cosa 
Tenete  dunque  in  seno,  e  a  provvedervi 
Di  quanto  v'è  mestier,  pensate  intanto. 
La  nave  appien  vettovagliata  e  carpa ,     555 
Giungane  a  me  1' annunzio  in  tutta  fretta, 
Ed  io,  non  che  altro,  recherò  con   meco 
Quanto  sotto  alle  man  verrammi  d'  oro. 
Altra  mercè  vi  darò  ancora:  un  figlio 
Di  quest'ottimo  Re  nel  suo  palagio  56o 

Rallevo,  no  vispo  tal,  che  ad  ogn' istante 
Fuor  mi  scappa  di  casa.   Io  vi  prometto 
Alla  nave  condurlovi;  né  voi 
Pirciol  tesor  ne  ritrarrete,   ovunque 
Per  venderlo  il  meniate  a  estranie  genti.  565 

Disse,  e  alla  reggia  ritornò.  Coloro, 
Nel  paese  restando  un  anno  intero, 
Fean  di  vitto  e  di  merci  immenso  acquisto. 
Fornito  il  carco,  e  di  salpare  in  punto, 
Un  messaggio  alla  femmina  spedirò,        5^0 
Uomo  spedir  d'  accorgimenti  mastro, 
Che  con  un  bello,  aureo  monile,  e  d' ambra 
Vagamente  intrecciato,  a  noi  sen  venne. 
Madre  ed  ancelle  il  rivolgean  tra  mano. 
Prezzo  non  lieve  promettendo,  e  a  gara  5^5 
Gli  occhi  vi  tenean  su.  Tacitamente 
Quegli  ammiccò  alla  donna:  indi  alla   nave 
Drizzava  i  passi.  Ella  per  mano  allora 
Presemi,  e  fuori  uscì:  trovò  le  mense 
Nell'atrio,  ei  nappi,  in  che  bevean  delpadre  58o 

I  commensali  al  parlamento  andati 
Con  esso  il   padre  caro;  e  di  que'  nappi 
Tre,  che  in  grembo  celò,  via  ne  portava; 
Ed  io  segufala  nella  mia  stoltezza. 

Già  tramontava  il  Sole,  e  di  tenebre      585 
Ricoprjasi  ogni  strada;  e  noi  veloci 
Giungemmo  al  porto  e  alla  Fenicia  nave. 
Tutti  saliti,  le  campagne  acquose 
Fendevam  lieti  con  un  vento  in  poppa, 
Che  da  Giove  spiccavasi.  Sei  giorni  590 

Le  fendevamo,  e  notti  sei:  ma  Giove 

II  settimo  non  ebbe  agli  altri  aggiunto, 
Che  dalla  Dea  d'avventar  dardi  amante 
Colpita  fu  la  nequitosa  donna. 

Nella  sentina  con  rimbombo  cadde,         5g5 
Quasi  trafitta  folaga.  Tra  P  acque 
La  scagliaro  ì  Fenici,  esca  futura 
Ai  marini  vitelli;  e  nella  nave 


LIBRO  DECIMOQMNTO 


73 


Solo  io  rimasi,  abbandonato  e  mesto. 
Poi  P  onda  e  il  vento  li  sospinse  ai  lidi  600 
D'Itaca,  do\e  me  comprò  Laerte. 
E  così  questa  terra,  ospite,  io  vidi. 

Fuméo,   rispose  il  paziente  Ulisse, 
Molto  a  me  Palma  commove^ii  in  pello, 
Narrando  i  casi  tuoi.  Ma  Giove  almeno  6o5 
Vicin  tosto  ti  pose  al  male  il  bene, 
Poiché  venisti  ad  un  signor  cortese, 
Che  quanto  a  rallegrar,  non  che  a  serbare, 
La  vita  è  d'uopo,  non  ti  niega.  Ed  io 
Sol  dopo  lunghi  e  incomodi  viaggi  610 

Di  terra  in  terra,  a  queste  rive  approdo. 

Tali  fra  lor  correan  paiole  alterne. 
Dormirò  al  tìn,  ma  non  un  lungo  sonno: 
Che  in  seggio  a  comparir  d1  oro  la  bella 
Già  non  tardò  ditirosata  Aurora.  61 5 

Frattanto  di  Telemaco  i  compagni 
Presso  alla  riva  raccogln-au  le  vele. 
L'albero  dechinàr,  lanciare  a  remi 
La  nave  in  porto,  P  ancore  gittaro, 
Ed  i  canapi  avvinsero.  Ciò  fatto,  620 

Sul  lido  usci  ino,  ed  allestian  la  cena. 
Rintuzzala  la  fune,  e  spenta  in  loro 
La  sete,  Voi,  così  d'Ulisse  il  figlio, 
Alla  città  guidatemi  la  nave, 
Mentre  a'  miei  campi  ed  ai  pastori  io  movo.  6a5 
Del  cielo  all'imbrunir,  visti  i  lavori, 
Io  pure  inurberommi ,  e  in  premio  a  voi 
Lauto  domane  imbandirò  convito. 

Ed  io  dove  ne  andrò,  figlio  diletto? 
Teocliméno  disse.  A  chi  tra  quelli,         63o 
Che  nella  discoscesa  Itaca  sono 
Più  polenti,  otfrirommi?  Alla  tua  madre 
Dritto  ir  dovronne,  e  alla  magion  tua  bella? 

Il  prudente  Telemaco  riprese: 
Io  stesso  in  miglior  tempo  al  mio  palagio  635 
T*  inviterei,  dove  cortese  ospizio 
Tu  non  avresti  a  desiare.  Or  male 
Capiteresti:  io  non  sarei  con  teco, 
Né  te  vedria  Penelope,  che  scevra 
Dai  Proci,  a  cui  raro  si  mostra,  tele     64o 
Nelle  più  alte  stanze  a  oprare  intende. 
Un  uom  bensì  t'  additerò,  cui  franco 
Puoi  presentarti  :  Eurimaco,  del  saggio 
Polibo  il  figlio,  che  di  Nume  in  guisa 
Onorau  gP  Itacesi.  Egli  è  il  più  prode,  645 


E  il  regno,  più  che  gli  altri,  e  la  consorte 
D'  Ulisse  affetta.  Ma  se,  pria  che  questo 
Maritaggio  si  compia,  i  Proci  tutti 
Non  scenderanno  ad  abitar  con  Pluto  , 
L'  Olimpio  il  sa,  benché  sì  alto  alberghi.  65o 

Tal  favellava;  ed  un  augello  a  destra 
Gli  volò  sovra  il  capo,  uno  sparviere, 
Ratto  nunzio  d'Apollo:  avea  nelPugne 
Bianca  colomba,  e  la  spennava,  e  a  terra 
Fra  lo  stesso  Telemaco  e  la  nave  655 

Le  piume  ne  spargea.  Teoclime'no 
Ciò  vide  appena,  che  il  garzon  per  mano 
Prese,  e  il  trasse  in  disparte,  e  sì  gli  disse  : 
Senza  un  Nume,  o  Telemaco,  P  augello 
Non  volò  a  destra.  Io,  che  di  contra  il  vidi,  660 
Per  augurale  il  riconobbi.  Stirpe 
Più  regia  della  tua  qui  non  si  trova, 
Qui  possente  ad  ognor  fia  la  tua  casa. 

Così  questo,  Telemaco  rispose, 
S'  avveri ,  o  forestier ,  com1  io  tai  pegni  665 
Ti  darei  d' amistà ,  che  te ,  chiunque 
Ti  riscontrasse  ,  chiamerfa  beato. 
Quindi  si  volse  in  cotal  guisa  al  fido 
Suo  compagno  Pireo:  Figlio  di  Clito, 
Tu  ,  che  le  voglie  mie  festi  mai  sempre  670 
Tra   quanti  a  Pilo  mi  seguirò,  e  a  Sparta, 
Condurmi  il  forestiero  in  tua  magione 
Piacciati,  •  usargli,  finché  io  vengo ,  onore. 

Per  tardi,  gli  rispose  il  buon  Pireo, 
Che  tu  venissi,  io  ne  avrò  cura,  e  nulla  675 
D'ospitale  sarà  che  nel  mio  tetto, 
Dove  il  condurrò  tosto,  ei  non  riceva. 

Detto,  salse  il  naviglio  ,  e  dopo  lui 
Gli  altri  salìanlo,  e   s'assidean  su  i  banchi. 
Telemaco  s1  avvinse  i  bei  calzari  680 

Sotto  i  pie  molli ,  e  h  sua  valid'  asta 
Rameappuntata,  che  giacca  sul  palco 
Della  nave,  in  man  tolse;  e  quei  le  funi 
Sciolsero.  Si  spingean  su  con  la  nave 
Vèr  la  città,  come  il  garzone  ingiunse;  685 
Ed  ei  studiava  il  passo ,  in  sin  che   innanzi 
Gli  s'aperse  il  cortile  ,  ove  le  molte 
S'accovacciavan  setolose  scrofe, 
Tra  cui  vivea  P  ipclito  Euméo,  che,  o  fosse 
Nella  veglia  o  nel  sonno,  i  suoi  padroni  690 
Dormendo  ancor,  nonché  vegliando,  amava. 


LIBRO  DECIMOSESTO 


ARGOMENTO 

Letizia  d'Eomeo  all'arrivo  di  Telemaco,  cbe  mandalo  alla  città,  per  avvertir  del  suo  rilorno  la  marfre. 
Minerva  appare  ad  Ulisse,  gli  reslit.iisce  le  sne  sembianze,  e  gli  comanda  di  scoprirsi  al  figliuolo.  Ini  auto 
qne' Proci  ch'erano  in  agguato,  accaditi  del  ritorno  di  Telemaco,  escono  digqueU»,  e  si  reudono  in  Itaca. 
Eume'o  ,  esegnilo  l'  ordine  ,  si  ricouduce  alla  lilla ,  ne  riconosce  però  Ulisse,  cui  Pallade  nuovamente  trasforma. 


Li  inclito  Eume'o  nel  padiglione,  e  Ulisse, 
Racceso  il  foco  in  su  la  prima  luce , 
Leggier  pasto  allestianc;  e  fuori  al  campo 
Co'  neri  porci  uscìan  gli  altri  custodi. 
Ma  i  cani  latrator ,  non  che  a  Telemaco    5 


Non  abbajar,  festa  gli  feano  intorno. 
S'avvide  Ulisse  del  blandir  de' cani, 
E  d'  uomo  un  calpestio  raccolse,  e  queste 
Voci  drizzò  al  pastor:  Certo  qua,  Eume'o  , 
0  tuo  compagno  o  conoscente,  giunge;    ro 


8.- 


ODISSEA. 


Poiché,  lontani  dal  gridare,  i  cani 
Latratori  carezzanlo ,  ed  il  basso 
De1  suoi  vicini  pie  strepito  io  sento. 
Non  era  Ulisse  al  fin  di  questi  detti , 
Che  nell'atrio  Telemaco  gli  apparve.         i5 
Balzò  Euméo  stupefatto ,  e  a  lui  di  mano 
1  vasi ,  ove  mescea  1'  ardente  vino , 
Caddero  :  andogli  incontro,  e  il  capo,  ed  ambi 
Gli  baciò  i  rilucenti  occhi  e  le  mani , 
E  un  largo  pianto  di  dolcezza    sparse.       20 
Come  tenero  padre  un  figlio  abbraccia , 
Che  il  decim1  anno  da  remota  piaggia 
Ritorna,  unico  figlio,  e  lardi  nato, 
Per  cui  soffrì  cento  dolori  ,  e  cento  : 
Non  altrimenti    Euméo,    gittate  al  collo  25 
Del  leggiadro  Telemaco  le  braccia , 
Tutto  baciollo,  quasi  allora  uscito 
Dalle  branche  di  Morte,  e  lagrimando, 
Telemaco,  gli  disse,  amato  lume, 
Venisti  adunque!  Io  non  avea  più  speme  3o 
Di  te  veder,  poiché  volasti  a  Pilo. 
Su  via ,  diletto  figlio ,  entrar  ti  piaccia , 
Si  eh1  io  goda  mirarti  or  ,  che  d1  altronde 
Nel  mio  soggiorno  capitasti  appena. 
Raro  i  campi  tu  visiti,  e  i  pastori:  35 

Ma  la  città  ritienti,  e  la  funesta 
Turba  de1  Proci  che  osservar  ti  cale. 
Entrerò  ,  babbo  mio  ,  quegli  rispose  : 
Che  per  te,  per  vederti ,  e  le  tue  voci 
Per  ascoltare,  al  padiglione  io  vegno.        4° 
destami  nel  palagio  ancor  la  madre? 
O  alcun  de'  Proci  disposolla  ,  e  nudo 
Di  coltri  e  strati ,  e  ai  sozzi  aragni  in  preda 
Giace  del  figlio  di  Laerte  il  letto? 
Nel  tuo  palagio,  ripigliava  Euméo,  fó 

Riman  con  alma  intrepida  la  madre , 
Benché  nel  pianto  a  lei  passino  i  giorni, 
Passin  le  notti;  ed  ella  viva  indarno. 
Ciò  detto ,  l1  asta  dalla  man  gli  prese , 
E  Telemaco  il  pie  mettea  sul  marmo        5o 
Della  soglia,  ed  entrava.   Ulisse  a  lui 
Lo  scanno,  in  cui  sedea,  cesse:  ma  egli 
Dal  lato  suo  non  consentialo,  e,  Statti, 
Forestier,  disse,  assiso;  un  altro  seggio 
Noi  troverem  nella  capanna  nostra  ,  55 

Né  quell1  uomo  è  lontan,  che  dar  mei  puote. 
Ulisse,  indietro  fattosi,  di  nuovo 
Sedea.  Ma  il  saggio  guardi'an  distese 
Virgulti  verdi,  e  una  vellosa  pelle  , 
E  il  garzon  v1  adagiò.  Poi  le  rimaste         60 
Dal  giorno  addietro  abbrustolate  carni 
Lor  recò  su  i  taglieri;  e  ne1  canestri 
Posti  P  un  sovra  l1  altro  in  fretta  i  pani , 
E  il  rosso  vino  nelle  tazze  infuso, 
Ad  Ulisse  di  contra  egli  s1  assise.  65 

Sbramato  della  mensa  ebbero  appena 
Il  desiderio  naturai ,  che  queste 
Telemaco  ad  Euméo  drizzò  parole  : 
Babbo  ,  d1  ondo  quest'ospite?  In  che  guisa 
E  quai  nocchieri  ad  Itaca  il  menaro  ?        70 
Certo  a  piedi  su  l1  onda  ei  qua  non  venne. 
E  tu  così  gli  rispondesti ,  Euméo  : 
Nulla,  figliuol,  ti  celerò.  Natio 
Dell1  ampia  Creta  egli  si  vanta,  e  dice 
Molti  paesi  errando  aver  trascorsi  y5 

Per  volontà  d1  un  Nume  avverso.  Al  fine 


95 


io5 


Si  calò  giù  da  una  Tesprozia  nave, 
E  al  mio  tugurio  trasse.  Io  tei  consegno. 
Quel  che  tu  vuoi ,  ne  fa  :  sol  ti  rammenta 
Ch1  ei  di  tuo  supplicante  ambisce  il  nome.  80 
Grave  al  mio  cor,  Telemaco  riprese, 
Parola,  Euméo,  tu  proferisti.  Come 
L'  ospite  ricettar  nella  paterna 
Magion  poss1  io?  Troppo  io  son  verde  ancora  , 
Né  rispinger  da  lui  con  questo  braccio     85 
Chi  primo  l1  assalisse ,  io  mi  confido. 
La  madre  sta  infra  due,  se,  rispettando 
La  comun  voce  e  il  maritai  suo  letto  , 
Viva  col  figlio,  e  la  magion  governi, 
O  a  quel  s'  unisca  degli  Achei,  che  doni  90 
Le  presenta  più  ricchi,  ed  é  più  prode. 
Bensì  al  tuo  foreslier  tunica  e    manto, 
E  una  spada  a  due  tagli  ,  e  bei  calzari 
Dar  voglio,  e  là  inviarlo,  ov' ei  desia 
Che  se  a  te  piace  ritenerlo  ,  e  cura 
Prenderne,  io  vesti,  e  d'ogni  sorta  cibi, 
Perchè  te  non  consumi,  e  i  tuoi  compagiù, 
Qua  manderò.  Ma  eh1  ei  s'accosti  ai  Proci, 
Che  d'ingiurie  il  feriscano,  e  d'oltraggi 
Con  dolor  mio,  non  sarà  mai  eh'  io  soffra.  100 
Che  potria  contro  a  tanti  e  sì  valenti 
Nemici  un  sol,  benché  animoso  e  forte? 
Nobile  amico,  così  allora  Ulisse, 
Se  anco  a  me  favellare  or  si  concede  , 
Il  cor  nel  petto  mi  si'  rode ,  udendo 
La  indegnitade  in  tua  magion  de'  Proci  , 
Mentre  di  tal  sembiante  io  pur  ti  veggo. 
Cedi  tu  volontario?  O  in  odio  forse 
Per  l'oracol  d'un  Dio  t'ha  la  cittade? 
O  i  fratelli  abbandonanti,  cui  tanto        ilo 
S'affida  1'  uom  nelle  più  dure  imprese  ? 
Perchè  con  questo  cor  l1  età  mia  prima 
Non  ho?  Perchè  non  son  d'Ulisse  il  figlio  ? 
Perchè  Ulisse  non  son?  Vorrei  che  tronco 
Per  mano  estrana  mi  cadesse  il  capo,     ii5 
S'io,  nella  reggia  penetrando,  tutti 
Non  mandassi  in  rovina.  E  quando  ancora 
Me  soverchiasse  l'infinita  turba, 
Perir  torrei  nella  mia  reggia   ucciso 
Pria  che  mirar  tuttora  opre  sì  turpi ,         120 
Gli  ospiti  mal  menati ,  violale 
Ahi  colpa!  le  fantesche,  ed  inghiottito 
A  caso,  indarno ,  e  senza  fine  o  frutto, 
Quanto  si  miete  ogni  anno  e  si  vendemmia. 
Straniero,  eccoti  il  ver,  ratto  rispose         125 
Il  prudente  Telemaco:  non  tutti 
M'odiano  i  cittadin ,  né  de'  fratelli, 
Cui  tanto  l'uom  nelle  più  dubbie  imprese 
Suole  appoggiarsi,  richiamarmi  io  posso. 
Volle  il  Saturnio  che  di  nostra  stirpe      i3o 
D'  età  in  età  spuntasse  un  sol  rampollo. 
Arcesio  generò  Laerte  solo, 
Laerte  il  solo  Ulisse,  e  poscia  Ulisse 
Me  lasciò  nel  palagio,  unico  figlio, 
Di  cui  poco  godè:  quindi  piantossi  1 35 

Nemica  gente  al  nostro  albergo  in  seno. 
Quanti  ha  Dulichio  e  Same,  e  la  selvosa 
Zacinto,  e  la  pietrosa  Itaca  prenci, 
Ciascun  la  destra  della  madre  agogna. 
Ella  né  rigettar  può,  né  fermare 
Le  inamabili  nozze.  Intanto  i  Proci 
Cuoprono  i  deschi  con  le  pingui  membra 


i4» 


LIBRO  DECIMOSESTO 


5, 


Delle  sgozzate  vittime,  e  gli  averi 
Mi  struggon  tutti;  né  andrà  molto  forse, 
Che  più  grata  sarò  vittima  io  stesso.        i45 
Ma  ciò  oV  Numi  su  i  ginocchi  posa. 
Babbo,   tu  vanne  rapido,  e  alla  madre 
Narra  che  salvo  io  le  tornai  da  Pilo. 
Così  narralo  a  In,  che  alcun  non  t'oda 
Degli  Achivi,  e  qua  riedi,  07' io  m'arresto.  i5o 
Ben  sai  che  molli  del  mio  sangue  han  sete. 
E  tu   in  risposta  gli  dicesti,  lui  meo  : 
Conosco,  veggo,  ad  uom  che  intende,  parli. 
Ma  non  vorrai  che  messo  ali1  infelice 
Laerte  ancor  per  la  via  stessa  io  vada?   1 55 
Ei,  pensoso  d'Ulisse  un  tempo  e  tristo, 
Pur  dei  campi  ai  lavor  guardava  intento, 
E,  dove  brama  nel  pungesse,  in  casa 
Pasteggiava  co1  servi.  Ed  oggi  è  fama 
Che  da  quel  di  che  navigasti  a  Pilo,       160 
Né  pasteggiò  co1  servi,  né  de'  campi 
Più  ai  lavori  guardò;  ma  sospirando 
Siede,  e  piangendo,  e  alle  scarne  ossa  intanto 
S'affigge,  ohimè!  l'inaridita  cute. 
Gran  pietade!  Telemaco  riprese.  i65 

Ma  lasciamolo  ancor  per  brevi  istanti 
Nella  sua  doglia    Se  in  man  nostra  tutto 
Fosse,  il  ritorno  a  procurar  del   padre 
Non  si  rivolgerebbe  ogni  mia  cura? 
Esponi  adunque  l1  imbasciata,  e  riedi,      170 
Né  a  lui  pe1  campi  divertir;  ma  solo 
Priega  la  madre,  che  in  tua  vece  al  vecchio 
Secreta  imbasciatrice  e  frettolosa 
La  veneranda  economa  destini. 
D;-tto  rosi,  eccitollo;  ed  ei  con  mano       175 
Presi  i  calzari,  e  avvintiseli  ai  piedi, 
Subitamente  alla  città  trndea. 
Non  parti  dalla  stalla  il  buon  custode, 
Ohe  l'armigera  Dea  non  se  ne  addesse. 
Scese  dal  cielo,  e  somigliante  in  vista     180 
A  bella  e  grande,  e  de1  più  bei  lavori 
Femmina  esperta,  si  fermò  alla  porta 
Del  padiglion  di  eonlra,  e  a  Ulisse  apparve. 
Telemaco  non  videla:  che  a  tutti 
Non  si  mostrali  gl'Iddìi.  Videla  il  padre,  1 85 
E  i  mastini  la  videro,  che  a  lei 
Non  abbajàr,  ma  del  cortil  nel  fondo 
Trepidi  si  celaro  e  guajolanti. 
Ella  accennò  oé*  sopraccigli ,  e  il  padre 
La  intese,  ed  usci  fuori,  e  innanzi  stette  190 
Nella  corte  alla  Dea,  che  si  gli  disse: 

0  Laerziade  generoso  e  accorto, 
Tempo  è  che  al  tuo  figliuol  tu  ti  palesi, 
Onde,  sterminio  meditando  ai  Proci, 
Moviate  uniti  alla  città.  Vicina,  193 
Ed  accinta  a  pugnar,  tosto  m'avrete. 

Tacque  Minerva,  e  della  verga  d'oro 
Toccollo.  Ed  ecco  circondargli  a  un  tratto 
Bolle  vesti  le  membra,  e  il  corpo  farsi 
Più  grande  e  più  robusto;  ecco  le  gunite  aoo 
Stendersi,  e  già  ricolorarsi  in  bruno, 
E  all'  azzurro  tirar  su  per  lo  mento 

1  peli,  che  parean  d'argento  in  prima. 
La  dea  spari,  rientrò  Ulisse;  e  il  figlio, 

Da  maraviglia  preso  e  da  terrore,  2o5 

Chinò  gli  sguardi,  e  poscia,  Ospite,  disse, 
Altro  da  quel  di  prima  or  mi  ti  mostri, 
Altri  panni  tu  vesti,  ed  a  te  stesso 

PlNDEMOJiTK 


Più  non  somigli.  Alcun  per  fermo  sei 
Degli  abitanti  dell'Olimpo.  Amico  aio 

Guardane,  acciò  per  noi  vittime  grate, 
Grati  s'  offrano  a  te  doni  nell'  oro 
Con  arte  sculli:   ma  tu  a  noi  perdona. 
Non  sono  alcun  dcg'  Immortali,  Uli.-se 
Gli  rispondea.  Perchè  agli  Dei  m' agguagli?  2 1 5 
Tuo  padre  io  son  :  quel  per  cui  tante  soffri 
Nella  tua  fresca  ria  sciagure  ed  onte. 
Così  dicendo,  b:iciò  il  figlio,  e  al  pianto, 
Che  dentro  gli  occhi  avea  costantemente 
Ritenuto  sin  qui,  1'  uscita  aperse.  220 

Telemaco  d'  aver  su  gli  occhi  il  padre 
Credere  ancor  non  sa.  No,  replicava, 
Ulisse  tu,  tu  il  gcnitor  non  sei, 
Ma  per  maggior  mia  pena  un  Dio  m'inganna. 
Tai  cose  oprar  non  vale  uom  da  sé  stesso.  2a5 
Ed  è-  mestier  che  a  suo  talento  il  voglia 
Ringiovanire,  od  invecchiarlo,  un  Nume. 
Bianco  i  capei  testé,  turpe  le  vesti 
Eri,  ed  01  a  un  Cellcola  pareggi. 
Telemaco,  riprese  il  saggio  eroe,  a3o 

Poco  per  veritade  a  te  s'addice, 
-Mentre  possiedi   il  caro  padre,  solo 
Maraviglia  da  lui  trarre  e  spavento: 
Che  un  altro  Ulisse  aspetteresti  indarno. 
Sì,  quello  io  son,  che  dopo  tanti  affanni  a35 
Durati  e  tanti,   nel  vigesira'anno 
La  mia  Patria  rividi.  Opra  fu  questa 
Della  Tritonia  bellicosa  Diva, 
Che  qual  più  aggrada  a  lei,  tale  mi  forma, 
Ora  un  canuto  mendicante,  e  quando     a*}0 
Giovane  con  bei  panni  al  corpo  intorno: 
Però  che  alzare  un  de'  mollali  al  cielo, 
O  negli  abissi  porlo,  è  lieve  ai  Numi. 
Cj3Ì  detto,  s' assise.  Il  figlio  allora 
Del  genitor  s'abbandonò  sul  collo,  a45 

In   lag:  ime  scoppiando  ed  in  singhiozzi. 
Atnbi   fi  vivo  desir  sentian  del  pianto: 
Ne  di  voci  si  flebili  e  stridenti 
Risonar  s'ode  il  s «echeggiato  nido 
D'aquila  o  d'avollojo,  a  cui  pastore       a5> 
Rubò  i  figliuoli  non  ancor  pennuti, 
Come  de'  pianti  loro  e  delle  grida 
Miseramente  il  padiglion  sonava. 
E  già  piagnenti  e  sospirosi    ancora 
Lasciati  avn'aii,  tramontando,  il  Sole,     a55 
Se  il  figlio  al  padre  non  dicea:  Qual  nave, 
Padre,  qua  ti  condusse,  e  quai   nocchieri? 
Certo  in  Itaca  il  pie  non  ti  portava. 
Celerò  il  vero  a  te?  l'eroe  rispose. 
I  Feaci  sul  mar  dotti,  e  di  quanti  260 

Giungono  errando  alle  lor  piagge,  industri 
Riconduttori,  me  su  ratta  nave 
Dormendo  per  le  salse  onde  guidaro, 
E  in  Itaca  deposero.  Mi  fero 
Di  bronzo  in  oltre  e  d'oro,  e  intesti  panni,  a65 
Bei  doni,  e  molti,  clic  in  profonde  grotte 
Per  consiglio  divin  giaccionmi  ascosi. 
Ed  io  qua  venni  a!  fin,  teco  de'  Proci 
Nostri  nemici  a  divisar  la  strage, 
Con  l'iivviso  di  Palla 'e.  Su,  via,  270 

Contali  a  me,  sì  eh1  io  conosca,  quanti 
Uomini  sono,  e  quali,  e  nella  inente 
Libri,  se  contra  lor  combatter  soli, 
O  in  ajulo  chiara  ne  filtri  convegna. 


8» 


ODISSEA 
2^5 


O  padre  mio,  Telemaco  riprese, 
Io  sempre  udia  te  celebrar  la  fama 
Bellicoso  di  man,  di  mente  accorto; 
Ma  tu  cosa  dicesti  or  gigantesca 
Cotanto,  che  alta  maraviglia  tiemmi. 
Due  soli  battagliar  con  molti  e  torti?     280 
Non  pensar  che  a  una  decade,  o  a  due  sole, 
Montin:  sono  assai  più.  Cinquantadue 
Giovani  eletti  da  Dulichio  uscirò, 
E  sei  donzelli  li  seguiano.  Venti 
Ne  mandò  Sanie,  e  quattro;  e  abbandonerò  285 
Venti  Zacinto.  Itaca  stessa  danne 
Dodici,  e  tutti  prodi;  e  v1  ha  con  essi 
Medonte  araldo,  ed  il  cantor  divino, 
E  due  nell'  arte  loro  incliti  scalchi. 
Ci  affronlerem  con  questa  turba  intera,  290 
Che  la  nostra  magion  possiede  a  forza? 
Temo  che  allegra  non  ne  avrcni  vendetta. 
Se  rinvenir  si  può  chi  a  noi  soccorra 
Con  pronto  braccio  e  cor  dunque  tu  pensa. 
Chi  a  noi  soccorra?  rispondeagli  Ulisse.    290 
Giudicar  lascio  a  te,  figlio  diletto, 
Se  Pallade  a  noi  baiti,  e  basti  Giove, 
O  cercar  d'  altri,  che  ci  ajuti,  io  dcggia. 
E  il  prudente  Telemaco:  Quantunque 
Siedan  lungi  da  noi  su  I*  alte  nubi,         3oo 
Nessun  ci  può  meglio  ajulur  di  loro. 
Che  su  i  mortali  imperano,  e  su   i   Divi. 
Non  sederan  da  noi  lungi  gran  tempo, 
Il  saggio  Ulisse  ripigliava,  quando 
Sarà  delia  gran   lile  arbitro  Marte.  3o5 

Ma  tu  il  palagio  su  l1  aprir  dell'alba 
Trova,  e  t'aggira  tra  i  superbi  Proci. 
Me  poi  simile  in  vista  ad  un  mendico 
Dispregevole  vecchio  il  fido  Eume'o 
Nella  cittadc  condurrà.  Se  oltraggio         3io 
Mi  verrà  fatto  tra  le  liostrc  mura, 
Soffrilo;  e  dove  ancor  In  mi  tedessi 
Trar  per  li  pie  fuor  della  soglia,  0  segno 
D'acerbi  colpi  far,  lo  sdegno  affiena. 
Sol  di  cessar  dalle  follie  gli  esorta,  3i5 

Parole  usando  di  mele  consperse, 
A  cui  non  baderan  :  però  che  pende 
L1  ultimo  sovra  lor  giorno  fatale. 
Altro  dirotti,  e  tu  fede!  conscrTa 
Nel  tuo  petto  ne  fa.  Sei  tu  mio  figlio?  3ao 
Scorre  per  le  tue  vene  il  sangue  mio? 
Non  oda  alcun  eh'  é  in  sua  magione   Ulisse; 
E  né  a  Laerte  pur,  né  al  fido  Eume'o, 
Né  alla  stessa  Penelope,  ne  venga. 
Noi  soli  spi'erem,  tu  ed  io,  I'  ingegno     325 
Dell'ancelle  e  de'  servi;  e  vedrein  noi, 
Qual  ci  rispetti,  e  nel  suo  cor  ci  tema, 
O  quale  a  me  non  guardi,  e  te  non  curi, 
Benché  fuor  dell'infanzia,  e  non  da  jeri. 
Padre,  riprese  il  giovinetto  illustre,  33o 

Spero  che  me  conoscerai  tra  poco, 
E  ch'io  né  ignavo  ti  parrò,  né  fui  le. 
Ma  troppo  utile  a  noi  questa  ricerca, 
Credo,  non  fora;  e  ciò  pesar  ti  stringo. 
Vagar  dovresti  lungamente,  e  indarno,  335 
Visitando  i  lavori,  e  ciascun  servo 
Tentando;  e  intanto  i  Proci  entro  il  palagio 
Ogni  sostanza  tua  struggon  tranquilli. 
Ben  tastar  puoi  delle  fantesche  1'  alma, 
Qual  colpevole  sia,  quale  innocente:        3'io 


J45 


Ma  de'  famigli  a  investigar  pe1  campi 
Soprastare  io  vorrei,  se  di  vittoria 
Segno  ti  die  1'  egidarmato  Giove. 
Mentre  si  fean  da  lor  queste  parole, 
La  nave,  che  Telemaco  e  i  compagni 
Condotti  avea  da  Pilo,  alla  cittade 
Giunse,  e  nel  porto  entrò.    Tiraro  in  secco 
Gli  abili  servi,  e  disarmaro  il  legno, 
E  di  Clito  alla  casa  i  preziosi 
Doni  recaro  dell'  Atride.  In  oltre  35o 

Mosse  un  araldo  alla  magion  d'  Ulisse 
Nunziando  a  Penelope  che  il  figlio 
Ne'  campi  suoi  si  trattenea,  percb' ella, 
Visto  entrar  senza  lui  nel  porto  il  legno, 
Di  nuovo  pianto  non  bagnasse  il  volto.  355 
L'araldo  ed  il  pastor  dier  V  un  nell'altro 
Con  la  stessa  imbasciata  entro  i  lor  petti. 
Né  pria  varcar  della  magion  la  soglia, 
Che  il  banditor  gridò  tra  le  fantesche: 
Reina,  é  giunto  il  tuo  diletto  figlio. 
Mi  il  pastore  a  lei  sola,  ed  all'orecchio, 
Ciò  tutto  esposi?,  che  versato  in  core 
Telemaco  gli  avea:  quindi  alle  mandre 
Ritornare  affreltavasi,   l'eccelse 
Case  lasciando,  e  gli  steccati  a  tergo. 
Ma  tristezza  e  dolor  1'  animo  invase 
De'  Proci.  Uscirò  del  palagio,  il  vasto 
Cortile  attraversaro,  ed  alle  porte 
Sedean  davanti.   Amici,  in  notai  guisa 
Eurimaco  a  parlar  tra  lor  fu  il  primo: 
Ebben,  che  dite  voi  di  questo,  a  cui 
Fede  sì  poca  cia3chedun  prestava, 
Viaggio  di  Telemaco?  Gran  cosa 
Certo,  e  condotta  audacemente  a  fine. 
Convien  nave  mandar  delle  migliori 
Con  buoni  remiganti,  acciocché  torni 
Quella  di  botto,  che  agli  agguati  stava. 
Profferte  non  avea  l'ultime  vo^i, 
Che  Anfinomo,  rivolti  al  lido  gli  occhi, 
Un  legno  scorse  nel  profondo  porto,        38o 
Ed  altri  intesi  a  ripiegar  le  vele, 
Altri  i  remi  a  deporre,  e,  dolcemente 
Ridendo,  non  s' invìi  mesaggio  alcuno, 
Disse,  già  dentro  sono:  o  un  Nume  accorti 
Li  fere,  o  trapassar  videro,  e  indarno     385 
Giunger  tentaro  del  garzon  la  nave. 
Sorsero,  e  al  lito  andato.  Il  negro  legno 
Fu  tratto  in  secco,  e  disarmato;  e  tutti 
Per  consultar  si  radunarti  i  Proci. 
Né  con  lor  permettean  che  altri  sedesse,  390 
Giovane  o  vecchio;  e  così  Antinoo  disse: 
Poh!  come  a  tempo  il  dilivraro  i  Numi! 
L' intero  dì  su  le  ventose  cime 
A  vicenda  sedean  gli  esploratori: 
Poi,  dato  volta  il  Sol,  la  notte  a  terra  3g5 
Mai  non  passammo,  ma  su  ratta  nave 
Stancavam  l'onde  sino  ai  primi  albori, 
Tendendo  insidie  al  giovane,  e  l'estremo 
Preparandogli  eccidio.  E  non  pertanto 
Nella  sua  Patria  il  ricondusse  un  Dio. 
Consoli iam  dunque,  come  certa  morte 
Dare  al  giovane  qui.  Speriamo  indarno 
La  nostra  impresa  maturar,  s' ei  vive: 
Che  non  gli  falla  il  senno,  e  a  favor  nostro 
La  gente,  come  un  dì,  più  non  inchina.  4©5 
Non  aspettiam  che  a  parlamento  ei  chiami 


36o 


365 


370 


375 


4oo 


LIBRO    DECIMOSESTO 


u 


Gli  Aihivi  tutti,  né  crcdiam  che  lento 

Si  mostri,  e  molle  troppo.  Arder  di  sdegno 

Veggolo,  e,  sorto  in  pie,  dir  che  mina 
Noi  gli  ordivamo,  e  ohe  andò  il  colpo  a  vòto.4 io 
Prevenirlo  è  mestieri,  e  o  su  la  via 
Della  cittade  spegnerlo,  o  ne1  rampi. 
Non  piace  forse  a  voi  la  mia  favella, 
E  bramale  ch'ei  viva,  e  del  paterno 
Retaggio  goda  interamente?  Adunque      4' 5 
Noi  dal  fruirlo  ritiriamci,   l1  uno 
Disgiungasi  dall'  altro,  e  al  proprio  albergo 
Si  renda:  indi  Penelope  richieda, 
E  quel  cui  sceglie  il  fato,  e  che  offre  a  lei 
Più  ricchi  doni ,    la  Regina  impalmi.       420 

Tutti  ammutirò  a  colai  voci.   Al  fine 
Sorse  tra  lor  dell'  Areziade  Niso 
La  regia  prole,  Anfinomo,  che,  duce 
Di  quei  competitor  che  dal  ferace 
Dulichio  uscirò  ,  e  di  più  sana  mente     4*5 
Tra  i  rivali  dotato  ,  alla  Regina 
Mcn  ,  che  ogni  altro  ,  sgradi'a  co'  detti  suoi. 
Amici,  disse,  troppo  forte  impresa 
Struggere  affatto  un  real  germe.  I  Numi 
Domandiamone  in  pria.  Sarà  di  Giove    4^° 
Questo  il  voler?  Vibrerò  il  colpo  io  stesso, 
Non  che  gli  altri  animar;  dov1  ei  decreti 
Diversamente,  io  vi  consiglio  starvi. 
Così  d'  Arezio  il  figlio ,  e  non  indarno. 
S' alzaro,  e  n'entrar  nell'ampia  sala,       4^5 
E  sovra  i  seggi   nitidi  posaro. 

Ma  la  casta  Penelope,  che  udito 
Avea  per  horra  del  fedel  Medonte 
Il  mortai  rischio  del  figlinol,  consiglio 
Prese  di  comparire  ai   tracotanti  44° 

Proci  davante.  La  divina  donna 
Usci  dell1  erma  stanza;  e  con  le  ancelle 
Sul  limitar  della  Dedalea  sala 
Giunta,  e  adombrando  co1  sottili  veli, 
Che  le  pendean  dal  capo,  ambe  le  guance,  445 
Antinoo  rampognava  in  questi  accenti  : 
Antinoo,   alma  oltraggiosa,  e  di  sciagure 
Marchi nator;  nella  città  v'  ha  dunque 
Chi   tra  gli  eguali  tuoi  primo  vantarti 
Per  saggezza  osi  ,  e  per  facondia?  Tale  45o 
Giammai  non  fosti.  Insano',  e  al  par  che  insano, 
Empio,  che  di  Telemaco  alla  vita 
Miri,   e  non  curi  i  supplici,  per  cui 
Giove  dall1  alto  si  dichiara.  Ignoto 
Forse  ti  fu  sin  qui,  che  fuggitivo  4^5 

Qua  riparava,  e  sbigottito  un  giorno 
Il  padre  tuo,   che  de1  Tesproti  a  danno 
Co1  Tafj  predator  s'era  congiunto? 
Nostri  amici  eran  quelli,  e  porlo  a  morte 
Voleano,  il  cor  volean  trargli  del  petto,  460 
Non  che  i  suoi  eampi  disertar:  ma  Ulisse 
Si  levò,  si  frammise;  e,  benché  ardenti, 
Li  ritenea.  Tu  di  quest'uom  la  casa 
Ruini  e  disonori;  la  consorte 
Ne  ambisci,  uccidi  il  figlio,  e  me  nel  fondo  4^5 


Sommergi  delle  cure.  Ah!  cessa,  e  agli  altri 

Cessare  ancor,  quanto  è  da  te,  comanda. 

Figlia  illustre  d'  Icario,  a  lei  rispose 
Eurim.aco  di  Polibo,  fa  core, 
E  sì  tristi  pensier  da  te  discaccia.  ^7° 

Non  è,  non  fu,  non  sarà  mai  chi  ardisca 
Contra  il  figlio  d1  Ulisse  alzar  la  mano, 
Me  vivo,  e  con  questi  occhi  in  fronte  aperti. 
Di  eotesttii,  cosa  non  dubbia,  il  nero 
Sangue  scorreria  giù  per  la  mia  lancia.  faS 
Me  il  distruttor  delle  cittadi  Ulisse 
Tolse  non  rado  sovra  i  suoi  ginocchi , 
Le  incotte  carni  nella  man  mi  pose, 
L'almo  licor  m1  offrì.  Quindi  uom  più  caro 
Io  non  ho  di  Telemaco,  e  non  voglio     4^° 
Che  la  morie  dai  Proci  egli  paventi. 
Se  la  mandan  gli  Dei,  chi  può  scamparne? 
Così  dicea,  lei  confortando,  e  intanto 
L1  eccidio  del  fìgliuol  gli  stava  in  core. 
Ma  ella  salse  alle  sue  stanze,  dove  4^5 

A  lagrimar  si  dava  il  suo  consorte, 
Finché,  per  tregua  a  tanti  affanni,  un  dolce 
Sonno  inviolle  l1  occhiglauca  Palla. 

Con  la  notte  comparve  il  fido  Euméo 
Ad  Ulisse  e  a  Telemaco,  che,  pingue     49° 
Sagrificato  ai  Numi  adulto  porco, 
Lauta  se  ne  allesti'an  cena  in  quel  punto. 
Se  non  che  Palla  al  Laerziade  appresso 
Fecesi,  e,  lui  della  sua  verga  tocco, 
Nella  vecchiezza  il  ritornò  di  prima,      4fj5 
E  ne1  primi  suoi  cenci;  onde  il  pastore 
Noi   ravvisasse  in  faccia,  e,  mal  potendo 
Premer  nel  cor  la  subitana  gioja, 
Con  P  annunzio  a  Penelope  non  gisse. 

Ben  venga  il  buon  pastor  !  così  primiero  5oo 
Telemaro  parlò.  Qnal  corre  grido 
Per  la  città?  Vi  rientraro  i  Proci? 
O  mi  tendon  sul  mare  insidie  ancora? 

E  tu  così  gli  rispondesti,   Euméo  : 
La  mente  a  questo  io  non  avea,  passando  5o5 
Fra   i  cittadini:  che  portar  l'avviso, 
E  di  botto  redir,  fu  sol  mia  cura. 
Bensì  m'avvenni  al  handitor,  che  primo 
Corse  parlando  alla  Regina.  Un'altra 
Cosa  dirò,  quando  la  vidi  io  stesso.         5io 
Prendendo  il  monte  che  a  Mercurio  sorge, 
E  la  cittade  signoreggia,  vidi 
Rapidamente  scendere  nel  porto 
Nave  d'uomini  piena,  e  d'aste  acute 
Carca,  e  di  scudi.  Sospettai  che  il  legno  5»  5 
Fosse  de1  Proci;  né  più  avanti  io  seppi. 

A  tai  voci  Telemaco  sorrise, 
Pur  sogguardandoli  padre,egli  occhi  a  un  tempo 
Del  custode  schivando.   A  questo  modo 
Fornita  ogni  opra,  e  già  parati  i  cibi,  520 
D'  una  egual  parte  in  questi  ognun  godea. 
Ma  come  il  lor  desio  più  non  richiese, 
Si  corcaro  al  fin  tutti,  ed  il  salubre 
Dono  del  sonano  ricettar  nel  petto. 


a; 


ODISSEA 


LIBRO  DECIMOSETTIMO 


ARGOMENTO 


Arrivo  prima  di  Telemaco  alla  cilià ,  e  poi  d'Ulisse  accompagnato  da  Eumeo.  Ulisse  è  insultato  dal  capraio 
,|an7Ìn.   e  riconosciuto  alle  pnrle  nel  palazzo  dal    vecchio  cane  Argo  ,   che   ne  muore  di  gioia.  Entrato   nella 


,»a 


Melanzio,  e  riconosciuto  alle  pnrit  ....  ,.-...- —   —    — 

sala  in  forma  di  vecchio  mendico,   va   intorno  accattando;    e    Antinoo  lo  scaccia  superbamente  da    se,  e   uno 
S"abello  gli  lancia  contro.  Penelope  gli  fa  sap<:r  per  Euméo ,  che  desidera  di  parlargli.  Risposta  d'Ulisse. 


X  osto  che  aperse  del  mattili  la  figlia 
Con  rosea  man  l'eteree  porle  al  Sole, 
Telemaco,  d1  Ulisse  il  caro  germe, 
Che  inurbarsi  volea,  sotto  le  piante 
S"  avvinse  i  bei  calzari ,  e  la  nodosa  5 

Lancia,  che  in  man  ben  gli  s1  affava,  tolse, 
E  queste  al  suo  pastor  drizzò  paiole  : 
Babbo,  a  cittade  io  vo,  perchè  la  madre 
Veggarai,  e  cessi  il  doloroso  pianto, 
Che  altramente  cessar,  credo,  non  puote.   io 
Tu  l1  infelice  foresti er  la  vita 
Guidavi  a  mendicar:  d1nn  pan,  d'un  colmo 
Nappo  non  mancherà  chi  lo  consoli. 
Nello  slato  in  ch'io  sono,  a  me  non  lice 
Sostener  tutti.  Monteranne  in  ira?  i5 

Non  farà  che  il  suo  male.  Io  dal  mio  lato 
Parlerò  sempre  con  diletto  il  vero. 
Amico,  disse  allora  il  saggio  Ulisse, 
Partire  intendo  aneli1  io.  Più,  che  ne1  campi, 
Nella  ciltade  accattar  giova  :  un  frusto      20 
Chi  vorrà,  porgerammi.  Io  più  d'etade 
Non  sono  a  rimaner  presso  le  sfalle , 
E  obbedire  un  padron,  checché  m1  imponga. 
Tu  vanne  :  a  me  quest1  uom  sarà  per  guida, 
Come  tu  ingiungi,  sol  che  prima  il  foco  2.5 
Mi  scaldi  alquanto,  e  più  s1  innalzi  il  Sole. 
Triste,  qual  vedi,  ho  vestimenta,  e  guardia 
Prender  degg1  io  dal  mattutino  freddo , 
Che  sul  cammin  che  alla  città  conduce  , 
Ed  è ,  sento ,  non  breve ,  offender  punitimi.  3o 
Telemaco  senz'altro  in  via  si  pose, 
Mutando  i  passi  con  prestezza,  e  mali 
Nella  sua  mente  seminando  ai  Proci. 
Come  fu  giunto  al  ben  fondato  albergo, 
Portò  Tasta,  e  appoggiolla  ad  una  lunga  35 
Colonna,  e  in  casa,  la  marmorea  soglia 
Varcando  ,  penetrò.  Primiera  il  vide 
La  nutrice  Euricléa,   che  le  polite 
Pelli  stendea  su   i  variati  seggi, 
E  a  lui  diritta,  lagrimando,  accorse  :        4° 
Poi  tutte  gli  accorrean  P  altre  d'Ulisse 
Fantesche  intorno,  e  tra  le  braccia  stretto 
Su  le  spalle  il  baciavano ,  e  sul  capo. 
Frattanto  uscia  della  secreta  stanza, 
Pari  a  Diana,  e  ali1  aurea  Vener  pari,     4$ 
La  prudente  Penelope,   che  al  caro 
Figlio  gettò  le   man,  piangendo,  al  collo, 
E  la  fronte  baciògli,  ed  ambo  gli  occhi 
Stellanti;  e  non  restandosi  dal  pianto, 
Telemaco,  gli  disse,  amata  luce,  5o 

Venisti  adunque!  Io  non  credea  più  i  lumi 
Fissare  in  te,  dachè  una   ratta  nave, 
Contra    ogni  mio  desir ,  dietro  alla  fama 


Del  genitor  furtivamente  a  Pilo 
T'addusse.  Parla:  quale  incontro  avesti?  55 
Madre,  del  grave  rischio  ond1  io  campai, 
Replicava  Telemaco,  il  dolore 
Non  rinnovarmi  in  petto,  e  lo  spavento. 
Ma  in  alto  sali  con  le  ancelle:  quivi 
Lavata ,  e  cinta  d1  una  pura  veste  60 

Le  membra  delicate ,  a  tutti  i  Numi 
Ecatombe  legittime  prometti, 
Se  mi  consente  il  vendicarmi  Giove. 

10  per  un  degno  forestier,  che  venne 
Meco  da  Pilo,  andrò  alla  piazza.  Innanzi  65 
Co1  miei  fidi  compagni  io  lo  spedii  , 

E  commisi  a  Pireo,  che  in  stia  magione 
L1  introducesse ,  e  sino  al  mio  ritorno 
Con  onore  il  trattasse,  e  con  affetto. 
Non  indarno  ei  parlò.  Lavata,  e  cinta         70 
Di  veste  pura  il  delicato  corpo  , 
Penelope  d1  integre  a  tutti  i  Numi 
Ecatombe  votavasi ,  ove  al  figlio 

11  vendicarsi  consentisse  Giove. 

Né  Telemaco  a  uscir  fuor  del  palagio         75 

Molto  tardò:  Pasta  gli  empiea  la  mano, 

E  due  bianchi  il  segtn'an  cani  fedeli. 

Stupia  ciascun,  mentr' ei  mutava  il  passo: 

Tal  grazia  sovra  lui  Palla  diffuse. 

Gli  alteri  Proci  stavangli  da  questo  80 

Lato,  e  da  quel,  voci  parlando  amiche, 

Ma  nel  profondo  cor  fraudi  covando. 

Se  non  eh1  ei  tosto  si  sciogliea  da  essi; 

E  là,  dove  sedea  Mentore,  dove 

Anti'fo  ed  Alitcrse,  che  paterni  85 

Gli  eran  compagni  dalla  prima  etade  , 

A  posar  s1  avviò  :  quei  d'ogni  cosa 

L1  addimandaro.  Sopraggiunse  intanto 

Pireo  ,  lancia  famosa ,  il  qual  nel  foro 

Per  la  cittade  il  forestier  menava,  9° 

A  cui  s'  alzò  Telemaco  ,  e  s1  offerse. 

E  cosi  primo  favellò  Pireo  : 

Telemaco,  farai  che  al  mio  soggiorno 

Vengan  le  donne  tue  per  que1  superbi 

Doni,  onde  Menelao  ti  fu  cortese.  9^ 

E  il  prudente  Telemaco:  Pireo, 
Ignoto  è  ancor  di  queste  cose  il  fine. 
Se  i  Proci,  me  secretamente  anciso, 
Tutto  divideransi  il  mio  retaggio, 
Prima,  che  alcun  di  loro,  io  di  que1  doni    100 
Vo'che  tu  goda.  E  dove  io  lor  dia  morte, 
A  me  lieto  recar  li  potrai  lieto. 

Disse ,  e  guidò  nella  sua  bella  casa 
L1  ospite  sventurato.  Ivi,  deposte 
Sovra  i  troni  le  clamidi  vellute,  io5 

Scescr  nel  bagno;  e  come  astersi  ed  unti 


LIBRO  DEt:iM0SETTIMO 


■ 


Per  \p  servili  man  furo ,  e  di  manto 
Vago  e  di  vaga  tunica  vestiti  , 
Su  i  ricchi  seggi  a  collocarsi  andaro. 
E  qui  l'ancella  da  belP  aureo  vaso  no 

l'in  issim1  acqua  nel  bacìi  d'argento 
Versava  ,  e  stendea  loro  un  liscio  desco  , 
Su  cui  la  saggia  dispensiera  i  bianchi 
Pani   venne  ad  imporre,  e  non  già  poche 
Delle  dapi  non  fresche,  ond1  è  custode.    n5 
Penelope  sedea  di  fronte  al  caro 
Figlio,  e  non  lungi  dalle  porte;  e  fini 
Velli  purpurei,  a  una  polita  sede 
Poggiandosi,  torcea.   Que' due  la  destra 
Stcndeano  ai  cibi  5    i.ò  fu  pria  repressa    120 
La  fame  loro,  e  la  lor  sete  spenta, 
Che  in   tai  voci   la  madre  i  labbri  apriva: 
Io,  figlio,  premerò,  salita  in  alto, 
Quel  che  divenne  a  me  lugubre  letto, 
Dappoi  che  Ulisse  inalberò  le  vele  ia5 

Co1  figliuoli  d' Atréo  ;  lugubre  letto, 
Ch'io  da  quel  giorno  del  mio  pianto  aspergo. 
Non  vorr.ii  dunque  tu,  prima  che  i   Proci 
Entrino  alla  magion ,  dirmi ,  se  nulla 
Del  ritorno  del  padre  udir  t'avvenne?    i3o 
E  il  prudente  Telemaco  a  rincontro  : 
.Madre,   il  lutto   io  dirò.   Pilo  trovammo, 
Ed  il  pastor  de1  popoli   Nestorre. 
Qual  padre  accoglie  con  carezze  un  figlio 
Dopo  lunga  stagion  d'altronde  giunto,   1 35 
Tal  me  in  sua  reggia,  e  tra  l'illustre  prole, 
La  bianca  testa  di  Nestorre  accolse. 
Ma  diceami  ,  che  nulla  udì  d'Ulisse, 

0  vivo  fosse,  o  fatto  polve  ed  ombra. 
Quindi  al  pugnace  Menelao  mandommi    i:|o 
Con  buon  cocrliio  e  destrieri  :  ed  io  là  vidi 

L'  argiva  Elena ,  per  cui  Teucri  e  Greci , 
Così  piacque  agli  Dei,  tanto  sudaro. 
11  bellicoso  Menelao  repente 
Chiedeami,  qual  bisogno  alla  divina         k{"> 
Sparta  m'avesse  addotto.  Io  non  gli  tacqui 
Nulla  ,  e  l'Atride:  Ohimè!  d'un  eroe  dunque 
Volean  giacer  nel  letto  uomini  imbelli  ? 
Siccome  allor  che  malaccorta  cerva, 

1  cerbiatti  suoi  teneri  e  lattanti  i5o 
Deposti  in  tana  di  leon  feroce , 

Cerca  ,  pascendo,   i  gioghi  erti  e  l'erbose 
Valli  profonde  ;  e  quello  alla  sua  cava 
Riede  frattanto  ,  e  cruda  morte  ai  figli 
Porta,  e  alla  madre  ancor  :  non  altrimenti   i55 
Porterà  cruda  morte  ai  Proci  Ulisse. 
Ed  oh  piacesse  a  Giove,   a  Febo  e  a  Palla, 
Che  qual  si  levò  un  dì  contra  1'  altero 
Filomelide  nella  forte  Lesbo , 
E  tra  le  lodi  degli   Achivi  a  terra  160 

Con  mano  invitta,  lotteggiando,  il  pose, 
Tal  costoro  affrontasse  !  Amare  nozze 
Foran  le  loro ,  e  la  lor  vita  un  punto. 
Quanto  alla  tua  domanda,  il  Re  soggiunse, 
Ciò  raccontarti  senza  fraude  intendo  ,      i65 
Che  un  oracol  verace ,  il  marin  vecchio 
Proteo,  svelommi.  Asseverava  il  Nume, 
Che  molte  e  molte  lagrime  dagli  occhi 
Spargere  il  vide  in  solitario  scoglio , 
Soggiorno  di  Calipso,  inclita  Ninfa,         170 
Che  rimandarlo  niega  ;  ond1  ei ,  cui  solo 
Non  avanza  un  naviglio ,  e  non  compagni 


Che  il  carreggin  del  mar  su  l'ampio  dorso, 
Star  gli  convien  della  sua  Patria  in  bando. 
Ciò  in  Isparta  raccolto,  io  ne  partii;      i^5 
E  un  vento  in  poppa  m'  invì'aro  i  Numi, 
Che  rattissimo  ad  Itaca  mi  spinse. 

Con  tai  voci  Telemaco  alla  madre 
L'anima  in  petto  scompigliava.  Insorse 
Teocliméno  allora  :  O  veneranda  180 

Della  gran  prole  di  Laerte  donna, 
Tutto  ei  già  non  conobbe.  Odi  i  miei  detti: 
Vero  e  integro  sarà  P  oracol  mio. 
Primo  tra  i  Numi  in  testimonio  Giove, 
E  la  mensa  ospitai  chiamo,  ed  il  sacro  i85 
Del  grande  Ulisse  limitar ,  cui  venni  : 
Lo  sposo  tuo  nella  sua  patria  terra 
Siede ,  o  cammina  ,  le  male  opre  ascolta, 
E  morte  a  tutti  gli  orgogliosi  Proci 
Nella  sua  mente  semina.  Mei  disse  190 

Chiaro  dal  cielo  un  volator,  ch'io  scórsi , 
E  al  tuo  figlio  mostrai ,  sedendo  in  nave. 

E  la  saggia  Penelope:  Deh  questo, 
Ospite ,  accada  !  Tali  e  tanti  avresti 
Del  mio  sincero  amor  pegni,  che  ognuno    ig5 
Ti  chiameiia,  scontrandoti  ,  beato. 

Mentre  così  parlando,  e  rispondendo 
Di  dentro  ivan  la  madre,  il  figlio  e  il  vate, 
Gli  alteri   Proci  alla  magion  davante 
Dischi  lanciavan  per  diletto,  e  dardi        200 
Sul   pavimento  lavorato  e   lerso  , 
Della  baldanza  lor  solito  arringo. 
Ma,  giunta  l'ora  della  mensa,  e  addotte 
Le  viltime  da  tutti  intorno  i  campi, 
Medonle,  che  nel  genio  ai  Proci  dava    ao5 
Più  che  altro  in  fra  gli  araldi,  eai  lor  banchetti 
Sempre  assistea,  Giovani,  disse,  quando 
Godeste  ornai  de' giochi,  entrar  v'aggradi, 
Sì  che  il  convivio  s' imbandisca.  Iugrata 
Cosa  non  parmi  il  convivare  al  tempo,  aio 
Sursero  immantinente,    ed  alle  voci 
Del  banditor  non  repugnai o.  Entrati, 
Deposer  su  le  sedie  i  manti  loro. 
Pingui  capre  seannavansi,  e  i  più  grandi 
Montoni,  e  grossi  porci,  e  una  buessa   21 5 
Di  branco;  e  il  prandio  s'apprestava.  E  intanto 
Dai  campi  alla  cittade  andar  d'un  passo 
Preparavansi  Ulisse  ed  il  pastore. 

Pria  favellava  Euméo  d'  uomini  capo  : 
Stranier,  se  il  mio  piacere  io  far  potessi ,  220 
Tu  delle  stalle  rimarresti  a  guardia. 
Ma.  poiché  partir  brami,  e  ciò  pur  vuoisi 
Dal  mio  signor,  le  cui  rampogne  io  temo, 
Però  che  gravi  son  t  ire  de'  Grandi , 
Moviam  :  già  vedi  che  scemato  è  il  giorno,  225 
E  infredderà  più  P  aere  in  vèr  la  sera. 

Tai  cose  ad  uom,  che  non  le  ignora,  insegni, 
Ripigliò  il  Laerziade.  Ebben  ,  moviamo: 
Ma  vammi  innanzi^  e  da,  se  da  una  pianta 
Il  recidesti,  un  forte  legno,  a  cui  23o 

Per  la  via,  che  malvagia  odo,  io  mi  regga. 
Disse  ,  e  agli  omeri  suoi  per  una  torta 
Corda  il  suo  rotto  e  vii  zaino  sospese, 
E  il  bramalo  baston  porsegli  Euméo. 
Quindi  le  stalle  abbandonar,  di  cui         a35 
Rimaneano  i  famigli  a  guardia,  e  i  cani. 
Così  vèr  la  città  sotto  le  forme 
D'  un  infelice  mendicante  e  vecchio , 


N 


ODISSEA 


E  curvo  sul  bastone,  e  con  le  membra 
Nelle  vesti  più  turpi,  il  suo  Re  stesso    24° 
L'amoroso  pastore  allor  guidava. 
Già,  vinto  il  sentiero  aspro,   alla  cittade 
Si  fean  vicini,  ed  apparta  la  bella, 
Donde  attignea  ciascun ,  fonte  artefatta  , 
Che  una  pura  tra  Perbe  onda  volvea.     24-5 
Construsserla  tre  regi  :  Itaco  prima, 
Poi  Nerito  e  Polittore.  Rotondo 
D1  alni  acquidosi  la  cerchiava  un  bosco. 
Fredda  cadea  Tonda  da  un  sasso  ,  e  sopra 
Un  aitar  vi  sorgea  sacro  alle  Ninfe ,         25o 
Dove  offria  preci  il  viandante,  e  doni. 
Qui  di  Dolio  il  figliuol,  Melanzio,  in  loro 
S1 incontrò  :  conducea  le  capre,  il  fiore 
Del  gregge,  ai  Proci;  e  il  seguian  due  pastori. 
Li  vide  appena,  che  bravolli,  e  indegne  255 
Saettò  in  loro ,  e  temerarie  voci , 
Che  tutto  commovean  d1  Ulisse  il  core. 
Or  si,  dieca,  che  un  tristo  a  un  tristo  è  giuda. 
Giove  li  forma,  indi  gli  accoppia.  Dove 
Meni  tu  quel  ghiottone  ,  o  buon  poreajo,  260 
Quel  mendico  importuno,  e  delle  mense 
Peste,  che  a  molte  signorili  porte 
Logorcrassi  gli  omeri ,  di  pane 
Frusti  chiedendo,  non  treppiedi,  o  conche? 
Se  tu  le  stalle  a  custodir  mei  dessi,        265 
E  a  purgarmi  la  corte ,  e  a1  miei  capretti 
La  frasca  molle  ad  arrecar,  di  solo 
Bevuto  siete  ingrosseria  ne1  fianchi. 
Ma,  poiché  solo  alle  tristi  opre  intese, 
Travagliar  non  vorrà,  vorrà  più  presto,  270 
Di  porta  in  porta  domandando,  un  ventre 
Pascere  insaziabile.  Ma  senti 
Cosa  che  certo  avvenir  dee.  Se  air  alta 
Magion  s1  accosterà  del  grande  Ulisse , 
Molti  sgabelli  di  man  d1  uom  lanciati      275 
Alla  sua  testa  voleranno  intorno  , 
E  le  coste  trarrannogli  di  loco. 
Ciò  disse ,  ed  appressollo ,  e  nella  coscia 
Gli  die  d1  un  calcio,  come  stolto  ch'era, 
Né  dalla  via  punto  lo  smosse  :  fermo       280 
Restava  Ulisse,  e  in  sé  volgea,  se  Palma 
Col  nodoso  baston  torgli  dovesse, 
O  in  alto  sollevarlo ,  e  su  la  nuda 
Terra  gettarlo  capovolto.  Ei  Pira 
Contenne,  e  sopportò.  Se  non  eh1  Euméo  o85 
Al  caprar  si  converse,  e  improverollo 
E ,  levate  le  man  ,  molto  pregava  : 
O  belle  figlie  dell1  Egioco,  Ninfe 
Nàjadi ,  se  il  mio  Re  v1  arse  giammai 
D'agnelli  e  di  capretti  i  pingui  lombi,  290 
Empiete  il  voto  mio.  Rieda,  ed  un  Nume 
La  via  gli  mostri.  Ti  endria,  caprajo, 
Quella  superbia  dalle  ardite  ciglia , 
Con  cui  vieni  oltraggioso,  e  sì  frequente, 
Dai  campi  alla  città.  Quindi  per  colpa   igb 
De1  cattivi  pastori  a  mal  va  il  gregge. 
Oh,  oh  ,  Melanzio  ripigliò  di  botto, 
Che  mi  latra  oggi  quello  scaltro  cane, 
Che  un  giorno  io  spedirò  sovra  una  bruna 
Nave  dalla  serena  Itaca  lunge,  3oo 

Perchè  a  me  in  copia  vettovaglia  trovi  ? 
Così  il  Dio  dal  sonante  arco  d1  argento 
Telemaco  uccidesse  oggi  ,  o  dai  Proci 
Domo  fosse  il  garzon ,  come  ad  Ulisse 


Non  sorgerà  della  tornata  il  giorno!         3o5 

Ciò  detto,  ivi  lasciolli  ambo,  che  lento 
Moveano  il  piede,  e,  suo  cannaio  seguendo, 
D1  Ulisse  alla  magion  ratto  pervenne. 
Subito  entrava,  e  s1  assidea  tra  i   Proci 
Di  rimpetto  ad  Eurimaco ,  che  tutto        3io 
Era  il  suo  amore;  né  i  donzelli  accorti, 
E  la  solerte  dispensiera ,  innanzi 
Un  solo  istante  s1  indugiaro  a  porgli 
Quei  parte  delle  carni,  e  i  pani  questa. 

Ulisse  ed  il  pastore  al  regio  albergo  3i5 

Giungeano  intanto.  S1  arrestalo  ,  udita 
L1  armonia  dolce  della  cava  cetra  : 
Che  l1  usata  canzon  Femio  intonava. 
Tale  ad  Euméo,  che  per  man  prese,  allora 
Favellò  il  Laerziade  :  Euméo,  d1  Ulisse    320 
La  bella  casa  ecco  per  certo.  Fora  , 
Benché  tra  molte,  il  ravvisarla  lieve. 
L' un  pian  su  P  altro  monta,  è  di   muraglia 
Cinto  il  cortile ,   e  di  steccati ,  doppie 
Sono  e  salde  le  porte.  Or  chi  espugnarla  325 
Potiia?  Gran  prandio  vi  si  tiene,  io  credo: 
Poiché  V  odor  delle  vivande  sale, 
E  risuona  la  cetera ,  cui  fida 
Voller  compagna  de'  conviti  i  Numi. 

E  tu  così  gli  rispondesti ,  Euméo  :  33o 

Facile  a  te,  che  lunge  mai  dal  segno 
Non  vai,  fu  il  riconoscerla.  Su,  via, 
Ciò  pensiam  ,  che  dee  farsi.  O  tu  primiero 
Entra,  e  ai  Proci  ti  mesci ,  ed  io  qui  resto; 
O  tu  rimani,  e  metterommi  io  dentro.     335 
Ma  troppo  a  bada  non  istar:  che  forse, 
Te  veggendo  di  fuor,  potrebbe  alcuno 
Percuoterti ,  o  scacciarti.  Il  tutto  pesa. 

Quel  veggioanch'io,  che  alla  tua  mente  splende, 
Gli  replicava  il  paziente  Ulisse.  34o 

Dentro  mettiti  adunque  :  io  rimarrommi. 
Nuovo  ai  colpi  non  sono  e  alle  ferite  , 
E  la  costanza  m1  insegnaro  i  molti 
Tra  P  armi  e  in  mar  danni  sofferti,  a  cui 
Questo  s'aggiungerà.  Tanto  comanda       345 
La  forza  invitta  dell1  ingordo  ventre, 
Per  cui  cotante  P  uom  dura  fatiche , 
E  .navi  arma  talor ,  che  guerra  altrui 
Dell1  infecondo  mar  portan  su  i  campi. 

Così  dicean  tra  1  or,  quando  Argo,  il  cane,  35o 
Ch1  ivi  giacca,  del  paziente  Ulisse, 
La  testa ,  ed  ambo  sollevò  gli  orecchi. 
Nutrillo  un  giorno  di  sua  man  P  eroe , 
Ma  cóme,  spinto  dal  suo  fato  a  Troja , 
Poco  frutto  potè.  Bensì  condurlo  355 

Contra  i  lepri ,  ed  i  cervi ,  e  le  silvestri 
Capre  solca  la  gioventù  robusta. 
Negletto  allor  giacea  nel  molto  fimo 
Di  muli  e  buoi  sparso  alle  porte  innanzi, 
Finché ,  i  poderi  a  fecondar  d1  Ulisse ,    3fio 
Nel  togliessero  i  servi.  Ivi  il  buon  cane, 
Di  turpi  zecche  pien ,  corcato  stava. 
Com1  egli  vide  il  suo  signor  più  presso , 
E  ,  benché  tra  que1  cenci ,  il  riconobbe , 
Squassò  la  coda  festeggiando ,  ed  ambe    365 
Le  orecchie,  che  drizzate  avea  da  prima, 
Cader  lasciò  :  ma  incontro  al  suo  signore 
Muover ,  siccome  un  dì ,  gli  fu  disdetto. 
Ulisse ,  riguardatolo  ,  s1  asterse 
Con  man  furtiva  dalla  guancia  il  pianto,  3^o 


LIBRO  DEC1M05ETTIMO 


Celandosi  da  Euméo ,  cui  disse  tosto  : 
Euméo  ,  quale  stupor  !  Nel  fimo  giace 
Cotesto,  che  a  me  par  rane  ȓ  bello. 
Ma  non  so,  se  del  pari  ei  fu  veloce, 
O  nulla  valse,  come  quei  da  mensa,       3^5 
Cui  nutron  per  bellezza  i  lor  padroni. 

E  tu  cosi  gli  rispondesti,  Eumeo  : 
Del  mio  Re  lungi  morto  è  questo  il  cane. 
Se  tal  fosse  di  corpo  e  d'alti,  quale 
Lasciollo  ,  a  Troja  veleggiando,   Ulisse,  38o 
Si  veloce  a  vederlo  e  si  gagliardo, 
Gran   maraviglia  ne  trarresti  :  fiera 
Non  adocchiava  ,  che  del  folto  bosco 
Gli  fuggisse  nel  fondo,  e  la  cui   traeria 
Perdesse  mai.  Or  l1  infortunio  ei  sente.  385 
Peri  «T  Itaca  lunge  il  suo  padrone , 
Né  più  curan  di  lui  le  pigre  ancelle: 
Che  pochi  dì  stanno  in  cervello  i  servi, 
Quando  il  padrone  lor  più  non   impera. 
L1  onniveggente  di  Saturno  figlio  3go 

Mozza  toglie  ad  un  uom  la  stia  virtude , 
Come  sopra  gli  giunga  il  dì  servile. 
Ciò  detto  ,  il  pie  nel  sontuoso  albergo 
Mise,  e  avviossi  drittamente  ai  Prori; 
Ed  Argo,  il  fido  can,  poscia  che  visto    3g5 
Ebbe  dopo  dieci  anni  e  dieci   Ulisse, 
Gli  orchi  nel   sonno  della  morte  chiuse. 

Ma  l'egregio  Telemaco  fu  il  primo 
Che  scorgesse  il  pastor  nella  superba 
Sala  passato;  e  a  se  il  chiamò  d1  un  cenno.  4°° 
Ed  ci ,  rivolto  d'ogni  intorno  il  guardo, 
Levò  uno  scanno  ivi  giacente,  dove 
Seder  solea  lo  scalco,  e  le  infinite 
Carni  partire  ai  banchettanti  Proci. 
Levollo,  ed  a  Telemaco  di  contra  4°5 

11  piantò  presso  il  desco,  e  vi  s'assise; 
E  delle  carni  a  lui  pose  davanti 
Lo  scalco,  e  pani  dal  canestro  tolti. 

Ulisse  ivi  a  non  molto  anch' egli  entrava 
Simil  ne1  cenci  e  nel  baston  nodoso,       410 
Su  cui  piegava  il  tergo,  a  un  infelice 
Paltonier  d'anni  carco.  Entrato  appena, 
Sopra  il  fiassineo  limitar  sedea , 
Con  le  spalle  appoggiandosi  ad  un  saldo 
Stipite  cipressin,  cui  già  perito  4' 5 

Fabbro  alzò  a  piombo,  e  ripolì  con  arte. 
Telemaco  il  pastor  chiama,  e,  togliendo 
Quanto  avea  pane  il  bel  canestro,  e  quanta 
Carne  nelle  sue  man  capir  potea , 
Questo,  gli  dice,  ali1  ospite  tu  reca,         450 
E  gli  comanda  che  a  ciascun  de'  Proci 
S'accosti  mendicando.  A  cui  nel  fondo 
Dell'inopia  cascò,  nuoce  il  pudore. 

Andò  il  pastor  repente,  e,  allo  straniero 
Soffermandosi  in  faccia,  Ospite,  disse,  4^5 
Ciò  ti  minda  Telemaco,  e  t'ingiunge 
Che  mendicando  ti  presenti  a  ognuno 
De1  Proci  in  giro.  A  cui  nel  fondo,  ei  dice, 
Dell1  inopia  cascò  ,  nuoce  il  pudore. 

E  il  Laerziade  rispondea:  re  Giove,  4^o 

Telemaco  dal  ciel  con  occhio  guarda 
Benigno  sì,   eh1  ei  nulla  brami  indarno. 

Detto  ciò  solo,  prese  ad  ambe  mani 
Ulisse  il  tutto,  e  colà  innanzi  ai  piedi 
Su  la  bisaccia  ignobile  sei  pose.  4^ 

Finché  il  divin  Demodoco  cantava, 


Cibavasi  l1  uom  saggio  :  al  tempo  stesso 
L1  un  dal  cibo  cessò,  l'altro  dal  canto. 
Strepitavano  i  Proci  entro  la  sala  : 
Ma  Palla,  al  figlio  di  Laerte  apparsa  ,     440 
L1  esorlò  i  pani  ad  accattar  dai  Proci  , 
Tastando  chi  più  asconda   o  men  tristezza 
Benché  a  tutti  la  Dea  scempio  destini. 
Ei  volse  a  destra,  e  ad  accattar  da  tutti 
Gio,  stendendo  la  man  ,  come  se  mai     445 
Esercitato  non  avesse  altr1  arte. 
Mossi  a  pietade  il  soccorreano  ,  e  forte 
Stupiano,  e  domandavausi  a  vicenda 
Chi  fosse,  e  d'onde  il  forestier  venisse. 

E  qui  Melanzio  ,  Udite ,  o  dell1  illustre     45o 
Penelope,  dieea  ,  vagheggiatori. 
L1  ospite  io  vidi ,  a  cui  la  via  mostrava 
De'  porci  il  guardi'an:  ma  da  qual  chiara 
Stirpe  disceso  egli  si  vanti,  ignoro. 

Guardi'an  famosissimo,  Antinoo  455 

Così  Euméo  rimbrottò,  perché  costui 
Guidasti  alla  città?  Ci  mancan  forse 
Vagabondanti  paltonieri  infesti , 
Delle  menie  flagello?  O,  che  d'  Ulisse 
Qui  si  nutra  ciascun,  poco  ti  cale,         460 
Che  questo  ancor,  donde  io  non  so,  chiamasti? 

E  tal    risposta  tu  gli  farti,  Euméo  : 
Prode,  Antinoo  ,  sei  tu,  ma  ben  non  parli. 
Chi  un  forestiero  a  invitar  mai  d'  altronde 
Va,  dove  tal  non  sia  che  al  mondo  giovi     465 
Come  profeta,  o  sanator  di  morbi  , 
O  fabbro  industre  in  legno,  o  nobil  vate , 
Che  le  nostr'  alme  di  dolcezza  inondi  ? 
Questi  invitansi  ognor,  non  un  mendico 
Che  ci  consumi,  e  non  diletti,  o  serva.  470 
Ma  tu  i  ministri  del  mio  Re  lontano 
Più  ,  che  ogni  altro  de' Proci,  e  de1  ministri 
Me  più  ,  che  ogni  altro,  tormentar  non  cessi. 
Non  men  curo  io  però,  finché  la  saggia 
Penelope  e  Telemaco  deiforme  4^5 

Vivono  a  me  nella  magion  d1  Ulisse. 

Ma  Telemaco  a  lui:  Taci,  parole 
Non  cangiar  molte  con  Antinoo.  È  usanza 
Di  costui  1'  assalir  con  aspri  detti 
Chi  non  l' offende ,  e  incitar  gli  altri  ancora.  480 
Poi,  converso  a  quel  tristo;  In  ver,  soggiunse, 
Cura  di  me,  qual  padre,  Antinoo,    prendi] 
Tu  che  l'ospite  vuoi  sì  duramente 
Quinci  sbandire.   Ah  noi  consenta  Giove! 
Dagline:  io,  non  che  oppormi,  anzi  l'esigo. 485 
La  madre  d'annojare,  o  alcun  de' servi 
Del  padre  mio,  tu  non  temer  per  questo. 
Ma  cosa  tal  non  è  da  te,  cui  solo 
La  propria  gola  soddisfar  talenta. 

O  alto  di  favella  e  d'alma  indomo,  4qo 

D'Eupite  disse  incontanente  il  figlio, 
Che  parlasti  ,  Telemaco?  Se  i  Proci 
Quel  don,  eh'  io  serbo  a  lui ,  gli  fesser  tutti , 
Starsi  almeno  ei  dovria  tre  lune  in  casa 
Da  noi  lontano;  e,  lo  sgabello  preso,    4g5 
Su  cui  tenea  beendo  i  molli  piedi, 
Alto  in  aria  il  mostrò.  Gli  altri  cortesi 
Gli  erari  pur  d1  alcun  che,  sì  eh1  ei  trovossi 
Di  carni  e  pani  la  bisaccia  colma. 
Mentre  alla  soglia,  degli  Achivi  i  doni  5oo 
Per  gustar,  ritornava,  ad  Antinoo 
Si  fermò  innanzi,  e  disse:  Amico,  nulla 


M 


ODISSEA 


Dunque  mi  porgi?  Degli  Àchivi  il  primo 
Mi  sembri,  come  quei  che  a  Re  somiglia. 
Quindi  più  ancor,  che  agli  altri,  a  te  s'addice 
Largo  mostrarti:  iole  tue  lodi,  il  giuro,  (  5o5 
Per  tutta  spargerò  1'  immensa  terra. 
Tempo  già  fu  eh1  io ,  di  te  al  par  felice , 
Belle  case  abitava,  e  ad  un  ramingo, 
Qual  fosse,  e  in  quale  stato  a  me  venisse,  5 io 
Del  mio  largi'a:  molti  avea  servi,  e  nulla 
Di  ciò  falliatni,  onde  giois^on  quelli 
Che  ricchi  e  fortunati  il  mondo  chiami. 
Giove, il  perchè  ci  ne  sa,  strugger  mi  volle, 
Ei,  che  in  Egitto  per  mio  mal  mi  spinse  5i5 
Con  ladroni  moltivaghi  :  viaggio 
Lungo  e  funesto.  Neil'  Egitto  fiume 
Fermai  le  ratte  navi,  ed  ai  compagni 
Restarne  a  guardia  ingiunsi,  e  queir  ignota 
Terra  ire  alcuni  ad  esplorar  dall'  alto.       Sio 
Ma  questi  da  un  ardir  folle  e  da  un  cieco 
Desio  portati,  a  saccheggiar  le  belle 
Campagne  degli  Egizj,  a  via  menarne 
Le  donne  e  i  figli  non  parlanti,  i  grami 
Coltivatori  a  uccidere.  Volonne  525 

Tosto  il  romore  alla  città;  né  prima 
L'Alba  s'imporporò,  che  i  cittadini 
Vennero ,  e  pieno  di  cavalli  e  fanti 
Fu  tutto  il  campo,  e  del  fulgor  dell'armi. 
Cotale  allora  il  Fulminante  pose  53o 

Desir  di  fuga  de1  compagni  in  petto  , 
Che  un  sol  far  testa  non  osava  :  uccisi 
Fur  parte,  e  parte  presi,  e  ad  opre  dure 
Sforzati;  e  ovunque  rivolgeansi  gli  occhi, 
Un  disastro  apparia.  Me  consegnaro  535 

A  Demetore  Jaside,  che  in  quelle 
Parti  era  giunto,  e  dominava  in  Cipro, 
Dond'io,  carco  di  mali,  al  fin  qua  venni. 

E  di  nuovo  così  d1  Eupite  il  figlio: 
Qual  Genio  avverso  una  sì  fatta  lue,      54o 
Le  nostre  mense  a  conturbar,  ci  addusse? 
Tienti  nel  mezzo ,  e  dal  mio  desco  lunge  , 
Se  un'  altra  Egitto  amara,  e  un1  altra  Cipro 
Trovar  non  brami  in  Itaca.  Io  mendico 
Mai  non  conobbi  più  impudente  e  audace.  5^5 
T'offri  a  ciascun  P  un  dopol'  altro,  e  allarga 
Ciascun  per  te  la  man  senza  consiglio  : 
Che  rotto  cade  ogni  ritegno  ,  dove 
Regna  la  copia,   e  dell'  altrui  si  dona. 

Poh  !  replicava  il  Laerziade  ,  indietro        55o 
Ritirandosi  alquanto,  alla  sembianza 
Poco  l'animo  adunque  in  te  risponde. 
Chi  mai  creder  potn'a  che  pur  di  sale 
A  supplicante  tu  daresti  un  grano 
Dalla  tua  mensa,  tu  che  un  frusto  darmi  555 
Dall'altrui  non  sapesti,  e  così  ricca? 

Montò  Antinoo  in  più  furia,  e,  torve  in  lui 
Fissando  le  pupille ,  Ora  io  non  penso 
Che  uscirai  quinci  con  le  membra  sane , 
Poscia  che  all'onte  ne  venisti.  Disse,       56o 
E  afferrò  lo  sgabello,  ed  avventollo, 
E  in  su  la  punta  della  destra  spalla 
Percosse  il  forestiero.  Ulisse  fermo 
Stette,  qual  rupe,  né  d' Antinoo  il  colpo 
Smosselo:  bensì  tacito  la  testa  565 

Crollò,  agitando  la  vendetta  in  core. 
Indi  sul  limitar  sedea  di  nuovo, 
Deposto  il  zaino  tutto  pieno,  e  ai  Proci 


Favellava  cosi:  Competitori 
Dell'illustre  Reina,  udir  vi  piaccia  570 

Ciò  che  il  cor  dirvi  mi  comanda.  Dove 
Pe'  campi,  per  la  greggia  o  per  l'armento 
Pugnando  è  1' uom  ferito,  il  porta  in  pace. 
Me  per  la  trista  ed  importuna  fame, 
Gran  fonte  di  disastri,  Antinoo  offese.    5^5 
Ma  se  ha  propizj  i  Dei,  se  ha  Furie  ultrici, 
Chi  non  ha  nulla,  della  morie  il  giorno 
Pria,  che  quel  delle  nozze,   Antinoo  colga. 

E  d'  Eupite  il  figliuol:  Tranquillo  e  assiso, 
Cibati,  o  forestiere,  o  quinci  sgombra,  58o 
Acciò  gli  schiavi,   poiché  sì  favelli, 
Per  li  piedi  e  le  man  te  del  palagio 
Non  traggan  fuori,  e  tu  ne  vada  in  pezzi. 

Tutti  d'  ira  s'accesero,  ed  alcuno, 
Mal,  disse,  festi,  Eupitide,   un   tapino     585 
Viandante  a  ferir.  Seiaurato!  S'egli 
Degli  abitanti  dell'Olimpo  fosse? 
Spesso  d' estrano  pellegrino  in  forma 
Per  le  cittadi  si  raggira  un  Nume, 
Vestendo  ogni  sembianza,  e  alle  malvage  5yo 
De'  mortali  opre,  ed  alle  giuste  guarda. 

Tai  voci  Antinoo  dispregiava.  Intanto 
Della  percossa  rea  gran  duol  nel   petto 
Telemaco  nodria    Non  però  a  terra 
Dalle  ciglia  una  lagrima  gli  cadde.  5g5 

Sol  crollò  anch' ei  tacitamente  il  capo, 
Ruminando  nel  cor  l'alta  vendetta. 
Ma  la  saggia  Penelope,  cui  giunse 
L'annunzio  in  alto  dell'indegno  colpo, 
Tra  le  ancelle  proruppe  in  questi  accenti  :6oo 
Deh  così  lui  d'  un  de'  suoi  dardi  il  Nume 
Dal  famoso  d'argento  arco  ferisca! 
Ed  Eurinome  a  lei:  Se  gl'Immortali 
Fesser  pieni  i  miei  voti,  a  un  sol  de'  Proci 
Non  mostreriasi  la  nuov'alba  in  cielo.    6o5 

Nutrice  mia,  Penelope  riprese, 
Mi  spiaccion  tutti,  perché  tutti  ingiusti: 
Ma  del  par  che  la  morte  Antinoo  abborro. 
Move  per  casi  un  ospite  infelice 
Dalla  sua  fame  a  mendicar  costretto;      610 
Ciascun  gli  dà,  tal  ch'ei  n'ha  il  zaino  colmo; 
E  d1  Eupite  il  figliuol  d'uno  sgabello 
Nella  punta  dell'  omero  il  percuote. 

Cotesti  accenti  tra  le  ancelle  assisa 
Liberò  dalle  labbra;  e  in  quella  Ulisse    61 5 
Il  suo  prandio  compiea.  Ma  la  Kegina, 
Euméo  chiamato  a  sé,  Va,  gli  dicea, 
De'  pastori  il  più  egregio,  ed  a  me  invia 
Quel  forestiere,  onde  in  colloquio  io  seco 
Mi  restringa,  e  richiedagli,  se  mai         620 
D'Ulisse  udì,  se  il  vide  mai  con  gli  occhi, 
Ei,  che  di  gran  viaggi  uom  mi  rassembra. 

E  tu  così  le  rispondesti,  Eume'o  : 
Oh  volesser  gli  Achei  per  te,  Regina, 
Tacersi  alcuni  istanti  !  Ei  tal  favella ,      625 
Che  somma  in  cor  ti  verseiia  dolcezza. 
Io  tre  giorni  appo  me  l'ebbi,  e  tre  notti, 
Che  fuggito  era  da  un' odiata  nave: 
Né  però  tutti  mi  narrò  i  suoi  guai. 
Qual  racceso  dai  Numi  illustre  vale        63o 
Voce  sì  grata  agli  ascoltanti  innalza, 
Che  l'orecchio,  fissando  in  lui  le  ciglia, 
Se  dal  canto  rimati,  tendono  ancora: 

Tal  mi  beava  nella  mia  capanna. 


LIDKO  DECIMOSETTIMO 


?'J 


Dissemi  che  di  padre  in  figlio  a  Ulisse   635 
Dell'  ospitalità  stringealo  il   nodo; 
Che  nativo  di  Greta  era,  del  grande 
Minosse  culla;  e  che  di  là,  cadendo 
D1  un  mal  sempre  nelP  altro,  a1  tuoi  ginocchi 
Veni'a  di  gramo  supplicante  in  atto.         640 
M1  affermò  che  d1  Ulisse  avea  tra  i  ricchi 
Tesptoti  udito,  che  vive  anco,  e  molti 
All'avita  magion   tesori  adduce. 

La  prudente  Penelope  a  rincontro: 
Vanne,  ed  a  me  P  invia,  si  ch'io  P  ascolti.  645 
Gli  al t ri  o  fuor  delle  porte  o  nel  palagio 
Trastullin  pur,  poscia  che  han  lieto  il  core. 
Crescono  i  monti  delle  lor  sostanze, 
Di  cui  solo  una  parte  i  servi  loro 
Toccano;  ed  essi  qui  P  intero  giorno       65o 
Banehettan  lautamente,  e  il  fior  del   gregge 
Struggendo  e  dell1  armento,  e  le  ricolme 
Della  miglior  vendemmia  urne  votando, 
Fanno  una  strage:  né  v'ha  un  altro  Ulisse, 
Che  atto  a  fermarla  sia.  Ma  l'eroe  giunga,  655 
E  piena  con  Telemaco  di  tanti 
Barbari  oltraggi  prenderà  vendetta. 

Finito  non  avea,  che  il  figlio  ruppe 
In  un  alto  starnuto,  onde  la  casa 
Risonò  tutta.  La  Regina  rise,  660 

E,  Va,  disse  ad  Euméo,  corri,  e  il  mendico 
Mandami.  Starnutare  alle  mie  voci 
Non  udisti  Telemaco?  Maturo 
De'  Proci  è  il  fato,  riè  alcun  6.1  che  scampi. 
Ciò  senti  ancora,  e  in  mente  il  serba.  Quando 
Verace  in  tutto  ei  mi  riesca,   i  cenci      665 
Gli  cangerò  di  botto  in  vesti  belle. 

Corse  il  fido  pastore,  e  allo  straniero, 
Standogli  pi  esso,  Ospite  padre,  disse, 
Te  la  saggia  Penelope,  la  madre  670 

Di  Telemaco,  vuole:  il  cor  la  spinge 
D'  Ulisse  a  ricercar,   benché  sol  dato 
Le  abbian  sin  qui  le  sue  ricerche  duolo. 
Quando  verace  ti  conosca,  i  cenci 
Ti  cangerà  di  botto  in  vesti  belle.  6^5 

Cibo  non  mancherà  chi  ti  largisca, 
Se  tu  P  andrai  per  li  città  chiedendo. 

Euméo,  rispose  il  paziente  Ulisse, 
Alla  figlia  d'Icario,  alla  prudente 
Penelope,  da  me  nulla  del  vero  680 

Si  celerà.  So  le  vicende  appieno 


D'  Ulisse,  con  cui  sorte  io  m'ebbi  eguale: 
Ma  la  turba  difficile  de'  Proci, 
Di  cui  del  ciel  sino  alla  ferrei  volta 
Monta  l'audace  tracotanza,  10  temo.       685 
Pur  testé,  mentr'  io  già  lungo  la  sala, 
Nulla  oprando  di   mal  ,   percosso  io  fui  ; 
E  non  prevenne  il  doloroso  insulto 
Telemaco,  non  che  altri.  Il  Sol  cadente 
Ad  aspettar  nelle  sue  stanze  adunque     690 
Tu  la  conforta.  Mi  domandi  allora 
Del  ritorno  d'  Ulisse  inuanzi  al  foco: 
Poiché  il  vestito  mio  mal  mi  difende. 
Tu  il  sai,  cui  prima  supplicante  io  venni. 

Die  volta,  udito  questo,  il  buon  pastore;  695 
E  Penelope  a  lui ,  che  già  la  soglia 
Col  pie  varcava:  Non  mei  guidi,  Eume'o? 
Che  pensa  il  forestier?  Tema  de'  Proci, 
O  vergogna  di  sé,  forse  occupollo? 
Guai  quel  mendico  cui  ritien  vergogna!  700 

Ma  tu  così  le  rispondesti,  Euméo: 
Ei,  come  altri  farebbe  in  pari  stato, 
De'  superbi  schivar  Ponte  desia. 
Bensì  t'esorta  sostener,  Regina, 
Finché  il  dì  cada.  Così  meglio  voi  ^o5 

Potrete  ragionar  sola  con  solo. 

Gran  senno  in  lui,  chiunque  sia,  dimora, 
Ella  riprese:  che  sì  audaci  e  iugiusti 
Non  ha  l' intero  mondo  uomini  altrove. 

Euméo  ritornò  ai  Proci,  e  di  Telemaco    710 
Parlando,  onde  altri  non  potesse  udirlo, 
All'orecchia  vicin,   Caro,  gli  disse, 
Le  mandre,  tua  ricchezzi  e  mio  sostegno, 
A  custodire  io  vo.  Tu  su  le  cose 
Qui  veglia,  e  più  .sovra  le  stesso,  e  pensa  ji5 
Che  i  giorni  passi  Ira  una  gente  ostile, 
Cui  prima,  ch'ella  noi,  Giove  disperda. 

Sì,  babbo  mio,  Telemaco  rispose. 
Parti,  ma  dopo  il  cibo,  e  al  dì  novello 
Torna,  e  vittime  pingui  adduci  teco.      720 

Tacque;  ed  Euméo  sovra  il  polito  scanno 
Nuovamente  sedea.  Cibato,  ai  campi 
Ire  affrettossi,  gli  steccati  addietro 
Lasciando,  e  la  magion  d'uomini  piena 
Gozzoviglianti ,  cui  piacere  il  ballo  7^5 

Era,  e  il  canto  piacer,  mentre  spiegava 
L'  ali  sue  nere  sovra.  Ior  la  Notte. 


LIBRO  DECIMOTTAVO 


ARGOMENTO 

Combattimento  tra  Irò  ed  Ulisse,  che  rimane  al  di  sopra.  Penelope  si  presenta  ai  Proci,  e  si  lagna  che 
insultino  gli  ospiti,  e  che,  aspirando  alle  mmttr  di  lei,  in  vece  di  offerir I'  i  doni  secondo  il  costume,  divori- 
no le  sue  sostarne.  Doni  de' Proci  a  Penelope.  Sopravvenuta  la  notte,  Ulisse  è  insù  tato  nuovamente,  prima 
Con  parole  dall'ancella  Melanto,  e  poi  da  Eurimaco  ,  che  uno  sgabello,  coinè  già  fece  Autinoo  ,  lanciagli  contro. 


u 


n  accattante  pubblico  sorvenne, 
Di  mendicar  per  la  cittade  usato, 
Famoso  vorator,  che  mai  non  disse 
Per  molto  cibo,  e  per  vin  mollo,  Basta, 
E  gigante  a  vederlo,  ancor  che  poco 

PlKDEHONTB 


Di  forza  e  cuore  in  sì  gran  corpo  fosse. 
Egli  avea  nome  Arnéo:  così  chiamollo, 
Nel  di  che  nacque,  la  diletta  madre. 
Ma  dai  giovani   tutti  Irò  nomato 
Eia,  come  colui  che  le  imbasciate  io 


ODISSEA 


Portar  solca,  qual  gliene  desse  il  carco. 
Giunto  fu  appena,  che  «cacciava  Ulisse 
Dalla  sua  casa,  eil  il  mordea  co1  detti: 
Vecchio,  via  «lai  vestibolo,  se  vuoi 
Cli1  io  non  ti  tragga  fuor  per  nn  de1  piedi.  |5 
Non  vedi  l'ammiccar,  perdi1  io  ti  tragga, 
Di  tutti  a  me?  Pur  m'arrossisco,  e  stonimi. 
Ma  levati,  o  alle  prese  io  con  te  vegno. 
Bieco  Ulisse  guatollo,  e,   Sciagurato, 
Rispose,  in  opra  io  non  ColTendo,  o  in  voce,  20 
Ne  che  alcuno  a  te  doni ,  anco  a  man  piene , 
T'invidio  i°  punto.  Questa  soglia  entrambi 
Ci  capirà.  Tu  non  dovresti  noja 
Del  mio  bene  sentir,  tu,  che  un  mendico 
Mi  sembri  al  par  di  ine.  D'spensatori        25 
Delle  ricchezze  ali1  uom  sono  i  Celesti. 
Invitarmi  a  pugnar  non  ti  consiglio, 
Onde  infiammato,  benché  vecchio,  d'ira 
Le  labbra  io  non  t1  insanguini,  ed  il   petto. 
Più  assai  tranquillo  io  ne  sarei  domane  :  3o 
Che  alla  magion  del  figlio  di  Laerte 
Ritorno  far  tu  non  potresti,  io  credo. 
Poh,  sdegnato  il  pezzente  Irò  riprese, 
Più  volubili  i  detti  a  questo  ghiotto 
Corrono,  e  ratti  più,  che  non  a  vecchia  35 
Che  sempre  al  focolai-  s1  aggira  intorno. 
S1  io  queste  man  pongogli  addosso,  tutti 
Dalle  mascel'e ,  come  a  ingordo  porco 
Entrato  fra  le  biade,  i  denti  io  schianto. 
Or  bene,  un  cinto  senza  più  ti  cuopra,  ^o 
E  questi  ci  conoscano  alla  pugna, 
Che  tosto  avremo.  Io  veder  voglio ,  come 
Con  uom  combatterai  tanto  più  verde. 
Così  sul  liscio  limitar  dell1  alte 
Porte  garrian  d1  ingiuriosi  motti.  4^ 

Avvisosscne  Antinoo,  e,  dolcemente 
Ridendo,   sciolse  tai  parole:  Amici, 
Nulla  di  sì  giocondo  a  questi  alberghi 
Gli  abitator  dell1  etra  unqua  mandare 
Si  bisticciati  tra  lor  l1  ospite  ed   Irò, 
E  già  le  man  frammischiano.  Su ,  via, 
Meglio  alla  zuffa  racccndiamli  ancora. 
Tutti  s1  alzaro,  nelle  risa  dando, 
E  ai  due  straccioni  s1  affollaro  intorno. 
Ed  Antinoo  così:  Nobili  Proci, 
Sentite  un  pensier  mio.  Di  que'  ventrigli 
Di  capre,  che  di  sangue  e  grasso  empiuti 
Sul  foco  stan  per  la  futura  cena, 
Scelga  qual  più  vorrà  chi  vince,  e  quindi 
D1  ogni  nostro  convito  a  parte  sia; 
Né  più  tra  noi  s'aggiri  altro  cencioso. 
Ciò  piacque  a  tutti.  Ma  l1  accorto  eroe, 
Cui  non  fallfan  le  astuzie,  Amici,  disse, 
Ad  uom  dagli  anni  e  dai  disastri  rotto 
Con  giovane  pugnar  non  parmi  bello. 
E  pur  botte  a  ricevere,  e  ferite 
La  rea  mi  spinge  imperiosa  fame. 
Ma  voi  giurate  almen  che  nessuno,  Irò 
Per  favorir,  me  della  man  gagliarda 
Percuoterà,  male  adoprando:  troppo 
Mi  tornerebbe  allor  duro  il  cimento. 
Giuraro.  E  di  Telemaco  in  tal  guisa 
La  sacra  possa  favellò:  Straniero, 
Di  respinger  costui  ti  detta  il  core? 
Respingilo:  né  alcun  temer  de1  Proci. 
Chi  Toserà  percuotere,  rnn  molti 


5o 


55 


Go 


6: 


7° 


*5 


A  combattere  avrà.  Gli  ospiti  io  curo, 
E  tal  favella  non  condannan  certo 
Eurfmaco  ed  Antinoo,  ambo  prudenti. 
Disse;  e  ciascuno  approvò  il  detto.  Ulisse  So 
Si  spogliò  tosto,  e  de1  suoi  panni  un  cinto 
Formossi,  e  nudi  i  lati  omeri,  nudo 
Mostrò  il  gran  petto  e  le  robuste  braccia, 
E  i   magni  fianchi  discoprì:  Minerva, 
Clic  per  lui  scese  dall'Olimpo,  tutte         85 
De1  popoli  al  pastor  le  membra  crebbe. 
Stupirò  i  Proci  fieramente,  e  alcuno 
Cosi  dicea,  volgendosi  al  vicino: 
Irò,  già  non  più  Irò,   in  su  la  testa 
S^vrà  tratto  egli  stesso  il  suo  malanno,  90 
Tai  fianchi  ostenta  e  tali  braccia  il  veglio  '. 
A  queste  voci  malamente  d1  Irò 
L1  animo  cominovcasi.  E  non   pertanto 
Col  cinto  ai  lombi,  e  pallido  la  fac<ia, 
Gli  schiavi  a  forza  il  conduccan:  su   I1  ossa  g5 
Tremavangli   le  carni.   Antinoo  allora 
Prcndralo  a  rimbrottar:  Millantatore  , 
Perché  or  non  muori,  o  a  chenaseesti  nn  giorno, 
Tu,  diesi  temi,  e  tremi,  uom  dagli  affanni, 
Non  men  che  dalPetà,  snervato  e  domo?   100 
Ma  orli  quel  che  di  te  fia.  Se  a  terra 
Con  vincitrice  man  colui  ti  mette  , 
Io  te  gettato  in  una  ratta  nave 
Manderò  nel!1  Epiro  al  rege  Echeto, 
Flagello  definitali,  il  qual  ti  mozzi        io5 
Gli  orecchi  e  il  naso  con  acerbo  ferro, 
E,  da  stracciarsi  crudi,  a  un  can  vorace 
Butti  gli  svelti  genitali  in  preda. 
Un  tremor  gli  entrò  in  corpo  ancor  più  forte: 
Ma  il  condusser  nel  mezzo.  1  duecampioui   1  io 
Le  mani  alzaro  :  dubitava  Ulisse, 
Se  del  pugno  così  dar  gli  dovesse, 
Che  lui  caduto  abbandonasse  Palma, 
O  atterrarlo,  e  non  più,  con  minor  colpo. 
Questo  partito  scelse,  onde  agli  Achivi   ii5 
Celarsi  meglio.  Irò  la  destra  spalla 
Ad  Ulisse  colpì;  ma  Ulisse  in  guisa 
Sotto  l1  orecchia  P  investì  nel  rollo  , 
Che  Possa  fracassògli  :  lisciagli  il  rosso 
Sangue  fuorperlabocca,  ed ei  mugghiando   120 
Cascò,  digrignò  i  denti,  e  il  pavimento 
Calcitrando  battè.  Gli  amanti  a  quella 
Vista,  levate  le  lor  braccia  in  alio, 
Scoppiavan  delle  risa.  Intanto  Ulisse, 
L1  un  de1  piedi  afferratogli,  il  traea  125 

Pel  vestibolo  fuor  sino  alla  corte, 
E  ali1  entrata  del  portico.  Ciò  fatto, 
Col  dosso  al  muro  Pappoggiò,  gli  pose 
Bastone  in  mano,  e,  Qui,  gli  disse,  orsiedi, 
E  scaccia  dal  palagio  i  cani  e  i  ciacchi;    i3o 
Né  più  arrogarti  ,  così  vii,  qual  sei, 
Su  gli  ospiti  dominio,  e  su  i  mendichi  : 
Che  un'altra  volta  non  Rincontri  peggio. 
Così  dicendo,  si  gittava  intorno 
Alle  spalle  il  suo  zaino,  e  al  limitare     i35 
Ritornava  ,  e  sedeavi.  Rì'entraro 
Con  dolce  riso  in  su  le  labbra  i  Proci, 
Ed  a  lui  blande  rivolgean  parole: 
Ospite,  Giove  a  te  con  gli  altri  Numi 
Quanto  più  brami ,  e  t'è  più  caro,  invìi,   140 
A  le,  che  la  città  smorbasti  a  un  tratto 
Di  questo  insaziabile  accattone  , 


LIBRO   DLCIMOTTAVO 


Che  ad  Echeto,  dogli  uomini  flagello, 
Tra  poco  andrà  su  gli  Epiroli  lidi. 

Così  parlaro;  e  dell'augurio  Ulisse  1^5 

Godea  nell'alma:  e  Anlinoo  un  gran  ventriglio 
Di  sangue  e  di  pinguedine  ripieno 
Gli  recò  innanzi.  Ma  il  valente  Anfinomo 
Due  presentigli  dal  canestro  tolti 
Candidissimi  pani,  e.  propinando  i5o 

Con  aurea  tazza,   Salve,  disse,  o  padre, 
Forestier,  salvo:  se  infelice  or  vi\i, 
Lieii  scorranli  almeno  i  dì  futuri. 

Antiuomo,  l'eroe  scaltro  rispose, 
D'intendimento  e  di  ragion  dotato  1 55 

Mi  sembri  ,  e  in  quoto  tu  rihai  dal  padre, 
Da  Niso  Dnlirhieii!>c,   ond'  io  la  fama 
Sonare  udi'a,  buono  del  par,  che  ricco, 
Da  cui  diconti  nato  ;  e  fede  ancora 
Ne  fa  il  tuo  senno,  e  le  parole  e  gli  atti.   160 
A  te  dunque  io  favello,  e  tu  i  miei  detti 
Ricevi ,  e  serba  in   te.  Sai  tu  di  quanto 
Spira ,  e  passeggia  su  la  terra,   o  serpe, 
Ciòcheal  inondo h.ivvi  di  più  infermo?  È  l'uomo. 
Finché  stato  felice  i  Dei  gli  danno,         i65 
E  il  suo  ginocchio  di  vigor  florisce , 
Non  crede  die  venir  delibagli  sopra 
L'infortunio  giammai.  Sopra  gli  viene? 
Con  ripugnante  alma  indegnala  il  soffre: 
Che  quali  i  giorni son,  che  foschi  o  chiari,  170 
De1  mortali  il  gran  padre  e  de1  Celesti 
D'alto  gli  manda,  tal  dell'  uomo  è  il  core. 
Vissi  anch'  io  vita  fortunata  e  illustre, 
E  ,  secondando  la  mia  forza,  e  troppo 
Nel  genitor  Gdando  e  ne'  germani,  i^5 

Non  giuste ,  vaglia  il  vero,  opre  io  commisi. 
Ma  ciascuno  a  ben  far  dee  por  P  ingegno, 
E  quel,  che  dai  Numi  ha,  fruir  tranquillo: 
Né  costoro  imitar,  che  iniquamente 
Struggono  i  beni,  e  la  pudica  donna       180 
Oltraggian  d'  un  eroe,  che  lungo  tempo 
Dalla  sua  Patria  e  dagli  amici,  io  credo, 
Lontano  ancor  non  rimarrà  ;  che  a  questi 
Luoghi  anzi  è  assai  vicino.  Al  tuo  ricetto 
Quindi  possa  guidarti   un  Dio  pietoso  ,    i85 
E  torti  agli  occhi  suoi,  com'egli  appaja: 
Poiché  decisa  senza  molto  sangue, 
Messo  ch'egli  abbia  in  sua  magione  il  piede, 
Non  6a  tra  i  Proci  e  lui  P  alla  contesa. 
Libò,  ciò  detto,  e  accostò  ai  labbri  il  nappo,  190 
E  tornollo  ad  Anfinomo.  Costui 
Per  la  sala  iva  ,  conturbato  il  core, 
E  squassando  la  testa,  ed  il  suo  male 
Divinando,  ma  invan:  fuggir  non  puote  , 
Legato  anch' ei  da  Palla,  onde  cadesse    195 
Per  P  asta  di  Telemaco.  Nel  seggio , 
Donde  sorto  era  ,  si  ripose  intanto. 

Ma  d' Icario  alla  figlia ,  alla  prudente 
Penelope,  la  Dea  dai  glauchi  lumi 
Spirò  il  diseguo  di  mostrarsi  ai  Proci  ,  200 
Perché  lor  s'  allargasse  il  core  in  petto 
Di  nuova  speme  ,  ed  in  onor  più  graude 
Presso  il  consorte  e  il  Aglio  ella  salisse. 
Diede,  né  ben  sa  come,  in  un  gran  riso, 
E  tai  delti  formò  :  Sento  un  desire         2o5 
Non  pria  sentito  di  mostrarmi  ai  Proci, 
Eun'uom»* ,  bench'  io  tutti  gli  abbona. 
Utile  avviso  in  lor  preseuza  io  bramo 


A  Telemaco  dare ,  il  qual  troppo  usa 

Con  que'  superbi  giovani ,  che  accenti     aio 

Ti  drizzan  blandi,  e  insidiali! i  da  tergo. 

Sa»gio  è  il  consiglio ,  Eurinome  rispose. 
Va,  figlia,  dunque,  ed  il  tuo  nato  assenna. 
Ma  pria  ti  lava ,  e  su  le  guance  poni 
L'usato  unguento.  Apparir  vuoi  cou  faccia  21 5 
Dalle  lagrime  tue  solcala  e  guasta? 
Quel  pianget  sempre,  e  dalPun  giorno  all'altro 
Nullo  divario  far,  poco  s'addice. 
Già  venne  il  tiglio  nell'età  fiorita, 
In  cui  vederlo  con  l'onor  del  mento      220 
Sì  ardentemente  supplicavi  ai  Numi. 

Per  zelo  che  di  me  l'alma  ti   scaldi, 
Replicava  Penelope,  di  bagni, 
Eurinoine  ,  o  di  liscj ,  or  nou  parlarmi. 
11  dì  che  Ulisse  s'imbarcò  per  Troja ,     225 
Tolsermi  ogni  beltà  dal  volto  i  Numi. 
Bensì  Autonoe  mi  chiama,  e  Ippodamia, 
Che  da  lato  mi  stieno.  Ai  Proci  sola 
Non  offrirommi  :  che  pudor  mei  vieta. 
Tacque  5  e  la  vecchia  Euri  nome  le  dounp  23o 
A  chiamar  tosto ,  e  ad  affrettarle ,  usrio. 

Ma  l'occbiazzurra  Dea,   nuovo  pensiero 
Formando  nella  mente  ,  alla  pudica 
Figlia  d'  Icario  un  molle  sonno  infuse. 
Mentre  giacca  sovra  il  suo  seggio ,  e  tutte  235 
Il  molle  sonno  le  sciogliea  le  membra , 
Palla  Minerva  di  celesti  doni 
La  riforma,  perchè  di  lei  più  sempre 
Invaghisser  gli  Achei.  Pria  su  le  guance 
Quella,  che  tien  dalla  bellezza  il  nome,    240 
Sparse  divina  essenza,  onde  si  lustra 
La  inghirlandata  d1  òr  Vencr,  se  mai 
Va  delle  Grazie  al  dilettoso  ballo: 
Poi  di  corpo  la  crebbe,  e  ricolmolla 
Nel  volto,  e  tal  su  lei  candor  distese,     245 
Che  P  avorio  tagliato  allora  allora 
Ceder  doveale  al  paragon.  La  Diva 
Risalì  dell'Olimpo  in  su  le  cime. 

Venner  le  ancelle  strepitando  ,  e  ratto 
Si  riscosse  Penelope  dal  sonno ,  25o 

E  con  man  gli  occhi  stropicciossi ,  e  disse: 
Qual  dolce  sonno  della  sua  fosc'  ombra 
Me  infelice  coprì!   Deh  così  dolce 
Morte  subitamente  in  me  la  casta 
Artemide  scoccasse;  ed  io  Petade  255 

Più  non  avessi  a  consumar  nel  pianto, 
Sospirando  il  valor  sommo ,  infinito 
D' un  eroe,  cui  non  sorse  in  Grecia  il  pari . 

Così  detto,  scendea  dalle  superne 
Lucide  stanze  al  basso,  e  non  già  sola,    260 
Ma  con  Autonoe  e  Ippodamia  da  tergo. 
Sul  limitar  della  Dedalea  sala  , 
Ove  i  Proci  sedean  ,  trovasi  appena , 
Che  arresta  il  pie  tra  P  una  e  l'altra  ancella 
L'  ottima  delle  donne  ,  e  co'  sottili  265 

Veli  del  capo  ambe  le  guance  adombra. 
Senza  forza  restaro  e  senza  moto  : 
L'alma  più  inteneria,  si  raddoppiava 
Delle  nozze  il  desire  in  ogni  petto. 
Ella  queste  a  Telemaco  parole:  270 

Figlio  ,  io  te  più  non  riconosco.  Sensi 
Nutrivi  in  mente  più  maturi  e  scorti 
Nella  tua  fanciullezza;  ed  or  che  grande 
Ti  veggio,  e  in  un'età  più  ferma  entrato, 


0' 


ODISSEA 


Or  che  stranici-,  che  a  riguardar  si  fésse  2^5 
La  tua  statura  e  la  beltà ,  te  prole 
D1  «ioni  beato  dina,  più  non  dimostri 
Giustizia,  o  senno.  Tollerar  sì  indegno 
Trattamento  d1  un  ospite  in  tua  reggia  ! 
Oltraggio  si  crude),  che  vendicato  280 

Non  siagli,  puote  a  un  forest.ier  qui  usarsi, 
Che  su  le  non  ce  cada  eterno  scorno? 
II  prudenle  Telemaco  rispose; 
Madre,  perchè  ti  crucci,  io  non  mi  sdegno. 
Meglio,  che  pria  eh1  io  di  fanciullo  uscissi,  285 
Le  umane  cose,  il  pur  mi  credi ,  intendo  , 
E  tra  lor  non  confondo  il  torto  e  il  dritto. 
Ma  tutto  oprare,  o  antiveder,  non  valgo, 
Circondato  qnal  sono  e  insidiato 
Da  fiera  gente,  e  d'assistenti  solo.  290 

Quanto  alla  lotta  tra  l'estranio  ed  Irò, 
Parte  i  Proci  non  v'ebbero,  e  del  primo 
Fu  la  vittoria.  Ed  oh  !  piacesse  al  padre 
Giove,  e  alla  Diva  Pallade,  e  ad  Apollo, 
Che  tentennasse  a  cofestor  già  domi        2g5 
La  testa  ,  e  si  sfasciassero  le  membra  , 
Nel  vestibolo  agli  uni,  e  agli  altri  in  sala, 
Come  a  quell1  Irò,  che  alle  porte  or  siede 
Dell1  atrio,  il  capo  qua  e  là  piegando, 
D1  un  ebbro  in  guisa,  e  che  su  i  piedi  starsi  3oo 
Non  può,  né  a  casa  ricondursi:  tanto 
Le  membra  riportonne  afflitte  e  peste. 
Così  la  madre  e  il  figlio.  Indi  lai  voci 
Eun'maco  a  Penelope  drizzava  : 
Figlia  d'  Icario,  se  le  vista  tutti  3o5 

Avesser  per  l1  lasio  Argo  gli  Achivi, 
Turba  qui  di  rivali  assai  più  folta 
Banchcltcri'a  dallo  spuntar  dell'Alba  : 
Che  non  v'ha  donna  che  per  gran  sembiante, 
Per  bellezza  e  per  senno  a  te  s1  agguagli.  3io 
E  la  nobile  a  lui  d'  Icario  fielia  : 
E.unftraco  ,  virili,   sembianza,  tutto 
Mi  rapirò  gli  Dei,  quando  gli  Argivi 
Sciolser  per  Troja,  e  con  gli  Argivi  Ulisse. 
S'egli,  riposto  in  sua  magione  il  piede,  3i5 
A  reggere  il  mio  stato  ancor  prendesse, 
Ciò  mia  gloria  sarebbe,  e  beltà  mia. 
Ora  io  m1  angoscio  :  tanti  a  me  sul  capo 
Mali  piombaro.  Ei ,   d'imbarcarsi  inatto, 
Prese  la  mia  con  la  sua  destra,  e,  Donna,  320 
Disse  ,  non  credo  io  già  che  i  forti  Achei 
Da  Troja  tutti  riederanno  illesi  : 
Poiché  sento  pugnaci  essere  i  Teucri, 
Gran  sagittarj,  e  cavalieri  egregi, 
Che  pel  campo  agitar  sanno  i  destrieri  325 
Rapidamente:  quel  che  in  breve  il  fato 
Delle  guerre  terribili    decide. 
Quindi ,  se  me  ricondurran  gli  Eterni , 
O  Troja  riterrà  morto ,  o  cattivo , 
Sposa,  io  non  so.  Tu  sovra  tutto  veglia.  33o 
Rispetta  il  padre  mio ,   la  madre  onora  , 
Come  oggi,  od  ancor  più,  finch' io  son  lunge. 
E  allor  che  del  suo  pel  vedrai  vestito 
Del  figlio  il  mento ,  a  qu  al  ti  fia  più  in  grado , 
Lasciando  la  magion  ,   vanne  consorte.     335 
Tal  favellava;  ed  ecco  giunto   il  tempo. 
L'infausta  notte  apparirà,  che  dee 
Portare  a  me  queste  odiose  nozze  , 
A  me,  cui  Giove  ogni  letizia  spense. 
Ma  ciò  la  mia  tristezza  oggi  più  aggrava ,  34<> 


Che  gli  usi  antichi  non  si  guardati- punto. 
Color,  che  donna  illustre,  e  d'uom  possente 
Figlia  un  dì  ambiano,  e  contendean  tra  loro, 
Belle  cojiducean  vittime,  gli  amici 
Per  convitar  della  bramata  donna ,  345 

E  doni  a  questa  offn'an:  non  già  l'altrui 
Struggeano  impunemente  a  mensa  assisi. 
Disse,  e  l'eroe  gioì  eh1  ella  in  tal  modo 
De1  Proci  i  doni  procurasse,  e  loro 
Molcesse  il   petto  con   parole   blande,        35o 
Mentre  in  fondo  del  core  altro  volgea. 
Ma  così  Antinoo  allor  :  Nobil  d'  Icario 
Figlia,  saggia  Penelope,   ricevi 
I  doni  che  gli  Achei  già  per  offrirti 
Sono,  e  cui  fora  il  ricusar  stoltezza:      355 
Ma  noi  di  qua  non  ci  torrem,  se  un  prima 
De' più  illustri  fra  noi  te  non  acquista. 
Piacquero  i  delti  ;  e  alla  sua  casa  ognuno 
Per  li  doni  spedì.  L1  araldo  un  grande 
Recò  ad  Antinoo,  e  vario  e  assai  bel  peplo,  36o 
Che  avea  dodici  d1  òr  fibbie  lampanti - 
Con  ardiglioni  ben  ricurvi  attate. 
Eun'maco  un  monile  addur  si  fece, 
D'  oio,eintrecciatod'ambra,opra  da  insigne 
Mastro  sudata,  che  splendea  qual  sole.     365 
Due  serventi  portaro  a  Euridamante 
Finissimi  orecchini  a  tre  pupille  , 
Donde  grazia  infinita  uscia  di  raggi. 
Fregio  non  fu  men  prezioso  il  vezzo , 
Che  re  Pisandro,  di  Polittor  figlio,         3^o 
Dalle  mani  d'un  servo  ebbe  ;  e  non  meno 
Belli  d'ogni  altro  Acheo  parvero  i  doni. 
La  rlivina  Penelope  ,  seguita 
Dall'ancelle,   co1  doni   alle  superne 
Stanze  montava;  ei  Proci  al  ballo  e  al  canto,  3^5 
Finché,  a  romper  nel  mezzo  i  lor  diletti, 
L'ombra  notturna  sovra  lor  cadesse. 
Caduta  sovra  lor  P  ombra  notturna, 
Tre  gran  -bracieri  saettanti  luce  , 
Cui  legne  secche  e  dure,  e  fesse  appena,   38o 
Nodriano,  i  servi  collocar  nel  mezzo; 
E  allumar  qua  e  là   più  faci  ancora. 
Cura  di  questi  fuochi  aveano  alterna 
Le  donne  del  palagio.  A  queste  feo 
Tai  detti  il  ricco  di  consigli  Ulisse  :         385 
Schiave  d1  Ulisse  ,  del  Re  vostro  assente 
Per  sì  lunga  stagion  ,  la  veneranda 
Regina  vostra  a  ritrovar  salite. 
Fusi  rotando,  o  pettinando  lane, 
Sedetele  vicino ,  e  ne1  suoi  mali  3go 

La  confortale.  Mio  pensier  frattanto 
Sarà,  che  ai   Proci  non  fallisca  il  lume. 
Quando  attendere  ancor  volesser  P  Alba  , 
Me  non  istaneberan  :  che  molto  io  sono 
Da  molto  tempo  a  tollerare  avvezzo.        3g5 
Questi  detti  lor  feo.  Riser  le  ancelle, 
E  a  vicenda  guardavansi ,  e  schernirlo 
Con  villane  parole  una  Melanto , 
Bella  guancia ,  81  ardia.  Dolio  costei 
Generò,  ma  Penelope  nutrilla ,  400 

Siccome  figlia,  nulla  mai  di  quanto 
Lusinga  le  fanciulle,  a  lei  negando: 
Né  s1  afflisse  per  ciò  con  hi  Regina 
Melanto  mai,  che  anzi  tradiala,  e  s1  era 
A  Eun'maco  d'  amor  turpe  congiunta.      4°^ 
Costei  pungea  villanamente  Ulisse  : 


LIBRO    DECIMOTTAVO 


Ospite  miserabile  ,  tu  sei 
Un  uomo  ,  io  credo  ,  di  cervello  uscito  , 
Tu  ,  che  in  vece  d1  andar  nell1  officina 
D'un  fabbro  a  coricarti,  n  in  vii  taverna,  4'o 
Qui  tra  una  schiera  te  ne  stai  di  prenci, 
Lungo  cianciando,  e  intrepido.   Alia  mente 
Ti  sali  senza  forse  il  mollo  vino, 
O  (I1  uniti  briaco  hai  tu  la  meni»*,  e  quindi 
Senza  constrntto  parli.  O  esulti  tanto,    4'-'' 
Perchè  il  ramingo  Jro  vincesti?  Bada, 
Non  alcun  qui  senza  indugiare  insorga  , 
Che,  d1  Irò  assai  miglior,  te  nella  testa 
Con  le  robuste  man  pesti  ,  e  t'  insozzi 
Tutto  di   sangue,   e  del  palagio  scacci.     42°  ! 

Bieco  guatolla,  e  le  rispose  Ulisse: 
Cagna  .  io  tatto  a  Telemaco  i  tuoi  sensi  , 
Perdi'  ei  ti  tagli  qui  mc'lesmo  in  pezzi  , 
A   riportare  andrò.  Cosi  dicendo, 
Uè  femmine  atterrì  .  che  per  la  casa        42^ 
Mosser  veloci  .  benché  a  tutte  forte 
Le  ginocchia  tremassero  :  sì  presso 
Ciò  eh1  ei  lor  detto  avea  ,  credeano  al  vero. 
Ei  si  fermò  presso  i  bracieri  ardenti , 
La  Iure  ravvivandone,  e  tenendo  4^o 

Gli  orchi  ne"  Proci  ognor,  mentre  nemiche 
Cose  agitava,  e  non  indarno,  in  petto. 

Minerva  intanto  non  lasciava  i  Proci 
Rimanersi  dall1  onte  ,  acciò  in   Ulisse 
Crescer  dovesse  col  dolor  lo  sdegno.         ^35 
Eurimaeo  di  Polibo  parlava 
Primo ,  P  eroe  mordendo  ,  e  a  nuovo  riso 
Provocando  i  compagni  :  Udite,  amanti 
Dell'inclita  Regina,  un  mio  pensiero, 
Che  tacer  non  poss' io.  Non  senza  un  Nume  44° 
Venne  costui  nella  magion  d1  Ulisse  . 
Splender  gli   veggo,   come  face,  il  capo, 
Sovra  cui  non  ispunta  un  sol  capello. 
Quindi,  al  rovesciato*1  delle  munite 
Città  converso,  Forestier ,  soggiunse,     44^ 
Vorresti!  a  me  servir,  s'io  ti  pigliassi 
Per  assestar  nel  mio  poder  le  siepi , 
E  gli  alberi   piantar  ?  Buona  mercede 
Tu  ne  otterresti  :  cotidiano  vitto  , 
E  vestimenti  al  dosso,  e  ai  pie  calzari.  45o 
Ha  perchè  sol  fosti  di  vizj  a  scuola  , 
Anzi,  che  faticar,  pitoccar  vuoi, 
Onde,  se  V  è  possibile,  sfamarti. 

Euri'maco  ,  rispose  il  saggio  Ulisse, 
Se  tra  noi  gara  di  lavor  sorgesse  4^5 

A  primavera,  quando  il  giorno  allunga, 
E  con  adunche  in  man  falci  taglienti 
Ci  ritenesse  un  prato  ambo  digiuni 
Sino  alla  notte,  e  non   mancasse  P  erba} 
O  fosser  da  guidare  ad  ambo  dati  4^0 

Grandi,  rossi,  gagliardi,  e  d'erba  sazj 
Tauri  d1  etade  e  di  virtude  uguali , 
E  date  quattro  da  spezzar  sul  campo 
Sode  bubulce  col  pesante  aratro , 
Vedresti  il  mio  vigor,  vedresti,  come     4^5 
Aprir  saprei  dritto  e  profondo  il  solco! 
Poni  ancor,  che  il  Saturnio  un1  aspra  guerra 


Da  qualche  parie  ci  volgesse  addosso, 
Ed  io  scudo  e  due  lance ,  ed  alle  tempie 
Salda  celata  di  metallo  avessi ,  470 

Misto  ai  primi  guerrier  mi  scorgeresti 
Nella  battaglia  ,  e  P  importuna  fame 
Gittare  a  me  non  oseresti  in  faccia. 
Or  protervo  è  il  tuo  labbro,  e  duro  il  core, 
E  forte  in  certa  guisa,  e  grande  sembri,  4^5 
Perchè  con  poca  gente  usi,  e  non  brava: 
Ma  Ulisse  giunga,  o  appressi  almeno,  e  queste 
Porte,  benché  assai  larghe,  a  te  già  vólto 
Negli  amari ,  ered'  io ,  passi  di  fuga , 
Dehcomea  un  tratto sembreriano  anguste '.480 
Eurimaeo  in  maggior  collera  salse, 
E,  guardandolo  bieco,  Ah!  doloroso, 
Disse,  vuoi  tu  ch'io  ti  diserti?  Ardisci 
Così  gracchiar  fra  tanti,  e  nulla  temi? 
O  il  vin  t' ingombra,  o  tu  nascesti  pazzo,  485 

0  quel  vinto  Irò  ti  cavò  di  senno. 
Ciò  detto  ,  prese  lo  sgabel  :  ma  Ulisse 

S'  abbassava  d'Anfinomo  ai  ginocchi, 
Per  causarsi  da  Eurimaeo,  che  in  vece 
Nella  man  destra  del  coppier  percosse.    49° 
Cascata  rimbombò  la  coppa  in  terra , 
E  il  pincerna  ululando  andò  riverso. 
Strepitavano  i  Proci  entro  la  sala 
Dall'ombre  cinta  della  notte  5  e  alcuno, 
Mirando  il  suo  vicin  ,  Morto,  dicea,       /jg5 
Prima  che  giunto  qua  ,  l'ospite  fosse  ! 
Portato  non  ci  avria  questo  sì  grave 
Tumulto.  Or  si  battaglia,  e  per  chi  dunque? 
Per  un  mendico;  e  già  svanì  de1  nostri 
Prandj   il  diletto,  ed  il  più  vii  trionfa.  5oo 

E  Telemaco  allor  :  Che  insania  è  questa, 
Miseri ,  a  cui  non  cai  più  della  mensa  ? 
Certo  vi  turba  e  vi  commuove  un  Dio. 
Su,  via,  poiché  de' cibi  e  de' licori 
Tacerà  il  desiderio  in  tutti  voi  ,  5o5 

Ile  a  corcarvi,  se  vel  detta  il  core, 
Ne'  vostri  alberghi  :  che  nessuno  io  scaccio. 

Tutti,  mordendo  il  labbro,  alle  sicure 
Parole  di  Telemaco  stupirò. 
Ma  tra  lor  sorse  Anfinomo,  l'illustre     5io 
Figlinol  di  Niso:  Amici,  a  chi  ben  parla 
Sinistro  più  non  si  risponda  ,  o  acerbo , 
Né  l'ospite  s'oltraggi,  o  alcun  de1  servi , 
Che  in  corte  son  del  rinomato  Ulisse. 
Muova  il  coppiere  in  giro,  e  poscia,  fatti  5i5 

1  lihamcrit i  ,  nelle  nostre  case , 

Le  membra  al  sonno  per  offrir,  si  vada, 
E  si  lasci  a  Telemaco  la  cura 
Dello  stranier,  quando  al  suo  tetto  ei  venne. 
Disse,  e  non  fu,  cui  non  piacesse  il  detto.    520 
L'  inclito  Mulio,  il  Dulichiense  araldo 
D'Anfi'nomo ,  versò  dall'  urna  il  vino  , 
E  a  tutti  in  giro  nelle  tazze  il  porse  ; 
Ed  i  Proci  libaro,  e  del  licore 
Dolce,  qual  mele,  s^inondaro  il  petto.     525 
Ma  com' ebber  libato,  e  a  piena  voglia 
Bevuto,  ognun,  per  dar  le  membra  al  sonno,. 
Affrettò  di  ritrarsi  al  proprio  albergo. 


ODISSEA 


LIBRO  DECIMONONO 


ARGOMENTO 

Partili  i  Proci,  trasportano  Ulisse  e  Telemaco  l'armi  nelle  stanze  superiori.  Telemaco  va  a  coricarsi; 
e  Penelope  scende  per  favellar  con  Ulisse,  cbe  solo  è  rimasto.  Questi  finge  una  stona,  che  la  Regina 
ode  con  grande  commoiion  d'animo.  La  nutrice  Euricléa  riconosce,  lavandolo,  Ulisse  Penelope  gli  narra 
un  sogno,  e  gli  palesa  il  cimento  che  intende  proporre  ai  Proci,  come  condmon  delle  uoize,  alle  quali 
nou  può  oramai  più  sottrarsi. 


i5 


Strage  con  Palla  macchinando  ai  Proci. 
Subito  al  figlio  si  converse,  e  disse  : 
Telemaco ,  levar  di  questi  luoghi 
L'armi  conviene,  e  trasportarle  in  alto. 
Se  le  beli1  armi  chiederanno  i  Proci  , 
Con  pandette  a  lusingarli  vólto, 
Io,  lor  dirai  ,  dal  fumo  atro  le  tolsi, 
Perchè  non  eran  più  quali  lasciolle 
Ulisse  il  giorno  che  per  Troja  sciolse  ;      i 
Ma  deturpate,  scolorate,  ovunque 
11  bruno  le  toccò  vapor  del  foco. 
Sovra  tutto  io  temei ,  né  senza  un  Nume 
Destossi  in  me  questo  timor,  non  forse 
Dopo  molto  votar  di  dolci  tazze 
Tra  voi  sorgesse  un'improvvisa  lite, 
E  P  un  P  altro  ferisse ,  ed  il  convito 
Contaminaste,  e  gli  sponsali.  Grande 
Allettamento  è  ali1  uom  lo  stesso  ferro. 
Telemaco  seguì  del  suo  diletto  20 

Padre  il  comando,  e  alla  nutrice,  cui 
Tosto  a  sé  dimandò,  Mamma,  dicea, 
Su,  via ,  ritieni  nelle  stanze  loro 
Le  femmine  rinchiuse,  in  sin  eh1  io  Panni, 
Che  qui  nella  mia  infanzia,  e  nelPassenza   25 
Del  padre,  mi  guastò  neglette  il  fumo, 
Trasporti  in  alto.  Collocarle  io  voglio, 
Dove  del  foco  non  le  attinga  il  vampo. 
Ed  Euricléa,  Figlio,  rispose,  in  petto 
Deh  ti  s'annidi  al  fin  senno  cotanto, 
Che  regger  possi  la  tua  casa,  e  intatti 
Serbar  gli  averi  tuoi!  Ma  chi  la  strada 
Ti  schiarerà?  Quando  non  vuoi  che  innanzi 
Con  le  fiaccole  in  man  vadan  le  ancelle. 
Il  forestier  ,  Telemaco  riprese. 
Chi  si  nutre  del  mio,  benché  venuto 
Di  lunge,  io  mai  non  patirollo  inerte. 
Tanto  bastò  a  colei ,  perchè  ogni  porta 
Del  ben  construtto  gineceo  fermasse. 
Ulisse  incontanente  e  il  caro  figlio 
Correano  ad  allogar  gli  elmi  chiomati, 
Gli  umbilicati  scudi  e  P  aste  acute  ; 
E  avanti  ad  ambo  P  Atenéa  Minerva , 
Tenendo  in  mano  una  lucerna  d^ro, 
Chiarissimo  spargea  lume  d1  intorno. 
E  Telemaco  al  padre:  O  padre,  quale 
Portento  !  Le  pareti  ed  i  bei  palchi , 
E  le  travi  d1  abete  e  le  sublimi 
Colonne  a  me  rifolgorare  io  veggio. 
Scese,  io  credo,  qua  deutro  alcun  de1  Numi.  5o 
Taci,  rispose  Ulisse-,  i  tuoi  pensieri 
Rinserra  in  te,  uè  cercare  oltre.  Usanza 


3o 


35 


4o 


45 


Degli  abitanti  dell1  Olimpo  è  questa. 
Or  tu  vanne  a  corcarti:  io  qui  rimango 
Le  ancelle  a  spiar  meglio,  e  della  saggia  55 
Madre  le  inchieste  a  provocar,  che  molte 
Certo,  ed  al  pianto  miste,  udire  avviso. 
Disse;   e  il  figliuolo  indi  spiccossi,  e  al  vivo 
Delle  faci  splendor  nella  remota 
Celia  si  ritirò  de1  suoi  riposi ,  60 

L1  Aurora  ad  aspettar:  ma  nella  sala, 
Strage  con  Palla  agli  orgogliosi  Proci 
Architettando ,  rimanea  P  eroe. 
La  prudente  Reina  intanto  uscia 
Pari  a  Diana ,  e  all'  aurea  Vener  pari ,    65 
Della  stanza  secreta.  Al  foco  appresso 
L?  usato  seggio  di  gran  pelle  steso  , 
E  cui  d1  Icmalio  l' ingegnosa  mano 
Tutto  d1  avorj  e  argenti  avea  commesso  , 
Le  collocaro  :  sostenea  le  piante  70 

Un  polito  sgabello.  In  questa  sede 
La  madre  di  Telemaco  posava. 
Venner  le  ancelle  dalle  bianche  braccia 
A  tor  via  dalle  mense  il  pan  rimasto , 
E  i  vóti  nappi,  onde  bevean  gli  amanti.  75 
Poi  dai  bracieri  il  mezzospento  foco 
Scossero  a  terra,  e  nuove  legna,  e  molle, 
Sopra  vi  accatastar,  perchè  schiarata 
La  sala  fosse,  e  riscaldata  a  un  tempo. 
Melanto  allor  per  la  seconda  volta  80 

Ulisse  rampognava:  Ospite,  adunque 
La  notte  ancor  t1  avvolgerai  molesto 
Per  questa  casa ,  e  adoechierai  le  donne  ? 
Fuori ,  sciagurato  ,  esci ,  e  del  convito  , 
Che  ingojasti,  t1  appaga,  o  ver,  percosso  85 
Da  questo  tizzo,  salterai  la  soglia. 
Con  torvo  sguardo  le  rispose  Ulisse  : 
Malvagia,  perchè  a  ine  guerra  si  atroce? 
Perchè  la  faccia  mia  forse  non  lustra? 
Perch'io  mal  vesto,  e,  dal  bisogno  astretto,  f)0 
Qual  tapino  uomo,  e  viandante,  accatto? 
Felice  un  giorno  aneli1  io  splendidi  ostelli 
Tra  le  genti  abitava,  e  ad  un  ramingo, 
Qual  fosse,  o  in  quale  stato  a  me  s'offrisse. 
Del  mio  largia  ;  molti  avea  servi,  e  nulla  g5 
Di  ciò  mi  venia  meno ,  ond1  è  chiamato 
Ricco  ,  e  beata  l1  uom  vita  conduce. 
Ma  Giove  ,  il  figlio  di  Saturno  ,  e  nota 
La  cagione  n1  è  a  lui ,  disfar  mi  volle. 
Guarda  però,  non  tutta  un  giorno  cada,   100 
Donna ,  dal  viso  tuo  quella  beltade , 
Di  cui  fra  P  altre  ancelle  or  vai  superba  : 
Guarda,  non  monti  in  ira,  e  ti  punisca 
La  tua  padrona;  o  non  ritorni  Ulisse, 


Come  speme  ne1  petti  ancor  ne  vive 
E  s'  et  peri ,   tal  per  favor  il1  Apollo 
Fuor  venne  il  figlio  dell1  acerba  etade, 
Che  femmina  ,  di  cui  sien  turpi  i  fatti , 
Mal  potria  nel  palagio  a  lui  celarsi. 

Udì  tutto  Penelope,  e  l'ancella  no 

Sgridò  repente:  O  temerario  petto, 
Cagna  sfacciata ,  io  pur  nelle  tue  colpe , 
Che  in  testa  ricadnionoti ,  ti  colgo. 
Sappvi  ben ,  poiché  da  me  F  udisti  , 
Cirio  lo  straniero  interrogar  volea,  n5 

Un  conforto  cercando  in  tanta  doglia. 

Dopo  questo  ,  ad  Eurinome  si  volse 
Con  tali  accenti:  Eurinome,  uno  scanno 
Reca,  e  una  pelle,  ove,  sedendo,  m'oda 
L'  ospite  favellargli  ,  e  mi   risponda.  lao 

Disse  ;  e  la  dispensiera  un  liscio  scanno 
Recò  in  fretta,  e  giù  pose,  e  d'una  densa 
Pelle  il  coprì.  Vi  s'  adagiava  il  molto 
Dai  casi  afflitto,  e  non  mai  domo,  Ulisse, 
Cui  Penelope  a  dir  così  prendea  :  125 

Ospite ,  io  questo  rhiederotti  in  prima. 
Chi?  di  che  loco?  e  di  ehe  stirpe  sei? 

E  Ulisse,  ehe  più  là  d'ogni  uomo  seppe: 
Donna,  esser  può  giammai  pel  mondo  tutto 
Chi  la  lingua  snodare  osi  in  tuo  biasmo?  i3o 
La  gloria  tua  sino  alle  stelle  sale, 
Qnal  di  He  sommo,  che  sembiante  a  un  Nume, 
E  su   molti  imperando  uomini,  e  forti, 
Sostiene  il  dritto  :  la  ferace  terra 
Di  folti  gli  biondeggia  orzi  e  frumenti,  1 25 
Gli  arbor  di  frutti  aggravami  ,  robuste 
Figlìan  le  pecorelle ,  il  mar  dà  pesei 
Sotto  il  prudente  reggimento,  e  giorni 
L'  intera  nazion  mena  felici. 
Ma  pria,  che  della  Patria  e  del  lignaggio,  i/Jo 
Di  tutt1  altro  mi  chiedi,  acciò  non  cresca 
Di  tai  memorie  il  dolor  mio  più  ancora. 
Un  infelice  io  son,  nò  mi  conviene 
Seder,  piagnendo,  nella  tua  magione: 
Che  i  suoiconfinihail  pianto,  e  ai  luoghi  vuoisi 
Mirare,  e  ai  tempi.  Se  non  tu,  sdegnarsi  (i45 
Ben  potria  contro  a  me  delle  serventi 
Tue  donne  alcuna,  e  dire  ancor,  che  quello, 
Che  fuor  m'  esce  degli  occhi,  è  il  molto  vino. 

E  la  saggia  Penelope  a  rincontro:  i5o 

Ospite ,  a  me  virtù  ,  sembianza ,  tutto 
R&pito  fu  dagl'Immortali,  quando 
Co1  Greci  ad  Ilio  navigava  Ulisse. 
S'ei,  rientrando  negli  alberghi  aviti, 
A  reggere  il   mio  stato  ancor  togliesse,    1 55 
Ciò  mia  gloria  sarebbe,  e  beltà  mia. 
Or  le  cure  m'opprimono,  che  molte 
Mandaro  a  me  gli  abilator  d1  Olimpo. 
Quanti  ha  Dulichio  e  Same,  e  la  selvosa 
Zacinto ,  e  la  serena  Itaca  prenci,  160 

Mi  ambiscon  ripugnante  ;  e  sottosopra 
Volgon  così  la  reggia  mia ,  ebe  poco 
Agli  ospiti  ornai  fommi  ,  e  ai  supplicanti 
Veder,  né  troppo  degli  araldi   io  curo. 
Io  mi  consumo,  sospirando  Ulisse.  1 65 

Quei  m'  affrettano  intanto  all'  abborrito 
Passo,  ed  io  contra  lor  d'inganni  m'armo. 
Pria  grande  a  oprar  tela  sottile,  immensa, 
Nelle  mie  stanze  ,  come  un  Dio  spirommi , 
Mi  diedi   e  ai  Proci  incontanente  io  dissi  :  1 70 


LIBRO  DECIMONONO 
io5 


9J 


Giovani,  amanti  miei,  tanto  vi  piaccia, 
Quando  già  Ulisse  tra  i  defunti  scese, 
Le  mie  nozze  indugiar ,  eh'  io  questo  possa 
Lugubre  ammanto  per  1'  eroe  Laerte , 
Acciocché  a  me  non  pera  il  vano  stame  in5 
Prima  fornir,  che  1'  inclemente  Parca 
Di  lunghi  sonni  apportatrice  il  colga. 
Non  vo1  che  alcuna  delle  Achee  mi  morda 
Se  ad  uom  ,  che  tanto  avea  d'  arredi  vivo 
Fallisse  un  drappo,  in  cui  giacersi  estinto.  180 
A  questi  detti  s'  acchetare  Intanto 
Io ,  finché  il  dì  splendca ,  1'  insigne  tela 
Tesseva ,  e  poi  la  distessea  la  notte 
Di  mute  faci  alla  propizia  fiamma. 
Un  triennio  così  1'  accorgimento  i85 

Sfuggii  degli  Achei  tutti,  e  fede  ottenni. 
Ma,  giuntomi  il  quarto  anno,  e  le  stagioni 
Tornate  in  sé  con  Io  scader  de'  mesi , 
E  de'  celeri  dì  compiuto  il  giro  , 
Còlta  dai  Proci ,  per  viltà  di  donne         ino 
Nulla  di  me  curanti ,  alla  sprovvista  , 
E  gravemente  improverata ,  il  drappo 
Condurre  al  termin  suo  dovei  per  forza. 
Ora  io  né  declinar  le  odiate  nozze 
So,  né  trovare  altro  compenso.  A  quello   iq5 
M'  esortano  i  parenti ,  e  non  comporta 
Che  la  sua  casa  gli  si  strugga  ,  il  figlio , 
Che  ornai  tutto  conosce,  e  al  suo  retaggio 
Intender  può ,  qual  cui  dà  gloria  Giove. 
Ad  ogni  modo  la  tua  Patria  dimmi ,       200 
Dimmi  la  stirpe  :  d'  una  pietra  certo 
Tu  non  uscisti,  o  d'una  quercia,  come 
Suona  d'  altri  nel  mondo  antica  fama. 
O  veneranda  ,  le  rispose  Ulisse  , 
Donna  del  Laerziade ,  il  mio  lignaggio     2o5 
Saper  vuoi  dunque?  Io  te  l'insegno.  È  vero 
Che  augumento  ne  avran  gli  affanni  miei, 
Naturai  senso  di  chiunque  visse 
Misero  pellegrin  molt' anni  e  molti 
Dalla  Patria  lontan  :  ma  tu  non  cessi      210 
D'  interrogarmi ,  e  satisfarti  io  voglio. 
Bella  e  feconda  sovra  il  negro  mare 
Giace  una  terra,  che  s'appella  Creta, 
Dalle  salse  onde  d'  ogni  parte  attinta. 
Gli  abitanti  v'  abbondano  ,  e  novanta     2i5 
Contien  cittadi ,  e  la  favella  è  mista  : 
Poiché  vi  son  gli  Achei ,  sonvi  i  natii 
Magnanimi  Cretesi  ed  i  Cidonj , 
E  i  Dorj  in  tre  divisi ,  e  i  buon  Pelasgi. 
Gnosso  vi  sorge,  città  vasta,  in  cui         220 
Quel  Minosse  regnò,  che  del  Tonante 
Ogni  nono  anno  era  agli  arcani  ammesso. 
Ei  generò  Deucali'one  ,  ond'io, 
Cui  nascendo  d'  Etón  fu  posto  il  nome , 
Nacqui,  e  nacque  il  mio  frate  Idomene'o  225 
Di  popoli  pastor ,  che  di  virtute 
Primo  ,  non  che  d' età  ,  co'  degni  Atridi 
Ad  Ilio  andò  su  le-  rostrate  navi. 
Là  vidi  Ulisse,,  ed  ospitali  doni 
Gli  feci.  A  Creta  spinto  avealo  un  forte  23o 
Vento,  che,  mente' ei  pur  vèr  la  superba 
Troja  tendea,  dalle  Male'e  lo  svolse, 
E  il  fermò  nelF  Amniso,  ove  lo  speco 
D' Ilitia  s'apre  in  disastrosa  piaggia, 
Sì  che  scampò  dalle  burrasche  appena.    a35 
Entrato  alla  città,  d' Idomene'o, 


0& 


ODISSEA 


Che  venerando  e  caro  egli  chiamava 
Ospite  suo  ,  cercò  :  se  non  che  il  giorno 
Correa  decimo,  o  undecimo  ,  che  a  Troja 
Passato  il  mio  fratello  era  sul  mare.        240 
Ma  io  l1  addussi  nel  palagio ,  a  cui 
Nulla  d'agi  mancava,  e  dove  io  slesso 
Quell'  onor  gli  rendei ,  eh1  io  seppi   meglio. 
E  fu  per  opra  mia  che  la  cittade 
Bianco  pan,  dolce  vino,  e  buoi  da  mazza,  245 
I  suoi  compagni  a  rallegrar ,  gli  diede. 
Dodici  dì  nell1  isola  restàro , 
Perchè  levalo  da  un  avverso  Nume 
Imperversava  un  Aquilon  sì  fiero, 
Che  a  stento  si  reggea  l'uomo  su  i  piedi.  25o 
Quello  il  dì  terzodecimo  al  fin  cadde; 
E  solcavan  gli  Achei  l'onde  tranquille. 
Così  fingea  ,  menzogne  molle  al  vero 
Simili  profferendo:  elia  ,  in  udirle, 
Pianto  versava  ,  e  distruggeasi  tutta.        255 
E  come  neve  che  su  gli  alti  monti 
Subito  vento  d'  Occidente  sparse , 
Sciogliesi  d'  Euro  ali1  improvviso  fiato  , 
Sì  che  gonfiati  al  mar  corrono  i  fiumi  : 
Tal  si  stemprava  in  lagrime,  piangendo  260 
L1  uom  suo  diletto ,  che  sedeale  al  fianco. 
Della  consorte  lagrimosa  Ulisse 
Pietà  nell'  alma  risentia  :  ma  gli  occhi 
Stavangli ,  quasi  corno  0  ferro  fosse  , 
Nelle  palpebre  immoti  ,  e  gli  stagnava    a65 
Nel  petto  ad  arte  il  ritenuto  pianto. 
Ella  ,  poiché  di  lagrime  fu  sazia  , 
Così  ripigliò  i  delti  :  Ospite  ,  io  voglio 
Far  prova  ora  di  te,  se,  qual  racconti, 
Ulisse,  e  i  suoi,  tu  ricettasti  in  Creta.  270 
Dimmi:  quai  panni  rivesti'ardo?  e  quale 
Di  lui,  de1  suoi  compagni  era  l'aspetto? 
Rispose  il  ricco  di  consigli  Ulisse  : 
Vigesim'  anno  è  ornai  eh1  egli  da  Creta 
Si  drizzò  a  Troja,  e  il  favellare,  o  donna,  uy5 
Di  sì  antica  stagion  duro  mi  sembra. 
Io  tutta  volta  ubbidirò ,  per  quanto 
Potrà  sovra  di  se  tornar  la  mente. 
Un  folto  Ulisse  avpa  manto  velloso 
Di  porpora  ,  cui  doppio  unia  sul  petto  280 
Fermaglio  ci'  oro ,  e  nel  dinanzi  ornava 
Mirabile  ricamo  :  un  can  da  caccia 
Tenea  co'  piedi  anteriori  stretto 
Vajo  cerbiatto ,  e  con  aperta  bocca 
Sovra  lui,  che  tremavane,  pendea  ;         285 
E  stupia  il  mondo  a  rimirarli  in  oro 
Effigiati  ambo  così ,  che  1'  uno 
Soffoca  l'altro,  e  già  1'  addenta,  e  l'altro 
Fuggir  si  sforza,  e  palpita  ne1  piedi. 
In  dosso  ancora  io  gli  osservai  sì  molle  290 
Tunica,  e  fina  sì,  qual  di  cipolla 
Vidi  talor  l' inaridita  spoglia  , 
E  splendea,  come  il  Sol;  tal  che  di  molte 
Donne,  che  l'adocchiar,  fu  maraviglia. 
Ma  io  non  so ,  se  in  Itaca  gli  stessi        2g5 
Vestiti  usasse,  o  alcun  di  quei  che  seco 
Partirò  su  la  nave,  o  in  lor  magioni 
Viaggiante  1'  accolsero  ,  donati 
Gli  avesse  a  lui  :  che  ben  voluto  egli  era, 
E  pochi  1'  agguagliàro  in  Grecia  eroi.      3oo 
So  che  una  spada  del  più  fino  rame, 
E  un  bel  manto  purpureo,  e  una  talare 


Vesta  in  dono  io  gli  porsi,  e  all'impalcata 
Nave  il  guidai  di  riverenza  in  segno. 
Araldo  ,  che  d'  età  poco  il  vincea  ,  3o5 

L'accompagnava:  alto  di  spalle,  e  grosso, 
Dov' io  rappresentarlo  a  te  dovessi, 
Nero  la  cute ,  ed  i  capelli  crespo , 
E  chiamavasi   Euribate.  Fra  tutti 

I  suoi  compagni  l'apprezzava  Ulisse,       3io 
Come  più  di  pensieri  a  sé  conforme. 

A  queste  voci  maggior  voglia  in  lei 
Surse  di  pianto,  conosciuti  i  segni, 
Che  sì  chiari  e  distinti  esporsi   udiva. 
Fermato  il  lagrimare  ,  Ospite,   disse,      3 1 5 
Di  pietà  mi  sembrasti,  e  d'ora  innanzi 
Di  grazia  mi  panai  degno,  e  d'  onore. 
Io  stessa  gli  recai  dalla  secreta 
Stanza  piegate  le  da  te  descritte 
Vesti  leggiadre,  io  nel  purpureo  manto  320 
La  sfavillante  d'  òr  fibbia  gli  affissi. 
Or  né  vederlo  più ,  né  accollo  in  questa 
Sua  dolee  terra  sperar  posso.   Ahi  crudo 
Destin  ben  fu  ,  che  alla  malvagia  Troja  , 
Nome  abborrito,  su  per  l'onda  il  trasse!   325 

D'Ulisse,  egli  riprese,   inclita  donna, 
Al  bel  corpo,  che  struggi,  ornai   perdona, 
Né  più  volerti  macerar  nell'  alma  , 
L'uom  tuo  piangendo.  Non  già  ch'io  ten  biasmi: 
Che  ognuna  spento  quell'uoin  piange,a  cui33o 
Vergine  si  congiunse,   e  diede  infanti, 
Benché  diverso  nel  valor  da  Ulisse  , 
Che  agli   Dei  somigliar  canta  la  fama. 
Ma  resta  dalle  lagrime,  e  1'  orecchio 
Porgi  al  mio  dir,  che  sarà  vero  e  integro.   335 
Io  de'  Tesproli  tra  la  ricca  gente , 
di'  ei  vive,  intesi,  e  già  ritorna,   e  molti 
Tesor,  che  qua  e  là  raccolse  ,  adduce. 
E  ver  che  perde  il  legno  e  i  suoi  compagni, 
Della  Trinacria  abbandonando  i  lidi ,       34o 
Per  la  giusta  di  Giove  ira  ,  e  del  Sole, 
Di  cui  morto  que'  folli  avean  1'  armento. 

II  mar,  che  tutti  gì'  inghiottì  ,  sospinse 
Lui  su  gli  avanzi  della  nave  infranta 

Al  caro  degli   Dei  popol  Feace.  345 

Costor  di  cuore  il  rivenan,  qual  Nume, 
Colmavanlo  di  doni  ,  e  in  Patria  salvo 
Ricondurre  il  volean  :  se  non  che  nuove 
Terre  veder  pellegrinando,  e  molti 
Tesori  radunar,  più  saggio  avviso  35o 

Parve  all'  eroe  d'  accorgimenti  mastro  , 
E  cui  non  v'  ha  chi  di  saver  non  ceda. 
Così  a  me  de'  Tesproti  il  re  Fidone 
Disse,  e  giurava,  in  sua  magion  libando, 
Che  varata  la  barca  era  ,  e  parati  355 

Color  che  deon  ripatriarlo.  Quindi 
Mi  congedò:  che,  per  Dulidiio  a  sorte, 
Le  vele  alzava  una  Tesprozia  nave. 
Ma  ei  mostrommi  in  pria,  quanto  avea  Ulisse 
Raccolto  errando,  e  che  una  casa  intera  36o 
Per  dieci  etadi  a  sostener  bastava. 
Poi  soggiungeami,  che  a  Dodona  ir  volle, 
Giove  per  consultare  ,  e  udir  dall'  alta 
Quercia  indovina,  se  ridursi  ai  dolci 
Campi  d'  Itaca  sua  dopo  sì  lunga  365 

Stagion  dovesse  alla  scoperta,  o  ignoto. 
Salvo  è  dunque,  e  vicin;  né  dagli  amici 
Disgiunto,  e  schiuso  dalle  avite  mura 


L1BH0  DECIMONONO 


91 


Gran  tempo  rimarrà.  Vuoi  tu  eh1  io  giuri? 
Prima  il  Saturnio  in  testimonio  io  chiamo,  3^0 
Sommo  tra  i  Numi,  ed  ottimo,  e  d'Ulisse 
Poscia  il  sacrato  focolar,  cui  venni; 
Tutto,  qual  dico,  seguir  dee.  Quest'anno, 
L'uno  uscendo  de1  mesi,  o  entrando  l'altro. 
Varcherà  Ulisse  le  paterne  soglie.  3j5 

Oh  s1  avveri  !   Penelope  rispose. 
Tai  dell1  affetto  mio  pegni  tu  avresti, 
Che  quale,  o  forestiero,  in  te  con  gli  occhi 
Desse,  dirfa:  Vedi  mortai  heato  ! 
Ma  altro  io  penso,  e  quel  ch'io  penso,  fia:  38o 
Né  riederà  il  consorte ,  né  t.«  scorta 
Impetrerai;  che  non  v'ha  più  un   Ulisse 
Qui,  se  pur  v^era  un  giorno,  e  non  fu  sogno, 
Un  Ulisse  non  v'ha,  che  i  venerandi 
Ospiti  accor  nel  suo  real  palagio  385 

Sappia,  ed  accommiatarli.  Or  voi,  mie  donne  , 
Lavate  i  piedi  allo  straniero ,  e  un  denso 
Di  coltri  e  vesti  e  splendidi  mantelli 
Letto  gli  apparecchiate ,  ov'  ei  corcato 
Tutta  notte  si  scaldi  in  sino  all'  Alba.    390 
L1  Alba  comparsa  in  Oriente  appena , 
Voi  tergetelo  e  ungetelo  ;  ed  ei  mangi 
Seduto  in  casa  col  mio  figlio,  e  guai 
De'  servi  a  quel  che  ingiuriarlo  ardisse  ! 
Ufficio  più  non  gli  sarà  commesso ,  3g5 

Per  cruccio  ch'ei  mostrassene.  Deh  come 
Sapresti ,  o  forestier ,  eh'  io  l1  altre  donne 
Vinco,  se  vinco,  di  bontate  e  senno, 
Mentre  di  cenci  e  di  squallor  coverto 
Pasteggiar  ti  lasciassi  entro  1'  albergo?    400 
Cose  brevi  son  gli  uomini.  Chi  nacque 
Con  alma  dura  ,  e  duri  sensi  nutre, 
Le  sventure  a  lui  vivo  il  mondo  prega, 
E  il  maledice  morto.  Ma  se  alcuno 
Ciò,  che  v'  ha  di  più  bello,  ama,  ed  in  alto  4<>5 
Poggia  con  l'intelletto,  in  ogni  dove 
Gli  ospiti  portan  la  sua  gloria ,  e  vola 
Eterno  il  nome  suo  di  bocca  in  bocca. 
Saggia  del  figlio  di  Laerte  donna  , 
Ripigliò  Ulisse,  le  vellose  vesti  4IQ 

Cadeanmi  in  odio,  ed  i  superbi  manti, 
Da  quel  di  che  su  nave  a  lunghi  remi 
Lasciai  di  Creta  i  nevicosi  monti. 
Io  giacerò,  qual  pur  solea,  passando 
Le  intere  notti  insonne.  Oh  quante  notti  4*5 
Giacqui  in  sordido  letto  ,  e  dell'Aurora 
Mal  corcato  affrettai  la  sacra  luce  ! 
Né  a  me  de'  piedi  la  lavanda  piace  : 
Né  delle  donne  ,  che  ne'  tuoi  servigi 
Spendonsi,  alcuna  toccherà  il  mio  piede,  420 
Se  non  è  qualche  annosa  e  onesta  vecchia, 
Che  al  par  di  me  sofferto  abbia  a' suoi  giorni. 
A  questa  il  pie  non  disdirei  toccarmi. 
E  l'egregia  Penelope  di  nuovo: 
Ospite  caro,  pellegrin  di  senno  42^ 

Non  capitò  qua  mai ,  che  di  te  al  core 
Mi  s'accostasse  più,  di  te,  che  in  modo 
Leggiadro  esprimi  ogni  prudente  seuso. 
Una  vecchia  ho  molto  avvisata  e  scorta, 
Che  nelle  braccia  sue  quell'  infelice         tfio 
Raccolse  uscito  del  materno  grembo, 
E  buon  latte  gli  dava,  ed  il  crescea. 
Ella,  benché  di  vita  un  soffio  in  lei 
Rimanga  sol ,  ti  laverà  le  piante. 

Pf^DE.MONTS 


Via,  fedele  Euricle'a,  sorgi,  e  a  chi  d'anni  435 
Pareggia  il  tuo  signor,  le  piante  lava. 
Tal  ne' piedi  vederlo,  e  nelle  mani 
Farmi  in  qualche  da  noi  lontana  parte: 
Che  ratto  1'  uom  tra  le  sciagure  invecchia. 
Euricléa  con  le  man  coperse  il  volto,       440 
E  versò  calde  lagrime,  e  dolenti 
Parole  articolò:  Me  sventurata, 
Figlio,  per  amor  tuo!  Più,  che  altri  al  mondo, 
Te,  che  noi  merti ,  odia  il  Saturnio  padre. 
Tanti  non  gli  arse  alcun  floridi  lombi,  445 
Tante  ecatombe  non  gli  offerse,  come 
Tu,  di  giunger  pregandolo  a  tranquilla 
Vecchiezza,  e  un  prode  allevar  figlio  ;  ed  ecco 
Che  del  ri  1  orno  il  di  Giove  ti  spense. 
O  buon  vegliardo,  allor  chea  un  alto  albergo  45o 
D'  alcun  signor  lontano  ei  pellegrino 
S'  appresserà,  1'  insulteran  le  donne, 
Qual  te  insultaro  tutte  queste  serpi, 
Da  cui ,  l'onte  schivandone  e  gli  oltraggi, 
Venir  tocou  ricusi;  ed  a  me  quindi        455 
La  figlia  saggia  del  possente  Icario 
Tal  ministero  impon  ,  che  non  mi  grava. 
Io  dunque  il  compierò,  si  per  amore 
Della  Reina,  e  sì  per  tuo:  che  forte 
Commossa  dentro  il  seri  l'alma  iomi  sento.  460 
Ma  tu  ricevi  un  de'  miei  detti  ancora: 
Fra  molti  grami  forestier ,  che  a  questa 
Magion  s'  avvicinare,   un  sol,  che  Ulisse 
Nella  voce,  ne'  piedi,  in  tutto  il  corpo, 
Somigliasse  cotanto,  io  mai  noi  vidi.      465 
Vecchia,  rispose  lo  scaltrito  eroe, 
Cosi  chiunque  ambo  ci  scorse,  afferma: 
Correr  tra  Ulisse  e  me,  qual  tu  ben  dici, 
Somiglianza  cotal  ,  che  1'  un  par  1'  altro. 
L'  ottima  vecchia  una  lucente  conca  470 

Prese,  e  molta  fredd1  acqua  entro  versovvi, 
E  su  vi  sparse  la  bollente.   Ulisse , 
Che  al  focolar  sedea,  vèr  1'  ombra  tutto 
Si  girò  per  timor,  non  Euricle'a 
Scorgesse,  brancicandolo,  l'antica  ^5 

Margine  eh'  ei  portava  in  su  la  coscia, 
E  alla  sua  fraude  si  togliesse  il  velo. 
Euricléa  nondimen  ,  che  già  da  presso 
Fatta  gli  s1  era ,  ed  il  suo  Re  lavava , 
Il  segno  ravvisò  della  ferita  480 

Dal  bianco  dente  d'un  cinghiale  impressa 
Sul  monte  di   Parnaso  ;  e  ciò  fu,  quando 
Della  sua  madre  al  genitor  famoso 
Garzone  andò,  ad  Autólico,  che  tutti 
Del  rapir  vinse,  e  del  giurar  nell'arti,  485 
Per  favor  di  Mercurio ,  a  cui  si  grate 
Cosce  d'  agnelli  ardeva  ,  e  di  capretti , 
Che  ogni  suo  passo  accompagnava  il  Nume. 
Autólico  un  di  venne  all'  Itacese 
Popolo  in  mezzo ,  e  alla  città ,  che  nato  49° 
Era  di  poco  alla  sua  figlia  un  figlio. 
Questo  Euricléa  su'le  ginocchia  all'  avo 
Dopo  il  convito  pose  ,  e  feo  tai  detti  : 
Autólico ,  tu  stesso  il  nome  or  trova 
Da  imporre  in  fronte  al  grazioso  parto ,  4°-5 
Per  cui  stancasti  co'  tuoi  voti  i  Numi. 
E  prontamente  Autólico  in  risposta  : 
Genero,  e  figlia  mia,  quel  gì'  imporrete 
Nome,  ch'io  vi  dirò.  D'uomini  e  donne 
Su  Paltrice  di  molti  immensa  terra        5oo 
i3 


•/ 


ODISSEA 


530 


535 


Spavento  io  fui:  dunque  si  chiami  Ulisse. 

10  poi,  se,  di  bambin  fatto  garzone, 
Nel  superbo  verrà  materno  albergo 
Sovra  il  Parnaso,  ove  ho  le  mie  ricchezze, 
Doni  gli  porgerò,  per  cui  più  lieto         5o5 
Discenderà  da  me ,  che  a  me  non  salse. 
A  ricevere  Ulisse  andò  tai  doni , 
E  Autólico  P  accolse,  ed  i  suoi  figli, 
Con  amiche  parole ,  e  aperte  braccia  ; 
E  l'avola  Anfitéa ,  strettolo  al  petto,       5io 

11  capo,  ed  ambi  gli  baciò  i  begli  occhi. 
Ai  figli  il  padre  comandò,  né  indarno, 
La  mensa:  un  bue  di  cinque  anni  metiaro, 
Lo  scojàr,  racconciar,  tutto  il  partirò; 
E  i  brani,  che  ne  fur  con  arte  fatti,      5i5 
Negli  schidoni  infissrro,  e  ugualmente 
Li  dispensar,  domi  che  gli  ebbe  il  foco. 
Così  tutto  quel  di  d'  ugual  per  tutti 
Prandio  godean  sino  ali1  Occaso.  Il  Sole 
Caduto,  e  apparsa  della  notte  l'ombra,  520 
La  dolcezza  provar,  cui  reca  il  sonno. 
Ma  come  figlia  del  mattin  l'Aurora 
Si  mostrò  in  ciel  ditirosata  e  bella, 
I  figliuoli  d'  Autólico  ed  Ulisse 
Con  molti  cani  a  una  gran  caccia  uscirò.  525 
La  vestita  di  boschi  alta  montagna 
Salgono,  e  in  breve  tra  i  ventosi  gioghi 
Veggonsi  di  Parnaso.  Il  Sol  recente, 
Dalle  placide  sorto  acque  profonde 
Dell'  Oceàn,  su  i  rugiadosi  campi 
Saettava  i  suoi  raggi  ,  e  i  cacciatori 
Scendcano  in  una  valle:  innanzi  i  can 
Ivan  ,  fiutando  le  salvatic'  orme  , 
E  co'  figli  d'  Autólico ,  pallando 
Una  lancia,  che  lunga  ombra  gittava , 
Tra  i  cani  e  i  cacciatori  andava  Ulisse. 
Smisuralo  cinghiale  in  cosi  folta 
Macchia  giacca ,  che  né  di  venti  acquosi 
Forza,  né  raggio  mai  d'acuto  Sole 

La  percoteva,  né  le  pioggie  affatto  5^o 

V  entravano  :  copria  di  secche  foglie 
Gran  dovizia  la  terra.  Il  cinghiai  Gero, 
Che  al  calpestio ,  che  gli  sonava  intorno , 
Appressare  ognor  più  sentia  la  caccia  , 
Sbucò  del  suo  ricetto,  e  orribilmente      545 
Rizzando  i  peli  della  sua  cervice, 
E  con  pregni  di  foco  occhi  guatando , 
Stette  di  contra.  Ulisse  il  primo,  l'asta 
Tenendo  sopramano  ,  impeto  fece 
In  lui,  ch'ei  d'impiagare  ardea  di  voglia:  55o 
Ma  la  fera  prevennelo,  ed  il  colse 
Sovra  il  ginocchio  con  un  colpo  obliquo 
Della  gran  sanna  ,  e  ne  rapì  assai  carne  5 
Né  però  della  coscia  all'  osso  aggiunse. 
Ferilla  Ulisse  allor  nell'  omer  destro  ,      555 
Dove  il  colpo  assestò:  scese  profonda 
L'  aguzza  punta  della  fulgid'  asta  ; 
E  il  mostro  su  la  polvere  cade, 
Mettendo  un  grido,  e  ne  volò  via  l'alma. 
Ma  d'  Autólico  i  figli  a  Ulisse  tutti  56o 

Travagliavansi  intorno  :  acconciamente 
Fasciar  la  piaga ,  e  con  possente  incanto 
11  sangue  ne  arrestaro  ,  e  dell'amato 
Padre  all'  albergo  il  trasporlaro  in  fretta. 
Sanato  appieno,  e  di  bei  doni  carco,      505 
Contenti  alla  cara  Itaca  contento 


Lo  rimandaro.  Il  padre  suo  Laerte 
E  la  madre  Anticléa  gioian  pur  troppo 
Del  suo  ritorno,  e  il  richiedean  di  tutto, 
E  più  della  ferita;  ed  ei  narrava,  570 

Come,  invitato  a  una  silvestre  guerra 
Da' figliuoli  dell'avo,  il  bianco  dente 
Piagollo  d'  un  cinghiai  sovra  il  Parnaso. 
Tal  cicatrice  1'  amorosa  vecchia 
Conobbe  ,  brancicandola  ,  ed  il  piede      5r;5 
Lasciò  andar  giù:  la  gamba  nella  conca 
Cadde ,  ne  rimbombò  il  concavo  rame, 
E  piegò  tutto  da  una  banda,  e  in  terra 
L'acqua  si  sparse. Gaudio  a  un1  ora  e  duolo 
La  prese,  e  gliocchile  s'empier  Hi  pianto,   58o 
E  in  uscir  le  tornò  la  voce  indietro. 
Proruppe  al  fin,  prendendolo  pel  mento: 
Caro  tìglio ,  tu  sei  per  certo  Ulisse , 
Né  io  ,  né  io  ti  ravvisai  ,  che  tutto 
Pria  non  avessi  il  mio  signor  tastato.      585 
Tacque  ;  e  guardò  Penelope,  volendo 
Mostrar  che  l'amor  suo  lungi  non  era. 
Ma  la  fìeina  né  veder  di    contra 
Poteo ,  né  mente  por-,  che  Palla  il  core 
Le  torse  altrove.  Ulisse  intanto  strinse     5go 
Con  la  man  destra  ad  Euricléa  la  gola, 
E  a  sé  tirolla  con  la  manca  ,  e  disse  : 
Nutrice  ,  vuoi  tu  perdermi  ?  Tu  stessa , 
Sì,  mi  tenesti  alla  tua  poppa  un  giorno, 
E  nelP  anno  ventesimo  ,  sofferte  5o,5 

Pene  infinite,  alla  mia  Patria  io  venni. 
Ma,  poiché  mi  scopristi,  e  un  Dio  sì  volle, 
Taci,  e  di  me  qui  dentro  altri  non  sappia: 
Però  ch'io  giuro,  e  non  invan,  che  s'io 
Con  l'ajuto  de' Numi  i  Proci  spegno,    600 
Né  da  te  pur,  benché  mia  balia  ,  il  braccio, 
Che  1'  altre  donne  ucciderà  ,  ritengo. 
Figlio ,  qual  mai  dal  core  osò  parola 
Salirti  in  su  le  labbra  ?  ella  riprese. 
Non  mi  conosci  tu  nel  petto  un'  alma    6o5 
Ferma  ed  inespugnabile?  Il  segreto 
Io  serberò,  qual  dura  selce  ,  o  bronzo. 
Ciò  senti  ancora,  e  tei  rammenta  :  dove 
Spengan  gli  Dei  per  la  tua  mano  i  Proci  , 
Delle  donne  in  palagio  ad  una  ad  una    6ro 
Qual  t' ingiuria,  io  dirotti,  e  qual  t'onora. 
Nutrice,  del  tuo  indizio  uopo  non  havvi, 
Ripigliò  Ulisse.  Io  per  me  stesso  tutte 
Le  osserverò,  conoscerolle:  solo 
Tu  a  tacer  pensa,  e  lascia  il  resto  ai  Numi.  61 5 
La  vecchia  tosto  per  nuov' acqua  uscio, 
Sparsa  tutta  la  prima.  Asterso  eh'  ebbe 
Ulisse,  ed  unto,  ei  nuovamente  al  foco, 
Calde  aure  a  trarne,  s'accostò  col  seggio  , 
E  co'  panni  la  margine  coverse.  620 

E  Penelope  allor:  Brevi  parole, 
Ospite,  ancora.  Già  de' dolci  sonni 
Il  tempo  è  giunto  per  color  ,  cui  lieve 
Doglia  consente  il  ricettarli  in  petto: 
Ma  doglia  a  me  non  lieve  i  Numi  diero.  625 
Finché  riluce  il  dì,  solo  ne' pianti 
Piacere  io  trovo,  e  ne'  sospiri ,  mentre 
Guardo  ai  lavori  dell'ancelle,  e  a1  miei. 
La  notte  poi,  quando  ciascun  s'addorme, 
Che  vai  corcarmi ,  se  le  molte  cure         63o 
Crudele  intorno  al  cor  muovonmi  guerra  ? 
Come  allor  che  di  Pandaro  la  figlia 


LIBRO  DECIMONOXO 


M 


Ne'  giorni  primi  del  rosato  aprile, 
La  fioriscente  Filomela,  assisa 
Degli  arbor  suoi  tra  le  più  dense  fronde  ,  635 
Canta  soavemente,  e  in  cento  spezza 
Suoni  diversi   la  instancabil  voce  , 
Iti ,  che  a  Zeto  partorì  ,  piangendo  , 
Iti  caro  ,  che  poi  barbara  uccise 
Per  insania,  onde  più  sé  non  conobbe  :  640 
Non  altrimenti  io  piango,  e  P  alma  incerta 
In  questa  or  piega,  ed  ora  in  quella  parte, 
S'io  stia  col  figlio,  e  integro  serbi  il  tutto  , 
Le  sostanze ,  le  serve ,  e  gli  alti  tetti , 
Del  mio  consorte  rispettando  il  letto,     645 
E  del  popol  le  voci;  o  quello  io  siegua 
Degli  Achei  tra  i  miglior,  che  alle  mie  nozze, 
Doni  infiniti  presentando,  aspira. 
Sino  a  tanto  che  il  figlio  era  di  senno, 
Come  d'età,  fanciullo  ancor,  lasciata      65o 
Questa  io  mai  non  avrei  per  altra  casa: 
Ma  or  eh'  ei  crebbe ,  e  della  pubertade 
Già  la  soglia  toccò,  men  priega  ei  stesso, 
Non  potendo  mirar  Io  strazio  indegno, 
Che  di  lui  fan  gli  Achivi.  Or  tu,  su,  via,  655 
Spiegami  un  sogno,  eh1  io  narrarti  intendo. 
Venti  nella  mia  corte  oche  io  nutrisco, 
E  di  qualche  diletto  emmi  il  vederle 
Coglier  da  limpid'  acqua  il  biondo  grano. 
Mentr'  io  le  osservo,  ecco  d  ili' alto  monte  660 
Grande  aquila  calar  curvorostrata  , 
Frangere  a  tutte  la  cervice,  tutte 
L'  una  su  1'  altra  riversarle  spente , 
E  risalir  vèr  P  etere  divino. 

10  mettea  lai,  benché  nel  sogno,  e  strida,  665 
E  le  nobili  Achee  dal  crin  ricciuto 
Vernano  a  me,  che  miserabilmente 

L1  oche  plorava  dall'  aguglia  morte, 

E  a  me  intorno  affollavansi.  Ma  quella, 

Rivolando  dal  ciel,  su  lo  sporgente         670 

Tetto  sedeasi,  e  con  umana  voce, 

Ti  raccheta,  diceami,  e  spera,  o  figlia 

Del  glorioso  Icario  :  un  vano  sogno 

Questo  non  è ,  ma  vision  verace 

Di  ciò  che  seguirà.  Neil1  oche  i   Proci     6^5 

Ravvisa ,  e  in  queste  d1  aquila  sembianze 

11  tuo  consorte,  che  al  fin  venne,  e  tutti 
Stenderà  nel  lor  sangue  a  terra  i  Proci. 
Tacquesi;  e  il  sonno  abbandonommi,  ed  io, 
Gittando  gli  occhi   per  la  corte  ,  vidi      680 
Le  oche  mie,  che  nel  truogolo,  qual  prima, 

I  graditi  frumenti  ivan  beccando. 
Donna,  rispose  di  Laerte  il  figlio, 
Altramente  da  quel  che  Ulisse  feo 
Non  lice  il  sonno  interpretar:  l'eccidio  685 
Di  tutti  i  Proci  manifesto  appare. 


E  la  saggia  Penelope  :  Non  tutti , 
Ospite,  i  sogni  investigar  si  ponno. 
Scuro  parlano,  e  ambiguo,  e  non  risponde 
L1  effetto  sempre.  Degli  aerei  sogni  690 

Son  due  le  porte,  una  di  corno,  e  Paltra 
D1  avorio.  DalP  avorio  escono  i  falsi, 
E  fantasmi  con  sé  fallaci  e  vani 
Portano  :  i  veri  dal  polito  corno , 
E  questi  mai  P  uom  non  iscorge  indarno.  6e>5 
Ah  !  creder  non  poss1  io  che  quinci  uscisse 
L'immagin  fiera  d'  un  evento,  donde 
Tanta  verrebbe  a  me  gioja,  e  al  mio  figlio. 
Ma  odi  attento  i  detti  miei.  Già  P  Alba, 
Che  rimuover  mi  dee  da  questi  alberghi,  700 
Ad  apparir  non  tarderà.  Che  farmi? 
Un  giuoco  io  propor  vo\  Dodici  pali , 
Quai  puntelli  di  nave,  intorno  a  cui 
Va  del  fabbro  la  man,  piantava  Ulisse 
L'un  dietro  all'altro  con  anelli  in  cima:  705 
Ed  ei,  lunge  tenendosi,  spingea 
Per  ogni  anello  la  pennuta  freccia. 
Io  tal  cimento  proporrò.  Chi  meglio 
Tender  Parco  saprà  fra  tutti  i  Proci, 
E  d'anello  in  auello  andar  col  dardo,    310 
Lui  seguir  non  ricuso  ,  abbandonando 
Questa  sì  bella,  e  ben  fornita,  e  ricca 
Magion  de'mieiverd' anni, ond' anche  in  sogno 
Dovermi  spesso  ricordare  io  penso. 
O  veneranda,  ripigliava  Ulisse,  715 

Donna  del  Laerziade  ,  una  tal  prova 
Punto  non  differir:  pria  che  un  de' Proci 
Questo  maneggi  arco  lucente,  e  il  nervo 
Ne  tenda,  e  passi  pe1  ritondi  ferri, 
Ti  s1  offrirà  davante  il  tuo  consorte.        720 
E  Penelope  al  fine:  Ospite,  quando, 
Vicino  a  me  sedendoti  ,  il  diletto 
Protrar  della  tua  voce  a  me  volessi , 
Non  mi  cadrebbe  su  le  ciglia  il  sonno 
Ma  non  puòsemprePuomvivereinsoDue:  725 
Che  legge  a  tutto  stabilirò  ,  e  meta 
Su  la  terra  fruttifera  gli  Eterni. 
Io,  nelle  stanze  alte  salila,  un  letto 
Premerò,  che  divenne  a  me  lugubre 
Dal  dì  che  Ulisse  il  canape  funesto  730 

Per  la  nemica  sciolse  infanda  Troja. 
Tu  nel  palagio  ti  riposa,  e  a  terra 
Sdràjati,  o,  se  ti  piace,  a  te  le  mie 
Donne  apparecchieran ,  dove  corcarti. 
La  Regina,  ciò  detto,  alle  superne  735 

Montò  sue  stanze,  e  non  già  sola;  ed  ivi 
Sino  a  tanto  piangea  l'amato  Ulisse, 
Che  un  dolce  sonno  sovra  lei  spargesse 
La  cilestra  negli  occhi  augusta  Diva. 


ODISSEA 


LIBRO  VENTESIMO 


ARGOMENTO 

Ulisse  si  sdraia  nell'atrio,  e  osserva  la  disonestà  dell'ancelle.  Chiede  a  Giove  qualche  segno  favorevole; 
ed  è  esaudito.  Temerità  di  Melatuio ,  e  accoglienza  amorevole  di  Filezio.  Ctesippo  lancia  contro  ad  Ulisse  un 
pie  di  bue:  ma  noi  coglie.  Vaticinio  di  Teoclimeno.  I  Proci  se  ne  lan  beffe;  e  scherniscono  Ulisse  ancora 
e  Telemaco. 


I 


magnanimo  figlio  di  Laerte 
Giacea  nell'atrio.  Una  recente  pelle 
Steso  aveasi  di  bue  con  altre  molte 
Di  pingui  agnelle  dagl1  ingordi  Achei 
Sagrificate  :  e  d1  un  velloso  manto  5 

Lui  già  corcato  Eurinome  coverse. 
Qui  co1  pensieri  suoi  l1  eroe  vegliava, 
Sventure  ai  Proci  divisando.  Intanto 
Le  ancelle ,  che  soleano  ai  Proci  darsi , 
Uscirò  di  lor  camere,  in  gran  riso  io 

Prorompendo  tra  loro,  e  in  turpe  gioja. 
Ei  forte  F  alma  si  sentia  commossa  , 
E  bilanciava  ,  se  avventarsi ,  e  tutte 
Porle  a  morte  dovesse  in  un  istante , 
O  consentir  che  per  l1  estrema  volta  l5 

Delinquesser  le  tristi  ;  e  in  sé  fremea. 
E  come  allor  che  ai  cagnolini  intorno 
Gira  la  madre,  e,  se  un  ignoto  spunta, 
Latra  ,  e  brama  pugnar  :  non  altrimenti 
Egli,  che  inai  patia  P  opre  nefande,  20 

Alto  fremea  nel  generoso  petto. 
Pur,  battendosi  Panca,  e  rampognando 
Egli  stesso  il  suo  cor,  Soffri,  gli  disse, 
Tu  ,  che  assai  peggior  male  allor  soffristi , 
Che  il  Ciclope  fortissimo  gli  amici  25 

Mi  divorava.  Tollerar  sapesti , 
Finché  me  fuor  dell'antro  il  senno  trasse, 
Quand'io  già  della  vita  era  in  su  Porlo. 
Ei  così  i  moti  reprimea  del  core , 
Che  ne1  recinti  suoi  cheto  si  stette.  3o 

Non  lasciava  però  su  I1  un  de'  fimchi 
Di  voltarsi,  o  su  P  altro,  a  quella  guisa 
Che  picn  di  sangue  e  d1  adipe  ventriglio 
Uom  ,  che  si  strugge  di  vederlo  incotto. 
D'un  gran  foco  all'ardor  volge  e  rivolge.  35 
Su  questo  ei  si  voltava,  o  su  quel  fianco, 
Meditando  fra  sé  ,  come  potesse 
Scagliarsi  al  fin  contra  i  malnati  prenci , 
Contra  molti  egli  solo;  ed  ecco,  scesa 
Di  cielo  ,  a  lui  manifestarsi  in  forma        4° 
D'  una  mortale  F  Atene'a  Minerva. 
Stettegli  sovra  il  capo,  e  tai  parole 
Gli  volse:  O  degli  umani  il  più  infelice, 
Perchè  i  conforti  rifiutar  del  sonno  ? 
Sei  pur  nel  tuo  palagio  ,  appo  la  fida       4^ 
Tua  donna ,  e  al  fianco  d1  un  figliuolo;,  a  cui 
Vorriano  aver  P  uguale  i  padri  tutti. 
Il  ver  parlasti,  o  Dea,  rispose  Ulisse: 
Se  non  che  meco  io  mi  consiglio,  come 
Scagliarmi  ai  Proci  svergognati  incontro,  5o 
Mentre  in  folla  ognor  son  quelli ,  ed  io  solo. 
In  oltre  io  penso,  e  ciò  più  ancor  mi  turba, 
Clie,  quando  col  favore  anco  m'  avvenga 


Del  Tonante,  e  col  tuo,  cacciarli  a  Dite, 
Non  so  dove  sottrarmi  a  quella  turba       55 
Che  vengiarli  vorrà.  Tu  questo  libra. 

Tristo  !  riprese  la  negli  occhi  Azzurra, 
L'uomo  a  un  compagno  suo  crede,  a  un  mortale 
Peggior  di  sé  talvolta  ,  e  meno  esperto, 
E  tu  non  a  me  Diva,  e  a  me,  che  in  ogni  6o 
Travaglio  tuo  sempre  ti  guardo?  Sippi  , 
Che  se  cinquanta  d1  uomini  parlanti 
Fosserci  intorno  pugnatrici  schiere, 
Sparsi  per  la  Campagna  i  greggi  loro 
Tua  preda  diverriano,  e  i  loro  armenti.  65 
Chetati,  e  il  sonno  nel  tuo  sen  ricevi: 
Che  vegliando  passar  la  notte  in  guardia 
Troppo  è  molesto.  Uscirai  fuor  tra  poco 
Da  tutti  senza  dubbio  i  mali  tuoi. 
Disse  ,  e  un  sopor  dolcissimo  gP  infuse  :  70 
Né  pria  le  membra  tutte  quante  sciolte 
Gli  vide,  e  sgombra  cP  ogni  affanno  P  alma, 
Che  all'  Olimpo  tornò  P  inclita  Diva. 

Ma  il  sonno  sen  fuggi  dagli  occhi  a  un  tratto 
Della  Reina,  che  già  sovra  il  molle  ^5 

Letto  sedeasi ,  e  ricadea  nel  pianto. 
Come  sazia  ne  fu  ,  calde  a  Diana 
Preghiere  alzò  la  sconsolata  donna  : 
O  del  Saturnio  figlia,  augusta  Dea, 
Deh  !  nel  mio  seno  un  de'tuoidardiscocca,  80 
E  ratto  poni  in  libertà  quest'  alma , 
O  mi  rapisca  il  turbine,  e  trasporti 
Per  Paria,  e  nelle  rapide  correnti 
Dell1  Oceàn  retrogrado  mi  getti. 
Così  già  le  Pandaridi  sparirò,  85 

Che  per  voler  de1  Numi  alla  lor  madre 
Crucciati ,  e  al  padre,  nella  mesta  casa 
Orfanelle  rimaste  erano  ,  e  sole. 
Venere  le  nutrì  di  dolce  mele, 
Di  vin  soave  e  di  rappreso  latte  :  90 

Senno  e  beltade  sovra  ogni  altra  donna 
Giuno  compartì  loro,  Artemi  un'alta 
Statura,  ed  ai  lavori  i  più  leggiadri 
Mano  e  intelletto  la  gran  Dea  d'Atene. 
Già  Venere  d'  Olimpo  i  gioghi  eccelsi      g5 
Montato  avea,  per  dimandar  le  nozze 
Delle  fanciulle  al  fulminante  Giove, 
Che  nulla  ignora,  e  i  tristi  eventi  e  i  lieti 
Conosce  de'  mortali  ;  e  quelle  intanto 
Dalle  veloci  Arpie  furo  rapite,  100 

E  in  balia  date  alle  odiose  Erinni. 
Così  d'  Itaca  me  tolgano  i  Numi , 
O  d'  un  de'  dardi  suoi  P  oricrinita 
Diana  mi  ferisca;  ond'io  ritrovi, 
Benché  ne' regni  della  morte,    Ulisse,      io5 
E  del  mio  maritaggio  uom  non  rallegri, 


LIBRO  VENTESIMO 


Che  (li  lui  fia  tanto  minore.  Ahi  lassa  ! 
Boti  regger  puossi  la  più  ria  sventura  , 
Quando ,  passati  lagrimando  i  giorni, 
Le  notti  almen  ci  riconforta  il  sonno,    irò 
Che  su  i  beni  l'obbh'o  sparge,  e  su  i  mali. 
Ma  sogni  a  me  fallaci  un  Nume  invia: 
E  questa  notte  ancor  mi  si  corcava 
Da  presso  il  mio  consorte  in  quel  sembiante 
Che  avea  nel  Hi  che  su  la  navp  ascese.    ii5 
Tacque;  e  sul  trono  d'or  P  Aurora  apparve. 
Ulisse  udì  le  lagrimose  voci, 
Ed  in  sospetto  entrò,  che  fatta  accorta 
Di  lui  si  fosse ,  e  già  pareagli  al  capo 
Vedersela  vicina.  Àlzossi,  e  il  manto      120 
E  i  cuoi ,  tra  cui  giacca,  raccolse,  e  pose 
Sovra  una  sedia,  e  la  bovina  pelle 
Fuor  portò  del  palagio.  Indi,  levate 
Le  mani,  a  Giove  supplicava:  O  Giove 
Padre,  e  Dei  tutti,  che  per  terra  e  mare    125 
Me  dopo  tanti  affanni  al  patrio  nido 
Riconduceste,  un  lieto  augurio  in  bocca 
Mettete  ad  nn  di  quei  che  nell1  interno 
Vegghiano;  e  all'aria  aperta  un  tuo  prodigio, 
Giove  ,  mi  mostra.  Così,  orando,  disse.     i3o 
Udillo  il  sommo  Giove,  e  incontanente 
Dal  sublime  tonò  lucido  Olimpo, 
E  l1  eroe  giubbilonne.  Al  tempo  istesso 
Donna,  che  il  grano  macinava,  delti 
Presaghi  gli  mandò,  donde  non  lungi     1 35 
Del  pastor  delle  genti  eran  le  mole. 
Dodici  donne  con  assidua  cura 
Giravan  ciascun  dì  dodici  mole, 
E  in  bianca  polve  que'  frumenti  ed  orzi 
Ridurean,  che  delPuom  son  forza  e  vita,  i^o 
Le  altre  dormi'an  dopo  il  travaglio  grave: 
M;i  quella,  cui  reggean  manco  le  braccia, 
Compiuto  non  P  avea.  Costei  la  mola 
Fermò  di  botto,  e  feo  volar  tai  voci, 
Che  segnale  al  Re  fùro:0  padre  Giove,   ifó 
Degli  uomini  signore  e  degli  Dei , 
Forte  tonasti  dalP  eterea  volta  , 
E  non  v'ha  nube.  Tal  portento  è  al  certo 
Per  alcun  ile1  mortali.  Ah!  le  preghiere 
Anco  di  me  infelice  adempii,  o  padre,  i5o 
Cessi  quest1  oggi  nella  bella  sala 
Il  disonesto  pasteggiar  de1  Proci, 
Che  di  fatica  in1  hanno,  e  di  tristezza 
Presso  un  grave  macigno  ornai  consunta. 
L'  ultimo  sia  de1  lor  banchetti  questo.     1 55 
Della  voce  allegravasi ,  e  del  tuono 
L'  illustre  6glio  di  Laerte,  e  P  alta 
Già  in  pugno  si  tenea  giusta  vendetta. 
L'  altre  fantesche  raccoglieansi   intanto, 
E  un  foco  raccendean  vivo  e  perenne.    160 
Ma  il  deiforme  Telemaco  di  Ietto 
Surse,  vestì  le  giovanili  membra, 
L'  acuto  brando  alP  omero  sospese  , 
Legò  sotto  i  pie  molli  i  bei  calzari , 
E  una  valida  strinse  asta  nodosa  i65 

Con  fino  rame  luminoso  in  punta. 
Giunto  alla  soglia,  s'arrestò  col  piede, 
E  ad  Euricléa  parlò:  Cara  nutrice, 
Il  trattaste  voi  ben  di  cibo  e  letto 
L'ospite?  O  forse  non  curato  giacque?   170 
Anco  la  madre  mia,  benché  sì  saggia, 
Sfallisce  in  questo:  chi  è  men  degno,  onora, 


E  non  cura  onorar  chi  più  sei  merta. 
Ed  Euricléa:  Figliuol,  non  incolparmi 
La  innocente  tua  madre.  A  suo  piacere  it5 
Bevea  P  ospite  assiso  ;  e  quanto  all'esca, 
Domandato  da  lei,  disse,  mestieri 
Non  ne  aver  più.  Come  appressava  P  ora 
Del  riposo  e  del  sonno  ,  apparecchiargli 
C'impose  un  letto:  ma  i  tappeti  molli  180 
Rifiutò,  qual  chi  vive  ai  mali  in  grembo. 
Corcossi  nel  vestibolo  su  fresca 
Pelle  di  tauro  e  cuoi  d'  agnelle  :  noi 
D'  una  vellosa  clamide  il  coprimmo. 
Telemaco,  ciò  udito,  usci'a  dell'alte  i85 

Stanze,  al  foro  per  ir,  con  l'asta  in  mano; 
E  due  seguianlo  pieveloci  cani. 
Colà  gli  Achei  dagli  schinieri  egregi 
Raccolti  P  attendean  :  mentre  1'  antica 
D'Opi  di  Pisenór  figlia,  le  ancelle  190 

Stimolando,  Affrettatevi,  dicea, 
Parte  a  nettar  la  sala,  e  ad  innaffiarla, 
E  le  purpuree  su  i  ben  fatti  seggi 
Coverte  a  dispiegar;  parte  le  mense 
Con  le  umide  a  lavar  forate  spugne,       195 
E  i  vasi  a  ripolire,  e  i  lavorati 
Nappi  ritondi  ;  ed  al  profondo  fonte 
Parte  andate  per  P  acqua  ,  e  nel  palagio 
Recatela  di  fretta.  I  Proci  molto 
Non  tarderan  :  sollecitar  li  dee  200 

Questo  dì  ,  che  festivo  a  tutti  splende. 

Tutte  ascoltaro,  ed  ubbidirò.  Venti 
Al  fonte  s'avviar  dalle  nere  acque: 
L'altre  gli  altri  compieano  interni  uffici. 
Vennero  i  servi  degli  Achivi,  e  secche  2o5 
Legna  con  arte  dividean;  le  donne 
Venner  dal  fonte;  venne  Euméo ,  guidando 
Tre,  della  ni  andrà  fior,  nitidi  verri, 
Che  nel  vasto  cortil  pascer  lasciava. 
Quindi  ,  fermate  nel  suo  Re  le  ciglia,     aio 
Vecchio,  impararo  a  rispettarli  forse, 
O,  disse,  a  t'oltraggiar  seguon  gli  Achei? 

Euméo ,  rispose  il  Re ,  piacesse  ai  Numi 
Questa  gente  punir  ,  che  nelP  altrui 
Magion  rei  fatti,  ingiuriando,  pensa,     ai5 
E  dramma  di  pudor  non  serba  in  petto! 

Così  tra  lor  dicean  ,  quando  il  caprajo 
Co'  più  bei  della  greggia  eletti  corpi, 
L'avido  ventre  a  riempir  de' Proci , 
Giunse,  Melanzio;  e  seco  due  pastori.     220 
Ei  le  capre  legò  sotto  il  sonante 
Portico,  e  morse  nuovamente  Ulisse: 
Stranier,  molesto  ci  sarai  tu  ancora, 
Mendicando  da  ognun  ?  Fuori  una  volta 
Non  uscirai?  Difficilmente,  io  credo,     225 
Noi  ci  dividerem ,  che  P  un  dell'  altro 
Assaggiate  le  man  non  abbia  in  prima  : 
Però  che  tu  villanamente  accatti. 
Altra  mensa  in  citjà  dunque  non  fuma? 

Nulla  P  offeso  eroe  :  ma  sol  crollava  a3o 

Tacitamente  il  capo ,  e  la  risposta , 
Che  farà  con  la  man,  tra  sé  volgea. 

Filezio  in  quella  sopraggiunse  terzo, 
Grassa  vacca  menando  ,  e  pingui  capre , 
Cui  traghettò  su  passeggiera  barca  a35 

Gente  di  mar,  che  a  questa  cura  intende. 
Le  avvinse  sotto  il  portico,  e  vicino 
Fattosi  a  Euméo ,  P  interrogava  :  Euméo  , 


ODISSEA 


Chi  è  quello  strauier  che  ai  uostri  alberghi 
Testé  arrivò?  Quali  esser  dice ,  e  dove  240 
La  sua  terra  nativa,  e  i  padri  suoi? 
Lasso!  un  Monarca  egli  mi  sembra  in  vista. 
Certo  piace  agli  Dei  metter  nel  fondo 
Delle  sventure  i  viandanti ,  quando 
Si  destina  da  loro  ai  Re  tal  sorte.  245 

Disse  T  e  appressando  il  forestiero,  e  a  lui 
La  man  porgendo,  Ospite  padre,  salve, 
Soggiunse:  almen,  se  nella  doglia  or  vivi, 
Sorganti  più  sereni  i  giorni  estremi! 
Giove,  qual  inai  di  te  Nume  più  crudo,   25o 
Che  alla  fatica  e  ali1  infortunio  in  preda 
Lasci  i  mortali,  cui  la  vita  desti  ? 
Freddo  sudor  bagnommi ,  e  mi  s1  empierò 
Gli  occhi  di  pianto,  immaginando  Ulisse, 
Cui  veder  panni  con  tai  panni  in  dosso  255 
Tra  gli  uomini  vagar ,  se  qualche  terra 
Sostienlo  ancora,  e  gli  risplende  il  Sole. 
Sventurato  di  me!  L1  inclito  Ulisse 
A  me  fanciullo  delle  sue  giovenche 
La  cura  die  ne1  Cefaleni  campi;  260 

Ed  io  sì  le  guardai,  che  in  infinito 
L1  armento  crebbe  dalle  larghe  fronti. 
Questo  sul  mare  trasporlar  per  esca 
Deggio  a  una  turba  di  signori  estrani , 
Che  né  guarda  al  figliuol ,  né  gli  Dei  teme  :  265 
Mentre  de1  beni  del  mio  Sir  lontano 
La  parte,  cui  finor  perdonò  il  dente, 
Con  gli  occhi  ella  divora,  e  col  desio. 
Ora  io  stommi  fra  due:  perchè  rea  cosa 
Certo  saria,  vivo  il  figliuolo,  a  un1  altra  270 
Gente  con  l'armento  ir;  ma  d1  altra  parte 
Pesami  fieramente  appo  una  mandra 
Restar,  che  a  me  divenne  ornai  straniera. 
E  se  non  fosse  la  non  morta  speme 
Che  quel  misero  rieda,  e  sperda  i  Proci,  275 
Io  di  qualche  magnanimo  padrone 
Già  nella  coite  riparato  avrei: 
Che  tai  cose  durar  più  non  si  ponno. 
E  l'eroe  sì  gli  rispondea:  Pastore, 
Poiché  malvagio  non  mi  sembri,  e  stolto,  280 
E  senno  anche  dimostri,  odi  i  miei  detti, 
E  il  giuramento  che  su  questi  siede. 

10  pria  tra  i  Numi  in  testimonio  Giove, 
E  la  mensa  ospitai  chiamo,  e  d1  Ulisse 

11  venerando  focolar  ,  cui  venni  :  285 
Giungerà  il  figlio  di  Laerte  ,  e  ali1  Orco 
Precipitar  gli  usurpatori  Proci 
Vedranlo ,  se  tu  vuoi ,  gli  occhi  tuoi  stessi. 

Ospite,  questo  il  Saturnide  adempia, 
Replicò  il  guardi'an  :  vedresti,   come         290 
Intrepido  seguir  del  mio  signore 
La  giusta  ira  io  saprei.  Tacque  ;  ed  Euméo 
S1  unia  con  esso,  e  agi1  Immortali  tutti 
Pel  ritorno  del  Re  preghiere  fea. 

Morte  intanto  a  Telemaco  s1  ordia  2g5 

Dai  Proci.  E  ver  che  alla  sinistra  loro 
Un1  aquila  comparve  altovolante, 
Che  avea  colomba  trepida  tra  l1  ugne. 
Tosto  Anfinomo  sorse,  e,  Amici,  disse , 
Lasciam  da  un  lato  la  cruenta  trama,     3oo 
Cui  più ,  che  invan  ,  si  pensa;  ed  il  convito 
Ci  sovvenga  più  presto.  E  il  detto  piacque. 

I  Proci  entraro  nel  palagio  ,  e  i  manti 
Sovra  i  seggi  deposero:  le  pingui 


Capre  e  i  montoni  s' immolaro  ,  corse     3o5 
De1  verri  il  sangue  ,  e  la  buessa  ,  onore 
Dell1  armento ,  cade.  Furo  spartite 
Le  abbrustolate  viscere ,  e  mesciuto 
Nell'urne  il  rosso  vino.  Eumèo  le  tazze, 
Filezio  i  pani  dispensò  ne1  vaghi  3io 

Canestri  :  ma  dall1  urne  il  buon  licore 
Melanzio  nelle  ciotole  versava. 
E  già  i  prenci  volgeano  ali1  apprestate 
Mense  il  pensier,  quando  d^lisse  il  figlio, 
Non  senza  un  suo  perchè,  seder  fé'  il  padre  3i5 
Presso  il  marmoreo  limitar  su  rozzo 
Scanno,  ed  a  picciol  desco;  e  qui  una  parte 
GÌ1  imbandì  delle  viscere,  e  gì1  infuse 
Vermiglio  vino  in  tazza  d'oro,  e  tale 
Parlò:  Tu  pur  siedi  co1  prenci ,  e  bevi.  320 

10  dalle  lingue  audaci  e  dalle  mani 

Ti  schermirò  :  che  non  è  questo  albergo 
Pubblico  ,  ma  d1  Ulisse,  ed  a  me  solo 
Egli  acquistollo.  E  voi  frenate,  o  Proci, 
Le  man  ,  non  che  le  lingue,  onde  contesa  325 
Qui  non  s1  accenda  ,  e  subitana  rissa. 

Strinser  le  labbra,  ed  inarcar  le  ciglia. 
Ed  Antinoo  così  :  La  minacciosa, 
Compagni,  di  Telemaco  favella, 
Per  molesta  che  sia,  durarla  vuoisi.         33o 
Giove  il  protegge:  che  altramente  imposto, 
Benché  canoro  arringator,  gli  avremmo 
Silenzio  eterno  da  gran  tempo.  Disse: 
E  il  dispregiò  Telemaco,  e  si  tenne. 

Già  i  banditori  l1  ecatombe  sacra  335 

Degli  Dei  conducean  per  la  citt.tde, 
E  raccoglieansi  i  capelluti  Achivi 
Sotto  il  bosco  frondifero  d1  Apollo, 
Di  cui  per  cotanto  aere  il  dardo  vola. 
E  al  tempo  stesso,  incotte  ornai  le  carni,  34o 
Nel  palagio  d1  Ulisse,  e  dagli  acuti 
Schidoni  tratte,  e  poi  divise  in  brani , 
L1  alto  vi  si  tenea  prandio  solenne. 
Parte  uguale  con  gli  altri  anco  ad  Ulisse 
Fu  posta  innanzi  dai  ministri,  come         345 
Volle  il  caro  figliuol  :  né  degli  oltraggi 
Però  Minerva  consenlia  che  i  Proci 
Rimettessero  in  punto,  acciocché  al  Rege 
L1  ira  più  addentro  penetrasse  in  petto. 
V1  era  tra  loro  un  malvagio  uom,  che  avea  35o 
Nome  Ctesippo,  e  dimorava  in  Same. 
Costui,  fidando  ne1  tesor  paterni, 
La  consorte  del  Re  con  gli  altri  ambiva. 
Surse,  e  tal  favellò:  Proci,  ascoltate. 

11  forestier,  qual  conveniasi ,  ottenne      355 
Parte  uguale  con  noi.  Chi  mai  vorn'a 

Di  Telemaco  un  ospite  fraudarne , 
Chiunque  fosse  ?  Ora  io  di  fargli  intendo 
Un  nobil  don,  eh1  egli  potrà  in  mercede 
Darposciaoalbagnajuolo, oaqualtraiservi  36o 
Gli  piacerà  dell1  immortale  Ulisse. 
Così  dicendo,  una  bovina  zampa 
Levò  su  da  un  canestro,  e  con  gagliarda 
Mano  avventolla.   L1  inconcusso  eroe 
Sfuggilla,  il  capo  declinando  alquanto,   3(35 
Ed  in  quell1  atto  d1  un  colai  suo  riso 
Sardonico  ridendo  :  e  il  pie  del  bue 
A  percuotere  andò  nella  parete. 
Meglio  d1  assai  per  te,  che  noi  cogliesti, 
Sì  Telemaco  allora  il  tracotante  3^o 


LIBRO    VENTESIMO 


io3 


Ctesippo  rabbuffò:  meglio,  che  il  colpo 
L'oste  schivasse;  però  ch'io  nel  mezzo 
Del  cor  senz1  alcun  dubbio  un1  asta  acuta 
T'  avrei  piantata ,  e  delle  nozze  in  vece 
Celebrate  t1  avria  l1  esequie  il  padre.       3^5 
Fine  dunque  agi1  insulti.  Io  più  fanciullo 
Non  son  ,  tutto  nPè  noto,  ed  i  confi  ni 
Segnar  del  retto,  e  del  non  retto,  io  valgo. 
Credete  voi  eh1  io  soffrirei  tal  piaga 
Nelle  sostanze  mie ,  se  forte  troppo         38o 
Non  fosse  impresa  il  frenar  molti  a  un  solo? 
Su,  via,  cessate  d  ali1  offese  ,  o,  dove 
Sete  del  nngue  mio  l1  alme  vi  punga, 
Prendetevi  il  mio  sangue.  Io  ciò  pria  voglio, 
Che  veder  ciasrun  giorno  opre  si  indegne,  385 

I  forestieri  dileggiati ,  e  spesso 
Battuti,  e  nello  splendido  palagio 
Contaminate,  oh  reità!  le  ancelle. 

Tutti  ammutirò,  e  sol,  ma  tardi  molto, 
Favellò  il  Damastoride  Agelao  :  390 

Nobili  amici ,  a  chi  parlò  con  senno , 
Nessun  risponda  ingiurioso  e  avverso; 
Né  forestier  più  si  percuota,  <>  altr'uomo 
die  in  corte  serva  del  divino  Ulisse. 
Io  poi  darò  a  Telemaco  e  alla  madre      3g5 
Util  consiglio  con  parole  blande, 
Se  in  cor  loro  entrerà.  Finché  speranza 
Del  ritorno  d1  Ulisse  a  voi  fioriva, 
GÌ1  indugi  perdonare,  ed  i  pretesti 
Vi  À  poteano,  e  il  trarre  in  lungo  i  Proci:  400 
Che,  quando  apparsa  la  sua  faccia  fosse, 
Di  prudenza  lodati  avn'avi  il  mondo. 
Ma  chiaro  parmi  che  più  in  man  d1  Ulisse 

II  ritorno  non  è.  Trova  la  madre 
Dunque,  eia  pressa  tu,  che  a  quel  de1  Proci,  4o5 
Che  ha  più  virtnde ,  e  più  doni  offre,  vada  : 
Onde  tu  rientrar  ne' beni  tutti 

Del  padre  possi,  e  alla  tua  mensa  in  gioja, 
Non  che  in  pace,  seder,  mentre  la  madre 
D,°l  nuovo  sposo  allegrerà  le  mura.  410 

E  il  prudente  Telemaco,  Per  Giove, 
Rispose,  e  per  li  guai  del  padre  mio, 
Ch1  erra,  o  perì,  dalla  sua  Patria  lunge, 
Ti  protesto,  Agelao,  eh1  io  della  madre 
Non  indugio  le  nozze,  anzi  la  esorto      4'^ 
Quello  a  seguir  che  più  le  aggrada,  ed  offre 
Doni  in  copia  maggior:  ma  i  Dii  beati 
Tolgan  che  involontaria  io  la  sbandisca 
Da  queste  soglie  con  severi  accenti. 

Disse,  e  Minerva  inestinguibil  riso  420 

Destò  ne1  Proci,  e  ne  travolse  il  senno. 
Ma  il  riso  era  stranier  su  quelle  guance: 
Ma  sanguigne  inghiottian  delle  sgozzate 
Bestie  le  cai  ni;  e  poi  dagli  occhi  a  un  tratto 
Sgorgava  loro  un  improvviso  pianto,       42^ 
E  di  previsa  disveutura  il  duolo 


Ne1  lor  petti  regnava.  E  qui  levossi 
Teoclimeno,  il  gran  profeta,  e  disse: 
Ah  miseri,  che  veggio?  E  qual  v'  incontra 
Caso  funesto?  Al  corpo  intorno,  intorno  43o 
D^tra  notte  vi  gira  al  capo  un  nembo. 
Urlo  fiero  scoppiò;  bagnansi  i  volti 
D1  involontarie  lagrime;  di  sangue 
Tingonsi  le  pareti  ed  i  bei  palchi; 
L1atrios,empieeilcortild1Ombre,che  in  fretta 
Giù  discendon  nell1  Èrebo;  disparve       (435 
Dal  cielo  il  Sole,  e  degli  aerei  campi 
Una  densa  caligine  indonnossi. 

Tutti  beffarsi  del  profeta,  e  queste 
Voci  Eu rimaro  sciolse:  Il  forestiero,        44° 
Che  qua  venne  testé  non  so  da  dove , 
Vaneggia,  io  penso.  Giovani,  su  ,  via, 
Mettetel  fuori,  acciocché  in  piazza  ei  vada, 
Poscia  che  qui  per  notte  il  giorno  prende. 

E  l1  indovino,  Eurimaco,  rispose,  44^ 

Coteste  guide,  che  vuoi  darmi,  tienti. 
Occhi  ho  in  testa,  ed  orecchi ,  e  due  pie  sotto  , 
E  di  tempra  non  vile  un1  alma  in  petto. 
Con  tai  soccorsi  io  sgombrerò,  scorgendo 
Il  mal  che  sopra  voi  pende,  e  a  cui  torsi  45o 
Non  potrà  un  sol  di  voi,  che  gli  stranieri 
Oltraggiate,  e  studiate  iniquitadi 
Nella  magion  del  pari  ai  Numi  Ulisse. 
Ciò  detto,  uscì  da  loro,  ed  a  Pireo, 
Che  di  buon  grado  il  ricevè,  s'addusse.  455 

Ma  i  Proci,  riguardandosi  a  vicenda, 
E  beffe  d1  ambo  i  forestier  facendo, 
Provocavan  Telemaco.  Non  havvi , 
Talun  dicea,  chi  ad  ospiti  stia  peggio, 
Telemaco,  di  te.  L1  uno  è  un  mendico    460 
Errante,  ornai  di  fame  e  sete  morto, 
Senza  prodezza,  senza  industria,  peso 
Disutil  della  terra;  e  l1  altro  un  pazzo, 
Che,  per  far  del  profeta,  in  pie  si  leva. 
Vuoi  tu  questo  seguir,  eh1  io  ti  propongo,  465 
Sano  partito?  Ambo  gittiamli  in  nave, 
E  li  mandiam  della  Sicilia  ai  lidi. 
Più  gioveranno  a  te,  se  tu  li  vendi. 

Telemaco  di  lui  nulla  curava: 
Ma  levati  tenea  tacito  gli  occhi  470 

Nel  genitor,  sempre  aspettando  il  punto 
Ch1  ei  fatto  conlra  i  Proci  impeto   avrebbe. 

In  faccia  della  sala,  e  in  su  la  porta 
Del  gineceo,  da  un  suo  lucente  seggio 
Tutti  i  lor  detti  la  Regina  udia.  47$ 

E  quei,  ridendo,  il  più  soave  e  lauto, 
Però  che  molte  avean  vittime  uccise, 
Convito  celebrar:  ma  più  ingioconda 
Cena  di  quella  non  fu  mai,  che  ai  Proci, 
Degna  mercè  della  nequizia  loro,  4°"o 

Stavan  per  imbandir  Palla  ed  Ulisse. 


ODISSEA 


LIBRO  VENTESMOPRIMO 


ARGOMENTO 

Penelope,  per  ispiratimi  di  Minerva,  propone  il  cimenlo  dell'arco,  presta  di  qnello  sposare  tra  i  Proci, 
che  saprà  tenderlo,  e  spinger  secondo  la  imposta  legge  lo  strale.  Telemaco  apparecchia  il  giuoco  ,  ed  egli 
slesso  pruovasi  il  primo,  pensando  di  ritenere  in  casa,  se  il  giuoco  gli  riesce,  la  madre:  ma  in  sul  più 
bello  il  padre  gli  comanda  di  starsi.  Si  pruovauo  alcuni  Proci,  ed  inutilmente.  Escono  intanto  Filezio  ed 
Eume'o  ;  e  Ulisse  li  siegue,  si  scuopre,  e  dà  loro  gli  ordini  più  opportuni.  Nuovi  ed  inutili  tentativi,  dopo 
i  quali  Anlinoo  suggerisce  di  differire  al  giorno  appresso  il  cimento.  Ulisse  anch'  egli  vuol  cimentarsi,  e  i 
Proci  s'oppongono  indarno.  Egli  esamina  l'arco,  il  tende  con  molta  facilità,  e  spinge  la  freccia  secondo  il 
rito  felicissimamente. 


IVla  Palla,  occhio  azzurrino,  alla  prudente 
Figlia  d'Icario  entro  lo  spirto  mise 
Di  propor  l1  arco  ai  Proci,  e  i  ferrei  anelli, 
Nella  casa  d'Ulisse:  acerbo  gioco, 
E  di  strage  principio,  e  di  vendetta.  5 

La  donna  salse  alla  magioo  più  alta, 
E  dell1  abil  sua  man  la  bella  e  ad  arte 
Curvata  chiave  di  metallo  prese 
Pel  manubrio  di  candido  elefante. 
Ciò  fatto,  andò  con  le  fedeli  ancelle  io 

Nella  stanza  più  interna ,  ove  i  tesori 
Serbavansi  del  Re:  rame,  oro  e  ferro 
Ben  travagliato.  E  qui  giacea  pur  l'arco 
Ritorto,  e  il  sagittifero  turcasso, 
Che  molte  dentro  a  sé  frecce  chiudea        i5 
Dolorifere:  doni,  che  ad  Ulisse , 
Cui  s'abbattè  nella  Laconia  un  giorno, 
Feo  I?  Eutitide  Ifito  ai  Numi  eguale. 
S1  incontraro  gli  eroi  nella  magione 
D1  Orsiloco  in  Messeti ia.  Di  Messeni  20 

Una  masnada  pecore  trecento 
Co'lor  custodi  su  le  lunghe  navi 
Rapito  avea  dagl1  Itacesi  paschi; 
E  a  richiederle  il  padre,  e  gli  altri  vecchi, 
Giovane  ambasciator  per  lunga  strada,     25 
Mandaro  Ulisse.  D'  altra  parte  Ifito 
In  traccia  seri  venia  delle  perdute 
Sue  dodici  cavalle,  e  delle  forti 
Alla  lor  mamma  pazienti  mule  , 
Donde  ruina  derivògli,  e  morte:  3o 

Però  che  Alcide  ,  il  gran  figliuol  di  Giove, 
D1  opere  grandi  fabbro,  a  lui  ,  che  accolto 
Nel  suo  palagio  avea,  non  paventando 
Né  la  giustizia  degli  Dei ,  né  quella 
Mensa  ospitai  che  gli  avea  posta  innanzi,    35 
Tolse  iniquo  la  vita,  e  le  giumente 
Dalla  forte  unghia  in  sua  balia  ritenne. 
Queste  cercando,  s'abbattè  ad  Ulisse, 
E  P  arco  "gli  donò,  che  il  chiaro  Eurito 
Portava,  e  in  man  del  suo  diletto  figlio  4° 
Pose  morendo  negli  eccelsi  alberghi. 
E  il  Laerziade  un'affilata  spada 
Diede,  e  una  lancia  noderosa  a  Ifito , 
D'  un'  amistà  non  lunga  unico  pegno  : 
Che  di  mensa  conoscersi  a  vicenda  45 

Lor  non  fu  dato,  ed  il  figliuol  di  Giove 
L'  Euritide  divino  innanzi  uccise. 
Quest'arco  Ulisse,  allorché  in  negra  nave 
Alle  dure  traea  belliche  prove , 
Noi  togliea  mai;  ma  per  memoria  eterna  5o 


Del  caro  amico  alla  parete  appeso 
Lasciar  solealo,  e  sol  gravarne  il  dosso 
Neil'  isola  natia  gli  era  diletto. 

Come  pervenne  alla  secreta  stanza 
L'  egregia  donna,  e  il  limitar  di  quercia  55 
Salì  construtto  a  squadra  e  ripolito 
Da  fabbro  iudustre,  che  adattovvi  ancora 
Le  imposte  ferme  e  le  lucenti  porte  , 
Tosto  la  fune  dell'  anello  sciolse , 
E  introdusse  la  chiave,  ed  i  serrami         60 
Respinse  :  un  rimugghiar,  come  di  tauro  , 
Che  di  rauco  boato  empie  la  valle  , 
S'udì,  quando  le  porte  a  lei  s'aprirò. 
Ella  montò  su  1'  elevato  palco , 
Dove  giaceano  alle  bell'arche  in  grembo    65 
Le  profumate  vesti,  e,  distendendo 
Quindi  la  man  ,  dalla  cavicchia  1'  arco 
Con  tutta  distaccò  la  luminosa 
Vagina,   entro  cui  stava.  Indi  s' assise  ; 
E,  quel  posato  su  le  sue  ginocchia,  70 

Ne'  pianti  dava,  e  ne'  lamenti:  al  fine 
Dalla  custodia  sua  1' arco  fuor  trasse. 
Ma  poiché  fu  di  lai  sazia  e  di  pianti , 
Scese,  e  de'  Proci  nel  cospetto  venne  , 
Quello  in  man  sostenendo,  e  la  faretra       ^5 
Gravida  di  mortifere  saette  : 
Mentre  le  ancelle  la  seguian  con  cesta 
Del  ferro  piena,  che  leggiadro  a  Ulisse 
Di  forza  esercizio  era,  e  di  destrezza. 
Giunta  ove  quei  sedean,  fermava  il  piede  80 
Della  sala  dedalea  in  su  la  soglia 
Tra  1' una  e  l'altra  ancella,  e  co' sottili 
Veli  del  crine  ambo  le  guance  ombrava. 
Poisciogliea  tali  accenti:  Ovoi,  che  in  questa 
Casa,  lontano  Ulisse,  a  forza  entraste,      85 
Gl'interi  giorni  a  consumar  tra  i  nappi, 
Né  di  tal  reità  miglior  difesa 
Sapeste  addur,  che  le  mie  nozze,  udite: 
Quando  sorse  il  gran  dì,  chela  mia  matto 
Ritener  più  non  deggio,   ecco  d'Ulisse      90 
L'arco,  che  per  certame  io  vi  propongo. 
Chi  tenderallo  ,  e  passerà  per  tutti 
Con  la  freccia  volante  i  ferrei  cerchj, 
Lui  seguir  non  ricuso,  abbandonata 
Questa  sì  bella,  e  di  ricchezze  colma        95 
Magion  de' miei  verd' anni,  ond'anche  in  sogno 
Dovermi  spesso  ricordare  io  penso. 

Disse;  e,  chiamato  Eume'o,  recare  ai  Proti 
L'arco  gì' ingiunse,  e  degli  anelli  il  ferro. 
Ei  lagrimando  il  prese,  e  nella  sala         100 


LIBRO   VEUTESIMOPRIMO 


io5 


Deposelo;  e  Filezio  in  altra  parte, 
Visto  l1  arma  del  Re ,  pianto  versava. 
Ma  sgridavali  Antinoo  in  tai  parole  : 
Sciocchi  villani,  la  cui  mente  inferma 
Oltra  il  presente  dì  mai  non  si  stende,   io5 
Perchè  tal  piagnisteo?  Perchè  alla  donna 
L'  alma  nel  petto  commovete,  cpiasi 
Per  sé  stessa  non  dolgasi  abhastanza 
Del  perduto  consorte?  O  qui  sedete 
Taciti  a  bere,  o  a  singhiozzare  uscite,    no 
E  lasciate  a  noi  Parco,  impresa  molto, 
Vaglia  il  ver,  forte  per  noi  tutti,  e  a  gabbo 
Da  non  pigliar:  che  non  avvi  uotn  tra  noi 
Pari  ad  Ulisse  per  curvarlo.  Il  vidi 
Negli  anni  miei  più  teneri,  ed  impressa  u5 
Me  ne  sta  in  mente  da  quel  dì  l1  imago. 
Così  d'  Eupite  il  figlio;  e  non  pertanto 
Il  nervo  confidavasi  piegarne  , 
E  d1  anello  in  anel  mandar  lo  strale. 
Ma  dovea  prima  P  infallibil  freccia  120 

Gustare  in  vece  dall'  eroe  scoccata  , 
Cui  poc'  anzi  oltraggiava,  e  incontro  a  cui 
Aizzava  i  compagni  a  mensa  assiso. 
Qui   tra  i  Proci  parlò  la  sacra  forza 
Di  Telemaco:  Oh  Dei!  Me  Giove  al  certo  ia5 
Cavò  di  senno.  La  diletta  madre 
Dice  un  altro   consorte,  abbandonando 
Queste  mura,  seguir,  benché  sì  saggia, 
E  folle  io  rido,  e  a  sollazzarmi  attendo. 
Su,  via,  poiché  a  voi,  donna,  in  premio  s'offre, 
Cui  non  PAcaica  terra,  e  non  la  sacra  (i3o 
Pilo,   ed  Argo,  Micene,  Itaca  stessa 
Vanta  P eguale,  e  la  feconda  Epiro; 
E  il  sapete  voi  ben,  né,  eh1  io  vi  lodi 
La  genitrice,  oggi  è  mestier;su,  via,      1 35 
Con  vane  scuse  non  tirate  in  lungo 
Questo  certame,  e  non  rifugga  indietro 
Dalla  tesa  dell1  arco  il  vostro  braccio. 
Cimenterommi  anch'io.  S'io  tenderollo, 
E  ne1  ferri  entrerò  con  la  mia  freccia,    140 
Me  qui  lasciar  per  nuove  nozze  in  duolo 
La  genitrice  non  vorrà,  fuggire 
Non  vorrà  da  un  figlino!,  che  ne1  paterni 
Giochi  la  palma  riportar  già  vale. 
Surse,  ciò  detto,  ed  il  purpureo  manto   1 45 
Dagli  omeri  deposto,  e  il  brando  acuto, 
Scavò,  la  prima  cosa,  un  lungo  fosso, 
Le  colonnette  con  gli  anelli  in  cima 
Piantovvi,  a  squadra  dirizzolle,  e  intorno 
La  terra  vi  calcò.  Stupìano  i  Proci  i5o 

Vedendole  piantare  a  lui  sì  bene , 
Bench'  egli  a  nessun  pria  viste  le  avesse. 
Ciò  fatto,  delle  porte  andò  alla  soglia, 
E ,  fermatovi  il  pie  ,  1'  arco  tentava. 
Tre  fiate  trar  volle  il  nervo  al  petto,     1 55 
Tre  dalla  man  gli  scappò  il  nervo.  Pure 
Non  disperava  che  la  quarta  prova 
Più  felice  non  fosse.  E  già,  la  corda 
Traendo  al  petto  per  la  quarta  volta, 
Teso  avria  l'arco:  ma  il  vietava  Ulisse    160 
D1  un  cenno,  e  lui,  che  tutto  ardea,  frenava. 
E  Telemaco  allor,    Numi!  soggiunse, 
O  debile  io  vivrò  dunque ,  e  dappoco 
Tutto  il  mio  tempo,  o  almen  la  poca  etade 
Forze  da  ributtar  chi  ad  oltraggiarmi      1 65 
Si  scagliasse  primier ,  non  dammi  ancora. 

PEDEMONTE 


Ma  voi,  che  siete  più  gagliardi,  Parma 
Tastate  adunque,  e  si  compisca  il  gioco. 
Detto  così,  Parco  ei  depose  a  terra, 
E  ali1  incollate  tavole  polite  i*0 

L'appoggiò  della  porta,  e  posò  il  dardo 
Sul  cerchio,  che  dell'arco  il  sommo  ornava. 
Poi  s1  assise  di  nuovo.  E  Antinoo,  il  figlio 
D1  Eupite,  favellò:  Tutti,  o  compagni" 
Dalla  destra  per  ordine  v'alzate,  i^5 

Cominciando  ciascun  ,  donde  il  vermiglio 
Lieor  si  versa.  Il  detto  piacque,  e  primo 
L1  Enopide  Leode  alzossi,  eh1  era 
Loro  indovino,  e  alla  bell'urna  sempre 
Sedea  più  presso.  Odio  alla  colpa  ei  solo  180 
Portava,  e  gli  altri  riprendea.  Costui 
L'arco  lunato  ed  il  pennuto  strale 
Si  recò  in  mano,  e  alla  soglia  ito,  e  fermo 
Su  i  piedi ,  tentò  il  grave  arco,  e  noi  tese: 
Che  sentì  intorno  alla  ribelle  corda         i85 
Prima  stancarsi  la  man  liscia  e  molle. 
Altri,  disse,  sei  prenda;  io  certo,  amici, 
Noi  tenderò:  ma  credo  ben,  che  a   molti 
Sarà  morte  quest'arco.  È  ver  che  meglio 
Torna  il  morire,  che  il  giù  torsi  vivi      100 
Da  quella  speme  altissima,  che  in  queste 
Mura  raccolti  sino  a  qui  ci  tenne. 
Spera  oggi  alcun,  non  che  insuocore  il  brami, 
La  Regina  impalmar:  ma,  come  visto 
Questo  arnese  abbia,  e  maneggiato,  un'altra  ig5 
Chiederà  dell'Adire  peploaddobbate, 
Nuziali  presenti  a  lei  porgendo, 
E  a  Penelope  il  fato  uom,  che  di  doni 
Ricolmeralla ,  condurrà  d'altronde. 
Così  parlato,  ei  mise  l'arco  a  terra,        200 
E  all'incollate  tavole  polite 
L'appoggiò  della  porla,  e  posò  il  dardo 
Sul  cerchio,  che  dell'arco  il  sommo  ornava. 
Quindi  tornò  al  suo  seggio.  E  Antinooin  tali 
Voci  proruppe:  Qual  molesto,  acerbo     2o5 
Dalla  chiostra  de' denti  a  te,  Leode, 
Detto  sfuggì,  che  di  furor  m'  infiamma? 
A  noi  dunque  sarà  morte  quest'arco? 
Se  tu  curvar  noi  puoi,  la  madre  incolpa, 
Che  d'archi  uom  non  ti  fece,  e  di  saette:  210 
Ma  gli  altri  Proci  il  curveranno,  io  penso. 
Disse,   e  al  custode  del  caprino  gregge 
Questo  precetto  die  :  Melanzio  accendi 
Possente  foco  nella  sala,  e  appresso 
Vi  poni  seggio,  che  una  pelle  cuopra.   2i5 
Poi  di  bianco  e  indurato  adipe  reca 
Grande ,  ritonda  massa  ,  acciocché  s'  unga 
Per  noi  P  arco,  e  si  scaldi,  ed  in  tal  guisa 
Questo  certame  si  conduca  a  fine. 
Melanzio  accese  un  istancabil  foco,  220 

E  con  pelle  di  sopra  un  seggio  pose. 
Poi  di  bianco  e  indurato  adipe  massa 
Grande  e  tonda  recò.  L'  arco  unto  e  caldo 
Piegar  tentaro  i  giovani.  Che  valse, 
Se  lor  non  rispondean  le  braeciaimbelli?  225 
Ma  dalla  prova  s'  asteuean  finora 
Eurimaco  ed  Antinoo,  che  de' Proci 
Eran  di  grado  e  di  valore  i  primi. 
Uscirò  intanto  del  palagio  a  un  tempo 
11  pastor  de'  majali ,  e  quel  de'  buoi ,      23o 
E  Ulisse  dopo.  Delle  porle  appena 
Fuor  si  trovaro,  e  del  cortil,  ch'ei,  dolci 
>4 


io6 


ODISSEA 


Parole  ad  ambi  rivolgendo,  Eliaco, 
Disse,  «  Fihzio ,  favellar  degg'  io, 
O  i  delti  ritener?  Di  ritenerli  235 

L1  animo  non  mi  dà.  Quali  sareste       > 
D'Ulisse  a  prò,  se  d1  improvviso  al  vostro 
Cospetto  innanzi  il  presentasse  un  Nume? 
Ai  Proci,  o  a  lui,  soccorrereste  voi? 
Ciò,  che  nel  corvi  sta,  venga  sul  labbro.  240 

0  Giove  padre,  sciamò  allor  Filezio, 
Adempi  il  voto  mio!  L1  eroe  qua  giunga, 
E  un  Nume  il  guidi.  Tu  vedresti,  o  vecchio, 
Quale  in  me  l'ardir  fora,  e  quale  il  braccio. 
Ed  Etunéo  nulla  meno  agli  Dei  tutti       245 
Pel  ritorno  del  Re  preghiere  alzava. 

Ei,  come  certo  a  pien  fu  della  mente 
Sincera  e  fida  d'amhiduo,  soggiunse: 
In  casa  eccomi  io  stesso,  io,  che,  sofferte 
Sventure  senza  numero,  alla  terra  25o 

Nativa  giunsi  nel  vigesirn1  anno. 
So  che  a  voi  soli  desiato  io  spunto 
Tra  i  servi  miei  :   poiché  degli  altri   tutti 
Non  udii  che  un  bramasse  il  mio  ritorno. 
Quel  ch'io  farò  per  voi,  dunque  ascoltate.  255 
Voi  da  me  donna  e  robe,  ove  dai  Numi 
D1  esterminar  mi  si  conceda  i  Proci, 
Voi  case  dalla  mia  non  lungi  estrutte 
Riceverete;  ed  io  terrovvi  in  conto 
Di  compagni  a  Telemaco  ,  e  fratelli.        260 
Ma  perchè  in  forse  non  restiate  punto, 
Eccovi  a  segno  manifesto  il  colpo, 
Che  d1  un  fiero  cinghiai  la  bianca  sanna 
M'impresse  il  dì  eh1  io  sul   Parnaso  salsi 
Co1  figliuoli  d'Autólico.  Ciò  detto ,  265 

Dalla  gran  cicatrice  i  panni  tolse. 

Quei,  tutto  visto  attentamente,  e  tocco, 
Piagnean ,  gittate  di  Laerte  al  figlio 
Le  mani  intorno,  e  gli  omeri  e  la  testa  , 
Stringendol ,  gli  baciavano;  ed  Ulisse       270 
Lor  baciò  similmente  e  mani  e  capo. 
E  già  lasciati  il  tramontato  Sole 
Lagrimosi  gli  avn'a,  se  così  Ulisse 
Non  correggeali:  Fine  ai  pianti.  Alcuno 
Potria  vederli ,  uscendo,  e  riportarli        2^5 
Di  dentro.  Udite.  Nella  sala  il  piede 
Riponiam  tutti,  io  prima,  e  poscia  voi, 
E  d1  uu  segnale  ci  accordiamo.  I  Proci , 
Che  a  me  si  porga  la  faretra  e  P  arco , 
Non  patiran  :  ma  tu,  divino  Enméo ,      280 
L1  uno  e  P  altra  mi  reca,  e  di1  alle  donne, 
Che  gli  usci  chiudan  delle  stanze  loro  ; 
E  per  romor  nessuna,  o  per  lamento, 
Che  P orecchio  a  ferir  le  andasse  a  un  tratto, 
Mostrisi  fuori,  ma  quelP  opra  siegua,      285 
Che  avrà  tra  mano  allor,  ne  se  ne  smaghi. 
Raccomando  a  te  poi,  Filezio  illustre, 
Serrar  la  porta  del  cortile  a  chiave , 
E  con  ritorte  rafforzarla  in  fretta. 
Entrò,  ciò  detto,  e  donde  pria  sorto  era,  290 
S1  assise;  ed  ivi  a  poco  entrato  i  servi. 
Già  per  le  mani  Eurimaco  il  grand1  arco 
Si  rivolgeva,  ed  a1  rai  quinci  e  quindi 
Della  fiamma  il  vibrava.  Inutil  cura  ! 
Meglio  che  gli  altri  non  per  questoil  tese.  295 
Gemè  nel  cor  superbo,  e  queste  voci 
Tra  i  sospiri  mandò:  Lasso!  un  gran  duolo 
Di  me  stesso  e  di  voi  senio  ad  un1  ora. 


Né  già  sol  piango  le  perdute  nozze  : 
Che  nelP  ondicerchiatu  Itaca,  e  altrove,  3oo 
Sul  capo  a  molte  Achee  s1  increspa  il  crine. 
Piango,  che,  se  di  forze  al  grande  Ulisse 
Tanto  cediam  da  non  curvar  quest1  arco, 
Si  rideran  di  noi   P  età  future. 

No,  P  Eupitide  Antinoo  a  lui  rispose,       3o5 
Ciò,  Eurimaco,   non  fia  :  tu  stesso  il  vedi. 
Sacro  ad  Apollo  è  questo  dì.  Chi  Parco 
Tender  potrebbe?  Deponiamlo,  e  tutti 
Lasciamo  star  gli  anelli,  e  non  temiamo 
Che  alcun  da  dove  son  ,  rapirli  ardisca.  3io 
Su  ,  via,   P  abil  coppier  vada  co1  nappi 
Ricolmi  in  giro,  e,  poiché  avrem  libato, 
Mettiam  l'arco  da  parte.  Al  dì  novello 
Melanzio  a  noi  le  più    fiorenti  capre 
Guidi  da  tutti  i  branchi,  onde,  bruciati  3i5 
I  pingui  lombi  al  glorioso  Arciero , 
Si  riprenda  il  cimento  ,  e  a  fin  s1  adduca. 

Piacque  il  suo  detto.  1  banditori  tosto 
L1  acqua  diero  alle  man,  P  urne  i  donzelli 
Di  vino  incoronaro,  e  il  dispensaro         320 
Con  le  tazze,  augurando,  a  tutti  in  giro. 
Come  libato ,  e  a  piena  voglia  tutti 
Bevuto  ebber  gli  amanti,  il  saggio  Ulisse, 
Che  stratagemmi  in  cor  sempre  agitava, 
Così  lor  favellò:   Competitori  325 

Dell1  inclita  Regina,  udir  v1  aggradi 
Ciò  che  il  cor  dirvi  mi  consiglia  e  sforza. 
Eurimaco  fra  tutti,  e  il  pari  a  un  Nume 
Antinoo  ,   che  parlò  sì  acconciamente  , 
L1  orecchio  aprire  alle  mie  voci  io  priego.  33o 
Perdonate  oggi  ali1  arco  ,  e  degli  Eterni 


Non  ostate  al  voler 
A  cui  lor  piacerà . 


forza  domane 
daranno  i  Numi. 
Ma  intanto  a  me,  Proci,  quelParma  :  io  prova 
Voglio  far  del  mio  braccio,  e  veder  s'io  335 
Nelle  membra  pieghevoli  P  antico 
Vigor  mantengo,  o  se  i  miei  lunghi   errori 
Disperso  P  hanno,  e  i  molli  miei  disagi. 
Rinfocolarsi  a  ciò  ,  forte  temendo  , 
Non  il  polito  arco  ei  piegasse.  E  Antinoo  34o 
Lo  sgridava  in  tal  guisa  :  O  miserando 
Degli  ospiti ,  sei  tu  fuor  di  te  stesso  ? 
Non  ti  contenti ,  che  tranquillo  siedi 
Con  noi  principi  a  mensa,  e,  che  a  nulPaltro 
Stranier  mendico  si  concede  ,  vieni  345 

Delle  vivande  e  de1  sermoni  a  parte  ? 
Certo  te  offende  il  saporoso  vino , 
Che  tracannato  avidamente  ,  e  senza 
Modo  e  termine  alcuno  ,  a  molti  nocque. 
Nocque  al  famoso  Eurizion  Centauro ,     35o 
Quando  venne  tra  i  Làpiti ,  e  nelP  alla 
Casa  ospitale  di  Piritoo  immensi, 
Compreso  di  furor,  mali  commise. 
Molto  ne  dolse  a  quegli  eroi,   che  incontro 
Se  gli  avventaro,  e  del  vesti  boi  fuori      355 
Trasserlo  ,  e  orecchie  gli  mozzaro  e  nari 
Con  affilato  brando  ;  ed  ei ,  cui  spento 
Dell1  intelletto  il  lume  avean  le  tazze , 
Sen  già  manco  nel  corpo  e  nella  mente. 
Quindi  s1  accese  una  cruenta  pugna        36o 
Tra  gli  sdegnati  Lapiti  e  i  Centauri  : 
Ma,  gravato  dal  vin,  primo  il  disastro 
Eurizion  portò  sovra  sé  stesso. 
Così  te  pur  grave  infortunio  aspetta, 


LIBRO    VENTESIMOPRIMO 


»o7 


Se  P  arco  tenderai.  Del  popol  tutto         365 

Non  fia  chi  s1  alzi  in  tua  difesa ,  e  noi 

Ad   Echeto,  degli  uomini  flagello, 

Dalle  cui  man  né  tu  salvo  uscirai, 

Ti   raanderem  su  rapido  naviglio. 

Chetati  adunque,  ed  il  pensiero  impronto  370 

Di  contender  co1  giovani  ti  spoglia. 

Qui   Penelope  disse:  Antinoo,   quali 
Di  Telemaco  mio  gli  ospiti  sieno  , 
Turpe  ed  ingiusto  é  il  tempestarli  tanto. 
Pensi  tu  forse  ,  che  ove  lo  straniero  ,     3^5 
Fidandosi  di  sé  ,  P  arco  tendesse , 
Me  quinci  condurrla  moglie  al  suo  tetto? 
Né  lo  spera  egli  ,  né  turbato  a  men>a 
Dee  per  questo  sedere  aleun  di  voi. 
Cosa  io  veder  non  so,  che  men  s'addica.  38o 

Ed  Eurimaco  a  lei  :  D' Icario  figlia , 
Non  v1  ha  fra  noi,  cui  nella  mente  cada, 
Che  te  pigli  a  consorte  uom  che  si  poco 
Degno  è  di  te.   Ma  degli   Achei   le  lingue 
Temiamo,  e  delle  AHiee.  La  più  vii  bocca  385 
Ve1,  grideria,  quai  d1  un  eroe  la  donna 
Chiedono  a  gara  giovinotti  imbelli , 
Che  né  valgon  piegare  il  suo  belP  arco, 
Mentre  un  tapino,  un  vagabondo,  un  giunto 
Teslè,  curvollo  agevolmente,  e  il  dardo  3go 
Per  gli  anelli   mandò.  Tal  grillerebbe  ; 
E  tinto  andn'i  d1  infamia  il  nostro  nome. 

E  cosi  a  lui  Penelope  rispose: 
Eurimaco ,  non  lice  un  nome  illustre 
Tra  i  popoli  agognare  a  chi  d1  egregio    3g5 
Signor  la  casa  dal  suo  fondo  schianta. 
Perchè  tinger  voi  stessi  il  nome  vostro 
D"  infamia?  E  lo  stranicr  ili  gran  sembiante, 
Ben   complesso  di   membra  ,  e  generosa 
La  stirpe  vanta,  e  non  vulgare  il  padre.  /Joo 
Dategli  il  risplendente  arco  ,  e  veggiamo. 
Se  il  tende,   e  gloria  gli  concede   Apollo, 
Prometto,  e  non  iman  ,  tunica  bella 
Vestirgli,  e  bella  clamide,  ed  in  oltre 
Un  brando  a  doppio  taglio,  e  un  dardo  acuto 
Mettergli  in  mano,  e  sotto  ai  pie  calzari;  (4©5 
E  là  in '.Vario,  dove  il  suo  cor  mira. 

Madre  ,  disse  Telemaco  ,  a  me  solo 
Sta  in,  mano  il  dare,  o  no,  quel  Pareo,  io  credo: 
Né  ha  in  lui  ragione  degli  Achivi  alcuno,  4>o 
Cìie  son   nelP  alpestra  Itaca  signori, 

"O  nell'  isole  prossime  alla  ve*rde 
Elicle,  chiara  di  cavalli  altrice. 
E  quando  farne  ancor  dono  io  volessi 
Al  forestier  chPnvidYar  mei  puote?         4'5 
Ma  tu  rientra;  ed  al  telajo  e  al  fuso, 
Come  pur  suoli,  con   le  ancelle  attendi. 
Cura  sarà  degli  uomini  quell'arma, 
E  più  che  d'  altri ,  mia  :  che  del  palagio 
Il  governo  in  me  sol,  madre,  risiede.     ^10 

Attonita  rimase,  e  del  figliuolo 
Con  la  parola,  che  nell'alma  entrolle, 
Risali  in  alto  tra  le  fide  ancelle. 
Quivi  ,  aprendo  alle  lagrime  le  porte  , 
Ulisse,    Ulisse  a  nome  iva  chiamando:      4^5 
Finche  un  dolce  di  tanti  e  tanti  all'anni 
Sopitor  sonno  le  mandò  Minerva. 

L'arco  Euméo  tolse  intanto;  e  già  il  portava, 
E  i  Proci  tutti  nel  garriano ,  e  alcuno 
Cosi  dicea  de1  giovani  orgogliosi  :  4^° 


Dove  il  grand1  arco  porti ,  o  disennato 
Porcajo  sozzo?  Appo  le  troje  in- breve 
Te  mangeran  fuor  d'ogni  umano  ajuto 
Gli  stessi  cani  di  tua  man   nutriti  , 
Se  Apollo  è  a  noi  propizio,  egli  altri  Numi.  435 

Impaurito  delle  lor  rampogne, 
L1  arco  ei  depose.  Ma  dall1  altra  parte 
Con  minacce  Telemaco  gridava: 
Orsù,  va  innanzi  con  quell1  arco.  Credi 
Che  l'obbedire  a  tutti  in  prò  ti  torni  ?44° 
Pon  cura  eh1  io  con  iscagliati  sassi 
Dalla  cittade  non  ti  cacci  al  campo, 
Io  minor  d'  anni  ,  ma  di  te  più  forte. 
Oh  così  ,  qual  di  te,  più  forte  io  fossi 
De1  Proci  tutti  che  qui  sono  !  Alcuno     44^ 
Tosto  io  ne  sbalzerei  fuor  del  palagio, 
Dove  il  tesser  malanni  é  lor  beli'  arte. 

Tutti  scoppiaro  in   un  giocondo  riso 
Sul  custode  de1  verri ,  e  della  grave 
Contra  il  garzone  ira  allentaro.  Euméo,  fó° 
Traversata  la  sala  ,  innanzi  a  Ulisse 
Fermossi,  ed  il  grande  arco  in  man  gli  mise. 
Poi,  chiamata  Eurieléa,  parlò  in  tal  forma: 
Saggia  Euriclèa  ,  Telemaco  le  stanze 
Chiuder  t'ingiunge,  e  dell1  ancelle  vuole,  455 
Che  per  rumor  nessuna,  o  per  lamento  , 
Clic  Porecchio  a  ferir  le  andasse  a  un  tratto, 
Mostrisi  fuori,  ma  quell'opra  siegua, 
Che  avrà  tra  mano  allor,  né  se  ne  smaghi. 

Non   parlò  al  vento.  La  nutrice  annosa     ^60 
Tutte  impedì  le  uscite,  e  al  tempo  istesso 
Filezio  si  giltò  tacitamente 
Fuor  del  palagio ,  e  rinserrò  le  porte 
Del  cortil  ben  munito.  Una  gran  fune 
D1  Egizio  giunco  per  navigli  intesta         fò5 
Giacca  sotto  la  loggia;  ed  ei  con  quella 
Più  ancor  le  porte  rafforzò.  Ciò  fatto  , 
Rientrava,  e  la  sedia,  ond1  era  sorto, 
Premea  di  nuovo,  riguardando  Ulisse. 
Ulisse  I1  arco  maneggiava ,  e  attento        47° 
Per  ogni  parte  rivoltando  il  giva, 
Qua  tastandolo,  e  là ,  se  i  muti  tarli 
Ne  avesser  mai   róse  le  eorna,  mentre 
N1  era  il  signor  lontano.  E  alcun,  rivolti 
Gli  sguardi  al  suo  vicino,  Uom,  gli  dicea,  4?5 
Che  si  conosce  a  maraviglia  d'  archi  , 
È  certo  ,  o  un  arco  somigliante  pende 
A  Ini  dalla  domestica  parete  , 
O  fabbricarne  un  di  tal  fatta  ei  pensa: 
Cosi  questo  infelice  vagabondo  ^80 

L1  arco  tra  le  sue  man  volta  e  rivolta  ! 
E  un  altro  ancor  de1  giovani  protervi  : 
Deh  così  in  bene  gli  riesca  tutto, 
Come  teso  da  lui  sarà  quell1  arco! 

Ma  il  Laerziade ,  come  tutto  P  ebbe  /fi5 

Ponderato,  e  osservato  a  parte  a  parte, 
Qual  perito  cantor,,  che ,  le  ben  torte 
Minuge  avvinte  d1  una  sua  novella 
Cetera  ad  ambo  i  lati,  agevolmente 
Tira,  volgendo  il  bischero,  la  corda:     49° 
Tale  il  grande  arco  senza  sforzo  tese. 
Poi  saggio  far  volle  del  nervo  :  aperse 
La  mano,  e  il  nervo  mandò  un  suono  acuto, 
Qual  di  garrula  irondine  è  la  voce. 
Gran  duolo  i  Proci  ne  sentirò,  e  in  volto  49^ 
Trascoloraro  ;  e  con  aperti  segni 


i«8 


ODISSEA  LIB.  XXI 


Fortemente  tonò  Giove  dall'  alto. 
Gioì  l'eroe,  che  di  Saturno  il  figlio, 
Di  Saturno ,   che  obliqui  ha  pensamenti , 
Gli  dimostrasse  il  suo  favor  dal  cielo;    5oo 
E  un  aligero  strai,  che  su  la  mensa 
Risplondea ,  tolse  :  tutte  l1  altre  frecce, 
Che  gli  Arhivi  assaggiar  dovean  tra  poco, 
In  sé  chiudevate  il  concavo  turcasso. 
Posto  su  l'arco;  ed  incoccato  il  dardo,  5o5 
Traea  seduto,  siccom'  era  ,  al  petto 
Con  la  man  destra  il  nervo;  indi  la  mira 
Tra  i  ferrei  cerchj  prese,  e  spinse  il  telo, 
Che,  senza  quinci  deviare,  o  quindi, 
Passò  tutti  gli  anelli  alto  ronzando.         5io 
Subitamente  si  rivolse  al  figlio, 


E,  Telemaco,  disse,  il  forestiero 
Non  ti  svergogna,  parmi.  Io  punto  longe 
Dal  segno  non  andai,  né  a  tender  l'arco 
Faticai  molto:  le  mie  forze  intere  5i5 

Serbo  ,  e  non  merto  villanie  dai  Proci. 
Ma  tempo  è  ornai  che  alla  cadente  luce 
Lor  s'  appresti  la  cena;  e  poi  si  tocchi 
La  cetra  molticorde,  e  s'alzi  il  canto, 
In  che  più  di  piacer  la  mensa  acquista.  520 
Disse,  e  accenno  co1  sopraccigli.  Allora 
Telemaco,  d'Ulisse  il  pegno  caro, 
La  spada  cinse,  impugnò  l'asta,  e,  tutto 
Risplendendo  ncll'  armi ,  accanto  al  padre, 
Che  pur  seduto  rimanea  ,  locossi.  5a5 


LIBRO  VENTESMOSECONDO 


ARGOMENTO 

Ulisse  comincia  la  gran  vendetta,  e  il  primo  che  uccide,  saettandolo  ,  è  Antinoo.  Enn'maco  tenta  di  placarlo, 
ma  indarno;  e,  dopo  aver  confortato  i  compagni  a  combattere,  è  ucciso  anch' egli  da  Ulisse.  Tele.naco  am- 
mazza Anfi'nomo.  Poi,  mentre  il  padre  segue  a  maneggiar  l'arco,  va  a  prender  le  altre  armi  così  per  Ini, 
come  per  sé  e  per  li  due  pastori.  Melanzio  fa  il  medesimo  per  li  Proci.  Punizione  di  lui.  Minerva  compa- 
risce ad  Ulisse  in  forma  di  Mentore,  e  l'incoraggia.  Appresso  scuopre  l'Egida,  e  mette  i  Proci  in  grande 
scompiglio.  Tulli  rimangono  uccisi,  e  solamente  son  risparmiali  il  poeta  Femio  e  l'araldo  Medonte.  Elogio 
della  poesia.  Le  donne  colpevoli  obbligate  sono  a  trasporlar  Inori  i  cadaveri  :  indi  punite.  Ulisse  purifica 
con  fuoco  e  zolfo  la  casa,  e  chiama  a  sé  le  altre  donne,  che  gli  fanno  gran  festa,  e  ch'egli  subito  ri- 
conosce. 


t^orse,  e  spogliossi  de1  suoi  cenci  Ulisse, 
E  sul  gran  limitare  andò  d'  un  salto, 
L'  arco  tenendo ,  e  la  faretra.  I  ratti 
Strali,  onde  gravida  era,  ivi  gittossi 
Davante  ai  piedi,  e  ai  Proci  disse:  A  fine  5 
Questa  difficil  prova  è  già  condotta. 
Ora  io  vedrò,  se  altro  bersaglio,  in  cui 
Nessun  diede  sin  qui,  toccar  m'avviene, 
E  se  me  tanto  privilegia  Apollo. 

Così  dicendo,  ei  dirigea  l'amaro  io 

Strale  in  Antinoo.  Antinoo  una  leggiadra 
Stava  per  innalzar  coppa  di  vino 
Colma,  a  due  orecchie,  e  d'oro;  ed  alle  labbra 
Già  1'  appressava  :  né  pensier  di  morte 
Nel  cor  gli  si  volgea.  Chi  avria  creduto    i5 
Che  fra  cotanti  a  lieta  mensa  assisi 
Un  sol  ,  quantunque  di  gran  forze,  il  nero 
Fabbricar  gli  dovesse  ultimo  fato? 
Nella  gola  il  trovò  col  dardo  Ulisse, 
E  sì  colpillo,  che  dall'  altra  banda  20 

Pel  collo  delicato  uscì  la  punta. 
Ei  piegò  da  una  parte,  e  dalle  mani 
La  coppa  gli  cade  :  tosto  una  grossa 
Vena  di  sangue  mandò  fuor  pel  naso; 
Percosse  colle  piante,  e  da  sé  il  desco     a5 
Respinse  ;  sparse  le  vivande  a  terra  ; 
Ed  i  pani  imbrattavansi ,  e  le  carni. 
Visto  Antinoo  cader ,  tumulto  i  Proci 
Fèr  nella  sala,  e  dai  lor  seggi  alzaro  , 
Turbati  raggirandosi ,  e  guardando  3o 

Alle  pareti  qua  e  là:  ma  lancia 
Dalle  pareti  non  pendea,  né  scudo. 
Allor  con  voci  di  grand'  ira  Ulisse 


Metteansi  a  improverare:  Ospile,  il  dardo* 

Ne'  petti  umani  malamente  scocchi.  35 

Parte  non  avrai  più  ne'  giuochi  nostri: 

Anzi  grave  ruina  a  te  sovrasta. 

Sai  tu  che  un  uomo  trafiggesti,  ch'era 

Dell'  Itacense  gioventude  il  fiore  ? 

Però  degli  avoltoi  sarai  qui  pasto.  4° 

Così,  pensando  involontario  il  colpo, 
Dicean:  né  s'  avvedean  folli,  che  posto 
Ne'  confini  di  Morte  avean  già  il  piede. 
Ma  torvo  riguardolli ,  e  in  questa  guisa 
Favellò  Ulisse  :  Credevate  ,  o  cani ,  fó 

Che  d'Ilio  io  più  non  ritornassi,  e  intanto 
La  casa  disertar,  stuprar  le  ancelle, 
E  la  consorte  mia,  me  vivo,  ambire 
Costumavate,  non  temendo  punto 
Né  degli  Dei  la  grave  ira,  né  il  biasmo  5o 
Permanente  degli  uomini.  Ma  venne 
La  fatai  per  voi  tutti  ultima  sera. 

Tutti  inverdirò  del  timore,  e  gli  occhi, 
Uno  scampo  a  cercar ,  volsero  intorno. 
Solo,  e  in  tal  forma,  Eurimaco  rispose:  55 
Quando  il  vero  tu  sii  d'  Itaca  Ulisse 
Ira  noi  rinato,  di  moli1  opre  ingiuste, 
Che  sì  nel  tuo  palagio,  e  sì  ne'  campi 
Commesse  furo,  ti  quereli  a  dritto. 
Ma  costui,  che  di  tutto  era  cagione,         6o 
Eccolo  in  terra,  Antinoo.  Ei  dell'ingiuste 
Opre  fu  l'autor  primo;  e  non  già  tanto 
Pel  desiderio  delle  altere  nozze, 
Quanto  per  quel  del  regno,  a  cui  tendea, 
Insidiando  il  tuo  figliuolo:  occulte  65 

Macchine,  che  il  Saturnio  in  man  gli  ruppe. 


LIBRO  YENTESIMOSECOUDO 


i»9 


Poiché  morto  egli  giace,  alla  tua  gente 
Perdona  tu.  Pubblica  emenda  farti 
Noi  promettiamo:  promettiam  con  venti 
Tauri  ciascuno,  e  con  oro,  e  con  bronzo, 
Quel  vóto  riempir,  die  ne1  tuoi  beni 
Gozzovigliando  aprimmo  ;  in  sin  che  il  core 
Alla  letizia  ti  si  schiuda,  e  sgombri 
L'ira,  onde  a  gran  ragione  arse  da  prima 
Bieco  mirollo,  e  replicògli  Ulisse: 
Dove,   Eurimaco,  tutte  ancor  mi  deste 
L'  eredità  vostre  paterne  ,  e  molli 
Bpni  stranieri  vi  poneste  accanto, 
Io  questa  man  non  riterrei  dal  sangue, 


70 


73 


)iena  non  fosse. 


80 


Clic  la  vendetta  m 
Or,  qnal  de1  due  vi  piacerà,  scegliete, 
Combattere,  o  fuggir,  se  pur  v'ha  fuga 
Per  un  solo  di  voi  :  ciò  eh1  io  non  credo. 

Ciascun  de1  Proci  il  cor  dentro  mancarsi 
Sentì ,  e  piegarsi  le  ginocchia  sotto.  85 

Ed  Eurimaco  ad  essi:  Amici,  indarno 
Sperate  che  le  braccia  egli  non  muova. 
L'arco  una  volta,  ed  il  turcasso  assunti, 
Disfrenerà  dal  limitare  i  dardi  , 
Finché  tutti  ci  atterri.  Alla  battaglia         90 
Dunque  si  pensi:  distringiam  le  spade, 
E,  delle  mense  alle  letali  frecce 
Scudo  facendo  a  noi ,  piombiamgli  sopra 
Tutti   in  un  groppo.  Se  da  quella  porta 
Scacciarlo  ne  riesce  ,  e  la  cittade  g5 

Scorrere,  alzando  al  eiel  subite  voci, 
Dal  saettar  si  rimarrà  per  sempre. 

Disse ,  e  I1  acuto  di  temprato  rame 
Brando  a  due  tagli  strinse,  e  su  luicorse 
Con  terribili   grida.  In  quella  Ulisst,        100 
Votato  l'arco,  al  petto  il  colse,  e  il  jronto 
Nel  fegato  gì' infisse  acerbo  strale. 
Lasciò  Eurimaco  il  brando,  e  dopo  alquanti 
Giri  curvato  su  la  mensa  cadd*, 
E  i  cibi  riversaronsi  e  la  coppi.  jo5 

Ma  ei  battè  sopra  la  terra  il  cape, 
Neil'  alma  tapinandosi,  ed  il  seggio, 
Che  già  premer  solea ,  con  ambo  i  piedi 
Forte  springando,  scosse:  al  fine  un'atra 
Tutto  il  coverse  sempiterna  notte.  1 10 

Ma  d'altra  parte  Anfinomo  avventassi 
Col  brando  in  man  contra  Y  evoì,  se  mai 
Dalla  soglia  disvellerlo  potesse. 
Il  prevenne  Telemaco,  e  da  tergo 
Tra  le  spalle  il  feri  con  la  pungente 
Lancia ,  che  fuor  gli  riuscì  lei  petto. 
'Quell'  infelice  rimbombò  caduto, 
E  con  tutta  la  fronte  il  suol  percosse. 
Ma  il  garzon  sottraeasi  ,  abbandonando 
La  lancia  entro  d'  Anfinomo:  temea , 
Non  alcun  degli  Achei,  mentr'  egli  chino 
Stanasi  1'  asta  a  sconficcare  intento, 
Di  furto  il  martellasse  ,  o  con 
Sopra  roano  il  ferisse  alla  scoperta 
Quindi  ricovrò  ratto,  e  in  un  baleno 
Al  caro  padre  fu  vicino,  e  a  Ijì  , 
Padre,  disse,  uno  scudo,  e  lance  due, 
E  un  adatto  alle  tempie  elmi  lucente 
Ti  recherò,  m'armerò  io  stesso,  ed  armi 
A  Filezio  darò  ,  darò  ad  Euneo. 
De' consigli  il  miglior  sembrani  questo. 

Sì ,  corri ,  Ulisse  gli  rispose ,  e  riedi , 


n5 


spada 


125 


i3o 


Finché  restano  a  me  dardi  a  difesa: 

Ma  riedi  prestamente,  onde  gli  Achei 

Me,  che  son  solo,  non  ismuovan  quinci.    i35 

Ubbidi  il  figlio,  e  alla  superna  stanza, 
Dove  l'armi  giaceano,  andò  di  passo 
Lanciato,  e  targhe  quattro ,  ed  otto  lance 
Prese,  e  quattro  lucenti  elmi  di  chioma 
Equina  folti,  e  in  brevi  istanti  al  caro   140 
Genitor  si  rendè.  Qui  del  metallo 
Munì  egli  primo  la  persona ,  e  i  servi 
Parimenti  le  belle  armi  vestirò , 
Ed  all'  accorto  eroe  stettero  intorno. 
Questi,  finché  le  frecce  a  lui  basi  aro,     i45 
Togliea  la  mira,  ed  imbroccava  ognora, 
E  cadean  1'  un  su  1'  altro  i  suoi  nemici. 
Ma  poiché  le  infallibili  saette 
Gli  fur  venute  men ,  1'  arco  ei  depose, 
E  l'appoggiò  del  ben  fondato  albergo      i5o 
Al  nitido  parete.  Indi  le  spalle 
Si  carco  d'  uno  scudo  a  quattro  doppj, 
L'  elmo  dedaleo  con  1'  equina  chioma 
Piantossi  in  capo,  e  due  possenti  lance 
Nella  man  si  recò:  sovra  la  testa  i55 

Gli  ondeggiava  il  cimier  terribilmente. 
Era  in  capo  alla  sala,  e  nel  parete 
Del  ben  fondato  albergo  una  seconda 
Di  congiunte  assi  rinforzata  porta , 
Che  in  pubblico  mettea  non  largo  calle.  160 
Di  questa,    per  cui  sol  s'apriva  un  passo, 
Ulisse  volle  il  fido  Euméo  per  guardia. 
Agelao  v'  ebbe  1'  occhio,  e  disse  :  Amici, 
Non  ci  sarà  chi  quella  porta  sforzi , 
E  sparga  voce,  e  il  popolo  a  romore      i65 
Levi,   perchè  costui  cessi  dai  colpi? 

Ciò ,  rispose  Melanzio  ,  ad  alcun  patto 
Non  possiamo  ,  Agelao  di  Giove  alunno. 
Le  porte  del  cortil  troppo  vicine 
Sono,  ed augustaèquell' uscita,  e  un  solo,  170 
Cui  non  manchi  valor,  cento  respinge. 
Pur  non  temete.  Io  porterò  a  voi  l'armi 
Dalla  stanza  superna  ,  in  cui  riposte 
Da  Ulisse  e  dal  figliuol  senz'altro  furo. 

Detto,  andar  su  e  giù  per  l'alta  scala,    i^5 
Entrar,  pigliar  dodici  targhe,  e  lance 
Tante,  e  tanti  criniti  elmi,  ed  il  tutto 
Mettere  in  man  de'  palpitanti  Proci, 
Fu  di  pochi  momenti  opra  felice. 

Turbar  1'  animo  Ulisse ,  e  le  ginocchia     180 
Languir  sentì,  ratto  che  ai  Proci  vide 
Prender  gli  elmi,  e  gli  scudi,  e  le  lunghe  aste 
Ir  con  la  destra  palleggiando  ;  e  allora 
L'  arduo  conobbe  dell'  assunta  impresa. 
Si  converse  al  figliuol  tosto,  e,  Telemaco,   i85 
Con  dolenti  gli  disse  alate  voci , 
Certo  il  caprajo,  o  delle  donne  alcuna, 
Raccende  contra  noi  quest'  aspra  guerra. 

E  Telemaco  a  lui,  Padre,  rispose, 
Io  sol  peccai,  non  altri,  io,  che  la  salda  190 
Porta  lasciai  mezzo  tra  chiusa  e  aperta  ; 
Ed  un  esplorator  di  me  più  astuto 
Si  giovò  intanto  del  mio  fallo.  Or  vanne 
Tu,  prode  Euméo,  chiudi  la  porla,  e  sappi, 
Se  ciò  vien  da  un'ancella,  o  dalla  trista,   ig5 
Come  parrai  più  ver ,  di  Dolio  prole. 

Mentre  tali  correan  voci  tra  loro, 

Melanzio  per  le  belle  armi  di  nuovo 


un 


ODISSEA 


Salse.  Adocehiollo  Euméo,  né  a  dir  tardava 
Così  ad  Ulisse,  che  lontan  non  gli  era:  200 
Lacrzfade  divin,  quella  rea  peste, 
Di  cui  noi  sospettiam  ,  sale  di  nuovo. 
Parlami  chiaro  :  degg1  io  porlo  a  morte, 
Se  rimangogli  sopra,   o  qua  condurlo, 
Perchè  a  te  innanzi  d1  ogni  suo  delitto   2o5 
Meritamente  il  fio  paghi  una  volta? 

E  il  saggio  Ulisse  :  A  sostenere  i  Proci, 
Come  che  ardenti,  io  col  mio  figlio  basto. 
Filczio  dunque  ,  e  tu  ,  poiché  1'  avrete 
Entro  la  stanza  rovesciato  a  terra,  210 

Ambo  i  piedi  stringetegli,  e  le  mani 
Sul  tergo,  chiusa  dietro  a  voi  la  porta; 
E  lui  d1  una  insolubile  catena 
Cinto  tirate  sino  ali1  alte  travi 
Lungounagran  colonna,  acciocché  il  tutto  2i5 
Sconti  con  morte  dolorosa  e  lunga. 

Pronti  i  servi  ubbidirò.  Alla  sublime 
Camera  s1  affrettar ,  da  lui,  che  dentro 
Era  ,  e  cercava  nel  più  interno  r  arme, 
Non  visti  e  non  sentiti;  e  si  piantaro     220 
Quinci  e  quindi  alla  porta.  Ei  perla  soglia 
Passava  ratto,  in  una  man  portando 
Luminosa  celata,  ed  un  vetusto 
Neil1  altra,  e  largo  e  arrugginito  scudo, 
Che  gli  omeri  gravò  del  buon  Laerte      225 
Sul  primo  fior  dell1  età  sua  :  deposto 
Poscia,  e  dimenticato,  e  da  cui  rotte 
Le   coregge    pendevano.  Veloci 
L'assaltar,  l1  abbrancar,  lo  strascinaro 
Dentro  pel  ciuffo,  e  Pattcrràr  dolente:  a3o 
Indi  ambo  i  piedi  gli  legaro,  ed  ambo 
Sovra  il  tergo  le  man,  qual  di  Laerte 
Comandò  il  figlio;  e  lui  d1  una  catena 
Insolubile  cinto  in  sino  ali1  alle 
Travi  tirar  lungo  una  gran  colonna. 
E  così  allor  tu  il  deridesti,   Euméo: 
Melanzio,  or  certo  vegghierai  la  nolte 
Sul  letto  molle,  come  a  te  s1  addice, 
Corcato;  né  uscirà  dalie  correnti 
DclPOceàn,  che  tu  non  la  vagheggi, 
L1  Aurora  in  trono  d'or,  quando  le  pingui 
Capre  alla  mensa  condurrai  de1  Proci. 

Tal  fu  Melanzio  fra  legami  acerbi 
Sospeso,  e  abbandonato;  e  quei  con  Tarme 
Sceser,  la  porta  risplendente  chiusa;       245 
E  presso  al  ricco  di  consigli  Ulisse, 
Forza  spiranti  e  ardire,  il  pie  fermaro. 
Così  quattro  guerrieri  in  su  la  soglia 
Erano;  e  nella  sala  un  numeroso 
Drappello,  e  non  ignobile.  Ma  Palla, 
V  armipotente  del  Saturnio  figlia, 
Con  la  faccia  di  Mentore,  e  la  voce, 
Tra  le  due  parti  d1  improvviso  apparve. 
Gioì  a  vederla  il  Laerziade ,  e  disse  : 
Mentore,  mi  seconda  ,   e  ti  rammenta     255 
Del  tuo  dolce  compagno ,  onde  a  lodarti 
Non  raro  avesti,  e  a  cui  sei  (Paoni  eguale. 
Così  Peroe:  ma  non  gli  tace  il  core, 
Che  la  sua  Diva  in  Mentore  s'  asconde. 

DalP  altra  parte  la  garriano  i  Proci,  260 

E  primo  il  Damastoride  Agelao 
A  minacciarla  fu  :  Mentore  ,  bada  , 
Che  a  pugnare  in  suo  prò  contra  gli  Achivi 
Non  ti  seduca  favellando  Ulisse. 


235 


240 


25o 


Però  che  quando  per  man  nostra  uccisi  2fi5 
Giaceran,  come  ho  fede,  il  padre  e  il  figlio, 
Morrai  tu  ancora,  e  il  sangue  tuo  darai 
Per  ciò  che  oprar  nella  magione  or  pensi. 
Che  più?  Te  fatto  cenere,  co1  beni 
D1Ulisse  in  monte  andràquanPorpossiedi  2^0 
Nel  tuo  palagio  e  fuor  ;  né  a  figli ,  o  a  figlie 
Menare  i  di  sotto  il  natio  lor  tetto 
Corsentirem,    né  alla  tua  casta  donna 
D'  Itaca  soggiornar  nella  cittade. 

Vie  più  s1  accende  a  così  fatte  voci  2^5 

L'ira  di  Palla,  ed  in  rimbrotti  scoppia 
Contra  Ulisse  lanciati:  Io  nulla,  Ulisse, 
Di  quel  fermo  vigor,  nulla  più  veggio 
Di  quel  ardire  in  te,  che  allor  mostrasti, 
Che  innanzi  a  Troja  perle  bianche  braccia  280 
Della  nata  di  Giove  inclita  Eléna 
Combattesti  un  decennio.  Entro  il  lor  sangue 
Molti  stendesti  de1  nemici,  e  prima 
S1  ascrive  a  te,  se  la  dalP  ampie  strade 
Città  di  Priamo  in  cenere  fu  vòlta.         a85 
Ed  or  che  giunto  alle  paterne  case 
La  tua  donna  difendi  e  i  beni  tuoi , 
Mollemente  t1  adopri  ?  Orsù  ,  vicino 
Stanimi,  ed  osserva,  quale  il  figlio d^lcimo, 
Mentore,  fra  una  gente  a  te  nemica        290 
De1  beneficj  tuoi  merto  ti  rende. 

Tal  favellava  :  ma  perchè  P  innata 
Virtù  del  padre  e  del  figliuol  volea 
Provar?  ancor ,  per  alcun  tempo  incerta 
La  vittoria  lasciò  tra  loro  e  i  Proci.       2q5 
Qnind  ,  montando  rapida,  su  trave 
Lucida  ed  alto,  a  rimirar  la  pugna, 
Di  rorrline  in  sembianza  ,  ella  s1  assise. 

Frattanto  il  Damastoride  Agelao, 
Anfìmedonte,  Eurinomo,  e  il  prudente  3oo 
Polibo,  e  Demoptolemo,  e  Pisandro, 
Di  Polittort  il  figlio,  alla  coorte 
Spirti  aggiimgean ,  come  color  che  i  primi 
Eran  di  forza  tra  i  rimasti  in  piede, 
E  Palma  difendean  :  gli  altri  avea  domi  3o5 
L1  arco  famoso  e  le  frequenti  frecce. 

Parlò  a  tutti  Agelao  :  Compagni ,  io  penso 
Che  le  indomite  man  frenare  un  tratto 
Costui  drvrà.  Già  Mentore  disparve 
Dopo  il  bravar  suo  vano,  e  su  la  soglia  3io 
Quattro  sono,  e  non  più.  Voi  non  lanciate 
Tutti,  io.ven  priego ,  unitamente:  sei 
Aste  volino  in  prima;  e  il  vanto  Giove 
Di  colpire  in  Ulisse  a  noi  conceda. 
Caduto  In  ,  nulla  del  resto  io  curo.        3i5 

Sei,  coni1  e»li  bramava  ,  aste  volaro, 
E  tutte  andar  le  feo  Pallade  a  vóto. 
L'un  de1  pungenti  frassini  la  porta 
Percosse  ,  in  altro  su  la  soglia  cadde, 
Ed  un  terzo  investì  nella  parete.  320 

Scansati  i  xdpi,  di  Laerte  il  figlio, 
Amici,  disse,  nello  stuol  de1  Proci, 
Che,  non  contenti  alle  passate  offese , 
Della  vita  spagliar  voglionci  ancora  , 
Io  crederei  che  saettar  si  debba.  3s5 

Ciascun  la  mira  di  rincontro  tolse , 
E  trasse  d'  uni  lancia.  Il  divo  Ulisse 
Demoptolemo  uccise,  e  scagliò  morte 
Telemaco  ad  mirìade,  a  Elato  Euméo, 
Ed  a  Pisandioil  buon  Filezio:  tutti       33o 


L1BI\0  VENTE5IMOSECONDO 


Del  pavimento  morsero  la  polve. 
Gli  altri  nel  fondo  della  sala  il  piede 
Tiraro  indietro  :   Ulisse  e  i  tre  compagni 
Corsero,  e  svelser  dagli  estinti  Paste. 
Allor  lancialo  nuovamente  i  Proci  335 

Di  tutta  forza ,  e  lutti  quasi  1  colpi 
Nuovamente  sviò  Palladc  amica. 
La  gran  soglia ,  la  porta  e  la  parete 
Li  ricevette ,  o  li  respinse  :  solo 
Anfimedunte  tanto  o  quanto  lese  3jo 

La  destra  di  Telemaco  nel  polso , 
E  appena  ne  graffiò  la  somma  cute  ; 
E  la  lung1  asta  di  Ctesippo  ,  a  Euméo 
Lo  scudo  rasentando,  e  lievemente 
Solcandogli  la  spalla,  il  suo  tenore  345 

Seguì  ,  e  ricadde  sovra  il  palco  morta. 

Ma  non  così  dall'  altra  parte  spinte 
Fur  contra  i  Proci  le  pungenti  travi. 
Quella  del  distruttor  de1  muri  Ulis.se 
Fulminò  Euridamante  ,  Anfimcdonte        35o 
Per  quella  giacque  del  suo  figlio:  Eumeo 
Scontrò  con  la  sua  Polibo ,  e  Filczio 
Ctesippo  colse  con  la  sua  nel  petto  , 
E  su  lui  stette  alteramente,  e  disse: 
Politcraide,  degli  oltraggi  amante,  355 

Cessa  dal  secondar  la  tua  stoltezza, 
Con  vana  pompa  favellando ,  e  ai  Numi 
Cedi,  che  di  te  son  molto  più  forti. 
Questo  è  il  dono  ospitai  di  quello  in  merto, 
Clic  al  nostro  Re,  che  mendicava,  festi.  36o 
Alla  lampa  del  bue  P  asta  rispose. 
Così  d'  Ulisse  P  armentario  illustre. 

In  questo  mezzo  di  Laerte  il  figlio 
Conquise  il  Damastoride  da  presso 
Di  profonda  ferita  ;  e  a  Leocrito  365 

Telemaco  piantò  nel  ventre  il  telo  , 
Che  delle  reni  fuor  gli  ricomparve. 
L1  Envenoride  stramazzò  boccone  , 
E  la  terra  battè  con  tutto  il  fronte. 
Pallade  allor,  che  rivestì  la  Diva,  370 

Alto  levò  dalla  soffitta  eccelsa 
La  funesta  ai  mortali  Egida ,  e  infuse 
Ne'  superstiti  Proci  immensa  tema. 
Saltavan  qua  e  là,  come  le  agresti 
Madri  talvolta  del  cornuto  armento,       375 
Se  allo  scaldarsi  ed  allungar  de1  giorni , 
Le  punge  il  fiero  assillo,  e  le  scompiglia. 
Ma  in  quella  guisa  che  avoltori  il  rostro 
Ricurvi,  e  P  unghia,  piombano,   calando 
Dalla  montagna ,  su  i  minori  augelli ,     38o 
Che  trepidi  vorriano  ir  vèr  le  nubi  ; 
E  quei  su  lor  ripiombano  ,  e  ne  fanno, 
Quando  difesa  non  rimane,  o  scampo, 
Strazio  e  rapina  del  villano  agli  occhi , 
Che  di  tale  spettacolo  si  pasce  :  385 

Non  altrimenti  Ulisse  e  i  tre  compagni 
Si  seagliavan  su  i  Proci  ,  e  tale  strage 
Ne  menavan  ,  che  fronte  ornai   non  v'  era, 
Che  non  s1  aprisse  sotto  i  gran  fendenti  ; 
E.  un  gemer  tetro  alzavasi,e  di  nero      3go 
Sangue  ondeggiava  il  pavimento  tutto. 

Leode  le  ginocchia  a  prender  corse 
Del  figliuol  di  Laerte,  e  in  supplice  atto 
Gli  drizzò  tali  accenti:  Eccomi,  Ulisse, 
Alle  ginocchia  tue ,  che  di  te  imploro    3o,5 
Gli  sguardi  e  la  pietade.  Io  delle  donne 


In  fatto  o  in  detto  non  offesi  alcuna  : 

Anzi  gli  altri  alle  sozze  opre  rivolti 

Di  ritenere  io  fea.  Non  m'  obbedirò  : 

Però  una  morte  subitana  e  acerba  400 

Delle  sozze  opre  lor  fu  la  mercede. 

Ma  io,  io,  che  indovin  tra  i  Proci  vissi, 

Io,  che  nulla  commisi  unqua  di  male, 

Qui  spento  giacerò  degli  altri  al  paro  ? 

E  questo  il  pregio  che  a  virtù  si  serba?  4o5 

E  Ulisse,  torvi  in  lui  gli  occhi  fissando  : 
Poiché  tra  i  Proci  indovinar  ti    piacque  , 
Spesso  chiedesti  nel  palagio  ai  Numi, 
Che  del  ritorno  il  dì  non  mi  splendesse; 
Che  te  seguisse,  e  procreasse  figli  410 

La  mia  consorte  a  te:  quindi  e  tu  al  grave 
Sonno  perpetuo  chiuderai  le  ciglia. 
Così  dicendo,  con  la  man  gagliarda 
Dal  suol  raccolse  la  tagliente  spada, 
Che  Agelao  su  la  morte  avea   perduta;  4' 5 
E  di  percossa  tal  diede  al  profeta 
Pel  collo,  che  di  lui,  che  ancor  parlava, 
Rotolò  nella  polvere  la  testa. 

Ma  di  Terpio  il  figliuol,  Pinclito  Femio, 
Clie  tra  i  Proci  seiogliea  per  forza  il  canto,  420 
Morte  schivò.  Della  seconda  porta 
Con  la  sonante  in  man  cetra  d1  argento 
Vicino  erasi  fatto ,  e  in  due  pensieri 
Dividea  la  sua  mente  :  o  fuori  uscito 
Sedersi  al  Para  del  gran  Giove  Ercéo,     ^i5 
Dove  Laerte  e  il  suo  diletto  figlio 
Molte  solean  bruciar  cosce  taurine  ; 
O  ad  Ulisse  prostrarsi  ,  e  le  ginocchia 
Stringergli,  e  supplicarlo;  e  delle    due 
Questa  gli  parve  la  miglior  sentenza.      43o 
Prima  tra  una  capace  urna  ,  e  un  distinto 
D1  argentei  chiovi  travagliato  seggio 
Depose  a  terra  P  incavata  cetra  : 
Poi  vèr  Peroe  si  mosse,  e  le  ginocchia 
Stringeagli,  e  gli  dicea  con  voci  alate:  4^5 
Ulisse,  ascolta  queste  mie  preghiere  , 
E  di  Femio  pietà  P  alma  ti  punga. 
Doglia  tu  stesso  indi  ne  avrai,  se  uccidi 
Uom  che  agli  uomini  canta  ,  ed  agli  Dei. 
Dotto  io  son  da  ine  solo,  e  nou  già  Parte,  44° 
Ma  un  Dio  mi  seminò  canti  infiniti 
Neil1  intelletto.  Gioirai  ,  qual  Nume, 
Della  mia  voce  al  suono.  E  tu  la  mano 
Insanguinar  ti  vuoi  nel  corpo  mio  ? 
Ne  domanda  Telemaco,  il  tuo  dolce        44^ 
Figlio,  ed  ei  ti  dirà,  che  né  vaghezza 
Di  plauso  mai,  né  scarsità  di  vitto, 
Tra  i  Proci  alteri  a  musicar  m1  indusse. 
Ma  co1  molti,  co1  giovani,  co1  forti, 
Uom  che  potea,  debile,  vecchio  e  solo?  45° 

Tal  favellava  ;  e  la  sacrata  possa 
Di  Telemaco  udillo,  e  ratto  al  padre, 
Che  non  gli  era  lontao ,  T1  arresta,  disse, 
E  di  questo  innocènte  i  dì  rispetta. 
Medonte  ancor,  che  de'  miei  giorni  primi  455 
Cura  prendea ,  noi  serberemo  in  vita: 
Sol  eli1  ei  non  sia  per  man  d'un  de1  pastori 
Caduto,  o  in  te  dato  non  abbia,  mentre 
Per  la  sala  menavi  in  furia  i  colpi. 

L'udì  Medonte,  il  banditor  solerte,         4^° 
Che  sdrajato  giacea  sotto  un  sedile, 
E ,  P  aU'o  fato  declinando,  51  era 


ODISSEA 


D1  una  fresca  di  bue  pelle  coverto . 
Surse  da  sotto  il  seggio ,  e  il  bovin  cuojo 
Svestissi,  e  andò  a  Telemaco ,  e,  gittate  465 
A1  suoi  ginocchi  ambe  le  braccia ,  Caro , 
Gridava,  eccomi  qua:  salvami,  e  al  padre 
Di1,  che  irato  co1  Proci ,  onde  scemati 
Gli  erano  i  beni ,  e  vilipeso  il  figlio , 
Non  s'inaspri  in  me  ancora,  e  non  m'uccidalo 
Sorrise  Ulisse,  e  a  lui:  Sta  di  buon  core. 
Già  di  rischio  Telemaco  ti  trasse , 
E  in  salvo  pose,  acciocché  sappi,  e  il  narri, 
Quanto  più  del  far  male  il  ben  far  torna. 
Tu,  araldo,  intanto,  e  tu,  vate  immortale,  fa5 
Fuor  del  palagio  e  della  strage  usciti, 
Sedete  nel  cortil,  finch'  io  di  dentro 
Tutta  F  impresa  mia  conduco  a  riva. 
Tacque;  ed  uscirò,  e  appo  Paltar  del  sommo 
Giove  sedean,  guardandosi  all'intorno,  4^° 
Qual  se  ad  ogni  momento,  e  in  ogni  loco, 
Dovesse  lor  sopravvenir  la  Parca. 
Lo  sguardo  allora  per  la  casa  in  giro 
L1  eroe  mandò  ,  se  mai  de1  Proci  alcuno 
Fuggito  avesse  della  morte  il  fato.  4^5 

Non  rimanea  di  tanti  un  che  nel  sangue 
Steso  non  fosse ,  e  nella  polve.  Come 
Gli   abitatori  del  canuto  mare  , 
Che  il  pescator  con  rete  a  molti  vani 
Su  dall'  onda  tirò  nel  curvo  lido  ,  49° 

Giaccion,  bramando  le  native  spume  , 
Per  P  arena  odiata,  e  loro  il  Sole 
Con  gl'infiaminali  rai  le  anime  fura: 
Così  giacean  l'un  presso  l'altro  i  Proci. 
Subitamente  Ulisse  in  questa  forma  ^q5 

Si  converse  a  Telemaco  :  Telemaco , 
La  nutrice  Euricle'a,  su,  via,  mi  chiama, 
Ciò  per  udir  ,  che  a  me  di  dirle  è  in  grado. 
Ubbidì  egli ,  e  incamminossi ,  e,  dato 
D'  urto  alla  porta,  O  d'anni  carca,  disse,  5oo 
Sorgi,  Euricle'a,  che  nella  nostra  casa 
Vegli  sovra  le  ancelle.  Il  padre  mio , 
Che  desia  favellarti ,  a  sé  ti  vuole. 
Non  sen  portava  le  parole  il  vento. 
Aprì  Euricle'a  le  porte,  e  in  via  con  lui,  5o5 
Che  precedeala ,  entrò  veloce ,  e  brutto 
Di  polve  tra  i  cadaveri ,  e  di  sangue 
Ulisse  ritrovò.  Qual  par  leone , 
Che  vien  da  divorar  nel  campo  un  toro , 
E  il  vasto  petto,  e  l'una  guancia  e  l'altra  5 io 
Ne  riporta  cruenta,  e  dalle  ciglia 
Spira  terror:  tale  insozzati  Ulisse 
Mostrava  i  piedi,  e  delle  mani  i  dossi. 
Quella,  come  i  cadaveri  ed  il  molto 
Sangue  mirò  ,  volle  gridar  di  gioja  5i5 

A  spettacolo  tal  :  ma  ei  frenolla , 
Benché  anelante,  e  con  parole  alate, 
Godi  dentro  di  te ,  disse,  ma  in  voci , 
Vecchia,  non  dar  di  giubbilo:  che  vampo 
Menar  non  lice  sovra  gente  uccisa.  620 

Questi  domò  il  destino,  e  morte  a  loro 
Le  stesse  lor  malvagitadi  furo  : 
Quando  non  rispettaro  alcun  giammai, 
Buon  fosse,  o  reo,  che  in  Itaca  giungesse. 
Dunque  a  dritto  perirò.  Or  tu,  nutrice,  5a5 
Di'  delle  donne  a  me,  quai  nel  palagio 
Son  macchiate  di  colpa,  e  quali  intatte. 
E  la  diletta  a  lui  vecchia  Euricle'a  : 


FigHuol,  da  me  tu  non  avrai  che  il  vero. 

Cinquanta  chiude  il  tuo  palagio ,  a  cui  53o 

Le  lane  pettinar,  tesser   le  tele, 

E  sostener  con  animo  tranquillo 

La  servitute,  io  stessa  un  giorno  appresi. 

Dodici  tra  costor  tutta  spogliaro 

La  verecondia,  e,  non  che  me,  la  stessa  535 

Dispregiaro  Penelope.  Non  era 

Troppo  innanzi  venuto  ancor  negli  anni 

Il  figlio  tuo,  né  su  le  donne  alcuno 

Gli  consentia  la  saggia  madre  impero. 

Ma  che  fo  io,  che  alle  lucenti  stanze      54o 

Non  salgo  di  Penelope ,  che  giace 

Da  un  Dio  sepolta  in  un  profondo  sonno? 

Non  la  destare  ancor ,  rispose  Ulisse  : 
Bensì  alle  donne,  il  cui  peccar  t'è  noto, 
Che  a  me  si  rappresentino,  dirai.  545 

La  balia  senza  indugio  a  invitar  mosse 
Le  peccatrici ,  e  ad  esortarle  tutte  , 
Che  si  rappresentassero  all'  eroe. 
E  intanto  egli,  Telemaco  a  sé  avuto, 
E  il  custode  de' verri,  e  quel  de' tori,    55o 
Tai  parole  lor  feo:  Le  morte  salme 
Più  non  si  tardi  a  trasportare  altrove, 
E  dell'infide  ancelle  opra  sia  questa. 
Poi  con  l'acqua,  e  le  spugne  a  molte  bocche 
I  bei  sedili  tergeransi  e  i  deschi.  555 

Tutta  rimessa  la  magione  in  putito, 
Le  ancelle  ne  trarrete ,  e  poste   in  mezzo 
Tra  la  picciola  torre,  ed  il  superbo 
Recinto  del  cortil,  tanto  co'  lunghi 
Le  cercherete  feritori  brandi  ,  56o 

Che  si  disciolga  dai  lor  corpi  l'alma, 
E  dalle  menti  lor  fugga  l' immonda 
Venere  ,  onde  s'  unian  di  furto  ai  Proci. 

Ciò  detto  appena ,  ecco  venire  a  un  corpo 
Le  grame,  sollevando  alti  lamenti,  565 

E  una  pioggia  di  lagrime  versando. 
Pria  trasportar  gl'inanimati  corpi, 
Che  del  cortile,  aitandosi  a  vicenda  , 
Sotto  alla  loggia  collocaro.  Instava 
Co' suoi  comandi  Ulisse;  e  quelle  il  tristo  5^o 
Ministero  compiean,  benché  a  mal  cuore. 
Poi  con  l' acqua,  e  le  spugne  a  molle  bocche, 
I  bei  sedili  si  tergeano  e  i  deschi. 
Ma  Telemaco,  e  seco  i  due  pastori 
Con  rigide  scorrean  pungenti  scope  575 

Sul  pavimento  del  ben  fatto  albergo; 
E  la  bruttura  raccogliean  le  afflitte 
Donne  ,  e  fuori  recavanla.  Né  prima 
Rimessa  fu  la  magion  tutta  in  punto, 
Che  fra  la  torre  ed  il  recinto  poste         58o 
Le  malvage  si  videro  ,  e  in  tal  guisa 
Serrate  là,  che  del  fuggir  nulla  era. 
E  Telemaco:  Io,  no,  con  morie  onesta 
Non  torrò  V  alma  da  coteste  donne  , 
Che  a  me  sul  capo,  ed  alla  madre,  scherni  585 
Versaro;  e  che  s' unian  d'amor  co'  Proci. 
Disse;  e  di  nave  alla  cerulea  prora 
Canape,  che  partia  da  un  gran  pilastro, 
Gittò  alla  torre  a  tale  altezza  intorno  , 
Che  le  ancelle,  per  cui  gittarlo  piacque,  5go 
Non  potesser  del  pie  toccar  la  terra. 
E  come  incontra,  che  o  colombe,  o  torde , 
Che  il  verde  chiuso  d'una  selva  entraro, 
Van  con  ali  spiegate  a  dar  di  petto 


LIBRO  VENTESIMOSECONDO 


Nelle  pendulc  rrli,  ove  ciascuna  5g5 

Trova  un  letto  feral  :  tali  a  mirarle 
Eran  le  donne  con  le  teste  in  fila  , 
E  con  avvinto  ad  ogni  collo  un  laccio, 
Di  morte  infelicissima  strumento. 
Guizzan  co1  piedi  alquanto,  epiù  non  sono.  600 

Telemaco  indi,  e  i  due  pastori  seco 
Nella  corte  per  Patrio  il  mal  caprajo 
Conduccan:  recideangli  orecchie  e  nari, 
E  i  genitali ,  da  buttarsi  crudi 
Ai  can  voraci,  gli  svelleano,  e  i  piedi    6o5 
Mozzavangli  ,  e  le  man;  tanta  fu  l1  ira. 
Punito  al  fine  ogni  misfatto  .  e  mani 
Con  pura  onda  di  fonte,  e  pie  lavati, 
Ritorno  fèr  nella  magione  a  Ulisse. 

Questi  allor  tai  parole  alla  diletta  610 

Nutrice  rivolgea:  Portami,  o  vecchia, 
Il  zolfo  salutifero  ed  il  fuoco  , 
Perchè  P  albergo  vaporare  io  possa. 
E  Penelope  a  me  con  le  fedeli 
Sue  donne  venga;  e  tu  l'altre  per  casa  6i5 
Femmine  tutte  a  qua  venir  conforta. 


Ed  ella:  Figlio  mio,  quanto  dicesti, 
Io  lodo  assai.  Ma  non  vuoi  tu,  che  prima 
Manto  a  coprirti,  e  tunica,  io  ti  rechi? 
Indegno  fora  con  tai  cenci  indosso  620 

Nel  tuo  palagio  rimaner  più  a  lungo. 

Prima  il  zolfo  ed  il  fuoco,  ad  Euriclèa 
Rispose  il  pien  d1  accorgimenti  eroe. 

La  nutrice,  ubbidendo,  il  sacro  zolfo 
Portogli,  e  il  fuoco  prestamente;  e  Ulisse  625 
La  sala,  ed  il  vestibolo,  e  il  cortile 
Più  volte  vaporò.  Salì  frattanto 
Colei  le  ancelle  a  confortar,  che  franche 
Vedere  ornai  si  fessero.  Le  ancelle 
Delle  camere  uscirò,  in  man  tenendo     63o 
Lucide  faci:  poscia  iutorno  a  lui 
Si  spargeano,  e  abbracciavamo,  ed  il  capo 
Baciavangli ,  stringendolo,  e  le  spalle, 
E  P  afferravan  nelle  mani.  Ulisse 
Tutte  le  riconobbe  ad  una  ad  una  635 

Nel  consapevol  petto,  e  un  dolce  il  prese 
Di  sospiri  e  di  lagrime  desio. 


LIBRO  VENTESIMOTERZO 


ARGOMENTO 

Euriclea  corre  a  desiar  Penelope,  e  a  farle  sapere  che  Ulisse  è  ginntr. ,  ed  ha  uccisi  i  Proti.  Penelope 
traila  la  vecchia  da  folle,  e  attribuisce  la  uccisione  de'Proci  a  un  Dio,  parendole  che  un  nomo  non  potesse 
giungere  a  tanto.  Tuttavia  scende,  ma  lieusi  lontana  da  Ulisse  cui  non  ravvisa.  Sdegno  di  Telemaco  contra 
la  madre,  che  si  giustifica.  Olisse  comanda  ima  festa  da  ballo,  perchè  i  vicini  credano  che  la  Regina  sia 
passala  a  novelle  IUUI,  e  resti  occulta  frattanto  la  morte  de'Proci.  Poi,  entrato  nel  bagno,  e  restituitogli 
da  Minerva  l'antica  sembianza,  si  presenta  di  nnovo  a  Penelope  ,  che  non  vuol  riconoscerlo  ancora.  Final- 
mente, uditolo  ella  parlare  del  cuiijugale  lor  letto,  di  cui  altri  non  potea  aver  conlena,  depone  lutti  i 
S'ioi  dnbbj,  e  alla  gioja  abbandonasi,  ed  all'amore.  Minerva  prolunga  la  nolle.  Ragionamenti  di  Penelope  e 
Ulisse.  Sórta  l'Aurora,  egli  levasi  e  va  col  figlio  e  co'due  pastori  a  trovar  Laerte,  passando  per  la  città 
in  una  nube,  di  cni  gli  avvolse,  per  occultarli,  la  Dea. 


J^ia  buona  vecchia  gongolando  ascese 
Nelle  stanze  superne,  alla  padrona 
Per  nunzi'ar,  ch'era  il  marito  in  casa. 
Non-  le  tremavan  più  gì'  invigoriti 
Ginocchi  sotto;  ed  ella  a  salti  giva.  5 

Quindi  le  stette  sovra  il  capo,  e,  Sorgi, 
Disse,  Penelope'a,  figlia  diletta, 
Se  il  desio  rimirar  de1  giorni  tutti 
Vuoi  co1proprj  occhi.  Ulisse  venne,  Ulisse 
Nel  suo  palagio  entrò  dopo  anui  tanti,     10 
E  i  Proci  temerarj ,  onde  turbata 
La  casa  t'  era,  consumati  i  beni , 
Molestato  il  figliuol ,  ruppe  e  disperse. 

E  Penelope  a  lei:  Cara  nutrice, 
GP  Iddìi,  che  fanno,  come  lor  talenta,     i5 
Del  folle  un  saggio,  e  del  più  saggio  un  folle, 
La  ragion  ti  travolsero.  Guastaro 
Cotesta  mente,  che  fu  sempre  integra, 
Senza  dubbio  gP  Iddìi.  Perchè  ti  prendi 
Gioco  di  me,  cui  si  gran  doglia  preme,  20 
Favole  raccontandomi ,  e  mi  scuoti 
Da  un  sonno  dolce,  che  abbracciate  e  strette 
Le  mie  tenea  care  palpebre  ?  Io  mai, 
Dachè  Ulisse  levò  nel  mar  le  vele 
Per  la  malvagia  innominanda  Troja,         a5 
Cosi,  no,  non  dormii.  Su,  via,  discendi, 

PlJiDEMOKTI 


Balia ,  e  ritorna  ,  onde  movesti ,  e  sappi , 

Che  se  tali  novelle  altra  mi  fosse 

Delle  mie  donne  ad  arrecar  venuta, 

E  me  dal  sonno  scossa ,  io  rimandata        3o 

Tostamente  P  avrei  con  modi  acerbi  : 

Ma  giovi  a  te,  che  quel  tuo  crin  sia  bianco. 

Diletta  figlia,  ripigliò  la  vecchia, 
Io  di  te  gioco  non  mi  prendo.  Ulisse 
Capitò  veramente,  ed  il  suo  tetto  35 

Rivide  al  fin  :  quel  fore»tier  da  tutti 
Svillaneggiato  nella  sala  è  Ulisse. 
Telemaco  il  sapea:  ma  acortamente 
I  paterni  consigli  in  sé  celava, 
Delle  vendette  a  preparar  lo  scoppio.        io 

Giubbilò  allor  Penelope,  e,  di  letto 
Sbalzata ,  al  seno  s'  accostò  la  vecchia , 
Lasciando  ir  giù  le  lagrime  dagli  occhi , 
E  con  parole  alate-,  Ah!  non  volermi, 
Balia  cara ,  deludere  ,  rispose.  45 

S'ei,  come  narri,  in  sua  magione  alberga 
Di  qual  guisa  potè  solo  agli  audaci 
Drudi ,  che  in  folla  rimaneanvi  sempre, 
Le  ultrici  far  sentir  mani  omicide  ? 

Io  noi  vidi,  né  il  so,  colei  riprese:  5o 

Solo  il  gemer  di  quei,  eh1  eran  trafitti, 
L'  orecchio  mi  feria.  Noi  delle  belle 
iS 


..4 


ODISSEA 


Stanze,  onde  aprir  non  potevam  le  porte, 
Nel  fondo  sedevam  turbate  il  core  ; 
Ed  ecco  a  me  Telemaco  mandato  55 

Dal  genitor,  che  mi  vol:a.  Trovai 
Ulisse  in  pie  tra  i  debellati  Proci 
Che  giacean  1' un  su  I1  altro,  il  pavimento 
Tutto  ingombrando.  Oh  come  ratto  in  gioja 
La  tua  lunga  triste/za  avresti  vòlto,  6o 

Se  di  polve  e  di  sangue  asperso  e  brutto, 
Qual  feroce  leon  ,  visto  P  avessi  ! 
Or  del  palagio  fuor  tutti  in  un  monte 
Stannosi  ;  ed  ei  con  solforati  fuochi, 
Ei ,  che  a  te  m'inviò  nunzia  fedele,         65 
La  nobile  magion  purga  e  risana. 
Seguimi  adunque;  e  dopo  tanti  mali 
Ambo  schiudete  alla  letizia  il  core. 
Già  questo  lungo  desiderio  antico, 
Che  distruggeati ,  cessa  :  Ulisse  vivo  70 

Venne  al  suo  focolare ,  e  nel  palagio 
Trovò  la  sposa  e  il  figlio ,  e  di  coloro , 
Che  gli  noceano ,  vendirossi  a  pieno. 
Tanto  non  esultar ,  non  trionfare , 
Nutrice  mia,  Penelope  soggiunse,  ^5 

Perchè  fé  noto,  quanto  caro  a  tutti, 
E  sovra  tutti  a  me  caro ,  e  al  cresciuto 
Suo  figlio,  e  mio,  capiterebbe  Ulisse. 
Ma  tu  il  ver  non  parlasti.  Un  Nume,  un  Nume 
Fu,  che  dell1  opre  ingiuste,  e  de1  superbi  80 
Scherni  indegnato,  mandò  all'Orco  i  Proci, 
Che  dispregiavan  sempre  ogni  novello 
Siranier,  buon  fosse,  o  reo:  quindi  perirò. 
Ma  Ulisse  lungi  dall' Acaica  terra 
Il  ritorno  perde,  perde  la  vita.  85 

Deh  quale,  o  figlia,  ti  sfuggì  parola 
Dalla  chiostra  de1  denti  ?  a  lei  la  vecchia. 
Il  ritorno  perde,  perde  la  vita, 
Mentre  in  sua  casa  ,  e  al  focolar  suo  sacro 
Dimora?  Il  veggio:  chiuderai  nel  petto    90 
Un  incredulo  cor,  finché  vivrai. 
Se  non  che  un  segno  manifesto  in  prova 
Ti  recherò  :  la  cicatrice  onesta 
Della  piaga,  che  in  lui  di  guerreggiato 
Cinghiai  feroce  il  bianco  dente  impresse.     g5 
Quella,  i  piedi  lavandogli,  io  conobbi, 
E  volea  palesartela  :  ma  egli , 
Con  le  mani  afferrandomi  alla  bocca  , 
D'accortezza  maestro,  il  mi  vietava. 
Seguimi ,  io  dico.  Ecco  me  stessa  io  metto   100 
Nelle  tue  forze  :  s'  io  t'  avrò  delusa , 
La  morte  più  crudel  fammi  morire. 
E  di  nuovo  Penelope:  Nutrice, 
Chi  le  vie  degli  Dei  conoscer  puote  ? 
Né  tu  col  guardo  a  penetrarle  basti.        lo5 
Ogni  modo  a  Telemaco  si  vada, 
E  la  morte  de' Proci,  e  il  nostro  io  vegga 
Liberatore,  un  uomo  ei  siasi,  o  un  Nume. 
Detto  così,  dalla  superna  stanza 
Scese  con  mente  in  due  pensier  divisa:   110 
Se  di  lontano  a  interrogar  l'amato 
Consorte  avesse,  o  ad  appressarlo  in  vece, 
E  nelle  man  baciarlo  e  nella  lesta. 
Varcata,  entrando,  la  marmorea  soglia, 
Da  quella  parte,  e  contra  lui  s' assise,  n5 
Dinanzi  al  foco,  che  su  lei  raggiava; 
Ed  ei,  poggiato  a  una  colonna  lunga, 
Sedea  con  gli  occhi  a  terra,  e  le  parole 


Sempre  nttendea  della  preclara  donna, 
Poiché  giunti  su  lui  n'eran  gli  sguardi.    120 
Tacita  stette,  e  attonita  gran  tempo: 
Il  riguardava  con  immote  ciglia  , 
E  in  quel  che  ravvisarlo  ella  credea, 
Traeanla  fuor  della  notizia  antica 
Gli  abiti  vili,  onde  scorgealo  avvolto.     i^5 
Non  si  tenne  Telemaco ,  che  lei 
Forte  non  rampognasse  :  O  madre  mia, 
Madre  infelice,  e  barbara  consorte, 
Perchè  così  dal  genitor  lontana? 
Che  non  siedi  appo  lui?  che  non  gli  parli?  1 3o 
Nuli' altra  fora  così  fredda  e  schiva 
Con  marito  alla  Patria  ,  ed  a  lei  giunto 
Dopo  guai  molti  nel  ventesim'  anno. 
Ma  una  pietra  per  cuore  a  te  sta  iti  petto. 
E  a  rincontro  Penelope:  Sospesa,  1 35 

Figlio,  di  stupor  sono,  ed  un  sol  detto 
Formar  non  valgo,  una  dimanda  sola, 
E  né,  quant' io  vorrei,  mirarlo  in  faccia. 
Ma  s'egli  è  Ulisse,  e  la  sua  casa  il  tiene, 
Nulla  più  resta  che  il  mio  stalo  inforsi.    i^o 
Però  che  segni  v'han  dal  nuziale 
Ricetto  nostro  impenetrabil  tratti , 
Ch'esser  noti  sappiamo  a  noi  due  solo. 
Sorrise  il  saggio  e  paziente  Ulisse, 
E  converso  a  Telemaco,  La  madre  1 45 

Lascia  ,  diceagli ,  a  suo  piacer  tentarmi  : 
Svanirà,  figlio,  ogni  suo  dubbio  in  breve. 
Perchè  in  vesti  mi  vede  umili  e  abbiette, 
Spregiami,  e  penetrar  non  san  per  queste 
Sino  ad   Ulisse  i  timidi  suoi  sguardi.        i5o 
Noi  quel  partito  consultiamo  intanto, 
Che  abbracciar  sarà  meglio.  Uom,  che  di  vita 
Spogliò  un  uom  solo ,  e  oscuro,  e  di  cui  pochi 
Sono  i  vendicator,  pur  fugge,  e  il  dolce 
Nido  abbandona,  ed  i  congiunti  cari.     1 55 
Or  noi  della  città  tolto  il  sostegno, 
E  il  fior  dell'  Itacese  gioventude 
Mietuto  abbiamo.  Qual  è  il  tuo  consiglio  ? 
E  il  prudente  Telemaco,  A  te  spetta, 
Diletto  padre,  il  consigliar,  rispose: 
A  te,  con  cui  non  v'ha  chi  d'accortezza 
Contendere  osi.  Io  seguirotti  pronto 
In  ogni  tuo  disegno  ,  e  men  ,  cred'  io , 
Le  forze  mi  verran  pria,  che  il  coraggio 
Questo  a  me  sembra,   ripigliava  Ulisse. 
Bagnatevi ,  abbigliatevi  ,  e  novelle 
Prenda  ogni  donna,  e  più  leggiadre  vesti. 
Poi  con  P  arguta  cetera  il  divino 
Cantore  inviti  a  una  gioconda  danza , 
Acciò  chi  di  fuori  ode,  o  passa,  o  alberga   170 
Vicin  ,  le  nozze  celebrarsi  creda. 
Così  pria  non  andrà  per  la  cittade 
Della  strage  de'  Proci  il  sanguinoso 
Grido,  che  noi  non  siam  nell' ombreggiata 
Campagna  nostra  giunti,  in  cui  vedremo    1^5 
Ciò  che  inspirarci  degnerà  P  Olimpio. 
Scoltato,  ed  ubbidito  ei  fu  ad  un'ora. 
Si  bagnar,  s'abbigliar,  vesti  novelle 
Prese  ogni  donna,  e  più  fregiata  apparve. 
Femio  la  cetra  nelle  man  recossi,  180 

E  del  canto  soave,  e  dell'egregia 
Danza  il  desio  svegliò.  Tutta  sonava 
Quella  vasta  magion  del  calpestio 
Degli  uomini  trescanti ,  e  delle  donne  , 


Co 


65 


Cui  bella  fascia  circondava  i  fianchi 
E  tal,  che  odia  di  fuor,  tra  se  dicea: 
Alcun  per  fermo  la  cotanto  ambita 
Regina  ottenne.  Trista  !  che  gli  eccelsi 
Tetti  di  quel,  cui  vergine  congiunta 
S'era,  non  custodì,  finch1  ei  venisse.      190 
Così  parlava  ;  e  di  profonda  notte 
Lo  strano  caso  rimanea  tra  P  ombre. 

In  questo  mezzo  Eurinome  cosperse 
Di  lucid'  onda  il  generoso  Ulisse , 
E  del  biondo  licor  Punse,  ed  il  cinse     ig5 
Di  tunica  e  di  clamide  :  ma  il  capo 
D1  alta  beltade  gì1  illustrò  Minerva. 
Ei  da1  lavacri  uscì  pari  ad   un  Nume, 
E  di  nuovo  s1  assise ,  ond1  era  sorto, 
Alla  sua  moglie  di  rincontro,  e  disse  :    200 
Mirabile,  a  te  più,  che  ali1  altre  donne, 
Gli  abitatori  dell1  Olimpie  case 
Un  cuore  impenetrabile  formare 
Quale  altra  accoglierla  con  tanto  gelo 
L1  uoin  suo,  che  dopo  venti  anni  di  duolo  2o5 
Alla  sua  Patria  ritornasse,  e  a  lei  ? 
Su,  via,  nutrice,  per  me  stendi  un  letto, 
Dov1  io  mi  corchi  ,  e  mi  riposi  anch'io: 
Quando  di  costei  1*  alma  è  tutta  ferro. 

Mirabil,  rispondea  la  saggia  donna,  210 

Io  né  orgoglio  di  me,  né  di  te  nutro 
Nel  cor  disprezzo,  né  stupor  soverchio 
M1  ingombra:  ma  guardinga  i  Dei  mi  fero. 
Ben  mi  ricorda,  quale  allor  ti  vidi, 
Che  dalle  spiaggie  d'Itaca  naviglio  ai5 

Ti  allontanò  di  remi  lunghi  armato. 
Or  che  badi,  Euricléa,  che  non  gli  stendi 
Fuor  della  stanza  maritale  il  denso 
Letto,  ch'ei  di  sua  mano  un  dì  construsse  , 
E  pelli,  e  manti,  e  sontuose  coltri         220 
Su  non  vi  getti?  Ella  così    dicea, 
Far  volendo  di  lui  P  ultima  prova. 

Crucciato  ei  replicò:  Donna,  parola 
T1  uscì  da1  labbri  fieramente  amara. 
Chi  altrove  il  letto  collocommi?    Dura    225 
Al  più  saputo  torneria  P  impresa. 
Solo  un  Nume  potrebbe  agevolmente 
Scollocarlo:  ma  vivo  uomo  nessuno, 
Benché  degli  anni  in  sul  fiorir,  di  loco 
Mutar  potria  senza  i  maggiori  sforzi         23o 
Letto  così  ingegnoso,  ond1  io  già  fui, 
Né  compagni  ebbi  ali1  opra,  il  dotto  fabbro. 
Bella  d'  olivo  rigogliosa  pianta 
Sorge*  nel  mio  cortile  i  rami  larga , 
E  grossa  molto,  di  colonna  in  guisa.       235 
Io  di  commesse  pietre  ad  essa  intorno 
Mi  architettai  la  maritale  stanza, 
E  d1  un  bel  tetto  la  coversi  ,  e  salde 
Porte  v'imposi,  e  fermamente  aitate. 
Poi,  vedovata  del  suo  crin  Poliva,  240 

Alquanto  su  dalla   radice  il  tronco 
Ne  tagliai  netto,  e  con  le  pialle  sopra 
Vi  andai  leggiadramente,  e  v1  adoprai 
La  infallibile  squadra,  e  il  succhio  acuto. 
Così  il  sostegno  mi  fec1  io  del  letto;       245 
E  il  letto  a  molta  cura  io  ripolii, 
L1  intarsiai  d1  oro ,  d'avorio  e  argento 
Con  arte  varia  ,  e  di  taurine  pelli  , 
Tinte  in  lucida  porpora,  il  ricinsi. 
Scarne  riman,  qual  fabbiicailo,  intatto,  a5o 


LIBRO   VENTESIMOTEKZO 
185 


ni 


O  alcun,  succiso  dell1  oliva  il  fondo, 
Portollo  in  altra  parte,  io,  donna,  ignoro. 

Questo  fu  il  colpo  che  i  suoi  dubbj  tutti 
Vincitore  abbattè.  Pallida,  fredda, 
Mancò,  perde  gli  spiriti,  e  disvenne.      255 
Poscia  corse  vèr  lui  dirittamente  , 
Diseioglicndosi  in  lagrime;  ed  al  collo 
Ambe  le  braccia  gli  gittava  intorno, 
E  baciavagli  il  capo,  e  gli  dicea  : 
Ah!  tu  con  me  non  t1  adirare,  Ulisse      260 
Che  in  ogni  evento  ti  mostrasti  sempre 
Degli   uomini  il  più  saggio.  Alla  sventura 
Condannavanci  i  Numi,  a  cui  non  piacque 
Che  de1  verdi  godesse  anni  fioriti 
L'uno  appo  Paltro,  e  quindi apocoa poco  265 
L1  un  vedesse  imbiancar  dclPaltro  il  crine. 
Ma,  se  il  mirarti,  e  P abbracciarti,  un  punto 
Per  me  non  fu ,  tu   non  montarne  in  ira. 
Sempre  nel  caro  petto  il  cor  tremavami  , 
Non  venisse  a  ingannarmi  altri  con  fole:  270 
Che  astuzie  ree  covansi  a  molti  in  seno. 
Né  la  nata  di  Giove  Elena  Argiva 
D1  amor  sanasi  e  sonno  a  uno  straniero 
Congiunta  mai,  dove  previsto  avesse 
Che  degli  Achei  la  bellicosa  prole  an5 

Nuovamente  P  avrebbe  alla  diletta         v 
Sua  casa  in  Argo  ricondotta  un  giorno. 
Un  Dio  la  spinse  a  una  indegna  opra;  ed  ella 
Pria  che  di  dentro  ne  sentisse  il  danno, 
Non  conobbe  il  velen,  velen  da  cui         280 
Tanto  cordoglio  a  tutti  noi  discorse. 
Ma  tu  mi  desti  della  tua  venuta 
Certissimo  segnale:  il  nostro  letto, 
Che  nessun  vide  mai,   salvo  noi  due, 
E  Attoride  la  fante  a  me  già  data  285 

Dal  padre  mio,  quand'io  qua  venni ,  e  a  cui 
Dell1  inconcussa  nuziale  stanza 
Le  porte  in  guardia  son,  tu  quello  allatto 
Mi  descrivesti;  e  al  fin  pieghi  il  mio  core, 
CIP  esser  potria.  noi  vo1  negar,  più  molle.  290 

A  questi  detti  succilo  in  Ulisse 
Desio  maggior  di  lagrime.  Piagnea, 
Sì  valorosa  donna  e  sì  diletta 
Stringendo  al  petto.  E  il  cor  di  lei  qual  era? 
Come  ai   naufraghi  appar  grata  la  terra ,  20,5 
Se  Nettun  fracassò  nobile  nave  , 
Che  i  vasti  flutti  combatteano,  e  i  venti, 
Tanto  che  pochi  dal  canuto  mare 
Scampar  notando  a  terra,  e  con  le  membra 
Di  schiuma  e  sai  tutte  incrostate,  e  lieti  2oo 
Su  la  terra  montar,  vinto  il  periglio: 
Così  gioia  Penelope ,  il  consorte 
Mirando  attenta,  né   staccar  sapea 
Le  braccia  d1  alabastro  a  lui  dal  collo. 
E  già  risorta  lagninosi  il  ciglio  3o5 

Visti  gli  avrfa  la  ditirosea  Aurora  , 
Se  P  occhio  azzurro  di  Minerva  un  pronto 
Non  trovava  compenso.  Egli  la  Notte 
Nel  fin  ritenne  della  sua  carriera , 
Ed  entro  alPOceàn  fermò  P Aurora,         3io 
Giunger  non  consentendole  i  veloci 
Dell1  alma  luce  portator  destrieri, 
Lampo  e  Fetonte,  ond1  è  guidata  in  cielo 
La  figlia  del  mattin  su  trono  d1  oro. 

Ulisse  alloR  queste  parole  volse  3i5 

Non  liete  alla  sua  donna:  O  donna,  giunto 


ufi 


ODISSEA 


Non  creder  già  de1  miei  travagli  il  fine. 
Opra  grande  rimane,  immensa,  e  cui 
Fornir,  benché  a  fatica,  io  tutta  deggio. 
Tanto  mi  disse  di  Tiiosia  l'Ombra  320 

Il  dì  ch'io,  per  saver  del  mio  ritorno, 
E  di  quel  de1  compagni  ,  al  fosco  albergo 
Scesi  di  Dite.  Or  basta.  Il  nostro  letto 
Ci  chiama,  e  il  sonno,  di  cui  tutta  in  noi 
Entrerà  F  ineffabile  dolcezza.  325 

E  Penelope  a  lui  così  rispose: 
Quello  a  te  sempre  apparecchiato  giace, 
Poiché  di  ritornar  ti  diero  i  Numi. 
Ma  tu  quest'  opra  ,  di  cui  qualche  Dio 
Risveglio  in  te  la  rimembranza,  dimmi.  33o 
Tu  non  vorrai  da  me,   penso,  celarla 
Poscia,  e  il  tosto  saperla  a  me  par   meglio. 

Sventurata,  perchè,  l'altro  riprese, 
Tal  nel  tuo  petto,  e  sì  fervente  brama? 
Nulla  io  t'asconderò:  benché  goderne     335 
Corto  più,  che  il  mio  core ,  il  tuo  non  deggia. 
L'Ombra  ir  m'impose  a  città  molte,  un  remo 
Ben  fabbricato  nelle  man  tenendo, 
Né  prima  il  pie  fermar,  che  ad  una  nuova 
Gente  io  non  sia,  che  non  conosce  il  mare,  34o 
Né  cosperse  di  sai  vivande  gusta , 
Né  delle  navi  dalle  rosse  guance, 
O  de1  remi,  che  sono  ale  alle  navi, 
Notizia  vanta.  E  mi  die  un  segno  il  vate. 
Quel  dì,  che  un  altro  pellegrino,  a  cui  345 
M'abbatterò  per  via,  me  un  ventilabro 
Portar  dirà  su  la  gagliarda  spalla, 
Allora,  infitto  nella  terra  il  remo, 
E  vittime  perfette  a  re  Nettuno 
Svenate,  un  toro,  un  ariete,  un  verro,     35o 
Riedere  io  debbo  alle  paterne  case , 
E  per  ordine  offrir  sacre  ecatombi 
Agli  Dei  tutti  che  in  Olimpo  han  seggio. 
Quindi  a  me  fuor  del  mare,  e  mollemente 
Consunto  al  fin  da  una  lenta  vecchiezza,  355 
Morte  sopravverrà  placida  e  dolce, 
E  beate  vivran  le  genti   intorno. 
Ecco  il  destin  che  il  tuo  consorte  aspetta. 

Ed  ella  ripigliò  :  Se  una  vecchiezza 
Migliore  i  Dei  promettonti,  che  tutta      36o 
L'altra  etade  non  fu,  t'allegra  dunque, 
O  d1  ogni  angoscia  vincitor  felice. 

Euri'nome  frattanto,  ed  Euricléa 
Di  molli  coltri ,  e  di  tappeti  il  casto 
Letto  adornavan  delle  faci  al  lume.  3(15 

Ciò  in  brev' ora  compiuto,  a1  suoi  riposi 
Euricléa  si  ritrasse,  ed  Eurinóme 
Invor  la  stanza  maritale  Ulisse 
Precedeva,  e  Penelope,  tenendo 
Fiaccola  in  man:  poi  ritirossi  anch' ella;  3^0 
E  con  pari  vaghezza  i  due  consorti 
Del  prisco  letto  rinnovaro  i  patti. 
Telemaco  non  meno,  ed  i  pastori  , 
Fatti  i  lor  pie  cessar  dalla  gioconda 
Danza,  e  quei  delle  donne,  al  sonno  in  preda  375 
S1  abbandonare  nell'  oscura  sala. 

Ma  Penelope  e  Ulisse  un  sovrumano 
De' mutui  lor  ragionamenti  varj, 
Che  la  notte  copn'a,  prendean  diletto. 
Ella  narrava,  quanto  a  lei  di  doglia        38o 
Die  la  vista  de'  Proci,  ed  il  trambusto 
In  eh'  era  la  magion ,  mentre ,  velando 


La  loro  audacia  dell'  amor  col  manto  , 
Sempre  a  terra  stendean  pecora  o  bue , 
E  dai  capaci  dogli  il  delicato  385 

Vino  attigneano.   D'  altra  parte  Ulisse 
Que'  mali,  che  in  sé  stesso,  o  a  gente  avversa  , 
Sofferti  avea  pellegrinando,  o  inflitti  , 
Le  raccontava  :  un  non  so  che  di  dolce 
L'anima  ricerca  vale,  ed  a  lei,  390 

Finch'  ci  per  tutte  andò  le  sue  vicende  , 
Non  abbassava  le  palpebre  il  sonno. 
Tolse  a  dir,  come  i  Ciconi  da  prima 
Vinse,  e  poi  de' Lotofagi  alla  pingue 
Terra  sen  venne;  e  rammentò  gli  eccessi  3cj.; 
Del  barbaro  Ciclope ,  e  la  sagace 
Vendetta  fatta  di  color  tra  i  suoi , 
Ch'  ci  metteasi  a  vorar  senza  pietade. 
Come  ad  Eolo  approdò,  da  cui  gentile 
Accoglienza  e  licenza  ebbe  del  pari  :       400 
Ma  non  ancor  gli  cor.cedeano  i  fati 
La  contrada  natia,    donde  rapi  Ilo 
Suhitana  procella,  e  sospirante 
Molto,  e  gemente,  il  ricacciò  nell'alto. 
Quindi  V  amaro  descriveale  arrivo  4°5 

Alla  funesta  dalle  larghe  porte 
Cittade  de' Lestrigoni,  e  gli  ancisi 
Compagni  tanti,  e  i  fracassati  legni, 
Fuor  che  uno,  sovra  cui  salvossi  appena. 
Gli  scaltrimenti   descrivea  di  Circe,        4'° 
E  il  viaggio  impensato  in  salda  nave, 
Per  consultar  del  Teban  vate  1'  alma, 
Alla  casa  inamabile  di   Pluto  , 
Dove   s'  offrirò  a  lui  gli  antichi  amici , 
Ombre  guerriere,  ed  Anticléa,  che  in  luce  41 5 
Poselo,  e  intese  alla  sua  infanzia   cara. 
Aggiunse  le  Sirene ,  innanzi  a  cui 
Passare  ardì  con  disarmati  orecchi  ; 
E  gl'instabili  scogli,  e  la  tremenda 
Cariddi  e  Scilla,  cui  non  rider  mai         4^0 

I  più  destri  nocchieri   impunemente. 
Né  1'  estinto  tacca  del  Sole  armento, 
E  la  vermiglia  folgore  di  Giove 
Altitonante,  che  percosse  il  legno, 

E  i  compagni  sperile.  Campò  egli  a  terra  4^5 
Solo,  e  afferrò  all' Ogigia  isola;  ed  ivi 
Calipso,   che  bramava  essergli  sposa, 

II  ritenea  nelle  sue  cave  grotte, 
L'adagiava  di  tutto,  e  giorni  eterni 
Senza  canizie  prometteagli  :  pure  4^° 
Nel  seno  il  cor  mai  non  piegógli.  Al  fine 
Dopo  infiniti  guai  giunse  ai  Feaci  , 

Chi  al  par  d'un  Nume  1' onoraro,  e  in  nave 
Di   rame  carca  ,  e  d'  oro ,   e  di  vestiti , 
All'  aer  dolce  de'  natii  suoi  monti  4^5 

Rimandarlo.  Quest'  ultima  parola 
Delle  labbra  gli  uscia,  quando  soave 
Scioglitor  delle  membra  ,  e  d'  ogni  cura 
Disgombrator ,  sovra  lui  cadde  il  sonno. 
Ma  in  questo  mezzo  la  Pupilleazzurra        44° 
Di  Laerte  il  figliuol  non  obbli'ava. 
Come  le  parve  eh'  ei  goduto  avesse 
Di  notturna  quiete  appo  la  fida 
Moglie  abbastanza,  incontanente  mosse, 
E  a  levarsi  eccitò  dall'  Oceano  44** 

Sul  trono  d'or  la  ditirosea  Aurora, 
Perchè  la  terra  illuminasse ,  e  il  cielo. 
Surse  allora  l'eroe  dal  molle  letto, 


LIBRO  VEMTE61MOTERZO 


117 


E  questi  accenti  alla  consorte  volse  : 
Consorte,  sino  al  fondo  ambi  la  coppa  45o 
Bevemmo  del  dolor;  tu,  che  piagnevi 
Il   mio  ritorno  disastroso  ,  ed  io, 
Cui  G^e,  e  gli  altri   Dei,  dalla   bramata 
Patria  volcan  tra  mille  affanni  in  bando. 
Or,  che  agli  Eterni  riunirci  piacque,     4^5 
Cura  tu  prenderai  di  quanto  in  casa 
Restami;  ed  io  di  ciò,  che  gli  orgogliosi 
Proci  usurparo  a  me,  parte  co'  doni 
Del  popol  mio,  parte  co1  miei  conquisti, 
Ristororomini  a  pieno,  in  sin  che  tutte  4^° 
Si  riempian  di  nuovo  a  me  le  stalle. 
Io  nella  folta  di  diverse  piante 
Campagna  sua  corro  a  veder  P  antico 


Genitor,  che  per  me  tanto  dolora. 
Tu,  benché  saggia,  il  mio  precetto  ascolta.  465 
Sorto  il  no\ello  Sol,  per  la  citlade 
Dilla  morte  de1  Proci  andrà  la  fama. 
Sali  ne  IT  alto  con  le  ancelle,  e  siedi, 
Ed  in  guisa  ivi  sia,  che  non  t'accada 
Ne  voce  ad  alcun  volgere,  né  sguardo.    47° 
Detto,  vestissi  le  bell'armi,  e  il  prode 
Figlio  animava  ,  e  i  due  pastori ,  e  a  tutti 
Prendere  ingiunse  i  marziali  arnesi. 
Quelli, obbedendo,  armavansi,e,  dischiuse 
Le  porte,  lisciano:  precedeali  Ulisse.       47^ 
Già  si  spargea  su  per  la  terra  il  lume  : 
Ma  fuor  della  città  tosto  li  trasse 
Di  nubi  cinti  1'  Atenéa  Minerva. 


LIBRO  VENTESIMOQUARTO 


ARGOMENTO 

Mercurio  eondnce  all' Inferno  le  anime  de'  Proci.  Colloqnio  tra  l'anima  d'Agamennone  e  quella  d'Achille; 
e  racconto  che  il  primo  fa  de' funerali  magnifici  del  secondo-  Altro  colloquio  Ira  lo  stesso  Agamennone  e 
Anfimedonle  ,  che  fu  de'  Proci.  Ulisse  giunge  con  Telemaco  e  i  due  pastori  al  soggiorno  di  Laerte  suo  pa- 
dre. Riconoscimento  d'Ulisse,  e  gioja  di  Laerte.  Dolio  ,  vecchio  servilor  di  qoesl  ultimo,  ritorna  dal  lavoro 
con  sei  figliuoli  :  altro  riconoscimento.  Frattanto,  corsa  la  fama  della  morte  de'  Proci ,  Eupite,  il  padre 
d'Anlinoo,  eccita  il  popolo  a  vendicarla.  Se  gli  oppongono  Medonle  e  Alitene.  Egli  nondimeno  esce  co' suoi 
seguaci  della  città.  Ulisse  armasi  r.o'snoi  pochi,  e  va  loro  incontro,  combattendo  lo  stesso  Laerte,  che,  inco- 
raggiato  da  Minerva,  lancia  conlra  Eupite  il  primo  colpo,  e  l'uccide.  Ulisse  e  Telemaco  menano  strage. 
Finalmente  Minerva,  a  cui  Giove  fa  cadere  irn  fulmine  innanzi  ai  piedi,  termine  impone  al  conflitto,  e 
la  pace,  sotto  la  figura  di  .Memore,  ristabilisce. 


M, 


Lercurio  infanto,  di  Gliene  il  Dio, 
L'alme  de'  Proci  estinti  a  sé  chiamava. 
Tenea  la  bolla  in   man  verga  dell'  oro  , 
Onde  i  mortali  dolremente  assonna, 
Sempre  che  il  vuole  ,  e  li  dissonila  ancora.  5 
Con  questa  conducea  I'  alme  chiamate , 
Che  stridendo  il  seguiano.  E  come  appunto 
Vipistrelli  nottivaghi  nel  cupo 
Fondo  talor  d'una  solenne  grotta, 
Se  avvien  che  alcun  dal  sasso,  ove  congiunti  10 
L'uno  appo  l'altro  s"  al  leticano,   caschi, 
Tutti  stridendo  allor  volano  in  folla  : 
Così  movean  gli  spirti,  e  per  la  fosca 
Via  precedeali  il  mansueto  Ermete. 
L' Oceàn  trapassavano,  e  la  bianca  i5 

Pietra,  e  del  Sole  le  lucenti  porte, 
Ed  il  popol  de'  sogni  :  indi  ai  vestiti 
D'  asfodelo  immortale  Inferni  prati 
Ginnser,  dove  soggiorno  han  degli  estinti 
Le  aeree  forme  e  i  simulacri   ignudi.         20 
L'  alma  trovaro  del  Peliade  Achille , 
Di  Patroclo,  d' Antiloco  e  d'  Ajace, 
Che  i  Danai  tutti ,  salvo  il  gran  Pelide , 
Di  corpo  superava  e  di  sembiante. 
Corona  fean  di  Peleo  al  figlio  ;  ed  ecco    25 
Dolente  presentategli  lo  spirto 
Dell' Atride  Agamennone,  cui  tutti 
Seguian  coloro  che  d'  Egisto  un  giorno 
Nella  casa  infedel  con  lui  perirò. 
Primo  gli  volse  le  parole  Achille  :  3o 

Noi  credevamti  sovra  tutti,  Atride, 
Della  Grecia  gli  eroi  diletto  al  vago 


Del  fulmin  Giove,  poiché  a  molta  e  forte 
Gente  imperavi  sotto  1'  alte  mura 
Di  Troja,  lungo  degli  Achivi  affanno.        35 
Pur  te  assalir  dovea  primo  tra  quelli  , 
Che  ritornaro,  la  severa  Parca, 
Da  cui  scampar  non  lice  ad  uom  che  nacque. 
Che  non  moristi  almeno  in  quell'  eccelso 
Grado,  di  cui  godevi,  ad  Ilio  innauzi?     4° 
Qual  tomba  i  Greci,  che  al  tuo  figlio  ancora 
Somma  gloria  saria  ne'  dì  futuri  , 
Non  t'  avi  iano  innalzata  ?  Oh  miseranda 
Fine  che  invece  ti  prescrisse  il  fato! 
Felice  te  ,  gli  rispondea  1'  Atride  ,  4^ 

Figlio  di  Peleo,  Achille  ai  Numi  eguale, 
Te,  che  a  Troja  cadesti,  e  lunge  d'Argo, 
E  a  cui  de'  Greci  e  de'  Trojani  i  primi , 
Che  pugnavan  per  te,  cadeano  intorno  ! 
Tu  de' cavalli  immemore,  e  de' cocchi,    5o 
Cadaver  grande  sovra  un  grande  spazio, 
Giacevi  in  mezzo  a  un  vortice  di  polve; 
E  noi  combatteva  ni  da  mane  a  sera  , 
Né  cessava  col  dì,  credo,  l'atroce 
Pugna  ostinata,  se  da  Giove  mosso  55 

Gli  uni  non  dividea  dagli  altri  un  turbo. 
Tosto  che  fuor  della  battaglia  tratto, 
E  alle  navi  per  noi  condotto  fosti  , 
Asterso  prima  il  tuo  formoso  corpo 
Con  tepid' acque  e  con  fragranti  essenze,    60 
Ti  deponemmo  in  su  funebre  Ietto; 
E  molte  sovra  te  lagrime  calde 
Spargeano  i  Danai,  e  recideansi  il   crine. 
Ma  la  tua  madre ,  il  graye  annunzio  udito, 


,.8 


ODISSEA 


Del  mare  uscì  con  le  Nereidi  eterne,       65 
E  un  immenso  clamor  corse  per  l'onde, 
Tal  che  tremarsi  le  ginocchia  sotto 
Gli  Achei  tutti  sentirò.  E  già  salile 
Precipitosi  avrian  le  ratte  navi, 
S'  uom  non  li  ritenea,  la  lingua  e  il  petto  70 
Pien  d'antico  saver,  Ncstor,  di  cui 
Ottimo  sempre  il  consigliar  tornava. 
Arrestatevi,  Argivi,  non  fuggite, 
Disse  il  profondo  del  Nel/de  senno, 
O  figli  degli  Achei:  questa  è  la  madre,  ?5 
Ch'esce  dell'onda  con  l'equoree  Dive, 
E  al  figliuol  morto  viene.  A  tai  parole 
Ciascun  ristè.  Ti  circondalo  allora 
Del  vecchio  Nereo  le  cerulee  figlie , 
Lugubri  lai  mettendo ,  e  a  te  divine  80 

Vesti  vestirò.  Il  coro  anche  plorava 
Delle  nove  sotelle,  alternamente 
Sciogliendo  il  canto  or  l'ima,  or  Pai  Ira;  e  tale 
Il  poter  fu  delle  canore  Muse, 
Che  un  sol  Greco  le  lagrime  non   tenne.  85 
Dieci  di  e  sette,  ed  altrettante  notti, 
Uomini  e  Dei  ti  piangevam  del  pari  : 
Ma  il  giorno  che  seguì ,  ti  demmo  al  foco, 
E  agnelle  di  pinguedine  fiorite 
Sgozzammo,  e  buoi  dalla  lunata  fronte.    90 
Tu  nelle  vesti  degli  Dei ,  nel  dolce 
Mele  fosti  arso,  e  nel  soave  unguento; 
E,  mentre  ardevi,  degli  Acaichi  eroi 
Molti  corser  con  P  arme  intorno  al  rogo, 
Chi  sul  cocchio,  chi  a  piedi;  ed  un  rimbombo  95 
Destossi,  che  salì  fino  alle  stelle. 
Come  consunto  la  Vulcania  fiamma, 
Achille,  t'ebbe,  noi  le  candide  ossa, 
Del  più  puro  tra  i  vini ,  e  del  più  molle 
Tra  gli  unguenti  irrigandole,  su  l'Alba   100 
Raccoglievamo  ;  e  la  tua  madre  intanto 
Portò  lucida  d'oro  urna,  che  dono 
Dicea  di  Bacco,  e  di  Vulcan  fattura. 
Entro  quest1  urna  le  tue  candide  ossa 
Con  quelle  di  Patroclo,  illustre  Achille,  io5 
Giacciono;  ed  ivi  pur,  benché  disgiunte, 
L'ossa  posan  d1  Antiloco,  cui  tanto 
Sovra  tutti  i  compagni  onor  rendevi, 
Spento  di  vita  il  Mer.eziade.  Quindi 
Massima  ergemmo,  e  sontuosa  tomba      110 
Noi,  de1  pugnaci  Acuivi  oste  temuta, 
Su  l'Elesponto,  ove  più  sporge  il  lido: 
Perchè  chi  vive,  e  chi  non  nacque  ancora, 
Solcando  il  mar,  la  dimostrasse  a  dito. 
La  madre  tua,  che  interrogonne  i  Numi,  1 15 
Splendidi  in  mezzo  il  campo  al  fior  delPoste 
Giuochi  propose.  Io  molte  esequie  illustri, 
Dove  ali1  urna  d'un  Re  la  gioventude 
Si  cinge  i  fianchi,  e  alotteggiar  s'appresta, 
Vidialmiotempo:mapiù  assai, che  gli  altri  120 
Certami  tutti ,  con  le  ciglia  in  arco 
Quelle  giostre  io  mirai ,  che  per  te  diede 
Sì  belle  allor  la  piediargentea  Teti. 
Così  caro  vivevi  agi1  Immortali  ! 
Però  il  tuo  nome  non  si  spense  teco:     125 
Anzi  la  gloria  tua  pel  mondo  tutto 
Rifiorirà,  Pelide,  ognor  più  bella. 
Ma  io  qual  prò  di  così  lunga  guerra 
Da  me  finita ,  se  cotal  ruina 
Per  man  d'Egisto,  e  d'una  moglie  infame,  i3o 


Pronta  mi  tene»  Giove  al  mio  ritorno? 

Cotesti  avean  ragionamenti,  quando 
Lor  s'accostò  l'interprete  Argicida, 
Che  de'  Proci  testé  da  Ulisse  vinti 
L'alme  guidava.  Agamennone  e  Achille     1 35 
Non  prima  gli  sguardar,  che  ad  incontrarli 
Maravigliando  mossero.  L'  Atride 
Ratto  conobbe  Antìmedonte,   il  caro 
Figlio  di  quel  Mclanio,  onde  ospizio  ebbe 
In  Itaca,  e  così  primo  gli  disse:  i/Jo 

Anfimedonte  per  qual  caso  indegno 
Scendeste  voi  sotterra,  eletta  gente, 
E  tutti  d'  una  età?  Scerre  i  migliori 
Meglio  non  si  potria  nella  cittade. 
Nettuno  forse  vi  annojò  sul  mare,  1 4^ 

Fieri  venti  eccitando,  e  immani  flutti? 
O  v' offesero  in  terra  uomini  ostili, 
Mentre  buoi  predavate,  e  pingui  agnelle? 
O  per  la  Patria,  e  per  le  care  donne 
Combattendo  cadeste?  A  un  tuo  paterno  i5o 
Ospite,  che  tei  chiede,  il  manifesta. 
Non  ti   ricorda  di  quel  tempo,  eh'  io 
Col  divin  Menelao  venni  al  tuo  tetto, 
Ulisse  a  persuader ,  che  su  le  armate 
Di  saldi  banchi  e  ben  velate  navi  1 55 

Ci  accompagnasse  a  Troja  ?  Un  mese  intero 
Durò  il  passaggio  per  P  immenso  mare, 
Poiché  svolto  da  noi  fu  a  stento  il  prode 
Rovesciator  delle  cittadi  Ulisse. 

E  di  rincontro  Anfimedonte:  O  figlio        160 
Glorioso  d'Atréo,  he  delle  genti, 
Serbo  in  mente  ciò  tutto;  e  qual  reo  modo 
Ci  toccasse  di  morte,  ora  io  ti  narro. 
D'  Ulisse,  eh'  era  di  moli'  anni  assente  , 
La  consorte  ambivamo.  Ella  nel  core       iG5 
Morte  a  noi  macchinava,  e,  non  volendo 
Né  rifiutar,  né  trarre  a  fin  le  nozze, 
Un  compenso  inventò.  Mettea  la  trama 
In  sottile,  ampia,  immensa  tela  ordita 
Da  lei  nel  suo  palagio;  e,  noi  chiamati,  170 
Giovanetti ,  dicea,  miei  Proci ,  Ulisse 
Senza  dubbio  morì.  Tanto  a  voi  dunque 
Piaccia  indugiar  le  no«ze  mie,  ch'io  questo 
Lugubre  ammanto  per  P  eroe  Laerte , 
Onde  a  mal  non  mi  vada  il  vano  stame,  i^5 
Pria  fornir  possa,  che  la  negra  il  colga 
D'  eterno  sonno  apportatrice  Parca. 
Volete  voi  che  mordanmi  le  Achee, 
Se  ad  uom,  che  tanto  avea  d'arredi  vivo, 
Fallisse  un  drappo,  in  cui  giacersi  estinto?  180 
Con  sì  fatte  parole  il  core  in  petto 
Ci  tranquillò.  Tessea  di  giorno  intanto 
L'insigne  tela,  e  la  stessea  di  notte, 
Di  mute  faci  al  consapevol  raggio. 
Un  triennio  così  nella  sua  frode  i85 

Celavasi ,  e  tenea  gli  Achivi  a  bada. 
Ma  sorgiunto  il  quart'  anno  ,  e  le  stagioni, 
Uscendo  i  mesi,  nuovamente  apparse, 
E  compiuta  de' giorni  ogni  rivolta, 
Noi,  da  un'ancella  non  ignara  instrutti,  190 
Penelope  trovammo  al  suo  notturno 
Retrogrado  lavoro,  e  ripugnante 
Pur  di  condurlo  la  sforzammo  a  riva. 
Quando  ci  mostrò  al  fin  l'inclito  ammanto, 
Che  risplendea ,  come  fu  asterso  tutto,   ig5 
Del  Sole  al  pari,  0  di  Selene,  allora 


LIBRO   VEKTE5IMOQUAHTO 


"9 


Ulisse,  non  so  donde,  un  Genio  avverso 
Menò  al  ronfiti  del  campo,  ove  abitava 
Il  custode  de1  verri,  ed  ove  giunse 
D'Ulisse  il  figlio,  che  ritorno  fea  200 

Dall1  arenosa  Pilo  in  negra  nave. 
Morte  a  noi  divisando,  alla  citlade 
Vennero;  innanzi  il  figlio,  e  il  padre  dopo. 
Questi  in   lacero  arnese,  e  somigliante 
A  un  infelice  paltoniere  annoso,  ao5 

Che  sul  bastone  incurvasi ,  condotto 
Fu  dal  pastor  de1  verri  :  i  più  meschini 
Vestiti  appena  il  ricoprian,  né  alcuno, 
Tra  i  più  attempati  ancor,  seppe  di  noi, 
Coni1  ei  s'offerse,   ravvisarlo.  Quindi         aio 
Motteggi  e  colpi  le  accoglienze  furo. 
Colpi  egli  paziente  in  sua  magione 
Per  un  tempo  soffria,  non  che  motteggi. 
Ma  come  spinto  dall'  egioco  Giove 
Sentissi,  Tarmi  dalla  sala  tolse,  2i5 

E  con  l'aita  del  figliuol   nell'alto 
Le  serrò  det  palagio.  Indi  con  molto 
Prevedimene  alla  Reina  ingiunse, 
Che  1'  arco  proponesse,  e  il  ferro    ai   Proci, 
Funesto  gioco,  che  fini  col   sangue.  220 

Nessun  di   noi  del  valid'  arco  il  nervo 
Tender  potea  :  che  opra  da  noi  non    era. 
Ma  dell'  eroe  va  in  man    1'  arma.    Il  pastore 
Noi  tutti  sgridavam  ,  perchè  all'  eroe 
Non   la  recasse.  Indarno  fu.   Telemaco     225 
Cornandogli  recarla,  e  Ulisse  l'ebb». 
Ei ,   preso  in   man  l'arco  famoso,  il  tese 
Così,  e  il  tirò,  che  ambo  le  corna  estreme 
Si  vennero  ad   unir:  poi  la  saetta 
Per  fra  tutti  gli  anei  sospinse  a  volo.      23o 
Ciò  fatto,  stette  in  su  la  soglia,  e  i  ratti 
Strali  versossi  ai  piedi ,  orrendamente 
Guardando  intorno.  Antinoo  colse  il  primo, 
E  dopo  lui,  sempre  di  c.ontra  or  1'  uno 
Tolto)  e  or  I'  altro  di  mira,  i  sospirosi  235 
Dardi  scoccava,  e  cadea  l'un  su   l'altro. 
Certo  un  Nume  l'aitava.  I  suoi  compagni , 
Seguendo  qua  e  là  P  impeto  suo, 
A   gara  truridavanei  :  lugubri 
Sorgean  lamenti ,  rimbombar  s'  udia        240 
Delle  teste  percosse  ogni  parete, 
E  correa  sangue  il   pavimento  tutto. 
Così  ,   Atride.   perimmo,  e  i  nostri  corpi 
Giaccion  negletti  nel  cortil  d'  Ulisse: 
Poiché  nulla  ne  san  gli  amici  ancora,    245 
Che  dalla  tabe  a  tergerci,  e  dal  sangue 
Non  tarderiano,  e  a  piangerci   deposti, 
De' morti  onor,  sovra  un  funebre  letto. 
O  fortunato,  gridò  allor  I' Atride, 
Di  Laerte  figlino!  ,  con  qual  valore  25o 

La  donna  tua  riconquistasti!    E  quanto 
Saggia  e  memore  ognor  dell'uomo,  a  cui 
Nel  pudico  suo  fiore  unita  s'  era  , 
Visse  d'Icario  la  figliuola  illustre! 
La  rimembranza  della  sua  virtude 
Durerà  sempre  ,  e  amabile  ne'  canti 
Ne  sonerà  per  1'  universo  il  nome. 
Non  così  la  Tindaride,  che ,  osando 
Scellerata  opra ,  con  la  man  ,  che  data 
Vergine  aveagli ,  il  suo  marito  uccise. 
Costei  Ga  tra  le  genti  un  odioso 
Canto  perenue:  che  di  macchia  tale 


255 


260 


Le  donne  tutte  col  suo  fallo  impresse , 
Che  le  più  oneste  ancor  tinte  n1  andranno. 

Tal  nell'oscure,  dove  alberga  Pluto,        a65 
Della  terra  caverne,  ivan  quell'alme 
Di  lor  vicende  ragionando  insieme. 

Ulisse,  e  il  figlio  intanto,  e  i  due  pastori 
Giunser,  dalla  città  calando  ,  in  breve 
Del  buon  Laerte  al  poder  culto  e  bello,  270 
De' suoi  molti  pensier  frutto,  e  de1  molti 
Studi  e  travagli  suoi.  Comoda  casa 
Gli  sorgea  quivi  di  capanne  cinta, 
Ove  cibo  e  riposo  ai  corpi,  e  sonno 
Davan  famigli,  che,  richiesti  all'uopo    275 
Delle  sue  terre,  per  amor  più  ancora, 
Che  per  dover,  servianlo;  ed  una  buona 
Pur  v'  abitava  Siciliana  fante, 
Che  in  quella  muta  solitudin  verde 
De'  canuti  anni  suoi  cura  prendea.  280 

Ulisse  ai  due  pastori,  e  al  caro  pegno, 
Entrate,  disse,  nella  ben  construtta 
Casa,  e  per  cena  un  de'  più  grassi  porci 
Subito  apparecchiate.  Io  voglio  il  padre 
Tentar,  s'  ei  dopo  una  sì  lunga  assenza   285 
Mi  ravvisa  con  gli  occhi,  o  estinta  in  mente 
Gli  abbia  di  me  la  conoscenza  il  tempo. 

Detto,  consegnò  lor  l'armi;  e  Telemaco, 
E  i  due  pastor  rapidi  entraro.  Ulisse 
Del  grande  orto  pomifero  alla  volta         200 
Mosse,  né  Dolio,  discendendo  in  quello, 
Trovò,  né  alcun  de' figli,  o  degli  schiavi, 
Che  tutti  a  raccor  pruni ,  onde  il  bell'orto 
D'ispido  circondar  muro  campestre, 
S'  eran  rivolti  ;  e  precedeali  Dolio.  2g5 

Sol  trovò  il  genitor,  che  ad  una  pianta 
Curvo  zappava  intorno.  Il  ricopna 
Tunica  sozza,  ricucita  e  turpe: 
Dalle  punture  degli  acuti  rovi 
Le  gambe  difendevangli  schinieri 
Di  rattoppato  cuoio,  e  le  man  guanti: 
Ma  berretton  di  capra  in  su  la  testa 
Portava  il  vecchio  ;  e  cosi  ei  la  doglia 
Nutriva  ed  accrescea  nel  caro  petto. 
Tosto  che  Ulisse  P  avvisò  dagli  anni 
Suoi  molti ,  siccom'  era  ,  e  da'  suoi   molti 
Mali  più  ancor,  che  dall'età,  consunto, 
Lagrime,  stando  sotto  un  alto  pero , 
Dalle  ciglia  spandea.   Poi  nella  mente 
Volse,  enei  cor,  qual  de' due  fosse  il  meglio,  3io 
Se  con  amplessi  a  lui  farsi,  e  con  baci, 
E  narrar  del  ritorno  il  quando  e  il  come, 
O  interrogarlo  prima,   e  punzecchiarlo 
Con  detti  forti,  risvegliando  il  duolo, 
Per  raddoppiarla  gioja;  e  a  ciò  s'attenne.  3i5 
Si  drizzò  dunque  a  lui ,  che  basso  il  capo 
Tenea  ,  zappando  ad  una  pianta  intorno, 
E,  Vecchio,  disse  ,  della  cura  ignaro  , 
Cui  domanda  il  verzier,  certo  non  sei. 
Arbor  non  v'ha,  non  fico,  vite,  oliva,   320 
Che  P  abil  mano  del  cnltor  non  mostri , 
Né  sfuggì  all'occhio  tuo  di  terra  un  palmo. 
Altro ,  e  non  adirartene ,  io  dirotti  : 
Nulla  è  negletto  qui,  fuorché  tu  stesso. 
Coverto  di  squallor  veggioti ,  e  avvolto  325 
In  panni  rei ,  non  che  dagli  anni  infranto. 
Se  mal  ti  tratta  il  tuo  signor,  per  colpa 
Della  pigrizia  tua  non  é  ciò,  penso: 


3oo 


3o5 


ODISSEA 


Anzi  tu  nulla  di  servii  nel  corpo 

Tieni,  o  nel  volto,  chi  ti  guarda  fisso.  33o 

Somigli  a  un  Re  nato;  ad  uorn  somigli  , 

Che  dopo  il  bagno  e  la  gioconda  mensa 

Mollemente  dormir  debba  su  i  letti, 

Com'è  l'usanza  de' vegliardi.  Or  dimmi 

Preciso  e  netto  chi  tu  servi,  e  a  cui      335  '■ 

L'  orto  governi,  e  fa  eh'  io  sappia  in  oltre, 

Se  questa  è  veramente  Itaca ,  dove 

Son  giunto,  qual  teste  colui  narrommi  ; 

Che  in  me  scontrossi ,  uom  di  non  molto  senno, 

Quando  né  il  tutto  raccontar,  né  volle  3^0 

Me  udir,  che  il  richiedesse  in  qualche  parte 

D'  Itaca  un  certo  vive  ospite  mio, 

O  morte  il  chiude  la  magion  di  Dite. 

A  te  parlerò  invero,  e  tu  l'orecchio 

Non  ricusar  di  darmi.  Ospite  un  tale      345 

Nella  mia  Patria  io  ricevei,  di  cui 

Non  venne  di  lontano  al  tetto  mio 

Forestier  mai,  che  più  nel  cor  m'entrasse. 

Nato  ei  diceasi  in  Itaca,  e  Laerte, 

D'Arcesio  il  figlio,  a  genitor  vantava.    35o 

II  trattai,  l'onorai,  l'accarezzai 

Nel  mio  di  beni  ridondante  albergo , 

E  degni  in  sul  partir  doni  io  gli  porsi  : 

Sette  di  lavorato  oro  talenti, 

Urna  d'  argento  tutta,  e  a  fiori  sculta,  555 

Dodici  vesti,  tutte  scempie,  e  tanto 

Di  tappeti,  di  tuniche  e  di  manti; 

E  quattro  belle,  oneste,  e  di  lavori 

Femmine  sperte,  ch'egli  stesso  elesse. 

Stranier,  rispose  lagrimando  il  padre ,      36o 
Sei  nella  terra  di  cui  chiedi  ,  ed  ove 
Una  pessima  gente  ed  oltraggiosa 
Regna  oggidì.  Que'  molti  doni  ,  a  cui 
Ei  con  misura  eguale  avria  risposto  , 
Come  degno  era  bene,  or,  che  qui  vivo  365 
Noi  trovi  più  ,  tu  gli  spargesti  al  vento. 
Ma  schiettamente  mi  favella:  quanti 
Passaro  anni  dal  dì  che  ricevesti 
Questo  nelle  tue  case  ospite  gramo  , 
Che,  s'ei  vivesse  ancor,  saria  il  mio  figlio?  3^o 
Misero!  in  qualche  parte,  e  dalla  Patria 
Lungi,  o  fu  in  mar  pasto  de'  pesci,  o  in  terra 
De'  volatori  preda  e  delle  fere  : 
Né  ricoperto  la  sua  madre  il  pianse , 
Né  il  pianse  il  genitor;  né  la  dotala      3^5 
Di  virtù,  come  d'or,  Penelopéa 
Con  lagrime  onorò  l' estinto  sposo 
Sopra  funebre  letto ,  e  gli  occhi  prima 
Non  gli  compose  con  mal  ferma  destra. 
Ciò  palesami  ancor:  chi  sei  tu? e  donde?  38o 
Dove  a  te  la  città?  la  madre?  il  padre? 
A  qual  piaggia  s'  attiene  il  ratto  legno 
Che  te  condusse,  e  i  tuoi  compagni  illustri? 
O  passeggier  venisti  in  nave  altrui , 
E,  te  sbarcato,  i  giovani  partirò?  385 

Tutto,  riprese  lo  scaltrito  eroe, 
Narrerò  acconciamente.  Io  figlio  sono 
Del  re  Polipemonide  Afidante , 
In  Alibante  nacqui ,  ove  ho  un  eccelso 
Tetto,  e  mi  chiamo  Eperito.  Me  svolse  3go 
Dalla  Sicilia  un  Genio  avverso,  e  a  queste 
Piagge  sospinse;  ed  or  vicino  ai  campi, 
Lungi  della  città ,  stassi  il  mio  legno. 
Volge  il  quint'anno  ornai  che  Ulisse  sciolse 


Dalla  mia  Patria.  Sventurato  !  a  destra    3o,5 
Gli  volavano  allor  gli  augelli ,  ed  io 
Lui ,  che  lieto  parti ,  congedai  lieto  : 
Quando  ambi  speravano  che  rinnovato 
L'  ospizio  avremmo ,  e  ricambiati  i  doni. 

Disse ,  e  fosca  di  duol  nube  coverse  4°° 

La  fronte  al  padre,  che  la  fulva  polve 
Prese  ad  ambo  le  mani,  e  il  venerando 
Capo  canuto  se  ne  sparse,  mentre 
Nel  petto  spesseggiavangli  i  sospiri. 
Ulisse  tutto  commoveasi  dentro  ,  /Jo5 

E  un  acre  si  sentia  pungente  spirto 
Correre  alle  narici  ,  il  caro  padre 
Mirando  attento  :  al  fin  su  lui  gittossi  , 
E  stretto  il  si  recava  in  fra  le  braccia , 
E  il  baciava  più  volte,  e  gli  dicea  :         4'<> 
Quell'io,  padre,  quell'io,  che  tu  sospiri, 
Ecco  nel  ventesmo  anno  in  Patria  venni. 
Cessa  dai  pianti  ,  dai  lamenti  cessa, 
E  sappi  in  breve,  perchè  il  tempo  stringe, 
Ch'io  tutti  i  Proci  uccisi,  e    vendicai     4'5 
Tanti  e  si  gravi  torti  in  un  dì  solo. 

Ulisse  tu  ?  così  Laerte  tosto , 
Tu  il  figlio  mio?  Dammene  un  segno,  e  tale, 
Che  in  forse  io  non  rimanga  un  solo  istante. 

E  Ulisse  :  Pria  la  cicatrice  mira  4^0 

Della  ferita  che  cinghiai  sannuto 
M'  aperse  un  dì  sovra  il  Parnaso  ,  quando 
Ad  Anlólico  io  fui  per  quei  che  in  Itaca 
M'  avea  doni  promessi,  accompagnando 
Col  moto  della  testa  i  detti  suoi.  /j25 

Gli  arbori  inoltre  io  ti  dirò,  di  cui 
Neil'  ameno  verzier  dono  mi  festi. 
Fanciullo  io  ti  seguia  con  ineguali 
Passi  per  l'orto,  e  or  questo  arbore,  or  quello 
Chiedeati,  e  tu,  come  andavam  tra  loro,  fòo 
Mi  dicevi  di  lor  P  indole  e  il  nome. 
Tredici  peri  a  me  donasti ,  e  dieci 
Meli,  e  fichi  quaranta,  e  promettesti 
Ben  cinquanta  filari  anco  di  viti , 
Che  di  bella  vendemmia  eran  già  carche:  435 
Poiché  vi  fan  d'ogni  sorta  uve,   e  l'Ore, 
Del  gran  Giove  ministre,  i  lor  tesori 
Versano  in  copia  su  i  fecondi  tralci. 

Quali  dar  gli  potea  segni  più  chiari  ? 
Laerte,  a  cui  si  distemprava  il  core,      44° 
E  vacillavan  le  ginocchia  ,  avvolse 
Subito  ambe  le  mani  al  collo  intorno 
Del  figlio;  e  il  figlio  lui,  eh'  era  di  spirti 
Spento  affatto,  a  sé  prese,  ed  il  sostenne. 
Ma  come  il  fiato  in  seno,  e  nella  mente  44^ 
I  dispersi  pensieri  ebbe  raccolti, 
O  Giove  padre,  sclamò  egli,  e  voi, 
Numi,  voi  certo  su  l'Olimpo  ancora 
Siete,  e  regnate  ancor,   se  la  dovuta 
Pena  portar  de'  lor  misfatti  i  Proci.        4^° 
Ma  un  timore  or  m' assai,  non  gl'Itacesi 
Vengan  tra  poco  a  queste  parti  in  folla , 
E  messi  qua  e  là  mandino  a  un  tempo 
De'  Cefaleni  alle  città  vicine. 

Sta  di  buon  core,  gli  rispose  Ulisse,         fó5 
Ne  ti  prenda  di  ciò  cura  o  pensiero. 
Alla  magion,  che  non  lontana  siede, 
Moviamo:  io  là  Telemaco  inviai 
Con  Filezio  ed  Euméo ,  perchè  allestita 
Prestamente  da  lor  fosse  la  cena.  4fio 


LIBRO  VENTESIMOQUARTO 


In  via,  ciò  detto,  entraro,  e,  come  giunti 
Furo  al  rural  non  disagiato  albergo , 
Telemaco  trovar  co1  due  pastori, 
Che  incidea  molte  carni ,  ed  un  possente 
Vino  mescea.  La  Siciliana  fante  4^5 

Lavò  Laerte,,  e  di  biond'  olio  P  unse, 
E  d^n  bel  manto  il  rivesti:   ma  Palla, 
Scesa  per  lui  di  cicl,  le  membra  crebbe 
De1  popoli  al  pastore,  e  di  persona 
Più  alto  il  rese,  e  più  ritondo  in  faccia.  470 
Maravigliava  Ulisse  ,  allor  clie  il  vide 
Simile  in  tutto  agi1  Immortali,  e,  Padre, 
Disse,  opra  fu,  cred1io,  d'un  qualche  Nume 
Cotesta  tua  statura  ,  e  la  novella 
Bella,  che  in  te  dopo  i  lavacri  io  scorgo.  ^5 

Oh ,  riprese  Laerte ,  al  padre  Giove 
Stato  fosse,  e  a  Minerva,  e  a  Febo  iu  grado, 
Che  quale  allora  io  fui ,  che  su  la  terra 
Continental,  de1  Cefaleni  duce, 
La  ben  construtta  Nerico  espugnai ,        480 
Tal  potuto  avess1  io  con  l'arme  in   dosso 
Starmi  al  tuo  fianco  nella  nostra  casa, 
E  i  Proci  ributtar,  quando  per  loro 
Splendea  l1  ultimo  Sol!  Di  loro  a  molti 
Sciolte  avrei  le  ginocchia,  e  a  te  sarebbe  4^5 
Infinito  piacer  corso  per  P  alma. 

Così  Laerte  e  il  figlio.  E  già,  cessata 
Dell1  apparecchio  la  fatica ,  a  mensa 
Tutti  sedeansi.  Non  aveano  ai  cibi 
Stese  Pavide  man,  che  Dolio  apparve,    49° 
E  seco  i  figli  dal  lavoro  stanchi; 
Poiché  uscita  a  chiamarli  era  la  buona 
Sicula  madre,  che  nodrialì  sempre, 
E  il  vecchio  Dolio  dalPetade  oppresso 
Con  amor  grande  governava.  Ulisse  49^ 

V'duto,  e  ravvisatolo,  restaro 
Tutti  in  un  pie  di  maraviglia  colmi  : 
Ma  ei  con  blande  voci,  O  vecchio,  disse, 
Siedi  alla  mensa,  e  lo  stupor  deponi. 
Buon  tempo  è  già  che,  desiando  ai  cibi  5oo 
Stender  le  nostre  mani,  e  non  volendo 
Cominciar  senza  voi,  cen  rimanemmo. 

Dolio  a  tai  detti  con  aperte  braccia 
Mosse  dirittamente  incontro  a  Ulisse, 
E  la  man ,  che  afferrò ,  baciógli  al  polso.  5o5 
Poi  cosi  gli  dicea:  Signor  mio  dolce, 
S1  è  ver  che  a  noi,  che  di  vederti  brama 
Più  assai,  che  sppme,  chiudevam  nel  petto, 
Te  rimenaro  al  fin  gli  stessi  Numi, 
Vivi,  gioisci,  d'ogni  dolce  cosa  5io 

Ti  consolino  i  Dei.  Ma,  dimmi  il  vero: 
Sa  la  Regina  per  indizio  certo, 
Che  ritornasti,  o  vuoi  che  a  rallegrarla 
Di  sì  prospero  evento  un  nunzio  corra? 

Dolio,  ripigliò  Ulisse,  la  Regina  5i5 

Già  il  tutto  sa.  Perchè  t1  affanni  tanto? 
Il  vecchio  allor  sovra  un  polito  scanno 
Prontamente  sedè.  Né  men  di  lui, 
Festa  feano'  ad  Ulisse  i  suoi  figliuoli, 
E  or  Pun  le  mani  gli  afferrava,  or  P altro:  5^0 
Indi  sedean  di  sotto  al  caro  padre 
Conforme  ali1  età  loro.  Ed  in  tal  guisa 
Della  mensa  era  quivi  ogni  pensiero. 
La  fama  intanto  il  reo  destili  de1  Proci 
Per  tutta  la  città  portava  intorno.  52Ó 

Tutti,  sentite  le  fuueste  morti, 
Pjkdemoste 


Chi  di  qua„  chi  di  là,  con  urli  e  pianti 
Venian  d'  Ulisse  al  tetto,  e  i  corpi  vani 
Fuor  ne  traeano,  e  li  ponean  sotterra. 
Ma  quei,  cui  diede  altra  isola  il  natale,  53o 
Mettean  su  ratte  pescherecce  barche, 
E  ai  lor  tetti  mandavanli.  Ciò  fatto, 
Nel  Foro  •'adunar  dolenti  e  in  folla. 
Come  adunati  fur,  surse  tra  gli  altri 
Eupìte,  a  cui  per  Antinóo  sua  prole,      53S 
Che  primo  cadde  della   man  d1  Ulisse' 
Stava  nelP  almi  un  indelebil  duolo. 
Questi  arringò,  piangendo  amaramente: 
Amici,  qual  costui  strana  fortuna 
Agli  Achei  fabbricò!  Molti,  ed  egregi,    540 
Ne  addusse  prima  su  le  navi  a  Troja 
E  le  navi  perdette,  ed  i  compagni 
Seppellì  in  mar:  poi  nella  propria  casa, 
Tornato,  altri  ne  spense,  e  d'Aide  ai  reni 
Mandò  di  Cefalenia  i  primi  lumi.  545 

Su,  via,  pria  eh1  egli  a  Pilo,  e  alla  regnata 
Dagli  Epei  divina  Elide  ricovri, 
Vadasi;  o  infamia  patiremo  eterna. 
Sì,  l'onta  nostra  ne'  futuri  tempi 
Rimbombar  s'  udrà  ognor,  se  gli  uccisori  55o 
De1  figli  non  puniamo,  e  de1  fratelli. 
Io  certo  più  viver  non  curo,  e,  dove 
Subito  non  si  vada,  e  la  lor  fuga 
Non  si  prevenga,  altro  io  non  bramo,  o  voglio, 
Salvo  che  riunirmi  Ombra  a  quell'Ombre.  555 
Così  ei ,  non  restandosi  dal  pianto, 
E  la  pietade  in  ogni  petto  entrava. 
Giunsero  allor  dalla  magion  d'Ulisse 
Medonte  araldo,  ed  il  cantor  divino, 
Dal  sonno  sviluppatisi,  e  nel  mezzo         56o 
Si  collocaro.   Alto  stu;'ore  invase 
Tutti,  e  il  saggi»  M'donte  i  labbri  aperse: 
O  Ilacesi,  uditemi.  Credete 
Voi  che  Ulisse  abbia  tolto  impresa  tale 
Contra  il  voler  de1  Sempiterni?  Un  Dio  565 
Vidi  io  stesso  al  suo  fianco,  un  Dio,  che  affatto 
Mentore  somigliava.  Or  gli  apparta 
Davanti,  in  alto  d1  animarlo,  ed  ora 
Per  P  atterrita  sala  impelo  fea, 
Sgominando  gli  Achei,  che  P  un  su  P  altro  570 
Traboccavano.  Disse;  e  di  tai  detti 
Inverdì  a  tutti  per  timor  la  guancia. 
Favellò  ancor  nel  Foro  un  vecchio  eroe, 
Aliterse  Mastoride,  che  solo 
Vcdea  gli  andati  ed  i  venturi  tempi.      575 
E  che,  sentendo  rettamente,  disse: 
Or  me  udite,  Itacesi.  Egli  è  per  colpa 
Vostra  che  ciò  seguì:  però  che  sordi 
Agli  avvisi  di  Mentore,  ed  a1  miei, 
Lasciar  le  briglie  sovra  il  eolio  ai  vostri  58o 
Figli  vi  piacque,  che  al  mal  far  dirotti 
La  davano  pel  mrzzo  in  ogni  tempo, 
Le  sostanze  rodendo,  e  ingiuriando 
La  casta  moglie  d'im  signor  preclaro, 
Di  cui  sogno  parca  loro  il  ritoruo.  585 

Obbeditemi  al  fin,  mossa  non  fate: 
Onde  pur  troppo  aletta  quella  sventura, 
Che  sarà  ito  a  ricercar,  non  trovi. 
Tacque;  e  s'alzaro  i  più  con  grida  e  plausi. 
Gli  altri  uniti  rimasero:  che  loro  590 

Non  gustò  il  detto,  ma  seguiano  Eupite 
Poscia,  chi  qua,  chi  là,  correano   ali1  a- mi. 
iG 


ODISSEA  LIBRO  XXIV 


Cinti  e  splendenti  del  guerrier  metallo 

Si  raccolser  davanti  alla  ciltade 

Quasi  in  un  globo;  ed  era  incauto  duce  5g5 

Della  stoltezza  loro  Eupite  stesso. 

Credea  la  morte  vendicar  del  figlio, 

E  lui,  che  redituro  indi  non  era, 

Coglier  dovea  la  immansueta  Parca. 

Pallade,  il  tutto  visto,  al  Saturnale  600 

Si  converse  in  tal  guisa:  O  nostro  padre, 
Di  Saturno  figliuol,  Ile  de'  Regnanti, 
Mostrami  ciò  che  nel  tuo  cor  s'  asconde. 
Prolungar  vuoi  la  guerra  e  i  fieri  sdegni? 
O  accordo  tra  le  parti,  e  amistà  porre?  6o5 

Perchè  di  questi  mi  richiedi,  o  figlia? 
Il  nembifero  Giove  a  lei  rispose. 
Non  fu  consiglio  tuo,  che  ritornato 
Punisse  i  Proci  di  Laerte  il  figlio  ? 
Fa  come  più  t'aggrada:  io  quel  che  il  meglio  G  i  o 
Parmi ,  dirò.  Poiché  l1  illustre  Ulisse 
De1  Proci  iniqui  vendicossi,  ei  fermi 
Patto  eterno  con  gli  altri,  e  sempre  regni. 
Noi  la  memoria  delle  morti  acerbe 
In  ogni  petto  caneelliam  :  risorga  6i5 

Il  mutuo  amor  nella  città  turbata  , 
E  v'abbondin,  qual  pria,  ricchezza  e  pace. 
Con  questi  detti  stimolò  la  Diva, 
Ch'  era  per  sé  già  pronta,  e  che  dall'alte 
D1  Olimpo  cime  rapida  discese.  620 

Ulisse  intanto  ,  che  con  gli  altri  avea 
Sotto  il  campestre  di  Laerte  ietto 
Rinfrancati  del  cibo  ornai  gli  spirti, 
Esca,  disse,  alcun  fuori,  e  attento  guardi 
Se  alla  volta  di  noi  vengon  gli  Achei.     625 

Subitamente  uscì  di  Dolio  un  figlio, 
E  su  la  soglia  stette,  e  non  lontani 
Scòrse  i  nemici.  All'armi!  All'armi!  ei  tosto 
Gridò,  vicini  sono.  Ulisse  allora  , 
Ed  il  figlio  sorgeano,  e  i  due  pastori,    63o 
E  Tarmi  rivesti'ano:  i  sei  figliuoli 
Rivestfanle  di  Dolio,  e  poi  gli  stessi 
Dolio  e  Laerte.  In  così  picciola  oste 
Anco  i  bianchi  capei  premer  dee  Telmo. 
Ratto  che  armati  fur,  le  porte  aperte,   635 
Tutti  sboccaro  :  precedeali  Ulisse. 
Né  di  muover  con  lor  lasciò  la  figlia 
Di  Giove ,   Palla ,  a  Mentore  nel  corpo 
Tutta  sembiante,  e  nella  voce.  Ulisse 
Mirolla,  e  n'esultava,  e  vòlto  al  figlio,  640 
Telemaco,  dicea,  nella  battaglia, 
Ove  l'imbelle  si  conosce,  e  il  proile, 
Deli  non  disoneslar  la  stirpe  nostra , 
Che  ycr  forza  e  Yalor  fu  sempre  chiara. 


1  E  Telemaco  a  lui:  Padre  diletto,  645 

Vedrai,  spero,  se  vuoi,  ch'io  non  traligno.    . 

Gioì  Laerte,  ed  esclamò:  Qual  Sole 
Oggi  risplende  in  cielo,  amati  Numi! 
Gareggian  di  virtù  figlio  e  nipote. 
Giorno  più  bello  non  mi  sorse  mai.        65q, 

Qui  l'appressò  con  tali  accenti  in  bocca 
La  Diva  che  ne'  begli  occhi  azzurreggia  : 
O  d1  Arcesio  figliuol,  che  a  me  più  caro 
Sei  d'ogni  altro  compagno,  a  Giove  alzati 
Prima,  e  alla  figlia  dal  ceruleo  sguardo  ,    655 
Devotamente  i  prieghi  tuoi ,  palleggia 
Cotesta  di  lunga  ombra  asta,  e  P  avventa. 
Così  dicendo,  una  gran  forza  infuse 
In  Laerte  Minerva.  Il  vecchio,  a  Giove 
Prima,  e  alla  figlia  dal  ceruleo  sguardo,  660 
Alzati  i  prieghi,  palleggiò  la  luuga 
Sua  lancia,  ed  avventolla,e  in  fronte  a  Eupite, 
Il  forte  trapassando  elmo  di  rame, 
La  piantò,  e  immerse:  con  gran  suono  Eupite 
Cadde,  e  gli  rimbombar  Tarmi  di  sopra.  665 
Si  scagliaro  in  quel  punto  Ulisse  e  il  figlio 
Contra  i  primieri,  e  con  le  spade  scempio 
Ne  feano ,  e  con  le  lance  a  doppio  filo. 
E  già  nessuno  alla  sua  dolce  casa 
Tornato  fora  degli  Achei,  se  Palla,         670 
Dell'Egioco  la  figlia,  un  grido  messo, 
Non  mutava  i  lor  cuori:  Cittadini 
D' Itaca ,  fine  ali1  aspra  guerra.  Il  campo 
Lasciate  tosto,  e  non  più  sangue.  Disse; 
Ed  un  verde  pallor  tinse  ogni  fronte.      6^5 
L'armi  scappavan  dalle  man  tremanti, 
D'aste  coverto  il  suolo  era,  e  di   brandi, 
Levata  che  Minerva  ebbe  la  voce; 
E  tutti  avari  della  cara  vita 
Alla  città  si  rivolgeano.   Ulisse  680 

Con  un  urlo,  che  andò  sino  alle  stelle, 
Insegufa  ratto  i  fuggitivi ,  a  guisa 
D'aquila  tra  le  nubi  altovolante. 
Se  non  che  Giove  il  fulmine  contorse; 
E  alla  Sguardoazzurrioa  innanzi  ai  piedi  685 
Cascò  1'  eterea  fiamma.  O  generoso , 
Così  la   Diva,  di  Laerte  figlio, 
Conlienti,  e  frena  il  desiderio  ardente 
Della  guerra,  che  a  tutti  è  sempre  grave, 
Non  contro  a  te  di  troppa  ira  s'accenda  690 
L'  ampioveggente  di  Saturno  prole. 

Obbedì  Ulisse  ,  e  s'  allegrò  nell1  alma. 
Ma  eterno  poi  tra  le  due  parti  accordo 
La  figlia  strinse  dell'  egioco  Giove, 
Che  a  Mentore  nel  corpo  e  nella  voce    695 
Rassomigliava,  la  gran  Dea  d'  Atene. 


NOTE 


LIBRO  PRIMO 

Odiata.  Questo  nomi  viene  da  Odysseus  Odisseo  eh' è 
il  nome  greco  iti  Olisi*.  Alcuni  sostituirono  quindi  la 
denominazione  di  Ulisse*. 

t.    i».  [perìnne,  rio*  passeggianle-nell'  -allo. 

v.  19.  Fuor  dell'  onde.  Allude  ai  pericoli  corsi  nel  mare 
dai  Greci  cb«  ritornarnn  da  Troj». 

v.  »o.  Casta  donna.  Penelope  la  cui  castità  è  passata  in 
proverbio. 

v.  »3.  Calipso.  Questo  nome  in  greco  è  il  futuro  di 
un  verbo  che  significa  telare,  nascondere.  Viveri ,  come 
diee  al   ».    mj,  nrll'isula  Ogigia. 

t.  »8.  linea,  patria  d'Ulisse. 

T.  3i.  Salto  Nettuno.  Questo  Dio,  come  diee  poi  il 
poeta  ,  era  sdegnalo  contro  Ulisse  perchè  arerà  acciecaln 
Polifeino  suo  figlinolo. 

v.  45.  Egitto,  fi-liuolo  di  Tieste  accise  sno  lio  Agamen- 
none ritornato  da  Troja ,  ajulaudolo  in  ciò  Clilennestra 
moglie  di  Agamennone  stesso.  Oreste  poi  vendicò  il  padre 
uccidendo  Egisto. 

».  5G.  Argicida  cioè  Uccisore  di  Argo  j  perchè  Mercurio 
nccise  Argo  a  cui  Giunone  area  data  in  guardia  Io  per 
custodirla  da  Giove. 

».  77.  L'  immortai  fi glia  te.  Calipso — Atlante  poi  do- 
»elte  essere  un  personaggio  reale  a  cui  i  poeti  attribuirono 
poi  molle  parli  favolose.  Da  Ini  è  venuto  il  nome  al  Mare 
Atlantico;  e  probabilmente  fu  re  di  qualche  isola,  potente 
in  mare,  ed  esperto  nell'astronomia:  d'onde  poi  lo  te- 
lerò figlinolo  di  Nettano  ,  e  dissero  che  sosteneva  il  cielo 
sugli  oni.-ri. 

T.  107.  Ij>  scuotitor  te.  Questo  verso  risponde  all'epiteto 
di  Enosigeo  dato  frequentemente  a  Nettuno  :  come  non 
guari  dopo  ,  il  »erso  Cui  tinge  gli  occhi  un  azzurrina  Iute 
è  tini  parafrasi  dell'  epiteto  glaucopide  od  eccliiaizurra  unito 
quasi  sempre  al   nome  di  Minerva. 

».  ia5.  Nel  figlio.  In  Telemaco  figlinolo  d'  Ulisse  —  Proti 
■statati  'on  voce  latina  coloro  che  aspiravano  alla  mano 
di  Penelope  dopo  che  si  credette  che  Ulisse  fosse  morto, 
t  intanto   ne  dissipavano  le  sostanze. 

».   ir)5.  Dopi.  Vivande. 

».  »/i9.  Ferro  brunito  te.  Gli  antichi  non  conobbero  i 
Contratti  di  compra  e  vendita;  ma  tutto  il  loro  commercio 
facevasi  per  via  di  permute. 

».  35i.  Su  le  ginocchia  ec.  E  una  espressione  nsala  altre 
volte  da  Omero,  a  significare  che  una  cosa  qualunque  pende 
tuttora  indecisa  ed   incerta. 

».  3Go.  Alla  magiari  et.  Alla  casa  di  suo  padre. 

T.  4>9-  Neil'  egregio  iute.  In  Femio. 

LIBRO  SECONDO 

».  G8.  Di  farsi  a  Icario.  Di  andare,  di  avvicinarsi  ad 
Icario. 

».  i»6.  Laerte.  Padre  d'Ulisse. 

».   17G.  Erinni.  Le  Furie. 

».  178.  Ch'  io  liberi  ec.  Ch'io  pronnnzii ,  Ch'  io  me  lo 
lasci  uscir  di  bocca. 

».  183.  Il  Salurnide  o  Saturnia  è  Giove,  figliuolo  di  Sa- 
turno. 

».  3ia.  Benché  tra  molli  ec,  cioè  Quando  bene  avesse 
con  sé  molti  combattenti. 

».  f»8«.  Tritonia  dicevasi  Pallade,  perche  nata  lungo  il 
Tritone,  fiume  d<ll' Africa. 


LIBRO  TERZO 

».  8.  Al  Dio  dai  crini  te.  .  A  Nettuno. 

».  4«-  A  dispetto  ec. ,  cioè:  Io  non  credo  che  tu  lii  in 
ira  agli  Dei.  Ed  è  qnesta  una  figura  usilata  dai  Greci  (  la 
chiamano  Antifrasi),  per  dire:  Tu  se' loro  carissimo. 

».  96.  Da  quai  lidi  ec. .  Da  qual  paese  salpaste  metten- 
dovi in  mare. 

t.  a44-  Il  degno  figlino!  ec.  .  Pirro. 

».  a8i.  Non  si  ricatti.  Non  si  farcia  pagare  il  fio. 

T.  423.  Le  lingue  taglimi.  Le  lingue  delle  vittime. 

».  498.  Egioco  è  un  soprannome  dato  a  Giove  per  essert 
(tato    nudrilo    del    latte    di    capra    nel  monte  Ida. 

».  5iG.  Sedea.  Cioè  :  Solca  sedere  già  prima.  Ncleo  fa 
padre  di  Nestore. 

».  539.  Ad  inaurar  le  corna.  Ne'  sagrifizii  iole»ansi  per 
più  onore  indorar  le  corna  delle  vittime. 

LIBRO  QUARTO 

V.    1.    Giunsero.  Telemaco  e  Pisistrato. 

».  a3.  Mentre  tate  ec.  .  Si  raccoglie  di  qui  l'antica  usanza 
di  rallegrare  i  banchetti  colla  musica  e  colla  danza. 

».   ag.  Secondo  Atride.  Menelao. 

».  45.  Se  puree.  Cioè:  St  pur  G  ioti  t  concederà  che  d' ora 
innanzi  cessia.-n  dagli  affanni. 

».  78.  Poscia  chi  siete  ec  Da  queste  parole  si  fa  mani- 
festo quanta  fosse  appo  gli  antichi  l'ospitalità.  Accoglie- 
vano e  banchettavano  i  forestieri  prima,  di  domandarne 
pur  il  nome. 

v.  isa.  Casa  ec.  Stanno  dubbiosi  gl'interpreti  se  Me- 
nelao accenni  qui  la  propria  casa  o  quella  di  Priamo.  Ma 
pare  che  quest'ultima  opinione  sia  più  ragionevole. 

v.    i38.  Sostenendo  il  male.  Sopportandolo  ,  Tollerandolo. 

v.  2.'f3.  Che  il  fratello  ec.  Antiloco,  ucciso  da  Mennone 
figliuolo  dell'Aurora,  venuto  in  soccorso  de'Trojani. 

v.  £93.  La  figlia  ec.  .  Elena  era  figliuola  di  Leda  e  di 
Giove. 

v.  3oi.  Peone.  Celebre  medico  —  Il  Nepente  poi  era 
un'erba  a  cui  atlribnivasi  la  facoltà  di  scacciar  la  tristezza  , 
come  significa  il   suo  nome  etimologicamente  consideralo. 

v.  3i6.  //  corpo  ec  .  Questo  artifizio  imitato  poi  da  molli 
altri  fu  dunque  primamente  trovato  da  Ulisse.  E  però  So- 
lone disse  a  Pisistrato  (  che  se  ne  valse  per  ottenere  la  ti- 
rannia d'Atene  ):  Mal  rappresenti  V  Ulisse  d'  Omero  j  peroc- 
ché tu  ti  se'  concialo  in  tal  modo  per  ingannare  i  proprii 
concittadini ,  mentre  egli  volle  invece  trarre  in  inganno  i 
nemici.  Dacier. 

v.  35i.  Sospinta  ec.  Menelao  riferisce  qni  ciò  che  po- 
trebbe toglier  fede  al  pentimento  di  cni  Elena  davasi  vanto, 
ma  l'attribuisce  alla  forza  di  una  qualche  divinità. 

v.  4»o.  Trasse  il  Monarca  ec .  Non  è  senza  qualche  an- 
fibologia questa  espressione.  //  biondo  Menelao  altamente 
sospirando  rispose. 

v.  433.  Filome/ide.  Fu  costui  un  re  di  Lesbo  che  pro- 
vocava alla  lotta  quanti  forestieri  capitavano  alla  sua  isola. 

v.  44o.  Proteo.  Dio  marino  dotato  del  dono  della  profe- 
zia. Egli  non  soleva  mai  soddisfare  all'altrui  curiosità  se 
non  quando  era  a  forza  costretto,  e  per  sottrarsi  a  questa 
forza  si  tramutava  in  molte  e  variatissime  forme. 

v.  448.  Faro.  Prelesero  alcuni  che  Omero  ignorasse  la 
vera  distanza  di  quest'isola  dal  lido;  ma  dopo  quel  che 
ne  disse  Slrabone  nel  primo  libro  della  sua  Geografia,  fa 
meraviglia  come  uomini  d'  alto  ingegno  abbiano    riouuvala 


124 


ODISSEA 


siffatta  accusa.  Sapendo  Omero  che  il  Nilo  produce  a  poco 
a  poco  la  spiaggia  addentro  nel  mare,  suppose  che  quest'isola 
dovesse  ai  tempi  di  Menelao  trovarsi  più  che  a 'suoi  giorni 
distante  dalla  terra  ferma  ;  e  solo  per  quella  tendenza  che 
hanno  i  poeti  a  'ingiuncare  ogni  cosa  pose  una  differenza 
sì  grande  com'è  da   iao  a   i4»o  o  più    stadii. 

v.  720,.  Che  da  G;'.ve  ec.  .  Tutti  i  fiumi  chiamavansi  dai 
Greci  nati  da  Giove,  ma  l'Egitto  poi  più  degli  altri.,  per- 
chè ne  ignoravano  le  fonti  e  lo  vedevano  crescere  per  le 
pioggie  ,  che  secondo  la  mitologia  vengono  da  quel  Dio  adu- 
natore  di  nembi. 

v.  g5i.  Arcesio ,  padre  di  Laerte,  era  figliuolo  di  Giove. 
—  I remoli  campi  mentovali  subito  dopo  sono  i  possedi- 
menti d'Ulisse  fuor  d'  Itaca. 

v.  978.  Quel  che  ec.  .  Cioè  il  consiglia  di  tendere  un  ag- 
guato a  Telemaco. 

LIBRO  QUINTO 

v.  8.  Appo  fa  Ninfa.  Presso  Calipso. 

v.  i35.  Mai  il  precetto  ec.  Con  queste  parole  Mercurio 
parlando  di  sé  medesimo  ammonisce  Calipso  e  l'apparec- 
chia ad  ubbidire  il  comando  di  Giove  che  sia  per  esporle.  D. 

v.  11)6.  Non  gungealo.  Secondo  la  lezione  più  comune- 
mente adottala  dovrebbe  dirsi  non  pungealo  più. 

v.  35q.  L'isola  de' Feaci.  Corfù. 

v.  427-  Leucotea  j  cioè  Bianca  Dea.  Ino  fu  moglie  di 
Alani. mie,  il  quale  per  vendei  la  di  Giunone  divenuto  fu- 
rioso scagliò  un  proprio  figlinolo  contro  un  muro  e  l'uc- 
cise: ed  ino  allora  si  giltò  in  mare  coli' altro. 

LIBRO  SESTO 

v.  la.  Nella  Selleria.  Nell'isola  di  Corfù.  I  Fenici  cosi 
la  chiamavano  da  Sellerà  che  nella  loro  lingua  valeva  luogo 
di  commercio.  Secondo  Omero  dunque  fu  Corfù  popolata 
dalle  genti  che  abitavano  prima  le  pianure  di  Camarilla 
mila  Sicilia;  l'emigrazione  avvenne  circa  i  tempi  trojani , 
giacché  ne  fu  capo  Nausitoo  padre  d'Alcinoo  il  quale  re- 
gnava quando  Ulisse  approdò  a  quell'isola.  D. 

v.   sa.  Dedalea  stanza.  Il  talamo  egregiamente  costrutto. 

v.  4*.  E  a  quelli  ec.  .  Era  costume  che  le  giovani  spose 
regalassero  degli  abiti  agli  amici  dello  sposo  nel  giorno 
delle  nozze.   Così  Euslazio. 

v.  234.  Nuovo  rampollo  ec.  .  Racconta  la  favola,  che  a  Delo 
nel  luogo  in  cui  Latona  doveva  partorire  Apollo,  spinilo 
d'improvviso  una  bella  palma  alla  quale  poi  la  Dea  s'ap- 
poggiò. 

v.  280.  A  noi.  S'intende  a  noi  Feaci  ;  altrimenti  par- 
rebbe una  sconcordanza  che  una  fanciulla  parlando  ad  altre 
fanciulle  dicesse:  tanto  agli  Dei  siam  cari. 

v.  45C  Zio.  Nettuno. 

LIBRO  SETTIMO 

v.  87.  Venerolla  finemente.  Il  testo  dice  :  E  la  onorò 
quanto  non  è  onorata  sopra  la  terra  alcun'  altra. 

v.  io5.  Eretico  celebre  re  d'Alene  :  a  lui  si  dà  l'onore 
di  avere  introdotta  la  civiltà  nella  Grecia. 

v.  i85.  Da  sezzo.  Mercurio,  uccisore  di  Argo,  era  l'ul- 
timo Din  a  cui  si  libava  da  chi  slava  per  metlersi  a  letto. 
Orazio  dice  di  questo  Dio  :   Dal  sornnos  ad/mitque. 

y.  220.  Venerandi  supplici.  Non  potrebbe  immaginarsi 
epiteto  più  bello.  Questo  concetto  Omerico  concorda  con 
quello  del  Deuteronomio  (X,i8  e  kj  ):  Amai  (Deus)  peregrinum 
et  dal  ei  victum  et  vestitura  -  Et  vos  ergo  amale  peregrinos. 

v.  3a3.  Né  però  il  coree.  .  Ulisse  (dice  qui  la  Dacier)  sa- 
peva che  il  farlo  immortale  non  era  in  arbitrio  delle  mi- 
nori divinila  alle  quali  Circe  apparteneva  ;  e  che  le  per- 
sona innamorate  promettono  sempre  più  di  quanto  e  pos- 
sono e  vogliono  mantenere  -  N  in  c'enlrò  dunque  per  nulla 
l'amor  della  patria  di  cui  lodasi  tanto  quell'eroe?  Pure 
sul   principio  del  libro  IX"  Ulisse  dice  altrimenti.      * 

v.   4,a-    Tizio,  tiranno  crudele  e  ingiustissimo. 


LIBRO  OTTAVO 


t.  4o.  Quei  eh»  di  bastone  ec.  Il  testo  dice:  I re  icettrali. 

v.  i)5.  L'antica  tenzon  ec.  .  Achille  ed  Ulisse,  secondo  al- 
cuni interpreti  ,  contesero  dopo  la  morte  di  Ettore,  intorno 
al  modo  col  quale  dovesse  espugnarsi  Troia.  Achille  voleva 
che  si  desse  un  assalto  :  Ulisse  consigliava  che  si  adope- 
rasse l'astuzia;  e  l'oracolo  aveva  profetato  ad  Agamen- 
none che  una  somigliante  contesa  sarebbe  indizio  della  vi- 
cina vittoria  dei  Greci. 

LIBRO  NONO 

v.  »6.  Nerito.  Monte  nell'isola   d'Itaca. 

v.  47.  Cicorii.  Abitavano  le  coste  della  Tracia  presso 
Maronea  ;  ed  aveano  mandati  soccorsi  ai  Trojani:  perciò 
Ulisse,  dopo  la  caduta  di  quella  città  ,  andò  ad  assalirli.  D. 

v.  82.  Tre  fiale  ec.  Questa  triplice  chiamala  de' morti 
teneva  luogo  di  sepoltura  ,  quando  questa  in  terra  straniera 
non  poteva  effettuarsi.  Però  anche  Enea  dice  a  Deifobo  : 
Et  magna  manes  ter  voce  vacavi. 

v.  35(i.  Così  egli  tastommi.  Cioè:  Con  questa  domanda 
il  Ciclope  cercò  di  sapere  da  Ulisse  dove  fosse  la  sua  nave 
e  il  restante  delle  cose  sue.  Però  quando  per  la  risposta 
dell'eroe  perde  la  speranza  d'altro  bottino,  senz'altro 
dire ,  comincia  l'orrendo  suo  pasto. 

LIBRO  DECIMO 

v.  I.  Neil'  Eolia.  L'isola  di  Lipari,  che  Omero  chiama 
Eolia  dal    inuue  del   re  Eolo. 

v.  C.  Dodici  figli.  Euslazio  dice  che  Omero  chiama  figli 
d'Eolo  i  dodici  mesi  dell'anno,  e  che  Eolo  è  l'anno 
stesso.  Meglio  forse  la  Dacier  intende  per  figli  i  venti  prin- 
cipali. Ma  senza  dubbio  è  ultimo  consiglio  non  perdere  il 
tempo  in  siffatte  congetture.  Senza  di  ciò  non  v'ha  forse 
poeta  che  non  somministri  materia  di  voluminosi  commenti. 

v.  .06.  Sci  dì  ec. .  Sebbene  dall'isola  d'Eolo  alla  città 
di  Lamo  non  bisognasse  una  navigazione  di  tanti  giorni  ; 
Omero  esagera  le  distanze,  perchè  ciò  contribuisce  all'ef- 
fetto poetico.  Questa  osservazione  è  di  Strabone. 

v.  181.  Suora  germana  ce.  Anche  qui  dice  Strabone  che 
Omero,  avendo  avuta  notizia  di  Coleo  e  della  famosa  im- 
presa di  Giasone,  volle  accrescere  magnificenza  e  interesse 
a  quanto  slava  per  dire  di  Circe,  facendola  sorella  di  Eeta 
padre  di  Medea. 

v.  G4<j.  Vacca  infeconda.  Non  immolavasi  mai  a' morti 
vermi  fecondo  animale.  Però  anche  Virgilio  disse:  Steri- 
lernque  libi,  Pioserpina,  vaccaia.  D. 

LIBRO  UNDECIMO 

v.  7.  Dea  veneranda.  Circe. 

V.  G8.  Elpenore.  Di  costui  dice  Ovidio: 

Al  miser  Elpenor  ledo  delapsus  ab  alto 
Occurrit  regi  debilis  umbra  suo. 
Osserva  poi  lo  Scoliaste  che   Ulisse  non  vede   qui    nessuno 
de' compagni  mangiati    dal    Ciclope:    perchè    costoro    (sog- 
giunge) e<ano  stati  sepolti ,    sebbene   d'un    modo    strano    ed 
illecito  ;  Considerando  come  sepoltura  il  ventre  di  Polifemo. 

v.  i3o.  Pel  figlio  ec.  Per  Polifemo. 

v.   348.  Epicasta.  I  tragici  poi  la  chiamarono  Jocasta.  Scoi. 

v.  355.  Sui  Cadmei.  Sui  discesi  da  Cadmo,  fondatore 
di  Tebe. 

v.  Ci5.  Non  consolarmi  ec.  Platone  condannava  questi 
versi  parendogli  che  potessero  distillare  alla  gioventù  un 
vile  e  immorale  timor  della  morte.  La  Dacier  li  difende 
affermando,  che  Achille  (checche  egli  dica)  non  potrà  mai 
persuadere  alcuno  a  dispregiare  la  gloria  per  la  vita,  egli 
che  ha  dato  un  esempio  del  tutto  opposto.  Ma  è  appena 
necessario  di  dire  che  questa  difesa  è  debolissima.  Finché 
l'eroe  visse  potè  ingannarsi  ponendo  a  confronto  la  dol- 
cezza della  gloria  e  il  dolor  dèlia  morte  non  ancora  speri- 
mentato ;  ma  dopo  la  tomba  potrebbe  credersi  che   le  sue 


parole  avessero  acquistata  da  una  piena  sperienta  una  multo 
maggior*  autorità.  Del  resto  assai  meglio  che  sulla'  bocca 
di  Achille  ci  pare  che  suoni  questa  sentenza  su  quella  di 
Enea  ; 

.     .     .     Quam  vellent  aelhere  in  alto 

Nunc  et  pauperem  et  duros  per/erre  labores. 
».  607.  Non  construtta  ec.  Il  cavallo   che  servì    ai    Greci 
per  rovinar  Troja  era  stato  costrutto  da  Epeo ,  che    vi    si 
chiuse  insieme  cogli  altri   valorosi. 

v.  68a.  Nella  contesa  ec.  Ajace  ed  Ulisse  si  disputarono 
le  armi  d'Achille,  che  poi  furono  aggiudicate  al  Laerziade. 
Intorno  alla  quale  sentenza  così  scriveva  Ugo  Foscolo  : 

Ai  generosi 

Giusta  di  gloria  dispensiera  è  morie. 

Ni  senno  astuto  ,  né  favor  di  regi 

All'  Itaco  le  spoglie  ardue  serbata  j 

Chi  alla  poppa  raminga  le  ritolse 

V  onda  incitata  dogi'  inferni  Dei. 
E  quest'  onda  il   poeta  la  sentiva 

Mugghiar  portando 

Alle  prode  Betee  f  armi  d' Achille 

Sovra  V  ossa  d'  Ajace. 

LIBRO  DUODECIMO 

y.  sa.  D'  Aide.  Dall'inferno,  casa  d'Aide. 

v.  8a.  Non  che  ec.  Degli  scogli  Cianci  (  che  Omero  chia- 
ma erranti  ed  altri  dissero  urtaatisi  )  favoleggiarono  i 
poeti  che  anticamente  si  menassero  l'un  contro  l'altro  con 
tanta  celerità  che  gli  uccelli  stessi  v'erano  colti  nel  volo. 

v.  17».  D' Iperione  al  figlio.  Il  testo  dice:  lui  la  dita 
Neera  partorì  al  Sole  Iperione.  Esiodo  (  come  nota  lo  Sco- 
liaste, lib.  I,  v.  8)  fa  il  Sole  figliuolo  d'I  pecione;  ma 
questa  genealogia  non  pare  adottala  nella  poesia  di  Ome- 
ro, dove  la  voce  iperione  è  adoperata  sempre  come  un 
semplice  epiteto  del  sole  Che  cammina  al  di  sopra  della 
terra. 

LIBRO  DECIMOTERZO 

v.  11.  //  tate.  Demodoco  ;  o  forse  in  generale  i  cantori 
che  non  mancavano  mai  a'  banchetti. 

v.  30.  In  città  concorra.  Cioè:  Contribuisca  a  pagarne 
il  prezzo.  E  notabile  (dice  la  Dacier)  questo  esempio  di 
principi  i  quali  vogliono  regalare  un  ospite  loro  privalo, 
alle  spese  di  tutto  il  popolo ,  al  quale  perciò  comandano 
nn  tributo. 

v.  ìiij.  La  ratta  nate  ec.  Per  compiere  in  una  notte  la 
navigazione  da  Corfù  ad  Itaca  non  abbisogna  tutta  quella 
celerità  di  cui  parla  qui  Omero;  ma  è  da  considerare  che 
egli  ha  per  una  poetica  finzione  collocata  la  prima  di  que- 
ste isole  nell'Oceano. 

v.   lao.  Forco.  Figliuolo  dell'Oceano  e  della  Terra. 

v.  i44-  Seppellito  ec.  Se  Ulisse  fosse  stato  desto  non  sa- 
rebbe stalo  conveniente  eh'  egli  accomiatasse  i  remigami 
senza  offerir  loro  nn  breve  riposo  nella  sua  casa  ;  e  quindi 
non  era  più  possibile  eh'  egli  arrivasse  solo  ed  incognito. 
Questo  espediente  del  sonno  era  dunque  necessario,  e  la 
■ecessilà  sola  scusa  quanto  vi  si  può  ravvisare  di  assurdo 
e  improbabile. 

v.  5ai.  Del  figlio  in  traccia  ec.  .  Telemaco  è  rimasto  a 
Sparta  presso  Menelao  sin  dalla  fine  del  lib.  IV;  e  tntti 
questi  nove  ora  fittili  risguardano  cose  avvenute  prima  di 
quel  momento  da  cui  comincia  veramente  il  poema. 

LIBRO  DECDIOQUARTO 

v.  3o.  Videro  ec .  La  Dacier  crede  che  Omero  descriva 
qui  come  avvennlo  ad  Ulisse  nn  caso  occorso  a  lui  stesso. 
v.  58.   Ciò  detto  ec.  .  Questi  versi  ricordano  quegli  altri 
di  Virgilio  : 

Dixit  et  angusti  subler  fastigio  tedi 
Ingentem  sEncam  duxit  j  stralisque  locavit 
Effultum  fj/iis  et  pelle  Libyslidis  urtai. 


NOTE  isj 

LIBRO  DECIMOQUINTO 

Ciò    s'è   veduto   sul    fine    del 


v.  3o,.  Degli  amanti  et. . 
libro  IV. 

v.  179.   La  eergala  biga.  La  biga  variegata. 

v.  191.  Di  Giove  alunno.  Cosi  chiamansi  i  Re  presso 
Omero. 

v.  19».  Oh  potess' io  ec.  .  Val  quanto  dire:  Cosi  fosse 
colà  anche  Ulisse  mio  padre!  Esclamazione  naturalissima 
ad  un  figlio,  e  qui  soprattutto,  dove  a  Pisistrato  è  data 
inenrabenza  di  riverire  Nestore  suo  genitore. 

v.  ao6.  Pensa  ec.  Telemaco  e  Pisislralo  (dice  la  Dacier) 
erano  troppo  giovani  per  arrogarsi  d'  interpretare  da  se  un 
tal  giudizio. 

v.  »46.  Ritenermi  il  vecchio  ec  .  L'espresso  comando  dì 
Minerva,  e  il  prodigio  da  Elena  interpretato  giustificano 
questa  condotta  di  Telemaco,  la  quale  senza  dì  ciò  par- 
rebbe inurbana  e  riprovevole.  D. 

v.  a85.  Filaco.  Figliuolo  di  Dioneo  re  della  Focide ,  e 
padre  d'ifilio. 

v.  «96.  Al  cielo  ec  .  Il  testo  :   Pose  un'  eccelsa  magione. 

v.  3o4.  Dalla  più  avara  ec. .  Enfile  palesò  per  una  col- 
lana il  luogo  dove  Anfiarao  tenevasi  celato  per  non  andare 
alla  guerra  di  Tebe,   dove  sapeva  che  rimarrebbe  ucciso. 

v.  4o8.  Ferrea  volta.  Cosi  il  testo;  ed  è  da  notarsi  che 
la  frase  greca  sidereo  (  ferreo  )  cielo ,  è  poi  venuta  anche 
a  noi ,  ma  in  significazione  diversa. 

LIBRO  DECIMOSESTO 

v.  4»-  E  nudo  ec  .  Fa  osservare  la  Dacier  che  presso  i 
Greci  e  i  Romani  il  letto  delle  prime  nozze  non  serviva 
mai  alle  seconde. 

v.  53.  Statti,  foreslier  ,  disse  ec .  Sono  infiniti  in  questo 
poema  i  luoghi  dai  quali  si  vede  manifesta  la  grande  ve» 
nerazione  in  che  gli  antichi  avevano    gli  nspili. 

v.  i4fi.  De'  Numi  su  i  ginocchi  ec  .  Cioè:  Questo  è  tut- 
tora dubbioso  :  ed  è  un'  espressione  usitata  dai  poeti  antichi 
e  propria  dell'aulica  mitologia. 

v.  179.  L'armigera  Dea.  Minerva. 

v.  *4G.  In  lagrime  ec  .  La  Dacier  cita  a  questo  luogo 
quel  passo  della  Genesi:  Elevavitque  (Joseph)  vocem  cum 
ftetu  ,  quam  audierunt  JEgyptii  omnisque  domus   Pliaraomis. 

v.  «59.  Celerò  il  vero  ec.  .  Ulisse  finora  avea  dato  sem- 
pre a  lutti  menzognere  risposte;  apparecchiandosi  ora.a 
dir  il  vero ,  è  ben  naturale  che  il  poeta  avvertisca  il  let- 
tore di  questa  novità. 

LIBRO   DECIMOSETTIMO 

v.  45.  Pari  a  Diana  ec.  Cioè  casta  come  Diana,  e  bella 
come  Venere. 

v.  53.  Dietro  alla  fama  ec . .  Ovidio  dice  in  questo  pro- 
posito: 

lite  per  insidias  pene  est  mihi  nuper  ademptus 
Dum  parai ,  inviti s  omnibus ,   ire  Pjlon. 

v.  7».  Penelope  ec. .  Facea  voto  di  sagrificare  cento  buoi 
(  un'Ecatombe)  a  ciascun  Dio. 

v.  a5a.  Metanzio  ec.  .  Questo  caprajo  rappresenta  in  sé 
la  dannosa  corruzione  de' servi  che  accelera  e  compie  la 
rovina  delle  famiglie  disordinate  :  e  tutto  il  dialogo  i  di 
tanta  vivezza  che  potrebbe  servir  di  modello  agli  scrittori 
drammatici. 

v.  197.  Oh,  oh  ec.  Melanzio  dà  il  -nome  di  scaltro  Ca- 
ne ,  ad  JEumeo  ;  e  soggiunge  per  ironìa,  che  poich  esso  e 
si  astuto  converrebbe  valersi  di  lui  non  più  come  porcaio, 
ma  sì  come  guidator  di  nna  nave  spedita  a  raccoglier  ric- 
chezze. 

v.  601.  //  nume  ec. .  Apollo. 

v.  658.  Ruppe  in  un  alto  ec. .  Gli  antichi  annoveravano  lo 
starnuto  fra  le  cose  di  buon  augurio:  e  solevano  anch'essi 
dire  a  chi  starnutiva.  Giove  ti  salvi. 


ia6 


ODISSEA  NOTE 


LIBRO  DECIMOTTAVO 


t.  9.  Irò.  È  nolo  che  Ili  o  Iride  si  chiamava  la  messag- 
giera  degli  Dei. 

v.  ifi.  Ammiccar.  Far  cenno  cogli  occhi. 

v.  68.  Mavoiec. .  Ulisse  teme  a  ragione  (  dice  la  Dacier) 
che  i  Proci  inlenti  a  divorar  essi  come  padroni  ogni  cosa, 
non   diano  favore  all'  ospite  straniero    contro  il  domestico. 

v.  104.  Di  questo  Echeto  crudelissimo  tiranno  dell' Epiro 
non  trovasi  meniione  presso  gli  storici.  Divien  quindi  as- 
sai più  probabile  la  tradizione  che  Omero  sotto  questo  nome 
abbia  voluto  infamare  presso  la  posterità  qualche  suo  con- 
temporaneo. 

v.  44o.  Non  è  ec  Eustazio  osserva  che  ne' versi  se- 
guenti Omero  ci  ha  lasciato  il  più  amico  modello  della 
poesia  satirica. 

LIBRO  DECIMONONO 

r.  3n.  Gineceo.  L' appartamento  destinato  alle  donne. 

v.  65.  Pari  a  Diana  ec. .  Questo  verso  di  duplice  lode 
s'incontra  anche  in  alcuni  altri  luoghi  del  poema,  e  già 
si  è  notato  nel  libro  XVII. 

v.  112.  Cagna  sfacciala.  Questa  è  veramente  l'espressione 
del  testo.  La  Dacier  traduce  invece  insolente:  ma  troppe 
sarebbero  le  modificazioni  da  farsi ,  chi  volesse  ridurre  le 
antiche  poesie  dentro  i  confini  della  gentilezza  moderna; 
ed  allora  come  potrebbero  poi  trovarsi  d'accordo  il  lin- 
guaggio e  le  costumanze  ? 

v.  3go.  Ulisse  intanto  ec. .  Il  pericolo  in  cui  Ulisse  si 
trova  giustifica  in  gran  parte  la  veemenza  di  questi  modi 
e  di  queste  minacce.  D. 

v.  632.  Di  Pandoro  ec. .  Secondo  la  comune  dei  poeti 
Filomela  fu  figliuola  di  Tereo  e  sorella  di  Progne.  Secondo 
Omero  essa  è  figliuola  di  Pandaro  :  si  nomò  prima  Aedo- 
ne  j  ed  uccise  per  errore  Iti  che  una  sorella  di  lei  aveva 
partorito  a  Zelo  fratello  di  Anfione.  , 

v.  690.  Degli  aerei  sogni  ec. .  Così  Virgilio: 

Sunt  geminae  somni  portac ,  quorum  altera  ferunt 
Cornea,  qua  veris  faciles  datur  exitus  umbris  j 
Attera,  candenti  prrfecta  nilens  elephantc , 
Sed  falsa  ad  cuci  uni  mittunt  insomma  Manes. 

LIBRO  VENTESIMO 

■v.  62.  Se  cinquanta  ec.  .  La  Dacier  cita  a  questo  luogo 
quel  detto  del  Salmista:  Si  consistant  adversum  me  castra , 
non  timebit  cor  meum. 

v.  85.  Le  Pandaridi.  Merope,  Cleotera  e  Aeodone  fi- 
glinole di  Pandaro. 

v.  92.  Artemi.  Diana. 

v.  366.  Riso  sardonico.  Così  anche  il  testo 5  ed  è  noto 
quel  che  s'intenda  per  riso  sardonico.  In  quanto  all'ori- 
gine di  questa  espressione  raccontasi  fra  le  altre  cose  es- 
servi stala  nella  Sardegna  1'  usanza  di  uccidere  tutti  i 
vecchi  che  oltrepassavano  i  sessantanni,  obbligandoli  a 
ridere  nell'atto  ch'erano  uccisi. 

LIBRO  VENTESIMOPRÌMO 

v.  3Gi.  Lapiti  e  Centauri  ec.  .  Piritoo  uno  de'Lapiti  ma- 
ritandosi a  Ippodamia  figliuola  di  Adrasto  invitò  alle  nozze 
gli  altri  Lapiti  e  i  Centauri.  Questi  ultimi  avendo  bevuto 
eccessivamente  fecero  nascere  una  rissa  che  mandò  sossopra 
il  banchetto  e  ne  frastornò  tutta  la  letizia:  d'onde  Orazio 
poi  disse; 

At  nequis  modici  transiliat  munera  Liberi 
Centaurca  monet  cum  Lapithis  rixa  super  mero 
Debellata. 
Il  primo  poi  a  provocar  questa  rissa  fu  il  centauro  Euri- 
zione ,  mentovato  qui  da  Omero. 


».  5of>.  Tratti  seduto.  La  Dacier  nota  che  Omero  rap- 
presentandoci Ulisse  seduto  ha  veduto  mostrare  la  somma 
facilità  con  cui  egli  sostenne  questa  prova  a  cui  le  forze 
de'  Proci  non  erano  bastate. 

LIBRO  VENTESIMOSECONDO 

v.  56.  Quando  il  vero  ec.  .  I  morti  (dice  piacevolmente 
la  Dacier)  hanno  sempre  il  torto;  e  perciò  Eurimaco  ri- 
versa la  colpa  di  tutti  i  mali  fatti  dai  Proci  nella  casa  di 
Ulisse  sopra  il  solo  Antinoo  che  già  è  tolto  di  vita. 

v.  1 14-  //  prevenne  ec. .  Ad  Eustazio  non  piace  che  Te- 
lemaco ferisca  nel  tergo  Anfinomo,  parendogli  che  i  valo- 
rosi debbano  assalir  sempre  di  fronte  il  nemico.  La  Da- 
cier lo  scusa,  dicendo  che  in  un  combattimento  così  ine- 
guale non  è  sempre  necessario  di  osservare  tutta  quella  de- 
licatezza che  si  richiede  nei  duelli.  Potrebbe  aggiungessi 
ancora  che  nel  pericolo  del  padre,  Telemaco  non  poteva 
punto  esitare  su  quello  che  f'isse  da  farsi. 

v.  322.  Amici  disse  ec.  .  Anche  qui  la  Dacier  cita  quel 
luogo  dei  Paralippomeni:  Rex  autem  Syriae  praeceperat  du- 
cibus  equitatus  sui,  dicens  :  Ne  pugnetis  cantra  minimum 
aut  contro  maximum ,  nisi  contro  solum  Regem  Israel.  In 
generale  è  una  regola  ne' combattimenti  di  ordinare  ai  sol- 
dati di  volgersi  contro  coloro  che  più  possono  impedir  la 
vittoria. 

v.  5o8.  Qua! par  leone  ec.  .  In  questo  luogo  osserva  Eusta- 
zio che  le  similitudini  tanto  frequenti  nell'Iliade  sono  in- 
vece rarissime  nell'Odissea;  ciò  che  procede  dalla  diversa 
natura  degli  argomenti. 

v.  558.  La  picco/a  torre.  Propriamente  il  Toh,  edilizio 
rotondo  e  fi  niente  in  un  comignolo,  destinato  a  riporvi 
gli  utensili  casalinghi. 

LIBRO  VENTESIMOTERZO 

v.  23.  Io  mai  ec.  .  Eustazio  dice  che  Omero  accenna 
questa  circostanza  di  un  sonno  più  profondo  del  consueto 
per  rendere  verisimile  che  Penelope  non  fosse  svegliata  dal 
grande  schiamazzo  che  la  battaglia  coi  Proci  aveva  dovuto 
produrre. 

v.  79.  Un  Nume  ec.  Così  Omeri  dalla  incredulità  di 
Penelope  trae  argomento  di  nuova  lode  ad  Ulisse;  quando 
la  vittoria  da  lui  riportata  è  creduta  superiore  a  tutto 
quanto  un  nomo  può  fare,  e  degna  solo    d'un  Nume.  D. 

v.  198.  Ei  da'  lavacri  ec. .  Tutto  quello  che  Omero  viene 
dicendo  di  qui  innanzi  fino  all'abbracciami  nto  di  Penelope 
con  Ulisse  è  condotto  con  artificio  mirabile  ,  e  suol  esser  ci- 
tato ad  esempio  de'così  delti  riconoscimenti. 

v.  3ao.   Tiresia.   Celebre   indovino. 

LIBRO  VENTESIMOQUARTO 

v.  1.  Mercurio  ec.  .  Una  sola  osservazione  par  necessaria 
intorno  a  questo  libro,  cioè  che  Omero  vi  ha  comprese 
alcune  cose  le  quali  non  potevano  entrar  nell'Iliade, 
sebbene  siano  il  compimento  della  storia  di  quel  poema. 
Può  notarsi  eziandio  che  se  l'argomento  dell'Odissea  fosse 
il  ritorno  di  un  privato  e  il  suo  riconoscimento,  tutto  que-> 
sto  libro  potrebbe  parere  soverchio;  ma  trattandosi  di  un 
principe,  la  storia  del  suo  ritorno  finisce  sol  quando  egli 
abbia  ripigliata  nel  proprio  paese  la  signoria  di  prima: 
perciò  questo  libro  dove  si  racconta  la  vittoria  di  Ulisse 
sopra  la  fazione  di  Antinoo,  è  una  parte  essenziale  del 
poema.  Si  aggiunga  ch'esso  ci  fa  conoscere  alcune  cose  as- 
sai interessanti  riguardo  alla  teologia  pagana  od  omerica. 
Del  resto  i  personaggi  dei  quali  parla,  e  i  fatti  a  cui  al- 
lude sono  tutti  di  facile  intelligenza  a  chi  ha  letti  i  due 
poemi. 


INDICE 


Il  numero  romano  indica  il  libro,  f  arabico  il  verso. 


/Vcasto.  XIV,  4°I- 

Acheronte,  fiume  Infernale.  X,  638. 

Achille,  figlio  di  Peléo,  e  per  ciò  detto  Pelide  e 
Peliade.  Ili ,  i^o.  V,  395.  Vili  ,  96.  La  sua  anima 
parla  con  Ulisse.  ZI,  5gi.  Contesa  per  le  sue  ar- 
nii ,  683.  Incontro  della  sua  anima  con  quelle  de'  Pro- 
ci ,  e  d' Agamennone.  XXIV,  21  e  seg. . 

Acrone'o.  Vili ,  146. 

Afidante.  XXIV,  388- 

Agamennone,  detto  Atrìde.  Ili ,  20  .  Sua  morte, 
327  ■  seg.  .  XI  ,  523.  XIII ,  448.  Sua  anima  con 
quella  d' Achille.  XXIV,  26  e  seg.  .  Le  narra  le 
*ue  esequie ,  59  e  seg. .  Ricorda  il  tradimento  d'Egi- 
sto  ,  i3o.  Parla  all'anima  d'  Anfimedonte,  x^t.  Loda 
Ulisse  e   Penelope ,  2^9  e  seg. . 

Agelao,  esorta  Telemaco  a  far  sì  che  la  madre  si 
rimariti.  XX,  4°4-  Rinchiuso  con  gli  altri  Proci, 
tenta  di  muovere  il  popolo  a  romore.  XXII,  l63  e 
*eo-  •  Sgrida  Minerva ,  credendola  Mentore ,  262. 
Ulisse  lo  uccide  ,  365. 

Ajace  d'Oiléo.  Ili,  140.  Affogato  in  mare.  IV,  639. 
Ulisse  ne  vede  V  anima  nelT  Inferno.  XI ,  592. 

Ajace  di  Telamone.  XI,  680  e  seg.. 

Alcinoo,  re  de'Feaci.  VI,  17.  Suo  palazzo.  VII, 
III.  Riceve  Ulisse.  VII,  223.  Parlamenta  co' Feaci 
sopra  Ulisse.  Vili,  6.  Celebra  i  giuochi,  l3o.  Ordi- 
na a'  capi  de'  Feaci  il  regalo  da  farsi  a  Ulisse,  525. 
E  alla  moglie  di  apprestare  una  cassa  per  riporvi 
i  regali  ,  562.  Domanda  Ulisse  dell'  esser  suo  ,  717. 
E  se  abbia  veduto  nell'  Inferno  alcuno  de'  suoi  com- 
pagni nella  guerra  di  Troja.  XI,  477-  Sentito  da 
Ulisse  il  racconto  de'  suoi  casi  gli  dà  un  altro  re- 
galo. XIII,  16.  Sagrifica  un  bue  a  Giove,  35.  Fa 
distribuire  del  vino  a  tutti  i  Feaci ,  che  libano  a 
Giove  supplicandolo  pel  buon  viaggio  <F  Ulisse ,  69. 
Accompagna  Ulisse  fino  alla  nave,  82.  Vede  la  nave , 
reduce  dall'  avere  accompagnato  Ulisse ,  fermata  in 
mare  da  Nettuno,  e  mostra  a'  compagni  verificato  un 
antico  pronostico  ,  210. 

Alcmena  :  sua  anima  veduta  da  Ulisse.  XI ,  342. 

Alcmeo'ne,  figliuolo  d'Anfiarao.  XV,  3o3. 

Alféo,  figliuolo  di  Diocle.  III,  627.  XV,  229. 

Alibante.  XXIV,  389. 

Alio ,  figliuolo  d'  Alcinoo  :  balla.  Vili ,  l56 ,  496. 

Aliterse ,  figlio  di  Mastore ,  spiega  a"  Proci  l' augu- 
rio delle  due  aquile  mandate  da  Giove.  II ,  202  e  seg. 
Eurimaco  lo  contraddice  ,  220.  Telemaco  ,  scansando 
i  Proci ,  va  da  lui  come  amico  paterno.  XVII ,  85. 
Parla  a  favore  d'  Ulisse  nell'  assemblea  degli  Itacesi. 
XXIV,  573  e  seg. 

Aloéo.  XI ,  4°°- 

Amfialo.  VIII,  149. 


Amlitrione.  XI,  342. 

Amitaone.  XI ,  332. 

Amniso.  Ivi  è  la  grotta  d'  IliU'a.    XIX ,  233. 

Anabesinéo.  Vili ,   149. 

Anchialo.  Vili,   147. 

Andremone  ,  padre  di  Toante.  XIV,  596. 

Anfiarao.  XV,  3oo  e  seg. 

Anfdoco.  XV,  3o3. 

Anfimedonte ,  figlio  di  Melanzio  ,  uno  de'  Proci  : 
Agelao  lo  conforta  a'  difendersi  da  Ulisse.  XXII ,  307. 
Ferisce  Telemaco  leggiermente ,  ed  è  da  lui  ucciso, 
3jo.  Sua  anima  racconta  ad  Agamennone  resterminio 
de'  Proci.  XXIV,  160  e  seg. 

Antiuomo,  uno  de'  Proci  :  vede  la  nave  di  Tele- 
maco ,  già  tornato  da  cercare  il  padre.  XVI ,  38o. 
Risponde  ad  Antinoo  ,  4^8-  Regala  due  pani  a  Ulisse. 
XVIII,  i5o.  Alle  sue  ginocchia  sedè  Ulisse ,  quando 
Eurimaco  gli  fu  sopra  con  uno  sgabello  ,  487.  Ar- 
ringa a  favor  dell' istesso,  5ll.  Spiega  1' augurio  del- 
l'aquila e  della  colomba.  XX,  299.  E  ucciso  da  Te- 
lemaco. XXII,  Il5. 

Anfione.  XI ,  337. 

Annone.   XI,  363. 

Anfitéa  ,  avola  d'Ulisse.  X^X  ,  5lo. 

A  ufi  tri  le.  XII ,  80  ,  128. 

An  tic  Ica  ,   figlia  d'Autolico.  XI,    1 1^- 

Antifate ,  Lestrigone.  Sua  figlia  interrogata  da'  com- 
pagni d'Ulisse.  X,  1.38.  Uccide  uno  di  loro,  i53. 
Sua  memoria  attrista  gli  altri  compagni ,  257  e  seg.  . 

Antifate,  fratello  di  Manlio  e  padre  d'Oicle'o.  XV,  298. 

Antifo.  Telemaco  va  presso  lui  fuggendo  da'Proci. 
XVII,  85. 

Antiloco,  figlio  di  Nestore ,  morto  a  Troja.  Ili,  142. 
Sua  anima  è  veduta  da  Ulisse.  XI ,  592.  Sue  ossa  ri- 
poste con  quelle  d'Achille  e  di  Patroclo.  XXIV,  107. 

Antinoo  ;  sua  risposta  a  Telemaco.  II ,  109.  Gli 
trama  insidie.  IV,  796  e  seg.  .  Si  stupisce  del  ritor- 
nato Telemaco  ,  e  propone  di  ammazzarlo.  XVI ,  401  e 
seg.  .  E  sgridato  da  Penelope  ,  44^  e  seo-  •  Sgrida 
egli  il  Porcaro  ,  perchè  aveva  condotto  Ulisse  ad  Ita- 
ca. XVII,  455.  Risponde  risentilo  a  Telemaco  e  mi- 
naccia Ulisse  ,  497*  Lo  percuote  ,  563.  Stimola  Ulisse 
ed  Irò  a  battersi.  XVIII  ,  52.  Minaccia  Irò  che  pa- 
ventava delcimenlo,  101  e  seg.  .  Regala  Ulisse  d'un 
ventriglio ,  146  e  seg.  .  Suo  consiglio  a  Penelope  352. 
Conforta  i  Proci  a  soffrire  il  severo  parlare  di  Te- 
lemaco. XX ,  32o.  Uà  speranza  di  vincere  nel  giuoco 
dell'  arco.  XXI  ,  116.  Impone  a'  Proci  che  per  ordi- 
ne comincino  il  giuoco  ,  175.  Riprende  Leode  ,  per- 
chè non  potè  tendere  l'arco  d'Ulisse ,  204.  Comanda 
a  Melanzio  che  scaldi  1'  unto  per  facilitare  la  tesa 
dell'  arco  ,  2l3.  Propone  di  differire  all'altro  giorno 
il  giuoco   dell'  arco  ,  e  di    sugrificore    ad    Apollo  ar- 


INDICE 


ciero ,  3o5.  e  seg. .  Brava  Ulisse  per  aver  chiesto 
l'arco,  34l'  E  ucciso  da  Ulisse.  XXII,   19. 

Antiopa.  XI ,  335. 

Apollo  :  uccise  il  piloto  di  Menelao.  Ili  ,  36/p  Suo 
vaticinio.  Vili,  98.  Uccise  Eurito  per  averlo  provo- 
cato a  saettare,  3o2.  Nel  consiglio  degli  Dei  parla  a 
Mercurio  4-5 1.  Maestro  de' cantori,  628  e  seg. .  Spar- 
viere ,  uccello  a  lui  sacro.  XV,  652.  E  pregato  da 
Melanzio  che  ferisca  Telemaco.  XVII,  3o3.  È  invo- 
cato da  Telemaco  contro  a'  Proci.  XVIII,  2Q\. 

Arcesio.  XIV,  216.  XVI,  x3a. 

Arete,  moglie  d'Alcinoo  manifestata  da  Minerva  a 
Ulisse.  VII ,  68.  Per  comando  d'Alcinoo  dà  una  cassa 
a  Ulisse  da  riporvi  i  regali.  Vili ,  562.  Dice  a'  Fea- 
ci  che  Ulisse  è  suo  ospite.  XI,  442-  U"sse  le  pre- 
senta una  coppa  di  vino.  XIII,  75.  Manda  alcune 
donne  con  diversi  oggetti  mentr'  egli  s'avvia  alla 
nave ,  84  e  seg.  . 

Areto.  Ili,  523. 

Aretusa:  sua  fonte.  XIII,  479' 

Ar"x>,  riconosce  Ulisse  suo  padrone  dopo  venti  anni , 
XVII.  35o.  Muore,  397. 

Argo  ,  citta.  Ili ,  324.  XV,  ioo,  29^.  XVIII ,  3o6. 

xxi ,  i32.  xxiv,  47. 

krao ,  uomo  di  cento  occhi  :  Mercurio ,  per  averlo 
ucciso  ,  soprannominato  Argicida.  1 ,  56.  Sua  nave 
XII,  93. 

Arianna.  XI ,  42°- 

Aribante  Sidonio.  XV,  533. 

Arpia.  XIV,  439.  XX,  100. 

Artacia.  X,  1ÌQ- 

Asfalione,  servo  di  Menelao.  IV,  280. 

Asopo  ,  padre  d'Antiopa.  XI ,  335. 

Atene.  XI,  422- 

Atre'o.  XI,  552. 

Atloride.  XXIII,  285. 

Aurora ,  rapita  da  Olito.  XV,  3o6. 

Autolieo  ,  figlio  di  Mercurio  e  padre  di  Penelope. 

xi,  n5.  xix,  484.  xxiv,  423. 

Autonoe.  XVIII ,  227. 

B 

Bacco.  XI ,  425-  Anfora  d'oro  donata    da   lui  alla 
madre  d'Achille.  XXIV,   102. 
Boote.  V,  35o. 
Borea.  XIV,  295,  566.  XIX ,  638. 

G 

Cadméi ,  popoli.  XI ,  355. 

C.alipso ,  ritiene  Ulisse  che  non  torni  a  casa.  I,  23. 
IV,  698.  V,  17.  Sua  isola  71.  Congeda  Ulisse,  207. 
Giura  di  non  gli  fare  alcun  male,  233  e  seg. .  Com'elia 
traitò  Ulisse  Bell1  isola  Ogigia  ,  VII ,  3o8  e  seg. .  Vili, 
589  e  seg. .  IX ,  36.  Predisse  ad  Ulisse  1'  ingiuria  che 
i  suoi  compagni  avrebbero  fatta  al  Sole.  XII ,  496  e 
seg..  Lo  accoglie  dopo  il  naufragio,  585.  XVII ,  170. 
Racconto  di  Ulisse  a  Penelope  sopra  la  dimora  eh'  egli 
fece  con  Calipso.  XXIII ,  425  e  seg.  . 

Cariddi.  XII,  i36 ,  309,  342,  554.  XXIII  »  42o. 

Cassandra ,  figlia  di  Priamo.  XI ,  536. 

Castore,  figliuolo  di  Tindaro  e  di  Leda.  XI,   3gi. 

Castore  llacide..  XIV ,  238- 

Cefaleni,  popoli.  XX,  260.  XXIV,  479*  545. 


Corerfi  :  fatto  di  lei  con  Giasione.  V ,  l63. 

Chio,  isola.  Ili ,  219. 

Ciclopi  :  loro  superbia.  VI ,  6.  Dove  abitavano ,  5. 
Messi  al  pari  co'  Giganti.  VII  ,  268.  Loro  costumi. 
IX,   l34  e  seg..  Soccorrono  Polifetno ,  5ig. 

Ciconi  ,  popoli  domati  da  Ulisse.   IX ,  47,  75,  209. 

Cidonj ,  popoli.  Ili,  376,  XIX,  218. 

Cimmerj ,  popoli.  XI  ,  18. 

Cipro  isola.  VII!  ,  484.  XVII,  537- 

Circe  :  istruzione  data  da  lei  a  Ulisse.  Vili ,  592. 
È  ritenuto  da  lei.  IX,  38.  Alla  sua  isola  (Eòa), 
giunge  Ulisse.  X,  178.  Incanta  i  compagni  d' Ulisse , 
3lo.  Ulisse  manda  a  lei  i  suoi  compagni  per  seppel- 
lire Elpenore  XII,  II.  Dà  loro  da  mangiare  ,  e  pre- 
dice ad  Ulisse  alcuni  pericoli ,  49-  Si  congeda  da  lui , 
188.  Suo  comandamento  dimenticato  da  Ulisse ,  296. 
Suoi  vaticinj  palesati  da  Ulisse  ai  compagni  ,  35l.  Suo 
fatto  raccontato  da  Ulisse  a  Penelope.  XXIII,  293  e  seg.. 

Citerà.  IX,   104. 

Climene ,  veduta  da  Ulisse  nell'  Inferno.  XI ,  427- 

Climeno ,  padre  d'  Euridice.  Ili ,  576. 

Clitennestra ,    moglie    d'Agamennone.    Ili,    3o3. 

xi ,  537. 

Clito:  rapi  1'  Aurora.  XV,  3o6.  e  seg.  . 

Clito  :  riceve  in  consegna  i  regali  fatti  da  Alcinoo 
a  Telemaco.  XVI ,  349  e  35o. 

Clitonéo  ,  figlio  d'Alcinoo.  VITI,  157.    ' 

Clori,  moglie  di  Neléo.  XI,  365. 

Cocilo  ,  fiume  infernale.  X  ,  638. 

Crateri,  madre  di  Scilla.  XII  ,   l6l. 

Creonte  ,  padre  di  Megara.  XI  ,  345. 

Creta,  isola.  Ili,  247,  375.  XI,  421.  XIII,  3o5. 
XIV,  235,  273,  355.  XVI,  74.  XVII,  637-  Ha  no- 
vanta città  :  sua  descrizione  ,  XIX ,  23o  ,  ^l3. 

Creléo.  XI,  3o3. 

Croniio.  XI  ,  370. 

Ctesio.  XV,  5l4- 

Ctesippo.  XX,  371.  Sgraffia  coli' arme  Euméo,  ed 
è  ucciso  da  Filezio.  XXII  ,  353. 

Climene  ,  figlia  di  Laerte.  XV,  4^2. 

D 

Damaslore,  padre  d'Agelao.  XX,  390. 

Demetore  ,  figlio  d' Iaso  ,  re  di  Cipro.  XVII,  536. 

Demodoco,  cantore.  Vili,  52.  Canta  d'Ulisse  ,  poi 
di  Marte  e  Venere  ,  352.  E  regalato  a  mensa  da  Ulisse, 
628.  Canta  del  cavallo  di  Troia  ,  647.  Canta  nella 
partenza  d'Ulisse  da  Alcinoo.  XIII  ,  40. 

Domoptolemo.  XXH  ,  3ol. 

Deucalione  ,  padre  d'  Idomene'o.  XIX ,   223. 

Diana.  XI ,  224 ,  424.  XV,  593.  XVII,  45.  È  pre- 
gata da  Penelope.   XX  ,    1 04. 

Diocle  ,  re  di  Fera  ,  riceve  Telemaco.    IH  ,    626. 

xv,  ar.8. 

Diomede  ,  figlio  di  Tidc'o,  IH  ,  2l5. 

Dite  o  Èrebo  ,  regione  infernale.  XI  ,  792.  XXIII, 
323,  4*3. 

Dodona.  XIV,  391.   Oracolo  di  Giove.  XIX,  362. 

Dolio  ,  servo  di  Laerte.  XXIV,  295. 

Dolio  ,  padre  di  Melanzio.  XVII  ,  252. 

Dorj  ,  popoli  di  Creta.  XIX  ,  219. 

Dulichio  (luogo).  IX,  29.  XIV,  4°°>47°-XVI» 
137,  283,  4a5.  XVlll,  157.  XIX,  159,  357. 


INDICE 


•* 


E 


Ebe  .  XI ,  763. 

Echefrone.  IH  ,  5a3. 

Echenéo,  il  più  anziano  de'Feaci.'VII,  2og.'XI,  447* 

Echeto ,  re  il'  Epiro  ,   storpiature  <T  uomini.  XV III  , 

io4-,  143.  xxi,  367. 

Edipo.  XI  ,  35o. 

Ee'a  ,  isola.  X,   178.  XII,  2. 

Eeta  ,  fratello  di  Circe.  X,   181. 

Egisto  uccide  Agamennone  .  I  ,  52.  Questo  fatto  è 
raccontato  da  Nestore  a  Telemaco.  Ili  ,  3o2.  E  uc- 
ciso da  Oreste ,  332.  Suo  tradimento  narrato  dal  Ve- 
glio marino.  IV,  656  e  seg.  .  Anime  degli  uccisi  in 
sua  casa  apparse  ad  Ulisse  con  quella  d'Agamenno- 
ne. XI  ,  4p3  e  seg-  ■  E'  anima  d'  Agamennone  ne 
rammemora  il  tradimento  a  quella  d'Achille.  XXIV, 
I06  e  seg.  . 

Egitto.  XIV,  287,  323.  XVII ,  5l5  e  seg.  . 

Egizj  ,  popoli.  IV,    107.  XVII ,  523. 

Egizio  ,  padre  d'  Antifo.    II ,  21   e  seg.  . 

Elato,  uno  de' Proci,  ucciso  da  Euméo.  XXII,   Ì2Q. 

Eleatréo  .  Vili ,   146. 

Elena  ,  figlia  di  Giove  ,  moglie  di  Menelao  :  dopo 
aver  partorita  Ermidne  ,  divenne  sterile.  IV,  16.  Viene 
dove  è  il  marito  e  Telemaco  ,  157.  Assisa  col  suo 
lavoro  parla  con  Menelao  di  Telemaco,  177.  Piange 
in  ravvisarlo  ,  23p.  Mescola  il  nepente  col  vino  per 
tor  via  ogni  tristezza  dagli  aftlitti  ,  283.  Narra  alcuni 
fatti  d'  Ulisse  nella  guerra  trojan»  ,  3lo.  Fa  prepa- 
rare i  letti  per  Telemaco  e  Pisistrato  ,  378.  Causa 
della  morte  di  molti.  XI ,  554-  E  perciò  maledetta 
da  Euméo.  XIV,  84-  Cava  fuori  un  bellissimo  velo 
lavorato .  XV,  i3a.  Dona  un  peplo  a  Telemaco, 
l54-  Spiega  il  vaticinio  dell'aquila  ,  209.  E  riferito 
da  Telemaco  a  Penelope ,  esser  ella  stata  veduta  da 
lui.  XVII,  l44-  Penelope  la  cita  in  esempio  ad 
Ulisse.  XXIII  ,  272  e  seg.  . 

Elide.  XIII ,  325.  XV,  368.  XXI,  4i3.  XXIV,  547. 

Elisio  ,    campo  .  IV,  706. 

Ellada,  città.  XI,  623. 

Ellesponto  :  sulla  sua  spiaggia  fu  fatta  la  tomba  a1 
Greci  morti  a  Troia.  XXIV,   112. 

Elpenore:  sua  morte.  X,  683.  Sua  anima  appare 
ad  Ulisse,  68.  E  sepolto.   XII,  20. 

Enipéo  j   fiume  .  XI  ,  3o5. 

Enope  ,  padre  di  Leode.  XXI,   178. 

Eolia  ,  isola.   X  ,   I. 

Eolo:  regala  Ulisse  d'un  otre  pieno  di  venti.  X, 
29.  XXIII  ,  399. 

Epéi ,  popoli  abitatori    d'  Elide.   XIII ,    326.    XV, 

369.  xxiv,  547. 

Epe'o  ,  fabbricatore  del  cavallo  trojano.  Vili ,  648. 

XI,  657. 

Eperito  ,  nome  preso  da  Ulisse  per  farsi  credere 
figlio  d' Afidante  re  d' Alibante.  XXIV,  3go. 

Epicasta  ,  madre  d'  Edipo.  XI  ,  348. 

Epiro.  XIV,  124.  XVIII,  104.  XXI,   l33. 

Ercole.  Vili  ,  296.  XI ,  346.  Sua  anima ,  veduta 
da  Ulisse  in  compagnia  d' Ebe  nell'  Inferno  ,  759  e 
seg.  .    Uccise  Ifito  .  XXI ,  3o  e  seg.  . 

Ercmbi .  IV,   108. 

Eretméo.  Vili,  148. 

Erettéo  Ateniese  :  Minerva  nella  casa  di  lui.  VII,  Io5. 
-Pjkdekohtk 


Erifile  .  XI  ,  428. 
Erimanto  ,  monte.  VI ,  147. 
Ermidne,  figliuola  d'Eleoa.  IV,   18. 
Erinni,  Furia.  XV,  288. 
Esone,  figlio  di  Cretéo  e  di  Tiro.  XI,  33 1. 
Etenéo:   V.  Echeneo. 

Eteonéo  figlio  di  Boéle  ,  servo  di  Menelao.  IV,  Ó9. 
XV,  n5 ,  175. 

Etone ,  nome  preso  da  Ulisse  per  fingersi  a  Pene- 
lope figlio  di  Deucalione ,    figlio    di   Minosse    re    di 
Creta.  XIX,  224. 
Eube'a.  VII  ,  409. 

Euméo,  porcaro  d'Ulisse.  XIV,  4.  Dà  da  mangiare 
al  padrone  creduto  un  forestiero  ,  lo  e  seg. .  Narra 
i  fatti  de' Proci,  n3.  Domanda  a  Ulisse  chi  egli  sia, 
222.  Sagrifica  un  porco  ,  499-  Consiglia  Ulisse  a  non 
partirsi  da  lui.  XV,  404.  Gli  narra  la  sua  condizione', 
490  e  seg.  .  Accoglie  con  festa  Telemaco.  XVI ,  16. 
Avvisa  Penelope  del  ritorno  del  figliuolo ,  36o.  Torna 
ad  Ulisse  ed  a  Telemaco,  489.  Conduce  Ulisse  alla 
città.  XVII  ,  225  e  seg.  .  È  maltrattalo  da  Melanzio , 
caprajo  d'Ulisse,  259.  Porta  vivande  e  ordini  ad 
Ulisse  da  parte  di  Telemaco ,  420.  E  sgridato  da 
Antinoo,  4^7.  Avvisa  Ulisse  che  vada  da  Penelope, 
669.  Si  licenzia  da  Telemaco,  714.  Domanda  a  Ulisse, 
come  sia  rispettato  da' Proci.  XX,  210.  Prega  gli 
Dei  che  torni  Ulisse ,  283.  Reca  1'  arco  a'  Proci.  XXI  , 
28.  Mostra  a  Ulisse  il  desiderio  che  ha  eh'  egli  torni, 
246.  Lo  riconosce ,  267.  Riceve  ordine  da  lui  di  dargli 
il  suo  arco  ,  e  far  serrare  dalle  donne  tutte  le  porte 
di  casa ,  28 1.  E  posto  alla  guardia  d'  una  porta.  XXII , 
162.  Trova  Melanzio  nella  stanza  dell' armadnre  ,  e 
per  ordine  d'Ulisse  lo  sospende  al  palco,  235.  Uc- 
cide Elato  ,  329.  E  sgraffiato  da  Ctesippo  ,  e  percuote 
Publio ,  343.  Con  Telemaco  e  Filezio  impicca  la 
donne  malvage  comandandolo  Ulisse  ,  601.  Gli  stessi 
fanno  strazio  di  Melanzio ,  602.  Fa  restare  il  ballo. 
XXIII ,  374.  Parte  con  Ulisse  dalla  città  ,  475. 

Eupite  ,  padre  d' Antinoo:  esorta  gì'  Itacesi  a  ven- 
dicarsi di  Ulisse  per  l' uccisione  de'  Proci.  XXIV,  535. 
Una  parte  degl'  Itacesi ,  lo  segue  ,  5gi.  E  ucciso  da 
Laerte,  662. 

Euriade ,  uno  de'  Proci  :  è  ucciso  da  Telemaco. 
XXII,  329. 

Eurialo  ,  vince  alla  lotta.  Vili,  168.  Fa  che  Lao- 
damante  sfidi  Ulisse  a  provarsi  ne'  giuochi ,  e  di  poi 
egli  stesso  mostragli  non  lo  stimare  in  queir  aliare  ; 
onde  Ulisse  se  ne  risente ,  2o3.  Gli  è  imposto  da 
Alcinoo  che  appiacevolisca  con  parole  e  con  doni 
Ulisse  ,  520. 

Euribate  ,  servo  d'  Ulisse  ,  gobbo  .  XIX  ,  3og. 
Euricle'a  ,  figliuola  d'Opi ,  figlio  di  Pisenore  ,  com- 
prata da  Laerte  al  prezzo  di  venti  buoi  ,  ed  onorata 
e  conservata  intatta:  balia  d'Ubsse.  I,  348.  Piange 
per  la  partenza  di  Telemaco  ,  q53.  Consola  Penelo- 
pe, afflitta  pel  figlio.  IV,  934.  Va  incontro  a  Tele- 
maco. XVII  ,  38.  Lo  loda  ,  perchè  comincia  a  pren- 
der cura  dell'  armi  del  padre.  XIX  ,  29.  Lava  i  piedi 
ad  Ulisse  ,  l\"jo.  Lo  riconosce  ,  5"]l\.  Mostra  a  Tele- 
maco che  Olisse  è  stato  trattato  bene  da  Penelope  ; 
e  di  poi  dà  alcuni  ordini  alle  donne  di  casa.  XX,  175. 
Chiude  le  porte  del  palazzo.  XXI  ,  ^63.  Rivela  a 
Ulisse  quali  donne  in  sua  casa  sieno  state  ree  .  XXII , 
5a8.  Porta  zolfo  ad  Ulisse  per  mondare  la  casa  ,  6i5. 
•7 


■  3o 


INDICE 


Avvisa  Penelope  clic  è  tornato  Ulisse  ed  ha  ucciso  i 
Proci.  XXIII  ,  I.  Apparecchia  per  ordine  di  Pene- 
lope il  letto  ad  Ulisse  ,  217  e  seg.  . 

Euridamante  ,  uno  de'  Proci  :  suo  regalo  a  Pene- 
lope. XVIII  ,  366. 

Euridice  ,  figlia  di  dimeno  ,  moglie  di  Nestore. 
Ili ,  575. 

Euriloco  :  gli  tocca  in  sorte  l'andare  a  spiare  l' i- 
sola  di  Circe.  X ,  265.  Distoglie  gli  altri  compagni 
dall'  andare  da  Circe  ,  ed  è  minacciato  da  Ulisse  , 
54l  e  seg.  .  Tiene  le  vittime  pel  sacrifizio.  XI ,  29. 
Lega  Ulisse  mentre  passa  dalle  Sirene.  XII  ,  260. 
Vuole  smontare  con  gli  altri  compagni  nell'  isola  del 
Sole ,  36o  e  seg.  .  Li  consiglia  che  ne  ammazzino  le 
vacche,  44^-  È  fulminato  insieme  cogli  altri  da  Gio- 
ve ,  536. 

Eurimaco,  contraddice  alla  dichiarazione  dell'au- 
gurio fatta  da  Aliterse.  II  ,  226  e  seg. .  A  lui  il  pa- 
dre ed  i  fratelli  vogliono  rimaritare  Penelope.  XV, 
24.  Gli  è  inviato  Teoclimeno  da  Telemaco  dopo  il 
suo  ritorno  ,  643.  Dà  avviso  a'  Proci  del  ritorno  di 
Telemaco.  XVI ,  370.  Ama  Melanzio.  XVII  ,  3lo. 
Eletto  da  Telemaco  ad  approvare  il  suo  parere  nel 
fatto  d' Irò.  XVIII  ,  73  e  seg. .  Loda  Penelope ,  3o5. 
Suo  regalo  a  lei  ,  363.  Amante  di  Melanto  ,  4°5  e 
seg.  .  Motteggia  Ulisse  ,  !£5.  Lo  vuol  colpire  con 
uno  sgabello  ,  487.  Vuol  cacciare  dal  palazzo  d'  Ulis- 
se Telemaco.  XX ,  44°  e  seg-  •  Si  lagna  di  non  po- 
er  tendere  1'  arco  d'  Ulisse.  XXI,  292.  Mostra  a  Pe- 
nelope il  disonore  che  risulterebbe  a' Proci  se  Ulisse 
tendesse  l'arco,  38 1.  Cerca  placare  Ulisse.  XXII ,  55. 
Consiglia  i  Compagni  a  combatterlo;  resta  ucciso ,  100. 

Eurimedusa,  ancella  di  Nausica.  VII  ,   II. 

Eurinome  ,  dispensiera  di  Penelope  :  impreca  a' 
Proci.  XVII,  6o3.  Consola  Penelope.  XVIII,  212. 
Reca  una  sedia  per  Ulisse.  XIX,  118  Getta  un  pan- 
no sopri  lui,  che  dormiva.  XX,  6.  Lo  lava.  XXIII , 
I_93.  Gli  prepara  il  letto  ,  363. 

Eurinomo  .  XXII  ,  33o. 

Euripilo ,  figliuolo  di  Telefo ,  ucciso  a  Troja  . 
XI  ,  65o. 

Euro  .  XIX ,  258. 

Eurito  ,  ucciso  da  Apollo.  Vili  ,  296  e   seg.  . 

Eurizione.  XXI ,  35o. 

Evante'o.  IX ,  25o. 

Evenore.  II  ,  3o2.  XXII,  368. 


Faetusa.  XII  ,   171. 

Fea,   V.  Fera. 

Feaci,  dominati  da  Alcinoo.  VI,  3.  XI,  436.  So- 
no in  ira  a  Nettuno  per  aver  ricondotto  a  casa  Ulisse. 
XIII  ,   182.  Nominati,  357.  XVI  ,  260.  XIX,  345. 

Febo,    V.  Apollo. 

Fedra  :  sua  anima  veduta  da  Ulisse  nell'  Inferno. 
XI  ,  420. 

Femio  ,  mitiga  i  Proci ,  col  canto.  I  ,  212.  XVII, 
3i8  e  seg.  .  Domanda  la  vita  ad  Ulisse.  XXII ,  419. 
Prega  per  lui  Telemaco  ,  453. 

Fenicj  .  XIII  ,  322.  XV,  587. 

Fenicia.  XIV,  343. 

Fera  ,  o  Fea  ,  città.  IH  ,  625.  XV,  227,  367. 

Ferete.  XI ,  33l. 


Fetonte,  preso  pel  Sole.  XXIII,  3i3. 

Fidone,  re  de' Tesproti.  XIV,   376.   XIX,   353. 

Filaco.  XV,  285. 

Filezio  ,  bifolco  d'  Ulisse  :  non  conoscendolo  ,  ma- 
nifesta il  suo  sentimento  sopra  lui  ed  i  Proci.  XX  , 
233.  Distribuisce  il  pane  a' Proci  ,  3lo.  Mostra  de- 
siderio che  ritorni  il  padrone.  XXI,  241.  Lo  rico- 
nosce ,  249.  Per  ordine  di  lui  serra  le  porte  del  pa- 
lazzo ,  287.  Insieme  con  Eumeo  sospende  Melanzio 
al  palco.  XXII  ,  235.  Uccide  Pisandro  ,  33o.  Per- 
cuote Ctesippo  ,  353.  Nominato  ,  ^(\. 

Filomelide  :   vinto  da  Ulisse.  XVII  ,   l5q. 

Filottete  Peanzio  ,  figlio  di  Achille.  Ili ,  246.  Va- 
lente tirator  d'arco.  Vili,  200. 

Forcine  ,  e  Forco;  vecchio  marino.  XIII ,  120,  /jo4' 

Ftia  ,    città  .  XI,  623. 


Geresto  ,    luogo  .   Ili,  229. 

Giasone  :  passa  da  Scilla  e  Cariddi.  XII  ,  97. 

Giganti,  VII,  269-  Loro  impresa  di  porre  i  monti 
1'  uno   sopra  1'  altro.  XI  ,  ^i5. 

Giove  ,  figlio  di  Saturno  ,  detto  anche  Saturnio.  I , 
16.  Suo  parlamento  con  gli  altri  Dei ,  42-  Udito  il 
parlar  di  Minerva  pel  ritorno  d'Ulisse  ,  determina  che 
sia  esaudita  ,  92.  E  autore  dell'  invenzioni  de'  poeti, 
453.  Manda  due  aquile  per  buono  augurio  a  Tele- 
maco nel  parlamento  de' Proci.  II,  190.  Manda  tem- 
pesta a  Ulisse  e  a'  suoi  compagni.  IX  ,  65.  Detto 
Ospitale  ,  343.  Di  lui  non  curano  i  Ciclopi  ,  349. 
Da  Antiopa  genera  Annone  e  Zeto.  XI  ,  335  e  seg. . 
Padre  d'  Ebe  ,  763.  Promette  al  Sole  di  vendicarlo 
da'  compagni  d'  Ulisse.  XII  ,  496.  Fulmina  la  nave 
d'  Ulisse ,  e  tutti  si  disperdono  ,  536.  Gli  è  fatto  sa- 
gritìzio  d'  un  bue  da  Alcinoo.  XIII  ,  35.  E  suppli- 
cato da'  Feaci  pel  buon  viaggio  d'  Ulisse  ,  70.  Per- 
mette a  Nettuno  che  faccia  impietrire  la  nave  de'  Fea- 
ci che  aveva  ricondotto  Ulisse  alla  patria  ,  T99  e  seg. . 
Fulmine  scagliato  da  lui  nella  nave  d'  Ulisse.  XIV, 
366.  Suo  oracolo  a  Dodona.  XIX  ,  362.  Manda  du- 
plicato augurio  ad  Ulisse ,  che  ne  lo  aveva  richiesto. 
XX,  124.  Pregato  da  Minerva,  si  mostra  favorevole 
ad  Ulisse  ,  XXIV,  606.  Scaglia  un  fulmine  avanti 
Minerva  ,  acciocché  faccia  fermare  Ulisse  dal  com- 
battimento cogli  Itacesi  ,  684- 

Girea  ,   scoglio  di  mare.  IV,  634- 

Giunone,  moglie  di  Giove:  salva  Menelao  dalla 
tempesta.  IV,  641.  Madre  d'Ebe.  XI,  76J.  Fa  pas- 
sar libera  la  nave  d'Argo  da  Scilla  e  Cariddi  per 
amor  di  Giasone.  XII,  96  e  97. 

Gnosso  ,  città  di  Creta.  XIX  ,  220. 

Gorgone.  XI ,  802. 

Gortina  ,  città  di  Creta.  III  ,  379. 


Icario,  padre  di  Penelope.  XI,  563. 

Icmalio.  XIX  ,  68. 

Idomenéo  ,  pache  d'  Orsiloco.  XIII,  3l0.  XIV,  277, 
454.  Era  figlio  di  Dcucalione.  XIX  ,  225. 

Idotca  ,  figlia  del  Veglio  marino  ossia  di  Troteo  : 
insegna  a  Menelao,  come  debba  pigliare  suo  padre, 
acciocché  gli  mostri  il  viaggio.  IV,  t\Qz. 


INDICE 


i3i 


Ifialle.  XI  ,  4<>3. 

Ificle,  indorino.  XI,  376. 

IfimiuV.i ,  moglie  d' Aloco ,  la  quale  di  Nettuno 
partorì  Oto  ed  Efialle.  XI  ,  /joo. 

Ifito  .  XXI,  26.  Ucciso  da  Ercole  ,  3o. 

Ilio,   V.  Troja. 

Ilitia  o  Lucina:  sua  grotta  in  Amniso.  XIX,  2.3^. 

Ino,  figlia  di  Cadmo  in  sembianza  di  folaga  :  con- 
forta Ulisse  nella  tempesta.  V,  425  e  seg-  • 

Iperesia  ,    città  .  XV,  3l2. 

Iperione  ,  soprannome  del  Sole.  I,  12.  XII,  172. 

Ippodamìa  .   XVIII,  227. 

Irò,  povero:  chi  fosse.  XVIII,  9.  Vuol  cacciare 
Ulisse,  12.  Lo  sfida.  Paventa  d'Ulisse,  4°-  Si  batte, 
ed  è  atterralo,   Il5.  Nominato,  284  e  seg.  . 

Ismaro,  citta,  saccheggiata  da  Ulisse.  IX  ,  47,  25l. 

Itaca,  palria  d'Ulisse.  I,  l44>  e  al'rove. 

Itacesi  :  lor  parlamento  per  la  strage  de'  Proci. 
XXIV,  563. 

Itaco  uno  de'  fondatori  d'  Itaca.  XVII  ,  2^6 

Iti,  tiglio  di  Zelo  ucciso  dalla  figlia  di  Pandaro. 
XIX  ,  i?,p. 


Lacedemone  ,   V.  Sparla. 

La  conia  ,   V.  Sparta. 

Laerce  ,  doratore.  Ili,  538.  Indora  le  corna  al  toro 
che  Nestore  fa  sagrificare  a  Minerva  ,  552. 

Laerte,  figlio  d' Arcisio,  e  padre  d'Ulisse:  com- 
pra Euricle'a.  I  ,  55o.  Ulisse  domanda  di  lui.  XV,  43p. 
Lenzuolo  onde  rivolgere  il  suo  cadavero  dopo  la  morte. 
XIX,  180.  XXIV,  l6p.  Alla  sua  magione  giungono 
Ulisse ,  Telemaco ,  il  porcaro  e  '1  bifolco ,  268.  De- 
scrizione del  suo  abito ,  2P7.  Suo  colloquio  con  Ulisse, 
345.  Lo  riconosce  ,  e  mostra  timore  del  risentimento 
degl'  Itacesi  per  la  strage  de'  Proci,  45l.  E  confortato 
da  Ulisse  ;  trova  Telemaco  ;  e,  lavato  ,  apparisce  più 
bello  ,  per  opera  di  Minerva  ,  455  e  seg.  .  S'arma 
contro  gli  Itacesi,  633.  Gode  del  valore  del  figlio 
e  nipote,  fa  prego  a  Minerva  ,  e  uccide  Eupite ,  662. 

Lamo  ,  castello.  X,   108. 

Lampezie  ,  ninfa  ,  figlia  del   Sole  e  di  Neera.  XII, 

i7i,484- 

Laodamante,  figliuolo  di  Alcinoo  :  domanda  a  Ulisse 
se  sia  esperto  in  alcuno  de'  giuochi.  VIII  ,  175.  Ulisse 
lo  esclude  dal  cimento  de'  giuochi  ,  per  essere  suo 
ospite,  276.  Balla,  499- 

Lapiti.  XXI  ,  36x. 

Latona  ,  madre  d'Apollo  e  di  Diana.  XI,  4J7»  723. 

Leda  :  veduta  da  Ulisse  nell'  Inferno.  XI  ,  3po. 

Lenno  ,  castello.  Vili,  378. 

L?ocrito  ,  figliuolo  d'  Evenore  ,  uno  de'  Proci  :  ri- 
prende Mentore.  II  ,  3o2.  E  ucciso  da  Telemaco. 
XXII ,  365  e  seg.  . 

Leode  ,  impotente  a  tender  1'  arco  d'  Ulisse,  e  parla 
a' compagni.  XXI,  187.  E  ripreso  da  Antinoo  ,  2o5. 
Si  raccomanda  a  Ulisse  .  XXII  ,  3p2.  E  ucciso  da 
lui,  418. 

Lesbo,     citta.  XVII,   l5p. 

Lestrigonia  ,  terra.  X  ,  lop.  XXIIF,   4°7> 

Libia  ,  regione.  XIV,  34p- 

Lotofagi  ,  popoli.  IX  ,   I08.  XXIII  ,  394- 


M 


Male'.  ,  o  MalJa.  IV,  643.  IX,  Io3.  XIX,  23a 

Manlio,  fratello  d' Antifate  ,  padre  di  Polifide  e  di 
Clito.  XV,  3o5. 

Marone  d'  Evanteo  ,  sacerdote  di  Apollo  :  dona  un 
otre  di  vino  ad  Ulisse.  IX  ,  249. 

Marte:  suoi  amori  con  Venere.  Vili,  289  e  seg. . 

Medonte ,  rivela  a  Penelope  l' insidie  de'  Proci  con- 
tro Telemaco.  IV,  85^-  Nominato.  XVI ,  288  ,  438. 
XVII,  2o5.  Gli  è  impetrata  la  vita  da  Telemaco.  XXII, 
453  e  seg.  .  Arringa  a  favor  d'Ulisse  tra  gli  Itacesi. 
XXIV,  562. 

Megapente,  figlio  di  Menelao.  XV,  123. 

Megara ,  di  Creonte  :  veduta  da  Ulisse  nell'  Inferno. 

xi,  344. 

Melampo,  uomo  ricco  di  Pilo.  XV,  277. 
Melanto,  XVIII,  398.  XIX,  80. 
Melanzio,  caprajo:  maltratta  Ulisse  suo  padrone  e 
il  porcaro.  XVII,  252.  Va  da  Eurimaco  ,  3lo.  Parla 
a'  Proci  ,  45o.    Maltratta  di  nuovo  Ulisse.  XX ,  220. 
Distribuisce  il  vino  a'  Proci  ,  3l2.  Scalda  1'  unto  per 
ugner.i  l'arco  d'Ulisse.  XXI,  220.  Reca  a' Proci  do- 
dici armadure.  XXII,   167  e  seg..  Sua  morte,   216. 
E  lacerato  da  Telemaco,  dal  bifolco  e  porca jo,  601. 
Menelao  ,    fa    convito    nuziale  ,    quando    Telemaco 
giunge  a  Lacedemone.  IV,  22.  Lo  riceve,  39  e  seg.. 
Si  sdegna  dell'  opere    de'  Proci ,  e  gli  narra   il    fatto 
del   Veglie  marino  ,  44 2-  Promette  doni  a  Telemaco  , 
742.   Suoi  fatti  a  Troja  cantati  da  Demodoco.  Vili, 
655.  Ricordati  da  Ulisse.  XIV,  547  e  se6-  ■    Fregato 
da  Telemaco  di  congedo.  XV,  5  e  seg.  .  Gli  risponde 
benignamente,  63.  Lo  regala,   142.  Mentre  vuol  chia- 
rire l'augurio  d' un' aquila,   è    prevenuto    dalla    mo- 
glie, 210.    Suo    trattamento    a    Telemaco;   si  narra 
1  da  lui  alla  madre.  XVII,     l44  e   seg"    Suo    valore 
rammemorato  dall'  anima  d'Agamennone  a  quella  d'Au- 
:   fimedonte.  XXIV,    l35. 

Mennone  ,  il  più  bello  de' Greci.  XI,  655. 
Mentore  ,  compagno  d'  Ulisse  :  fa  doglianza  nel  par- 
lamento de'  Proci  col  popolo  d' Itaca ,   ed    è    ripreso 
da  Leocrito.  II,  279.  Minerva,  sotto  sembianza  di  lui , 
appare  a  Telemaco ,   338-    Con  lui ,    siccome    amico 
del  padre  ,   s'  asside  Telemaco.  XVII  ,  84>  Sotto  sua 
sembianza  fu  veduta  Minerva  da  Medonte.  XXIV,  567. 
Mera  :  veduta  da  Ulisse  nell'  Inferno.  XI ,  436. 
Mercurio  ,  figliuolo  di  Maja  è  inviato  da  Giove  ad 
Egisto.  1 ,  56.  Proposto  da  Minerva  a  Giove  per  man- 
darlo a  Calipso,  che  dia  libertà  ad  Ulisse,   120.  Gli 
è  commessa  da  Giove   1'  ambasciata.  V,  36.  Va  al  con- 
siglio degli  Dei.  Vili  ,  fól.  Appare  a  Ulisse.  X,  35p. 
Discende    con  Ercole    all'  Inferno  .  XI ,  75p  e  seg.  . 
Sagrifizio  fatto  a  lui   da  Euniéo.    XIV,  496   e    seg.  . 
Protettore  de' ladri.  XIX,  486.    Guida    l'anime   de' 
Proci  all'  Inferno.  XXIV,   I. 

Mesaulio ,  compagno  d'  Eume'o.  XIV,  53g. 
Messene,    città.  XXI,  20. 
Micene  ,    città  .  XXI  ,   l32. 
Mimanta.  Ili  ,  222. 

Minerva  :  prega  Giove  che  assenta  al  ritorno  d'Ulisse. 
1 ,  68.  Va  ad  Itaca  ,  124.  Ricevuta  da  Telemaco  per 
ospite,  177.  Si  finge  Mente  figlio  d'Anchialo.  243. 
Consiglia  Telemaco,  333  e  seg..  Parte  da  lui,  4l4- 
Gli  appare  in  sembianza  di  Mentore.  II,  338.  Pren- 


j3» 


INDICE 


•òe  l'aspetto  di  Telemaco,  ($2,  Fa   addormentare  i 
Proci,  498-  Sotto  forma  di  Mentore  guida  Telemaco  alla 
cave,  523.  Gì' impone  di  andare  a  Nestore.  Ili,  21. 
Liba  a  Nettuno ,  72.  Lascia  Telemaco  da  Nestore ,  e 
parte  simile  ad   aquila  ,    ed    è    riconosciuto    per   Mi- 
nerva ,  fy]i.  Consola  Penelope.    IV,    Io34-    Difende 
Ulisse  nel  consesso  degli  Dei.  V,  7.  Va  a  casa  d'Al- 
cinoo re  de'  Feaci.  VI  ,   3.    Sotto  varie    sembianze  a 
Nausica  figliuola    d'Àlcinoe  ,   ip  e  seg.  .    Ad    Ulisse. 
VII,  20.  AiFeaci.  Vili,   io  e  seg..  Pone    i    termini 
al  gioco  del  disco  ,  256  e  seg.  .  Arbitra  tra  Ulisse  ed 
Ajace    contendenti    1'  armi    d'  Achille.    XI ,    685.    Fa 
che  Ulisse  non  riconosce  Itaca.  XIII ,  232.  Appare  ad 
Ulisse  in  forma  di   pastore,    268.    Se    gli    manifesta, 
354.  Discorre  con  lui  sopra  i  Proci  ,  438.  Trasfigura 
Ulisse,  5o4  e  seg..  Va  a  Lacedemone,  521.  Fa  noto 
a  Telemaco  il  ritorno  del  padre.  XV,  6  e  seg. .    Sa- 
grifizio  fatto  a  lei ,  273.  Appare  ad  Ulisse    e    a   Te- 
lemaco sotto  forma  di  donna ,  ed   è   conosciuta    solo 
da  Ulisse.  XVI ,   l83.  Addormenta  Penelope  ,  e  tras- 
figura Ulisse,  488,  4p5.    Rende  piacevole  Telemaco. 
XVII ,  79.  Fa  che  Ulisse  vada  ad  accattare  da'  Proci, 
44o.  Ingrandisce  Ulisse.  XVIII ,  86.   Induce   Penelo- 
pe apparire  avanti  a'  Proci ,    20.  Addormenta  ,  e  ab- 
bellisce Ulisse ,  232  e  seg.  .    Medita    strage    a'  Proci. 
XIX  ,  2.  Fa  lume  a  Ulisse  e  a  Telemaco ,    43.    Ri- 
prende Ulisse ,  perchè  è  irresoluto   a    vendicarsi  de' 
Proci.  XX,  41-  Lo  addormenta,   66.   Toglie  il  sen- 
no ai  Proci  ,  421.  Inspira  Penelope  che  proponga  ai 
Proci  il  giuoco  di  tirar  1'  arco.  XXI  ,  1.  Porta  1'  ar- 
co d'  Ulisse  a'  Proci ,  75.  Fa  addormentare  Penelope  , 
427-  Appare    a  Ulisse    in    sembianza   di    Mentore  ;  e 
sgridata    da    Agelao  ,    accende    Ulisse    alla    battaglia. 
XXII,  275.  Pigliala  forma  di  rondine,  298.  Mostra 
l' Egida  a'  Proci ,  ed  essi  si  pongono  in   confusione  , 
373.  Rende  beltà  ad  Ulisse.  XXIII ,  iq3  e  seg.  .  Sotto 
sembianza  di  Mentore  fu  veduta  da  Medonte.  XXIV, 
567.  Parla  a  Giove  in  favore  di  Ulisse  ,  600.  Fa  fer- 
mare il  combattimento  fra  Ulisse  e  gl'Itacesi,  670  e  seg. . 
Minosse,  giudica  dell'anime.  XI,  710.  Sua  stirpe, 
XVII,  638.  Regnò  in  Gnosso  nove  anni.  XIX  ,  222. 
Mirmidoni .  Ili ,  244.  XI  ,  623. 
Mulio,  ministro  d' Anfinomo.  XVIII,  521. 

N 

Najadi.  XIII,,  I28,  407. 

Nausica,  figliuola  d'Alcinoo:  parole  di  Minerva  a 
lei.  VI ,  82.  Va  a  lavare  i  panni ,  95  e  seg.  .  Vede 
Ulisse  ,  200  e  seg.  .  L'  accoglie  ,  265  e  seg.  .  Lo  la- 
ida. VIII  ,  609. 

Nauteo.  Vili,  147. 

Neera  :  congiunta  col  Sole ,  generò  Faetusa  e  Lam- 
pezie.  XII  ,  173. 

Neléo.  Ili,  5i7.  XI,  3a6,  366.  XV,  282. 

Neo.  I  ,  aSl, 

Neottolemo ,  figliuolo  d' Achille  :  sue  prodezze  a 
Troja.  XI ,  637,  673. 

Nerico  .  XXIV,  48o. 

Nerito.  XIII  ,  411. 

Nerito  ,  uno  di  coloro  che  fabbricarono  la  fonte 
d' Itaca.  XVII  ,  247. 

Nessuno  ,  nome  con  cui  Ulisse  inganna  il  Ciclope. 

IX  ,  468. 


Nestore  (  detto  Gcrenio  ) ,  riceve  Telemaco  e  Mi- 
nerva sotto  sembianza  di  Mentore.  Ili,  77.  Gì' inter- 
roga ,  96.  Narra  quanto  sa  d'  Ulisse  ,  l3l  e  seg.  . 
Regnò  tre  età  d'  uomini  ,  3l6.  Narra  la  morte  d'Aga- 
mennone ,  3l8  e  seg.  .  Riconosce  Minerva  ,  53o.  Co- 
me trattasse  Telemaco.  XVII ,  l33.  Ritiene  i  Greci , 
che  non  vadano  via  dopo  la  morte  d'Achille.  XXIV, 
71  e  seg.  . 

Nettuno  :  cruciato  con  Ulisse  ,  e  andato  agli  Etiopi , 
non  interviene  con  gli  altri  Dei  al  parlamento  di 
Giove.  I  ,  38.  E  sdegnato  con  lui  ,  per  avergli  ac- 
ciecato  il  Ciclope  Polifemo ,  suo  figliuolo ,  99  e  seg.  . 
Spezza  la  pietra  Girea  per  far  affogar  A j are.  IV,  634- 
Muove  tempesta  a  Ulisse.  V,  373.  Va  al  consiglio 
degli  Dei.  Vili  ,  ^3^..  Cagione  del  suo  sdegno  con 
Ulisse,  manifestatagli  da  Tiresia.  XI,  124.  In  sem- 
bianza del  fiume  Enipéo  genera  da  Tiro  ,  moglie  di 
Cretéo  ,  Pelia  e  Neléo  ,  309.  Poi  da  Ifimidéa  genera 
Oto  ed  Efialte  ,  l\oo.  Si  lamenta  con  Giove  del 
buon  ritorno  di  Ulisse  in  Itaca.  XIII  ,  l54  e  seg.  . 
Vuol  maltrattare  i  Feaci  perchè  hanno  ricondotto  Ulisse 
alla  patria  ,  182.  Fa  impietrire  la  lor  nave,  199.  Sa- 
grifizio  di  dodici  tori  fattogli  da'  Feaci  ,  222.  Miner- 
va non  vuol  contendere  con  lui  eh'  è  suo  zio  pa- 
terno ,  400. 

Niso  ,  figliuolo  di  Arezio  re  e  padre  d'Anfinomo. 
XVI,  422.  XVIII,  157. 

Noto  ,  vento.  XIII  ,   i35. 

o 

Oceano  ,  padre  di  Persa.  X  ,  l83.  Omero  gli  dà  il 
nome  di  fiume.  XI  ,  809.  XII ,  2. 

Ocialo.  Vili,   146. 

Ogigia.  VII,  3l2.  Vi  approda  Ulisse  dopo  la  tem- 
pesta. XII,  584-  XXIII,  426. 

Oicle'o  .   XV,   299. 

Olimpo.  VI,  63.  Detto  invece  del  Cielo,  abitazio- 
ne degli  Dei.   XV,  56.  XVIII,   248.  XIX,   53.  XX, 

95,  132.  xxiv,  448,  620. 

Opi.  I,  549.  Il,  436.  XX,  100. 

Orco  ,  T  Inferno.  X ,  624. 

Orcomeno.  XI  ,  365  ,  58o. 

Oreste,  uccise  Egisto  uccisore  di  suo  padre.  Ili, 
395.  IV,  686.  XI ,  583. 

Orione.  V,  157  ,  352.  Cacciatore  :^sua  pena  nel- 
1'  Inferno.  XI,   716. 

Orsa  ,    costellazione  .  V,  35o. 

Orsiloco.  XXI ,  20. 

Ossa  ,    monte  .  XI ,  4*3. 

Oto,  figliuolo  di  Nettuno  e  d' Ifimidéa.  XI,  4o3. 


Pafo  ,    città  .  Vili  ,  485. 

Pallade,   V.  Minerva. 

Pandaro  :  sua  figlia.  XIX ,  632.  Sue  figlie.  XX  ,  85. 

Panopeo  (luogo).  XI,  724. 

Parche.  VII  ,  258. 

Parnaso.  XIX,  482. 

Patroclo.  Ili,  14L  Sua  anima  veduta  da  Ulisse 
nell'  Inferno.  XI ,  592.  Sue  ossa  riposte  con  quelle 
d'Achille.  XXIV,  io5. 

Pelasgi.  XIX,  219. 


INDICE 

Peleo  ,  1'  anima  d' Achille  domanda  di  lui  ad  Ulisse. 
XI ,  635. 

Pelia  ,  figliuola  di  Nettuno  e  di  Tiro.  XI ,  826. 
Pelio  ,    monte  .  XI  ,  ^i^. 

Penelope,  figliuola  d'  Icario  :  viene  dove  Femio  can- 
ta. I  ,  ^2J.  Intende  da  Medonte  che  i  Proci  vogliono 
ucciderle  il  figlio.  IV,  883.  Suo  lamento  ,  960.  Fa 
prego  a  Minerva ,  962.  Sua  prudenza,  XI  ,  562.  Suoi 
Proci  donde  siano.  XVI  ,  116  e  seg.  .  È  avvisala  del 
ritorno  di  Telemaco  ,  36o.  Si  lagna  co'  Proci  eh'  in- 
sidino la  vita  del  figliuol  suo  ,  441  e  sega  •  Va  in- 
contro a  Telemaco.  XVII ,  ^6.  Domandagli  nuove 
d'  Ulisse  ,  128  e  seg.  .  Sente  dispiacere  che  Ulisse  sia 
stato  percosso  da  Antinoo,  598  e  seg.  .  E  inspirata 
da  Minerva  che  si  presenti  ai  Proci.  XVIII ,  200. 
S'  addormenta  ,  e  di  poi  appare  davanti  ai  Proci,  23^. 
Si  duole  col  figlio  perchè  Ulisse  ,  creduto  da  lei  fo- 
restiero ,  sia  stato  offeso  in  sua  casa  ,  270  e  seg.  . 
Risponde  ad  Eurìmaco  ,  e  narra  ciò  eh*  le  disse  il 
marito  andando  a  Troia,  3ll  e  seg..  E  consigliata  da 
Antinoo  ad  accettare  i  doni  de'  Proci  ,  352.  Siede  al 
fuoco.  XIX  ,  66.  Sgrida  1'  ancella,  ed  interroga  Ulisse, 
Ilo,  125-  Raccontagli  il  fatto  della  tela  ,  182.  Com- 
mette alle  ancelle  che  lo  rivestano  ,  386.  E  ad  Euri- 
cléa  che  lo  lavi,  435.  Narra  un  sogno  a  lui,  ivi. 
Pensa  di  proporre  a'  Proci  il  giuoco  dell'  arco  ,  656. 
Sua  prece  a  Diana.  XX ,  708.  Persuade  Antinoo  a 
non  credere  che  se  Ulisse  tenda  1'  arco  ,  egli  1'  ab- 
hia  ad  avere  per  moglie.  XXI  ,  372.  Risponde  ad  Eu- 
rimaco  ,  e  vuole  che  Ulisse  si  cimenti  a  tender  1'  arco  , 
393.  E  ripresa  dal  figlio  ,  4°8-  Sente  da  Euricléa  che 
Ulisse  era  tornato,  e  che  aveva  ucciso  i  Proci.  XXIII, 
I  e  seg. .  Non  riconosce  per  la  prima  volta  il  ma- 
rito ,  127.  Vede  di  nuovo  Ulisse  ,  e  impone  ad 
Euricléa  che  gli  rifaccia  il  letto  fuori  della  sua  ca- 
mera ,  217.  Riconosciutolo  ,  1'  ahbraccia ,  227.  Gli 
domanda  qual  sia  1'  ultimo  travaglio  pronosticatogli  da 
Tiresia  ,  23o.  Va  a  letto  con  Ulisse  ,  e  discorra  con 
lui  de'  passati  accidenti  ,  372.  E  lodata  dall'  anima 
d'  Agamennone.  XXIV,  249  e  seg. . 

Pereclimeno  ,  figlio  di  Neléo.  XI  ,  371. 
Perimede  ,  compagno  d'  Ulisse.  XI ,  29.  XII,  a58. 
Pero  ,  figlia  di  Neléo.  XI  ,  371. 
Persa  ,  madre  di  Circe.  X  ,   182. 
Perseo  ,  figlio  di  Nestore.  Ili  ,  523* 
Pilj  ,    popoli  .  Ili  ,  45  e  altrove. 
Filo  ,    città  .  HI ,  236  e  altrove. 
Pireo  .  XV,  669.  XVII  ,  67,  92.  XX,  454. 
Piriflegetonte  ,  fiume  dell'  Inferno.  X  ,  654- 
Firitoo.  XI,  797.  XXI,   352. 

Pisandro  ,  figlio  di  Polittore  ,  uno  de'  Proci.  Suo 
regalo  a  Penelope.  XVIII  ,  370.  È  confortato  da  Age- 
lao  a  combattere  contra  Ulisse.  XXII  ,  33i.  E  uc- 
ciso da  Filezio  ,  33o. 

Fisenore.  I  ,  549-  XX  ,  190. 

Pisistrato  ,  figlio  di  Nestore,  riceve  Telemaco.  Ili, 
53.  Lo  accompagna  a  Lacedemone  ,  616.  Giunge  da 
Menelao.  IV,  27.  Gli  mostra  che  Telemaco  è  figlio 
d'  Ulisse  ,  199.  Sollecitato  da  Telemaco  alla  partenza , 
lo  consiglia  a  trattenersi  ,  tanto  che  Menelao  gli  fac- 
cia i  regali.  XV,  63.  Ripone  i  detti  regali,  l65.  Do- 
manda a  Menelao  la  spiegazione  del  vaticinio  dell'  a- 
quila ,  e  di  poi  si  parte  da  lui  con  Telemaco  ,  20  J. 
Conduce    Telemaco  alla  nave ,  2jo  e  seg. . 

tanni 


■33 

Pito  ,    città  .  VIII ,  io?.  XI ,  723. 

Plejadj.  V,  349. 

Plutone,  o  Pluto,  ed  Orco.  X,  624   e    altrove. 

Poliho.  Vili,   5oi. 

Polibo ,  padre  d'  Eurimaco.  XV,  644.  XVI,  469. 
XVIII ,  436.  XXII  ,   3oi.  È  percosso  da  Euméo,  352. 

Policasta.    IH,  592. 

Polidamna.    IV,  295. 

Polifemo.  I  ,  104.  Trova  Ulisse  e  i  compagni  nel 
suo  antro.  IX,  320.  Gli  è  abbruciato  l'occhio  da 
Ulisse,  490.  Chiama  in  ajuto  gli  altri  Ciclopi,  525. 
La  memoria  di  lui  rattrista  i  compagni  d'Ulisse.  X, 
257.  Esempio  di  lui  ,  addotto  da  Ulisse  per  confor- 
tare i  medesimi.  XII,  278.  Suo  fatto  narrato  da 
Ulisse  a  Penelope.  XXIII  ,  396. 

Polifide.   XV,  3o6. 

Polite.  X  ,  291. 

Polilore.  XVII,  247.  XVIII,  370. 

Polluce.  XI,  391. 

Pontéo.  Vili,  148. 

Pontonoo,  coppiere  d'  Alcinoo.  VII,  235.  XIII,  69. 

Priamo,  re  di  Troja.  XI,  536.  XIII,  373. 

Primne'o.  Vili  ,  147. 

Proci:  loro  parlamento  con  Telemaco.  H,  3i.Lo 
beffano  ,  379  e  seg.  .  Si  danno  buon    tempo  in  casa 
d'  Ulisse;  e  intendono  da  Noemone  che  Telemaco  è 
andato    a    Pilo.  IV,  798.    Minerva    parla  di  loro   ad 
Ulisse.  XIII ,  438.  Consumano  i  porci  d'  Ulisse.  XIV, 
2l3.  Insidiano  Telemaco,  2l5.  Loro  numero.  XVI, 
282.  S' attristano  del  ritorno  di  Telemaco,  366  e  seg.  . 
Vanno  intorno  a  Telemaco.  XVII ,  80.  Si  sollazzano , 
199.  Da  essi  accatta  Ulisse  in  sembianza  di  povero  , 
stimolato  a  ciò  fare  da  Minerva,  \\\.    Gli  appella, 
dopo  l'affronto  ricevuto    da  Antinoo  j    ed    essi    sde- 
gnami di  quel  fatto ,    575.  Aizzano    Ulisse  ed  Irò  a 
combattere  insieme.  XVIII  ,  54  e  seg.  .  Fanno  acco- 
glienza ad  Ulisse  per  la  vittoria  eh'  egli  ebbe  su  d' Irò, 
137.  Va  Penelope    da   loro ,  25g  e  seg.  .  La  regala- 
no ,  358  e  seg.  .  Eurimaco  parla  a  loro  contra  Ulis- 
se ,  436.  Sono  sgridati  da  Telemaco,   5ol.  Assomi- 
gliati a  venti  oche ,  che  sognò  Penelope  aver  vedute 
uccidere  da  un'  aquila.  XIX  ,   655    e    seg. .  Augurio 
contro  essi.  XX ,   1^5  e  seg. .    Ulisse    giura  che    sa- 
ranno uccisi  in  breve ,  279.  Augurio  sinistro  per  lo- 
ro,   297.  Telemaco  pon  freno    a'  lor    fatti    e    parole 
contra  Ulisse  ,  370  e  seg.  .  Si  ridono  del  funesto  an- 
nunzio di  Telemaco,  [\21.  Biasimano  Telemaco  d'a- 
ver dato    ricetto  ad  Ulisse  ,  456.  E  lor  proposto   da 
Penelope  il  trarre  1'  arco  d'  Ulisse.  XXI  ,  90.  Si  pro- 
vano a  tenderlo ,  e  non  riesce    loro ,    224.    Parlano 
diversamente  t  vedendo  Ulisse    aver    preso    1'  arco  in 
mano  ,  475  e  seg.  .    Sgridano    Ulisse    perchè    uccise 
Antinoo,  ed  egli    si    manifesta   ad   essi.    XXII,    34. 
Sono  sfidati  da  Ulisse  a  combattere  ,  o  a   fuggire  ;  e  , 
mosso  1'  abbattimento,  molti  ne   restano    uccisi,  82. 
Sono  confortati  a  combattere,  307.  Proci  uccisi,  as- 
somigliati a'  pesci  sparsi  sul  lido  da'  pescatori  ,  483. 
Loro  anime  guidate  da   Mercurio.    XXIV,    2.    Loro 
parenti  muovono  guerra  ad  Ulisse  ,  591  e  seg.  . 
Procri  :  veduta  da  Ulisse  nelT  Inferno.  XI ,  420. 
Proserpina.  X,  612.  XI,  63,  4$4  »  8o3. 
Proteo.  IV,  44°  >  486-  E  preso  da  Menelao,  e  ri- 
sponde alle  sue  domande  ,  583.   Racconta   che    cosa 
è  d'  Ulisse,  680  e  seg. .  XVII ,  167. 
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INDICE 


Proto  ,  uno  de'  Feaci  che  fecero  i  giuochi  ad  Ulis- 
se, vnt ,  148. 
Padda  ■    isola.  Ili ,  220. 


R 

Radamanlo.  VII  ,  !^ì3. 
Resscnorc,    padre     d' Arete 
VII,  196. 

Retro  ,    porto  .  1 ,  262. 


moglie     d' Alcinoo. 


Salmonéo.  XI,  3o2. 

Samo  o  Same  ,    isola  .  IX  ,  29.  XV,  41  c  altrove. 

Scheria,  luogo  de' Feaci.  XIII,   196. 

Scilla.  XII,  Il5,  l5a,  3o8.  Disperde  i  compagni 
d'  Ulisse  ,  325 ,  395  ,  557. 

Sciro.  XI ,  63q. 

Sicilia.  V.  Trinacria. 

Sidone.  XV,   l!fj,  532. 

Sidonj.  IV,  107. 

Sintii.  Vili,  394. 

Sirene.  XII,  52, 206.  Invitano  Ulisse,  2l6.  XXIII,4l7- 

Siria  ,    isola  .  XV,  5ol. 

Sisifo:  sua  pena  nell'Inferno.  XI,  746 

Sole  ,  padre  di  Circe.  X ,  182.  Sua  isola.  XII,  344- 
XIII  ,  288. 

Sparviere  ,  uccello  sacro  ad  Apollo.  XV ,  652. 

Sparta  ,    o    Lacedemone  ,  o  Laconia  ,  città.  XIII  , 

485,  521.  xv,  x.  xvii,  146.  XXI,  17. 

Strazio,  figlio  di  Nestore.  III,  523. 


T 


Tafj ,  popoli.  XIV,  536.  XV,  534-  XVI ,  458. 

Taigeto  ,    monte  .  VI ,   147. 

Tantalo.  Sua  pena  nell'  Inferno.  XI ,  732. 

Tehe.  XI  ,  34o.  XV,  3o4. 

Telefo.  XI  ,  65o. 

Telemaco,  parla  a' -Proci.  I,  478-  Propone  d'an- 
dare a  Sparta.  II  ,  261  e  seg.  .  Fa  preparare  il  vino 
e  la  farina  pel  viaggio  ,  43g  e  seg.  .  Giunge  a  Pilo. 
Ili  ,  5.  Interroga  Nestore  del  padre  ,  120.  Si  parte 
da  Nestore,  e  va  a  Fera  da  Diocle,  6l5.  Arriva  a 
Sparla.  IV,  2.  Ulisse  è  ragguagliato  nell'  Inferno  dalla 
madre  de'  portamenti  di  lui.  XI  ,  234.  E  ammonito 
da  Minerva  che  ritorni  alla  patria.  XV,  2.  Domanda 
congedo  da  Menelao,  107.  Vede  1'  augurio  d'  un'aqui- 
la ,  198.  Si  parte  da  Menelao,  222.  Giunge  a  Fera, 
e  quindi  a  Pilo  ,  227  e  seg. .  Se  gli  raccomanda  Teo- 
dimeno  ,  bandito  d'  Argo  ,  3l4  e  seg. .  Sbarca  in 
Itaca  ,  e  manda  i  compagni  alla  citta  ,  ed  egli  va  alla 
campagna,  616  e  seg..  Vede  uno  sparviere  spennare 
una  colomba  ,  654-  Giunge  dove  sono  Ulisse  ed  Eu- 
méo.  XVI,  i5.  È  accolto  da  Euméo  ,  18.  Non  rico- 
nosce il  padre  ,  54.  Manda  Euméo  ad  avvisare  la 
madre  del  proprio  ritorno,  147.  Non  riconosce  Mi- 
nerva ,  184.  Riconosce  il  padre  ,  244.  Va  alla  città  . 
XVII  ,  3l.  Vede  Ulisse  nel  palazzo  ,  398.  Lo  manda 
a  regalare  di   vivande,  e   gli    commette    che  vada  ad 


accattare  intorno  a' Proci  ,  417-  Sgrida  Antinoo  477  e 
seg.  .  Simula  lo  sdegno  per  la  percossa  data  da  An- 
tinoo a  suo  padre,  592.e  seg..  Starnutisce  gagliar- 
damente ,  659.  Conforta  il  padre  a  combattere  con 
Irò.  XVIII,  73.  Risponde  alla  madre,  283.  Sgrida 
i  Proci,  5oi.  Rimove  dal  solito  luogo  1' armi  del  pa- 
dre. XIX  ,  4  e  seg.  .  Domanda  ad  Euricle'a ,  come 
sia  stato  trattato  Ulisse  di  mangiare  e  di  dormire. 
XX  ,  168.  Va  al  parlamento  de'  Proci ,  l85.  Alluoga 
a  tavola  Ulisse  appartato,  3l5.  Impone  a'  Proci  che 
non  l'offendano,  324.  Riprende  Ctesippo,  35l,  J7I. 
Esorta  i  Proci  a  trarre  1'  arco  d'  Ulisse.  XXI ,  i3g. 
Dice  a  Penelope  di  guardare  al  lavoro  delle  donne  , 
e  che  egli  avrà  il  pensiero  dell'  arco  ,  408.  Uccide 
Anfinomo.  XXII  ,  114.  Reca  armi  al  padre  ,  al  por- 
caio e  al  bifolco  ,  l36  e  seg.  .  Uccide  Euriade,  329. 
Ferito  da  Anfimedonte ,  lo  ripercuote ,  340  e  seg. . 
Impetra  la  vita  a  Femio  ed  a  Medonte  ,  437  ,  4^" 
Coli'  ajuto  del  bifolco  e  del  porcajo  impicca  le  don- 
ne malvage  di  casa  ,  585  e  seg.  .  Fa  strazio  di  Me- 
lanzio,  6ol.  Sgrida  la  madre  ,  perchè  rimane  stupi- 
da la  prima  volta  che  vede  Ulisse.  XXIII  ,  127.  Gli 
è  mostrato  da  Ulisse  il  modo  di  salvarsi  per  1'  ucci- 
sione de'  Proci  ,  i65.  Fa  restare  il  ballo  ,  373.  Ar- 
matosi ,  parte  col  padre  dalla  città,  ly]l>  Suoi  fatti 
nella  strage  de'  Proci  narrati  dall'  anima  d'Anfime- 
donte  a  quella  di  Agamennone.  XXIV,  160  e  seg. 
Prepara  da  mangiare  a  suo  padre  ,  460.  S' arma  «on 
esso  contro  gì'  Itacesi  ,  64l ,  645. 

Telemo.  IX  ,  655. 

Tenedo  ,    isola  .  Ili  ,  204. 

Teoclimeno  ,  bandito  d'Argo  ,  s'appressa  a  Tele- 
maco ,  dopo  essersi  imbarcato  per  Itaca  :  e  narrasi  la 
sua  discendenza  ;  domanda  a  Telemaco  chi  sia  ,  e  lo 
supplica  di  protezione.  XV,  3l4  e  seg.  .  Gli  prono- 
stica in  suo  favore  1'  augurio  dello  sparviere  .  656. 
Lo  riferisce  a  Penelope.  XVII,  180.  Annunzia  casi 
funesti  a'  Proci.  XX  ,  427.  Minacciato  da  Eurimaco  , 
parte  ,  e  va  a  Pire'o  ,  445» 

Teseo,  amante  d'Arianna.  XI,  421.  Compagno  di 
Piritoo  ,  797. 

Tesproti.  XIV,  375,  e  altrove. 

Teti ,  interviene  all'  esequie  del  figlio  Achille. 
XXIV,  75  e  seg.  . 

Tidéo  ,  padre  di  Diomede.  Ili ,  2l5. 

Tiudaro,  marito  di  Leda.  XI,  3go.  Sua  figlia. 
XXIV,  2.58. 

Tiresia,  Tebano ,  indovino.  X,  616.  Suo  discorso 
con  Ulisse.  XI ,  123.  Rammentato.  XII,  34$.  XXIII, 

320  ,   [\12. 

Tiro,  figlia  di  Salmonéo,  e  moglie  di  Cretéo.  XI, 
3ol  ,  3o2. 

Tizio.  VII ,  412-  Sua  pena  nell'  Inferno.  XI,  721. 

Toante  ,  figlio  d'  Andremone,  compagno  d'  Euméo. 
XIV,  536. 

Tono  ,  marito  di  Polidamna.  IV,  296. 

Toone  ,  uno  de'  Feaci  che  fecero  i  giuochi  ad 
Ulisse.  VIII  ,  148. 

Tracia.  Vili  ,  483.  * 

Trasimede,  figlio  di  Nestore.  III,  57',  524-  Sa- 
crifica un  toro  a  Minerva  ,  56o. 

Trinacria  ,  cioè  Sicilia  ,  isola.  XI  ,    l'i  »• 

Troja  ,  o  Ilio,  città.  I,  4^9  c  altrove  più  volte. 


INDICE 


i3S 


u 

Ulisse  :  Minerva  t?  interpone  a  favor  suo  nel  par- 
lamento degli  Dei  ,  acciocché  Giove  gli  faccia  dare 
da  Calipso  la  libertà  ,  e  possa  ritornare  alla  patria. 
I  ,  66  e  seg.  .  V,  l5  e  seg.  E  congedato  da  Calipso, 
20^.  Fabbrica  la  nave  per  la  partenza  ,  3l3.  Patisce 
tempesta  ,  373  e  seg.  .  E  sovvenuto  da  Ino,  ^25  e 
seg.  .  Fa  prego  alla  foce  d'  un  fiume  ,  578.  S'  addor- 
menta,  641.  Si  desta.  VI,  171.  Parla  a  Nausiea ,  da 
cui  è  fatto  rivestire  ,  280  e  seg.  .  Prega  Minerva  , 
447-  Ella  gli  vien  incontro  in  forma  di  verginella. 
VII ,  36.  Egli  si  presenta  ad  Alcinoo  e  ad  Arete , 
189.  Narra  quanto  gli  avvenne  dopo  essere  approdato 
all'  isola  Ogigia  ,  fino  che  giunse  in  Feacia  ,  3o8  e 
seg. .  Fa  prego  a  Giove  ,  42°-  Giuoca  al  disco.  Vili, 
219  e  seg. .  E  regalato  da  Alcinoo  ,  540.  Si  lava , 
600.  Regala  a  mensa  Demodoeo  ,  628.  Quello  che 
fece  nell'incendio  di  Troja,  655.  Si  manifesta  ad 
Alcinoo  |  e  narra  i  suoi  accidenti.  IX ,  22  e  seg.  . 
Racconta  de'  compagni ,  78  e  seg.  .  E  come  accieca 
il  Ciclope  e  ne  scampò  ,  4°5  e  seg. .  Entrato  in  mare, 
insulta  il  Ciclope,  614.  Sacrifica  a  Giove  ,  70^.  Giu- 
gne  all'isola  Eolia.  X,  f.  Spinto  dalla  tempesta  ri- 
torna in  Eolia ,  74*  E  sgridato  da  Eolo  ;  e  di  poi  va 
nel  paese  de'  Lestrigoni ,  94  e  se8-  •  Arriva  nelP  isola 
di  Circe  ,  178.  Prende  un  cervo  ,  2o3  e  seg.  .  Mer- 
curio lo  instruisce  contro  gì*  iocanti  di  Circe ,  35g  e 
seg.  .  Gli  è  intimato  da  essa  il  viaggio  all'  Inferno  , 
608  e  seg.  .  Giugne  a'  popoli  Cimmerj ,  e  sagrifica 
a'  morti.  XI  ,  3o  e  seg.  .  Gli  appariscono  1'  anime  , 
46.  Gli  appare  Tiresia  ,  123.  Vede  sua  madre  che 
lo  informa  de'  fatti  di  sua  casa  ,  186  e  seg.  .  Gli  ap- 
pariscono altre  donne  ,  291.  Vede  t  anime  d'  Achille, 
Patroclo  ,  Antiloco  e  Ajace  ,  590.  Fa  seppellire  El- 
penore  ,  XII  ,  16.  Tornato  dall'  Inferno  ,  e  incontra- 
to da  Circe ,  che  gli  predice  l' incontro  delle  Sirene  , 
21  e  seg.  .  Di  Scilla  e  Carridi,  112  e  seg.  .  Narra 
a'  compagni  quello  che  gli  ha  detto  Circe,  201.  Tro- 
va Scilla  e  Cariddi  ,  3o8.  Vieta  a'  compagni  di  toc- 
care gli  armenti  del  Sole  ,  382.  Sta  un  mese  ncll'  isola 
del  Sole,  418.  Soffre  tempesta,  525.  Approda  all' i- 
sola  Ogigia  ,  584-  Si  congeda  da  Alcinoo.  XIII  .  79. 
S'  addormenta  nella  nave  e  così  addormentato  è  posto 
sul  lido  d'  Itaca  ,  100  e  seg. .  Destatosi ,  non  rico- 
nosce la  patria  ,  229.  Gli  appare  Minerva  da  pastore  , 
a  cui  dice  d'  esser  fuggitivo  ,  per  avere  ucciso  Orsi- 
loco  ,  268  e  seg.  .  Minerva  si  manifesta  a  lui  ,  339. 
Riconosce  il  suo  paese ,  e  prega  le  Ninfe  Najadi , 
4l3.  Ripone  nella  loro  grotta  i  doni  de'  Feaci  ,  429. 
E  trasfiguralo  da  Minerva  ,  5o4-  Va  dal  porcaro.  XIV  , 
4.  Finge  essere  spurio  di  Castore  Ilacide  ;  e  narragli 
un  suo  trovato  ,  226  e  seg.  .  S'  addormenta  ,  621.  Fa 
prova  del  porcaro.  XV,  377.  È  veduto  dal  figlio  ,  e 
creduto  forestiero.  XVI  ,  65  e  seg.  .  Parla  minacce- 
volmente  contro  a'  Proci  ,  io3  e  seg. .  Vede  Miner- 
va in  forma  di  donna,  che  lo  torna  nel  suo  primi- 
tivo sembiante  e  gì' impone  di  palesarsi  al  figlio  ,  l83 
e  seg.  .  Si  manifesta  ,  216.  Ordina  a  Telemaco  come 
debba  contenersi  co'  Proci ,  3l6.  Minerva  di  nuovo 
trasformalo  ,  acciocché  non  sia  riconosciuto  dal  por- 
caro ,  4g5.  Va  alla  città.  XVII,  327.  È  maltrattato 
da  Melanzio ,  suo  caprajo  ,  zi'5.  Giunge   al    suo  pa- 


lazzo ,  3i5.  Gli  è  ordinato  da  Telemaco  di  accattare 
da'  Proci  ;  ed  è  stimolato  a  ciò  da  Minerva ,  (i2\  , 
44°-  Domanda  limosina  ad  Antinoo  ,  5o2.  Maltrattato 
da  Irò,  gli  risponde  coraggiosamente  e  si  batte  con 
lui  e  lo  vince.  XVIII,  12  e  seg.  .  E  regalato  d'un 
ventriglio  da  Antinoo,  146.  È  sgridato  da  Melanto, 
ed  ei  si  risente,  407,  421-  Suo  alterco  con  Eurima- 
co  ,  436,  454-  Si  rifugia  da  Anfinomo,  487.  Ordina 
a  Telemaco  che  riveda  le  sue  armi.  XIX  ,  4»  Sgri- 
dato un'  altra  volta  da  Melanto ,  80.  Risponde  a  Pe- 
nelope che  lo  interroga  di  sua  condizione,  128  e  seg. . 
Rifiuta  iV  essere  lavato  da  damigelle  giovani ,  4,9« 
Mentr«  è  lavato  da  Euricléa  ,  questa  lo  riconosce  per 
la  cicatrice  d'  un  morso  fattogli  già  da  un  porco  nella 
caccia ,  480  e  seg.  .  Le  impone  silenzio  ,  590.  Me- 
dita come  debba  punire  i  Proci ,  e  le  sue  donne. 
XX  ,  8  e  seg.  .  E  sgridato  da  Minerva  ,  43-  E  fatto 
addormentare  da  lei  ,  66.  Ottiene  da  Giove  un  au- 
gurio ,  l3l.  Risponde  ad  Euméo  intorno  a' Proci, 
2l3.  È  di  nuovo  maltrattato  da  Melanzio,  222.  Pre- 
dice a  Filezio  e  giura  che  presto  saranno  uccisi  i 
Proci,  283.  Scansa  un  colpo  scagliatogli  da  Ctesippo, 
364-  Arco  e  dardi  donati  ad  Ulisse  da  Ifito.  XXI  , 
16.  Esamina  la  fedeltà  del  porcaro  e  del  bifolco,  232. 
Ordina  al  porcaro  di  dargli  1'  arco  quando  lo  chie- 
derà ,  e  di  far  serrare  dalle  donne  le  porte  della  ca- 
sa ,  282.  Tende  il  suo  arco  e  lancia  il  dardo  senza 
fallire  490  e  seg. .  Uccide  Antinoo.  XXII  ,  19.  Ri- 
sponde ad  Eurimaco  ,  sfidando  a  combattere  tutti  i 
Proci,  82.  Uccide  Eurimaco  ,  100.  Uccide  molti  Pro- 
ci ,  147.  Commette  a  Euméo  ed  a  Filezio  di  sospen- 
dere Melanzio  al  palco  ,  207  e  seg. .  E  incoraggiato 
da  Minerva  ,  in  sembianza  di  Mentore  ,  260.  Uccide 
Demoptolemo  ,  327.  Gli  è  chiesta  la  vita  da  Leode  , 
392.  L'  uccide ,  4o6.  La  concede  invece  a  Femio ,  454- 
Domanda  a  Euricléa  quali  sieno  state  in  casa  sua  le 
donne  ree  e  le  buone  ,  325.  Fa  portar  via  i  morti 
e  ordina  che  le  donne  ree  siano  di  poi  uccise,  55l. 
Purga  la  casa  col  zolfo  ,  625.  E  accolto  dalle  donne, 
629.  Si  lascia  vedere  da  Penelope ,  che  non  lo  ri- 
conosce. XXIII  ,  109  e  seg.  .  Propone  a  Telemaco 
d'  uscire  della  città  ,  l5l.  E  lavato  da  Eurinome  :  e, 
profumato,  si  presenta  di  nuovo  a  Penelope,  200. 
Si  meraviglia  che  da  lei  gli  sia  fatto  accomodare  il 
letto  fuor  di  camera  ;  e  le  descrive  il  proprio  letto , 
223.  Le  racconta  il  pronostico  di  Tiresia  ,  320.  Va 
a  letto  con  Penelope,  371.  Le  racconta  i  passali  tra- 
vagli ,  386.  S'  addormenta  ,  4-'>9-  Destato  ,  ordina  a 
Penelope  che  governi  la  casa:  ed  egli,  armatosi  con 
Telemaco  ,  il  bifolco  ed  il  porca jo  ,  esce  della  città  , 
456  e  seg.  .  Giunto  alla  tenuta  di  Laerte  ,  manda 
Telemaco  e  i  servi  a  provvedere  da  cena  ;  ed  ei  s'ac- 
cinge a  far  prova  se  il  padre  lo  riconosca.  XXIV,  281. 
Risponde  al  padre,  e  si  finge  figliuolo  del  re  Afidante, 
386.  Si  manifesta  al  padre,  \i\.  Itacesi ,  che  sotto 
la  guida  d'Eupite,  si  muovono  contro  di  lui;  e  Mi- 
nerva prega  Giove  a  favore  d'  Ulisse  ,  600.  Si  batte 
con  gì'  Itacesi  ,  G66.  A'  cenni  di  Minerva  depone 
1'  armi  ,  e  fa  lega  col  suo  popolo  ,  692. 


i3fi 


INDICE 


Veglio  Marino.    V.  Proteo. 

Venere  con  Marte.  Vili  ,  391.  Lavata  dalle  Gra- 
fie ,  487-  Mentovata.  XX,  89. 

Vulcano  ,  prende  colla  rete  Marte  e  Venere.  Vili, 
36l  e  seg. .  Suoi  lavorìi  XV,  146.  XXIV,  lo3. 


Zacinto ,  isola.  IX,  3o  e  altrove. 
Zefiro  ,  vento.  X  ,  38  e  altrove. 
Zeto  ,  re.  XI  ,  337.  XIX  ,  638, 


FINE  DELL'  ODISSEA 


LE 


POESIE  CAMPESTRI 


EVt/  àatyvcci  Tt)vsi ,  irti  pai/vai  xvnxpty^òi , 
E'yti  ptXott;  xiraòs  ,  tvr'  afirrékis  ó.  yXvxi/Kxprros , 
E'vrì  u/i/p^oò»  u$wp. 


LETTERA    DELLA    CONTESSA    ELISABETTA    MOSCONI 
ALLA    CONTESSA    TEODORA    POMPEI 


Et  coti,  amabilissima  amica,  i  Versi  che  io  v'  ho  promesso.  Era  per  mandarteli  manoscritti,  non  consi- 
stendo la  mia  promessa  che  in  darteli  a  leggere  :  ma  finalmente  aeendo  dall'  Autore  ottenuto  di  farne  quello 
che  più  m' aggrada ,  volli  nel  tempo  stesso  soddisfare  ad  un  altro  piacer  mio  ;  che  è  di  eedere  in  istampa 
cose  per  me  leggiadrissime  ,  e  le  quali,  contro  il  parer  del  troppo  incontentabile  Autore,  a  me  sembrano  de- 
gnissime della  stampa.  Sapete  ch'egli  compose  questi  persi  l'  anno  1 783  nella  sua  amena  solitudine  di  Ate- 
sa,  e  in  tempo  che  una  scomposta  salute  minacciata  non  leggermente ,  benché  di  lontano ,  i  suoi  giorni.  Egli 
atra  fatto  de'  tersi  più  robusti  e  più  datti  ;  ma  di  più  patetici,  di  più  soati ,  di  più  secondo  il  mio  cuore 
e  il  mio  gusto  ,  non  ne  fece  egli  certo.  Troterete  sparsa  in  più  luoghi  quella  dolce  melanconia  che  tanto  a 
me  piace  ,  espresso  in  altri  t  affetto  più  nobile  e  puro,  e  spesso  le  pitture  campestri  tramezzate  dalle  rifles- 
sioni morali  naturalissimamente  j  oltre  la  sodezza  del  pensare  e  V  eleganza  dello  stile ,  così  proprie  di  lui 
P  una  e  l'altra.  In  una  parola,  son  certa  che  toi  apprezzerete  tal  dono,  e  che  gli  altri  mi  sapran  grado 
eh'  io  tei  faccia  con  le  stampe  piuttosto  che  in  altra  maniera.  Ma  non  tiglio  trattenerti  più  lungamente  dal 
passare  a  gustarlo  :  non  taglio  far  questa  tolta  ciò  che  far  soglio  sì  spesso  e  sì  tolentieri  j  parlarti,  cioè, 
della  tostra  bellezza  ,  della  grazia  ,  della  modestia  e  di  quel  vostro  cuore  così  gentile  e  ben  fatto.  Possiate , 
amabilissima  Amica ,  malgrado  sì  pericolose  qualità,  viver  sempre  felice,  dal  che  dipende  in  grandissima 
parte  la  stessa  felicità  mia. 

Verona,  io  gennajo  ,  178S 


LA    SOLITUDINE 


Jtien  d1  un  caro  pensier  che  mi  rapiva, 
Giunto  io  mi  vidi  ove  sorgean  d'  antica 
Magion  gli  avanzi  su  deserta  riva. 

Cinge  le  mura  intorno  alta  l'ortica, 
E  tra  le  vie  della  cornice  infranta 
L'arbusto  fischia  e  tremola  la  spica. 

Scherza  in  cima  la  vite,  o  ad  altra  pianta, 
In  giù  cadendo,  si  congiunge  e  allaccia, 
E  di  ghirlande  il  nudo  sasso  ammanta: 

E  con  verde  di  musco  estinta  faccia 
Sculto  Nume  qui  giace,  e  l1  umil  rovo 
Là  gran  pilastro  rovesciato  abbraccia. 

M'arresto;  e  poi  tra  la  folt'erba  movo: 
Troppo  di  cardo  0  spina  al  pie  non  cale, 
E  nel  vóto  palagio  ecco  mi  trovo. 

Stillati  le  volte  ,  e  per  l1  aperte  sale 
Passa  ululando  l'Aquilon  ,  né  tace 
Nel  cavo  sen  dell1  oziose  scale. 

E  pender  dalle  travi  odo  loquace 
Nido,  entro  cui  tenera  madre  stassi 
I  frutti  del  suo  amor  covando  in  pace. 

Quindi  sul  campo  con  gli  erranti  passi, 
Per  via  diversa  della  prima  io   torno  : 
Veggo  persona  tra  i  cespugli  e  i  sassi. 
Pmdemokti 


Sedea  sovra  il  maggior  masso,  che  un  giorno 
Sorse  nobil  metà  d'alta  colonna: 
Abbarbicata  or  gli  è  l'edera  intorno. 

M'appresso;  ed  era  ossequi'abil  Donna: 
Scendea  sul  petto  il  crine  in  due  diviso , 
E  bianca  la  copria  semplice  gonna. 

Par  che  lo  sguardo  al  ciel  rivolto  e  fiso 
Nelle  nubi  si  pasca ,  e  tutta  pósi 
L'alma  rapita  nel  beato  viso. 

Chi  sei?  le  dico;  ed  ella,  i  rai  pensosi 
Chinando,  Solitudine  m'appello. 
0  Diva,  sempre  io  t'  onorai,  risposi. 

Mettea  dal  mento  appena  il  Gor  novello; 
Ed  uscendo  (tu  sai  che  parlo  il  vero) 
Dal  folleggiar  d'un  giovani!  drappello, 

In  disparte  io  traeva;  e  se  un  sentiero 
Muto  e  solingo  a  me  s'  apria ,  per  esso 
Mi  lasciava  condur  dal  mio  pensiero. 

Poscia  delle  città  lodai  più  spesso 
Rustico  asilo,  e  più  che  loggia  ed  arco, 
Piacquemi  un  largo  faggio  e  un  brun  cipresso.  - 

Questo  so  ben  :  ma  che  sovente  al  varco 
Un  Nume  t'aspettò,  pur  mi  rammento, 
liispose,  e  che  per  te  sonar  fé' l'arco. 
'9 


.36 


LE  POESIE 


E  stato  fora  allor  parlar  col  vento 
Il  parlarti  de1  campi,  e  morte  stato 
Far  un  passo  lontan  dal  tuo  tormento. 

Ma  tutto  de'  tuoi  giorni  era  il  gran  fato 
Seguir  la  tua  giovine  Maga,  e  meno 
Curar  la  vita,  che  lo  starle  a  Iato, 

E  dal  torbido  sempre  o  dal  sereno 
Lume  degli  occhi  suoi  pendendo,  berne 
L".ncendi'oso  lor  dolce  veleno.  — 

È  vero,  è  ver:  ma  chi  mirar  l1  eterne 
Può  in  man  d'amor  terribili  quadretta, 
E  non  alcuna  in  mezzo  al  cor  tenerne, 

S'egli  al  fianco  si  pon  d'una  donzella  , 
Che  ad  una  fronte,  che  qual  astro  raggia, 
Giunga  in  sé  stessa  ogni  virtù  più  bella; 

Che  modesta  ci  sembri,  e  non  selvaggia, 
Varia,  né  mai  volubile;  che  l'ore 
Viva  tra  i  libri,  e  pur  rimanga  saggia? 

Ora  l'età,  l'esperienza,  e  il  core 
Già  stanco,  ed  il  pensier,  che  ad  altro  è  vólto, 
Di  me  stesso  potran  farmi  signore.  — 

Sorrise  allor  sorriso  tal,  che  al  volto 
Senza  tor  maestà  crebbe  dolcezza  , 
La  casta  Diva;  e  così  dir  l'ascolto: 

Molti  di  me  seguir  punge  vaghezza; 
Ma  vidi  ognor,  come  a  poche  alme  infondo 
Fiamma  verace  delta  mia  bellezza. 

Alcun  mi  segue ,  perchè  scorge  immondo 
Di  vizj  e  di  viltà  quantunque  ei  mira: 
Questi  non  ama  me,  detesta  il  mondo. 

Non  ama  me  chi  del  suo  Prence  l' ira 
Contro  destossi,  ed  in  romita  villa 
Esule  volontario  il  pie  rilira; 

Ma  la  luce  del  trono,  onde  scintilla 
Su  lui  non  balza,  egli  odia;  odia  l'aspetto 
Del  felice  rivai  che  ne  sfavilla  : 

Non  chi  la  lontananza  d'un  oggetto 
Piange,  che  prima  il  fea  contento  e  pago, 
E  gli  trasse  partendo  il  cor  del  petto; 

Ma  d'un  romito  ciel  si  mostra  vago, 
Per  poter  vagheggiar  libero  e  oscuro 
Pinta  nell'aere  l'adorata  imago. 

Questi  voti  d'un  cor,  che  non  è  puro, 
Odio;  e  di  lui,  che  in  me  cerca  me  stessa, 
Solo  gli  altari  e  i  sagrifizi  io  curo. 

Ma  quanto  a  pochi  è  dagli  Dei  conc«sa 
Alma  che  sol  di  sé  si  nutre  e  pasce? 
Che  ogni  dì  che  a  lei  spunta,  è  sempre  dessa? 

Che  ognor  vive  a  sé  cara  ?  Uom  che  le  ambasce 
Del  rimorso,  torcendo  in  sé  la  vista, 
Paventerà,  questi  per  me  non  nasce. 

Questi  sol  qualche  ben  nel  vario  acquista 
Tumulto,  perchè  in  lui  strugge  e  disperde 
La  conoscenza  di  sé  stesso  trista. 

Ma  su  lucido  colle,  o  per  la  verde 
Notte  d'un  bosco,  co' pensieri  insieme, 
E  co1  suoi  dolci  sogni,  in  cui  si  perde, 

Passeggia  il  mio  fedele;  e  duol  noi  preme, 
Se  faccia  d'  uom  non  gli  vien  contro  alcuna, 
Perchè  sé  stesso  ritrovar  non  teme. 

E  nel  silenzio  della  notte  bruna 
Estatiche  fissar  gode  le  ciglia 
Nel  tuo  volto  soave,  o  argentea  Luna; 

E  per  l'ampia  degli  astri  aurea  famiglia 
Gode  volar,  di  mondo  in  mondo  passa, 
Passa  di  meraviglia  in  meraviglia. — 


Levando  allor  la  fronte  trista  e  bassa, 
Deh!  grido,  se  ti  spiace  il  culto  mio, 
E  che  pensi  di  me,  saper  mi  lassa. — 

Il  tuo  culto  sprezzar,  no,  non  poss'ioj 
Ma  scosso  appena  delle  gialle  fronde 
Avrà  l'Autunno  il  lor  ramo  natio, 

Che  tu  darai  le  spalle  a  queste  sponde, 
E  d'altro  filo  tesserai  la  vita 
Ove  città  sovrana  esce  dell'onde. 

Né  però  dal  tuo  core  andrà  sbandita 
La  voglia  di  tornare  al  bosco  e  al  campo, 
Tosto  che  torni  la  stagion  fiorita. 

E  se  noi  vieta  di  due  ciglia  il  lampo, 
Se  una  dolce  eloquenza  non  ti  lega: 
Ti  rivedrò;  né  temo  d'altro  inciampo. — 

Ciò  detto,  in  pie  levossi;  ed  io:  Deh  !  spiega  , 
Se  ancor  mi  s'apparecchia  al  core  un  dardo. 
Ella  già  mossa:  Il  labbro  tuo  mi  prega 

Di  quel  che  dubbio  pende  anco  al  mio  sguardo. 


AL   CAVALIERE 


CLEMENTINO  VANNKTTI 


A  Roveredo 


\J  dementino,  del  cadente  onore 
Dell'Italico  slil  fermo  sostegno, 
Sotto  qual  ombra  le  lunghe  ore  estive 
Vai  sagace  ingannando?  Obblio  ti  prese 
Di  Pindo  amato?  O  la  sonante  cetra 
Scotendo  vai,  pien  di  furor  giocondo, 
E  immemore  del  tuo  fedele  Amico, 
Che  né  lieto  né  mesto  per  le  belle 
Avesanc  colline  si  raggira, 
E  legge  tua  gentil  Prosa,  che  adorna 
Del  chiaro  tuo  concittadin  le  Rime  *  ? 
Scuri  cipressi,  che  a  quel  colle  in  cima 
Fate  dell'  Eremita  al  sacro  albergo 
Di  triste  e  pur  soavi  ombre  corona, 
Sapete  voi,  se  dell'Amico  il  nome 
Odon  queste  fontane  e  queste  rupi, 
O  che  1'  orientai  Sole  dispieghi 
Tutta  la  pompa  dell'ardente  luce, 
O  che ,  in  partendo  ,  le  montane  cime 
Pinga  ed  inauri  di  più  dolce  foco. 
Sapele  ancor,  se  dal  frondoso  ramo 
Staccai  per  altri  le  sonore  corde 
Dal  dì  che  la  pietosa  arte  di  Coo 
Dure  leggi  m'impose,  e  vietò  il  caro 
Succo  dell'uva,  allegrator  dell'alme, 
E  di  note  Febèe  maestro  altero. 
Ma  tazza  colma  di  salubre  latte 
Mi  viene  innanzi  sul  mattin   rosato, 
E  sul  caldo  meriggio  in  gelici'  acque 
Mi  raccapriccio:  indi  m'assido  a  mensa, 
Non  che  frugai,  presso  che  nuda,  e  quale 
Non  disdirla  d'  uom  penitente  al  labbro. 
Oh!  quando  fia  che  ritornare  io  veggia 

i  Epistola  che  serve  ili  prefazione  alle  Rime  di  Giro- 
lamo Tarlarotti,  diretta  a  Paolina  Grismondi. 


,3a 


(Come  tutta  di  brame  e  di  speranze 

Si  regge,  e  si  mantien  nostra  natura) 

Autunno  pampinoso,  il  qual  per  mano 

Tenga,  e  rimeni  a^ie  l'alma  Salute, 

Vaga  Dea,  se  a  noi  mostra  il  roseo  volto, 

Dea,  se  da  noi  l1  asconde ,  ancor  più  vaga. 

Liete  vendemmie  allor  faremo:  al  suono 

De1  crepitanti  cembali,  ed  a  quella 

Di  rurale  canzou  grazia  selvaggia, 

Con  Lalage  e  con   Delia,  unite  al  coro 

Delle  contadinelle,  quasi   Dive 

Tra  mortali  fanciulle  ,  allegri  balli 

Condur  saprò:  di  Bacco  i  rossi  doni 

Succederanno  ai  candidi  di  Pale, 

E  allor  Ga  tempo  da  stancar  la  cetra. 

Intanto  giovi  a  me  questo  securo, 

Clie  ingannare  non  sa,  viver  tranquillo, 

E  i  piacer  solitarj  ,  onde  son  citilo; 

Contento  pur,  se  alle  mie  nari  il  grato 

Odor  dell1  ammontata  erba  recisa 

Recan  le  passeggiere  aure  cortesi  ; 

Se  al  vicin  figgio,  sotto  conscia  notte, 

Memore  l1  usignuol  farà  ritorno , 

Non  imparate  a  scior  musiche  voci , 

Gli  amor  suoi  gorgheggiando  e  i  miei  diletti. 

Qualunque  vita,  sia  ridente  o  grave, 

Tumultuosa  o  cheta,  oscura  o  chiara, 

Porta  in  se  stessa  i  suoi  piaceri,  e  il  folle, 

Che  d'altri  beni  vuole  ornarla,  sempre 

Del  piacer  troverà  maggior  P  affanno. 

O  cieca  stirpe  di  Prometeo,  quando 

Di  gridar  cesserai  contro  le  date 

Sorti  ineguali?  Un  comun  senso,  Amico, 

E  un  contento  comune  havvi  non  meno, 

Ed  in  ogni  destin,  quant1  uomo  il  puote, 

Felice  è  l'uom;  sol  che  virtù   non  fugga: 

Virtù,  Ninfa  bellissima,  che  a  tazze 

Bee,  dove  nulla  mai  d'amaro  ha    il    dolce, 

Che  del  par  gode  se  riceve  o  dona. 

Danzar  la  vedi?  Un  fortunato  evento 

Coronò  l'opra  che  da  lei  tentossi. 

Ebbe  triste  novelle?  Oscura  doglia 

Non  spiega  in  fronte;  e  se  talvolta  piange, 

Non  è  letizia  d'altra  Ninfa,  o  riso, 

Che  più  soave  di  quel  pianto  sia, 

Di  quel  pianto  onde  torna  anche  più  bella. 

Suda,  né  stanca  è  mai;  ricca,  ma  parca, 

Fruisce  il  ben,  né  però  sazia  resta. 

Nulla  le  manca  :  che  bramar  non  puote 

Ch1  esser  più  bella  ancora  ,  e  sol  che  l'aggia 

Bramato,  ei  basta;  già  più  bella  è  fatta. 


AL  SIGNOR 

GUGLIELMO    PARSONS 


GENTILUOMO      INGLESE 


A  Firenze 


Lioncittadin  di  Pope ,  e  di  Miltono 
Degno  concittadin,  che  d'Arno  in  riva 
Guidi  per  mano  le  Britanne  Muse, 
E  col  bel  suon  delle  straniere  voci 


verde. 


CAMPESTRI 

Ogni  attonita  «vegli  eco  Toscana, 
O  Guglielmo,  mia  cura,  e  in  questa 
Ov'or  men  vivo,  solitaria  piaggia, 
Lungo  alla  pensierosa  alma  soggetto, 
M'é  dolce  il  flebil  suon  d'un  ruscel  lento, 
Dolce  la  gaja  musica  del  bosco , 
Ma  più  dolci  a  me  fur  quell'auree  tutte, 
Che  volar  festi  a  me,  Delfiche  note, 
Cui  bella  cortesia  del  nettar  suo 
Sparse,  e  sparse  amistà,  eh' è  ancor  più  bella. 
Perchè  la  stessa  via  correr  non  posso, 
E  volarmene  a  te?  Certo  se  Panno 
Cocente,  e  l'arte  del  Ggliuol  d'  Apollo, 
Cui  di  mia  vita  vacillante  in  mano 
Ho  posto  il  fren  ,  me,  scolorito  e  magro, 
Non  consigliasse  alla  quiete ,  e  il  puro 
A  respirar  de' campi  aere  odorato, 
Certo  non  mi  starei  ;  ma  lungo  i  piani 
Lombardi,  e  in  cima  d' Apennin   ventoso, 
Date  a' pronti  corsier  tutte  le  briglie, 
Or  sarei  teco.  O  colli  ameni,  o  rive 
Care  alle  Grazie,  al  Genio  Italo,    all'Arti, 

0  già  d'Ausonia,  anzi  del  mondo  Atene, 
Vaga  Fiorenza  ,  e  agli  occhi  miei  pel  nuovo 
Ospite  tuo  gentile  ora  più  vaga, 
Ben  godrei  rivederti,  e  la  tua  sacra 
Ribaciar  terra  ,  che  cotanta  polve 
Chiude  di  man  famose,  onde  parlanti 
Uscian  le  tele,   uscia  ne' bronzi  e  marmi 
Il  pensier  degli  eroi  fuso  e  scolpito. 
Felice  chi  ammirar  può  l'opre  grandi, 
E  di  grande  città  l'aure  respira, 
La  bella  degl'ingegni,  e  al  vulgo  ignota 
Vita  vivendo.  Ma  felice  ancora 
Chi,  dd  bel  di  natura  licore  acceso, 
Sua  gioja  umile  e  che  nessun  gP  invidia, 
Cela  sotto  le  fresche  ombre  romite, 
E  or  curvo  su  le  prische  illustri  carte 

1  morti  ascolta  ,  e  P  età  scorse  vive, 
Or  pensoso  tra  il  dolce  orror  de'  boschi 
Rintraccia  ogni  dover  del  Saggio  in  terra, 
Si  raffronta  con  sé,  tien  sempre  il  mezzo, 
E  a  viver  caro  a  sé  medesmo  impara: 
O  quando  regna  la  stellata  Notte, 
Tra  i  penduti  dal  ciel  lucidi  mondi, 
Fa  spaziar  la  liber'alma,  ad  essa 
Ravvisar  la  sua  patria,  e  creder  certo 
A  que'lidi,  a  qu-ì'  porti  il  suo  ritorno. 
E  pur  giocondo  mi  sarebbe  ,  o  nato 
A  me  da  si  remota  isola  Amico, 
Amoreggiar  con  teco  la  soave 
Terribil  Diva  d'Amatunta,  or  molle 
Nel  Greco  marmo  e  respirante,  ed  ora 
Ne'  Veneti  color  tepida  e  viva  '. 
Quindi  le  logge  passeggiar  di  Pitti 
Braccio  con  braccio,  e  delmaggiorFiammingo 
Condannando  ammirar  le  tinte  audaci, 
E  quai  veggiamor  a  Silia  ed  a  Quartilla 
Tutti  raccesi  di  cinabro  i  volti  a. 
Ma  dove  lascio  io  te,  non  pinta  o  seti  Ita, 
Ma  viva  e  vera  d1  Albion  Minerva  , 
Che  ora  di  tua  presenza  orni  il  natio 


i  L»  Venere  de'Medici  e  la  Venere  di  Tiiiano. 
a  È  nolo  il  colorire  del  Kuliens. 


i4» 


LE  POESIE 


Nido  del  Precnrsor  del  tno  Neutono  »? 
Scarco  mi  sentirei  del  mortai  peso, 
Se  Fortuna  tra  voi  terzo  mi  fèsse , 
Qual  già  mi  feo  sovra  l'Adriache  sponde, 
Dolce  ed  amara  rimembranza  !  Oh  come 
Correria  pronta  la  mia  mano  al  plettro 
Presso  ali1  inclita  Donna,  e  a  quel  che  donna 
Giunse  a  chiamarla  sua,  Spirto  canoro, 
Sovra  le  cui  nettaree  labbra  ,  e  sotto 
Le  cui  tremole  dita  ogni  più  bella 
Spunta  e  fiorisce  Italica  armonia  ». 
Men  dunque  io  stupirò,  se  in  mezzo  a  tanta 
Aura  Castalia,  che  a  te  spira  intorno, 
Le  neghittose  ali  Febee  riapri. 
Ma  loderò,  che  alle  lusinghe  sordo 
De'Piacer  che  sì  dolce  han  la  favella, 
La  qual  sotto  del  molle  Adriaco  cielo 
T1  era  forse  nel  core  alquanto  scesa, 
Drizzi  a  più  bello  ed  onoralo  segno 
Quella  mente  ,  che  a  te ,  solo  de*'  vaghi 
Per  favellar  misteriosi  nulla, 
Onde  suo  dire  il  gentil  inondo  intesse, 
Non  t1  infuse  nel  capo  il  tuo  pianeta. 
E  loderò  che,  il  più  bel  fior  traendo 
Dall'opre  di  Natura,  una  sovrana 
Ideale  beltà  ti  formi,  e  questa 
Purissimo  amator  vagheggi  e  inchini; 
E  quindi  passi  a  riguardarla  in  tela, 
O  in  marmo  espressa,  e  a  meditar  coni' arte 
La  sua  madre  e  maestra  emuli  e  vinca: 
Né  pago  ancora ,  i  lavor  suoi  più  rari 
Celebri  in  carte  che  non  temon  notte  3. 
Segui,  Guglielmo:  contra  i  tanti  mali 
Della  vita  mortai  gli  Dei  pietosi 
Non  ci  dier  forse  le  celesti  Muse? 
Ma  se  movi  tnlor  per  via  solinga , 
Al  raggio  amico  di  tacente  Luna, 
O  tra  le  Imperiali  erbe,  o  tra  quelle 
Di  Boboli  Dedaleo  ,  e  in  folta  selva 
Con  pie  non  consapevole  ti  metti , 
Mormorando  tuoi  sensi ,  e  col  pensiero 
Tutto  levato  sovra  il  corso  umano  , 
Chi  sa  che  al  guardo  non  ti  s'offra  un'Ombra  , 
Qual  ben  saresti  di  mirar  contento  ? 
Coteste  rive  dal  Britanno  Omero 
Fur  viste  e  amate;  e  nel  divin  suo  canto 
Suona  e  ognor  suonerà  Fiesole  ed  Arno, 
Ed  i  ruscei  di  Vallombrosa,  e  il  nome 
Del  gran  Saggio  d1  Etruria  4.  Oh  se  la  grande 
Alma  onorata  veder  puoi  ,  ritienla 
Tu  che  puoi  farlo,  e  per  me  ancor  le  parla. 
Dille  ,  come  tra  1'  acque  ,  e  ali1  odoroso 
Rezzo  del  suo  cantato  Eden  io  vado 
Con  piacer  redivivo  errando  sempre; 
Come  spesso  a  veder  torno  e  ritorno 

i  La  signora  Thrale  Piozzi.,  che  scrisse  eccellente- 
mente la  prosa  e  poesia  inglese  ,  e  che  allora  trovavasi  nella 
patria  del  Galilei. 

a  II  signor  Piozzi. 

3  Nella  sua  Epistola  in  versi  all'Autore,  che  si  legge 
stampata  in  una  Raccolta  di  Poesie  inglesi,  uscita  in  Fi- 
renze ,  gli  autori  della  quale  furono  egli,  il  signor  Par- 
sons, la  mentovata  signora  Piozzi  e  i  signori  Greatheed  e 
Merry  valorosissimi  anch'essi. 

4  Son  noti  ì  viaggi  del  Milton,  e  la  sua  amicizia  col 
Galilei. 


Quelle  caste  bellezze,  ond1  ei  le  membra 
Infiorar  seppe  dell'  angelica  Eva; 
Gli  atti ,  le  grazie  e  il  portamento,  e  quella 
Non  finta  ritrosia,  pu.i-or  non  finto, 
Ritrosia  dolce  e  lusinghier  pudore, 
Ed  i  sospir  non  falseggiati  ,  e  ad  arte 
Gli  occhi  non  vólti,  o  meditato  il  riso; 
E  tanti  vezzi  d'innocenza  pieni, 
Leggiadrie  tanto  pure  ,  o  sieda  o  mova, 
O  parli  o  taccia  ,  o  stia  pensosa  o  lieta: 
E  dille  al  fin  ,  come  in  un  Eden  vero, 
Suoi  canti  udendo ,  la  mia  stanza  io  muto. 


ALLA    LUNA 


Ijrato  al  piacer ,  che  move 
Da  te,  vergine  Diva,  e  in  sen  mi  piove, 
Te  canterò  :  m'insegna 
Deh!  tu  quell1  armonia 
Che  del  pudico  indegna 
Orecchio  tuo  non  sia, 
Che  parte  stillar  possa  in  cor  del  Saggio 
Di  quel  dolce  ond1  è  pieno  il  tuo  bel  raggio. 


Oh  quante  volte  il  giorno 
Insultai  col  desto  del  tuo  ritorno! 
L^re  in  oscuro  ammanto, 
E  con  viole  ai  crini , 
T'imbrigliavano  intanto 

I  destrieri  divini , 

E  su  l1  appai  ecchiata  argentea  biga 

II  Silenzio  salia ,  tuo  fido  auriga. 


Perchè  sola  ti  vede, 
Sola  P  ignaro  vulgo  in  ciel  ti  crede: 
Ma  il  Riposo,  la  Calma, 
Del  meditar  Vaghezza, 
Ogni  Piacer  dell1  alma, 
La  gioconda  Tristezza , 
E  la  Pietà  con  dolce  slilla  ali1  occhio, 
Ti  stanno  taciturne  intorno  al  cocchio. 


Cieco  io  divenga  ,  s1  io 
Di  levare  a  te  lascio  il  guardo  mio; 
O  che  in  cammin  notturno 
Per  fosca  ombrata  sponda 
Vegga  il  tuo  viso  eburno 
Splender  tra  fronda  e  fronda , 
O  sieda  in   riva  di  tranquillo  fiume, 
Che  V  onde  sue  rincrcspi  entro  il  tuo  lume. 


CAMPESTRI 


»4» 


Meglio,  se  in  riva  a  un  lago 
Custode  più  fedel  della  tua  imago. 
Talor  quel!1  onda  blanda  , 
Tuo  specchio,  ti  consiglia, 
Quando  la  tua  ghirlanda 
Di  ligustro  e  giunchiglia, 
Se  turbolla  per  via  rabido  vento , 
Tu  ricomponi  con  la  man  d'argento. 


Steso  sul  verde  margo 
D1  obblio  soave  ogn'  altro  loco  io  spargo. 
Quai  care  ivi  memorie 
Trovo  de1  miei  prim'anni, 
Quai  trovo  antiche  storie 
De1  miei  giocondi  affanni! 
Ah  no,  che  Amor,  d'ogni  dolcezza   avaro, 
Sempre  non  mesce  i  nappi  suoi  d'  amaro. 


E  ancor  che  a  quella  unita 
Di  Zelinda  or  non  più  sia  la  mia  vita, 
Con  bel  piacer  ritorna 
Spesso  a  quel  giorno  il  core , 
Che  pria  la  vide,  adorna 
Di  grazia  e  di  pudore, 
Cortese  e  grave  il  guardo  e  la  favella, 
Luna ,  quale  sei  tu ,  modesta  e  bella. 

vni 

Ma  se  la  faccia  pura 
Talora  involvi  d'  una  nube  oscura , 
E  ripercuoton  l1  onde 
Luce  più  scarsa  e  mesta, 
E  annerasi  ogni  fronde 
Della  muta  foresta, 

Più  P  alma  è  trista  ,  e  sotto  nube  anch'essa 
D' atri  pensier  si  riconcentra  oppressa. 

IX 

Allor,  come  dubbiosa 
Ed  instabile  qui  giri  ogni  cosa, 
Come  ,  Dea  sorda  e  forte, 
Necessità  qui  regni, 
E  sieno  al  fin  di  morte 
Preda  i  più  bei  disegni, 
L'  alma  volgendo  va  gelida  e  bruna. 
Esci,  ah  tosto  esci  di  tua  nube,  o  Luna! 


Te  ricomparsa  appena, 
Torna  teco  a  brillar  P  alma  serena. 
Quai  d1  Oriente  vaga 
Sposa  che  il  vel  rimova, 
Onde  ogni  volta  piaga 
Nel  suo  Signor  fa  nova , 
Tal  esci  dalla  tua  veste  superba 
Per  quelle  tue  lucenti  orme  che  serba. 


XI 

Mutasi  allor  la  negra 
Srena  in  un  punto ,  e  terra  e  ciel  s'allegra: 
E  con  piacer  P  erbette  , 
Pria  tutte  a  brun  dipinte, 
Mirano  le  caprette 
In  pal:id'òr  ritinte; 

Gli  occhi  sovra  le  cose  errar  già  ponno , 
Ed  è  più  bello  di  natura  il  sonno. 


Volge  stagion  talora 
Che  in  ciel  t'incontri  con  l'altera  Aurora. 
Placida  Dea,  tu  poco 
A  pugnar  seco  aspiri, 
Ma  cedi  pronta  il  loco, 
E  il  raggio  tuo  ritiri, 
Paga  che  tanto  a  lei  dell'emisfero 
Men  lungo  sia ,  che  non  a  te,  l1  impero. 

xm 

Però  che  alquanto  albeggia 
Pria  quella  Diva,  e  alquanto  indi  rosseggia: 
Ma  tosto  il  Sol  P  ha  cólta  , 
Tosto  per  lui  dell'aria 
La  signoria  P  è  tolta  : 
Trapassa  solitaria, 

Sconosciuta  trapassa  entro  il  suo  velo 
Nel  color  tinto ,  in  cui  si  tinge  il  cielo. 


O  al  lume  tuo  sereno 
Sieda  l'Estate,  discoperta  il  seno  , 
O  il  Verno  assiderato 
Vada  i  tuoi  rai  cercando, 
Alcun  tepor  bramato 
Quasi  trovar  sognando  , 
Cosi  tu  mia  sia  destra  ,  inno  canoro 
Batterà  sino  a  te  le  penne  d'  oro. 


E  allor  che  infermo  e  stanco 
Trarrò  nelle  giornate  ultime  il  fianco, 
Che  al  tuo  silenzio  opaco 
Mi  fia  P  errar  fatica, 
Mi  fia  la  selva  e  il  laco 
Solo  delizia  antica , 

Nel  mio  ritiro  un  de' tuoi  rai  discenda, 
E  sul  bianco  mio  crin  dolce  risplenda. 


ALLA    SALUTE 


jT  iglia  del  Ciel ,  da  quella 
Gran  mano  uscita,  allor  che  Puom  n'usciva, 
Chi  fia  cotanto  bella , 
Che  di  beltà  teco  contenda,  o  Diva? 
Sono  le  guance  tue  porpora  viva, 


«4» 


LE  POESIE 


Grande  a  mirar  diletto, 

Agile  è  il  pie  ,  sereno 

L1  occhio  e  la  fronte ,  e  pieno 

Di  naturale  orgoglio  il  colmo  petto, 

Ed  aprirsi  e  brillar  suol  nel  tuo  viso 

Qual  fiore  in  prato  ,e  in  cielo  stella,  il  riso. 
In  quella  prima  etade, 

Non  che  mover  preghiera  e  templi  alzarti , 

Cieco  alla  tua  beltade 

Né  rivolgeasi  pur  1'  uomo  a  mirarti  : 

Ma  poi  che  aperto  il  fatai  vaso,  e  sparti 

Fur  su  la  terra  i  mali , 

Di  te  com1  ei  s1  accese  ! 

Come  a  seguir  ti  prese  ! 

Te  giusta  ira  premea  contro  i  mortali , 

E  d1  allor  cominciasti  a  far  che  scenda 

Frequente  sul  tuo  viso  invida  benda. 
Sorsero  poi  superbe 

Rocche  e  città;   ma  più  che  l'alte   mura, 

Piace  a  te  il  campo  e  l1  erbe , 

Piace  V  intatta  vergine  natura. 

Qui  sovente  ti  fai ,  Dea  sobria  e  pura  , 

A1P  arator  dappresso 

Tra  Fatica ,  cui  mille 

Escon  del  petto  stille, 

E  Pace ,  che  ognor  serba  un  volto    istesso  ; 

Qui  la  gota  a  fanciul  del  tuo  cinabro 

Colorir  godi ,  o  a  villanella  il  labro. 
Mentre  in  lucente  gonna  , 

Ma  con  tremuli  nervi  e  cor  non  sano, 

Ricca  nobile  donna 

Dalla  città  ti  chiama,  e  chiama  invano. 

D1  arcane  tazze  a  lei  medica  mano 

Invan  mesce  conforto , 

Invan  fra  tepid1  acque 

Nuda  discese  e  giacque  : 

Disfiorata  è  la  guancia,  e  l1  occhio  è  morto, 

Cui  par  non  basti  a  ravvivar  P  usata 

Di  mentir  tuoi  color  polve  rosata. 
Ti  chiamò  Dea  nemica 

L1  umana  gente ,  e  il  labbro  tuo  rispose  : 

Sai  che  più  destra  e  amica 

M'ebber  de'  padri  tuoi  le  dure  spose: 

Sai  che  raro  io  sedei  sovra  le  rose 

Del  molle  Sibarita  : 

Cinta  di  pelli  intatte, 

E  un  nappo  in  man  di  latte, 

Più  spesso  sovra  il  carro  errai  del  Scita. 

Mentre  la  madre  il  fanciullin  tuffava, 

Per  le  fredde  del  Tanai  onde  io  notava. 
Deh!  qua  rivolgi  il  passo, 

E  la  schiera  fedel  ti  cinga  il  fianco, 

Il  buon  Vigor,  non  lasso 

Del  vagar  mai  ,  del  meditar  mai  stanco; 

Quella  cui  fosco  dì  par  sempre  bianco, 

Ed  è  Letizia  il  nome, 

E  il  Gioco  e  il  Riso  ,  e  terzo 

Il  moltiforme  Scherzo , 

Con  Venere  creduti ,  io  non  so  come  , 

Poi  che  quei  tre  ,  chiedo  alla  Dea  perdono, 

Se  teco  ella  non  è  ,  con  lei  non  sono. 

Te  fuggono  le  meste 

Veglie ,  cui  pioggia  i  sonni  invan  prepara  j 
Te  le  Nause  molèste, 
Cui  non  è  tazza  che  non  sembri  amara. 
Vienne:  il  campestre  loco,  e  questa  avara 


Mia  mensa,  o  Dea,  ti  chiama ) 
Né  alcun  de'  tuoi  nemici 
Hanno  queste  pendici , 
Tema  inquieta,  impaziente  Brama, 
Né  Amor,  né  Gelosìa,  che  in  suo  tormento 
Spalanca  cento  lumi  e  orecchie  cento. 
L1  Ira  né  men,  eh'  esangui 
Or  ha  le  guance,  or  tutta  in  foco  è  tinta, 
E  non  l1  Invidia  ,  d1  angui 
Che  si  rivolgon  contra  lei  ,  ricinta. 
.0  tu  di  natio  minio  i  labbri  pinta  , 
Tu  vita  sei  del  mondo: 
Ma,  senza  te,  nel  Saggio 
Langue  il  celeste    raggio, 
E  il  lungo  meditar  torna  ingiocondo, 
Ma  d'  un  Monarca  in  man  pesa  lo   scettro, 
Ma  di  man  cade  ad  un  Poeta  il  plettro. 


LA 


MELANCONIA 


;  onti  e  colline 
Chiesi  agli  Dei  : 
M1  udirò  al  fine, 
Pago  io  vivrò. 
Né  mai  quel  fonte 
Co1  desir  miei, 
Né  mai  quel  monte 
Trapasserò. 


Gli  onor  che  sono  ? 
Che  vai  ricchezza? 
Di  miglior  dono 
Vommene  altier: 
D'  un'  alma  pura, 
Che  la  bellezza 
Della  Natura 
Gusta  e  del  Ver. 


Né  può  di  tempre 
Cangiar  mio  fato: 
Dipinto  sempre 
Il  ciel  sarà  : 
Ritorneranno 
I  fior  nel  prato 
Sin  che  a  me  F  anno 
Ritornerà. 


Melanconia , 
Ninfa  gentile , 
La  vita  mia 
Consegno  a  te: 
I  tuoi  piaceri 
Chi  tiene  a  vile, 
Ai  piacer  veri 
Nato  non  è. 


CAMPESTRI 


»43 


O  sotto  un  faggio 
Io  ti  ritrovi 
Al  caldo  raggio 
Di  bianco  ciel  ; 
Mentre  il  pensoso 
Occhio  non  movi 
Dal  frettoloso 
Noto  ruscel: 


O  che  ti  piaccia 
Di  dolce  Luna 
L1  argentea  faccia 
Amoreggiar  ; 

Quando  nel  petto 
La  Notte  bruna 
Stilla  il  diletto 
Del  meditar  : 


Non  rimarrai, 
No,  tutta  sola  : 
Me  ti  vedrai 
Sempre  vicin. 

Oh  come  è  bello 
Quel  di  viola 
Tuo  manto ,  e  quello 
Sparso  tuo  crin! 

Vili 

Più  dell'attorta 

Chioma  e  del  manto  , 
Che  roseo  porta 
La  Dea  d1  Amor  ; 
E  del  vivace 

Suo  sguardo  ,  oh  quanto 
Più  il  tuo  mi  piace 
Contemplator  ! 


Mi  guardi  amica 
La  tua  pupilla 
Sempre,  o  pudica 
Ninfa  gentil  ; 
E  a  te,  soave 

Ninfa  tranquilla, 
Fia  sacro  il  grave 
Nuovo  mio  stil. 


LA    GIOVINEZZA 


D 


i  folto  e  largo  faggio 
Sotto  l1  intreccio  verde  , 
Per  cui  varcando  perde 
Il  più  cocente  raggio , 
Un  bel  mattin  di  maggio 
Vidi  posare  il  Banco 
Bellissima  una  Donna  : 
Il  color  della  gonna 
Era  purpureo  e  bianco. 


In  questo  e  in  quel  colore 
La  guancia  si  tingea: 
Nelle,  pupille  ardea 
Un  tremolo  fulgore. 
Par  che  il  seren  del  core 
Su  la  fronte  si  spanda  , 
E  passi  in  chi  la  mira  ; 
E  intorno  al  crin  le  gira 
Di  rose  una  ghirlanda. 

ni 

E  dunque  invan  eh1  io  scampo, 
Amor,  dalla  tua  mano, 
Ed  io  qui  fuggo  invano 
Della  tua  face  il  lampo. 
Se  tra  la  selva  e  il  campo 
S'  offron  tai  rischi  al  ciglio , 
Per  pace  invan  qui  movo, 
Poi  che  maggior  non  trovo 
Nelle  città  periglio. 


Levossi  allora,  e  il  viso, 
Come  se  letto  intero 
Avesse  il  mio  pensiero, 
Colei  vesli  d1  un  riso. 
Poi,  guardandomi  fiso , 
Fece  volar  tal  suono  : 
Non  dubitar ,  più  mai 
Tu  non  mi  rivedrai  ; 
La  Giovinezza  io  sono. 


E  vòlte  a  me  le  spalle 
Si  pose  tosto  in  via: 
Degli  occhi  io  la  segufa , 
Ch1  iva  di  valle  in  valle  ; 
E  lei  veggendo  il  calle 
Premer  con  gran  prestezza, 
Né  su  la  propria  traccia 
Rivolger  mai  la  faccia, 
Dissi  :  E  la  Giovinezza. 


Dunque  i  bei  di  fuggirò? 

10  Primavera,  ovunque 
Volgo  le  ciglia  dunque, 

Fuor  che  in  me  stesso ,  or  miro  ? 
Ragion  ,  con  te  in'  adiro  : 
Quel  volalor  selvaggio 
Canta,  e  non  sente  affanno 
Che  tolto  gli  abbia  un  anno 

11  ritornato  maggio. 


Del  tempo  ancor  non  giunto, 
Di  quel  per  sempre  scorso 
Né  tema  né  rimorso 
Lo  tiranneggia  punto. 
D'amico  o  di  congiunto 
Neil1  imbianchito  crine, 
Nel  viso  trasformato 
Non  legge  il  proprio  fato, 
Non  legge  il  proprio  fine. 


«44 


LE  POESIE 


Vili 

Ma  tal  meco  rampogna 

Uia  un  pensier  :  Son  questi 
Gli  affetti  alti  ed  onesti, 
A  cui  tuo  spirto  agogna? 
Deh,  gli  occhi  util  vergogna 
Ti  schiuda,  e  le  Compagne 
Riguarda  ornai  di  quella 
Bellissima  Donzella , 
Che  ora  da  te  si  piagne. 


Una  di  queste  getta 
Qua  e  là  gli  sguardi  ognora, 
Muta  spesso  dimora  , 
Ed  Incostanza  è  detta. 
Vedi  quell1  altra  ?  In  fretta 
Tutto  far  suol ,  né ,  come 
Su  la  mal  nota  strada 
Pianti  il  suo  pie,  mai  bada, 
Ed  Imprudenza  ha  nome. 


Ah  tolgano  le  stelle 
Che ,  partita  la  Diva  , 
Teco  su  questa  riva 
Rimangano  le  Ancelle! 
Tutte  P  età  son  belle  : 
E  la  Saggezza  vera 
Gode,  benché  sul  crine 
Biancheggino  le  brine  , 
Gioconda  Primavera. 


LE 

QUATTRO  PARTI  DEL  GIORNO 


IL  MATTINO 


Liandido  Nume,  che  rosato  ha  il  piede, 
E  di  Venere  P  astro  in  fronte  porta, 
Il  bel  Mattino  sorridendo  riede, 
Del  già  propinquo  Sol   messaggio  e  scorta. 
Fuggi  dinanzi  a  lui  Notte,  che  or  siede 
Sovra  P occidentale  ultima  porta, 
Con  man  traendo   a  sé  da  tutto  il  cielo  , 
E  in  sé  stesso  piegando  il  fosco  velo. 


Oh  quali  mi  sent1  io  per  le  colline 
Fresche  fresche  venir  dolci  aure  in  volto, 
E  ciò  portar  che  accorte  pellegrine 
Tra  gli  odor  più  soavi  hanno  raccolto! 
Pare  che  Voluttà  P  aureo  suo  crine 
Abbia  testé  disviluppato  e  sciolto, 
E  sparsa  P  immortai  fragranza  intorno  , 
OncP  è  superbo  il  giovinetto  giorno. 


IV 

Non  Voluttà  che  dal  procace  aspetto, 
Dal  sen  nudo  e  dagli  occhi  ebbrezza  spira, 
Ma  quella  che  lo  sguardo  in  sé  ristretto 
O  tiene,  o  a  riguardar  modesto  il  gira, 
Cui  tra  bei  veli  appena  il  colmo  petto, 
Come  Luna  tra  nube,  uscir  si  mira, 
E  che  sparse  ha  le  man  de1  6or  più   gai, 
Che  spesso  odora,  e  non  isfronda  mai. 


Più  non  regna  il  Silenzio:  ecco  d'armenti, 
D'  augei  cantori  mille  voci  e  mille , 
Di  carri  cigolio,  gridar  di  genti, 
Onde  i  campi  risuonano  e  le  ville  ; 
Mentre  con  iterati  ondeggiamenti 
Scoppian  le  mattutine  aeree  squille, 
E  gemer  s1  ode,  delle  braccia  nude 
Sotto  ali1  alterno  martellar ,  P  incude. 


Par  sia  Natura,  quando  il  ciel  raggiorna, 
Di  mano  allora  del  gran  Mastro  uscita, 
O  almen  ci  appar  di  tal  freschezza  adorna, 
Che  ben  dirla  un  potria  ringiovenita. 
Ma  oiraè  che  splende  alquanto,  e  più  non  torna 
Il  soave  mattin  di  nostra  vita: 
Splende,  e  non  torna  più  quella,  che  infiora 
Gli  anni  primi  dell' uom,  sì  dolce  aurora. 


D'alte  speranze  in6ora  e  d'alte  voglie, 
D'  aurati  sogni  e  di  felici  inganni. 
Quella  poi  viene,  che  l'incanto  scioglie, 
Grave  alla  farcia,  al  portamento,  ai  panni 
Quella  Filosofia  per  cui  Puom  coglie 
Nuova  felicità  conforme  agli  anni, 
E  un  ben,  se  certo  più,  meno  vivace, 
Una  tranquilla,  si,  ma  fredda  pace. 


E  intorno  a  lei  s'affollano  battendo 
Fantasmi  e  Larve  le  dipinte  piume, 
E  gli  Amori  che  lagnansi  fuggendo 
Del  sollecito  troppo  e  chiaro  lume. 
Più  non  s'indugi:  sovra  il  colle  ascendo? 
O  in  riva  calerò  del  vicin  fiume  ? 
Scelgo  la  via  che  monta ,  e  movo  in  fretta 
Il  Sole  ad  incontrar  su  quella  vetta. 


Vili 

Benché  ancor  celi  l'infiammata  fronte 
Il  Sol  dietro  a  quel  giogo  alto  ed  alpestro 
Pur  su  le  nubi,  che  dell'orizzonte 
Rosseggiali  qua  e  là  nel  sen  cilestro , 
Pur  lo  vegg'  io  del  contrapposto  monte 
Su  P  indorato  vertice  Silvestro, 
Pur  . . .  Ma  ve'  eh'  egli  è  sorto,  e  che  dal  poi 
Scaccia  ogni  nube,  ed  imperar  vuol  solo. 


CAMPESTRI 


itt 


Felice  impero!  Quanto  bello  ei  luce, 
E  in  che  soave  maestà  serena  ! 
Maestà  di  gentil  monarca  o  duce, 
Che  1'  occhio  ammirator  feri. -ce  appena. 
Come  di   un  vivid1  oro  e  d'  una  luce 
Tremolante  e  azzurrina  egli  balena! 
Poi   la  ristringe  alquanto,  e  purga  affatto, 
Onde  men  grande  e  più  lucente  è  fallo. 


Io  ti  saluto  e  inchino ,  o  di  Natura 
Custode  ,  e  ad  occhio  ti  man  visibil  Dio. 
Che  senza  te  fora  la  terra?  oscura 
Mole  cadente  nell1  error  natio. 
Questa  de' prati  a  me  cara  verzura, 
Questi  ombrosi  passeggi  a  chi  degg'  io? 
Chi  Primavera  di  bei  Gor  corona  ? 
Chi  di  tante  ricchezze  orna  Pomona? 


Pur  raro  a  te  lo  sguardo  e  1'  alma  ingrata, 
O  Re  del  mondo,  il  mortai  basso  intende. 
Vive  notturno,  e  in  camera  dorata, 
Quasi  a  te  in  onta,  mille  faci  accende: 
Le  cene  allunga  ,  e  quando  la  rosata 
Luce  ne1  suoi  bicchier  fere  e  risplende, 
Questa  luce,  ch'or  me  di  gioja  ingombra, 
L'odia  e  la  fugge  ,  e  cerca  il  sonno  e  V  ombra. 


E  pur  quel  caro  a  lui  ne'ttare  acceso  , 
Che  su  i  colmi  bicchier  gli  ondeggia  e  gioca, 
Ha  da  te  quella  grazia,  e  da  te  preso 
Ha  quel  nobile  ardir  di  cui  s'infoca. 
Pur  maturo  da  te  quell'or  si  è  reso, 
Che  su  le  vesti  sue  divide  e  loca, 
E  quel  diamante,  che  polisce  e  intaglia, 
La  man  ne  ingemma,e  gli  occhi  alvulgo  abbaglia. 


Che  qual  rosseggi  ,  rimenando  il  maggio, 
Nella  rosa,  e  biancheggi  entro  i  ligustri, 
Tu  sei  che,  in  loro  imprigionando  un  raggio, 
Il  diamante  e  il  rubin  colori  e  illustri. 
Smauii  dietro  le  gemme  altri  men  saggio: 
Che  son,  senz'opra  di  sculture  industri? 
Ma  senz'  arte  o  lavor  vergine  rosa 
Molcer  due  sensi  può ,  bella  e  odorosa. 


Vidi  talor  la  tua  infocata  sfera 
Uscir  della  tranquilla  onda  marina, 
E  vidi  l1  Océan ,  che  specchio  t'era, 
Tutto  acceso  di  luce  porporina. 
Pregai  che  l'increspasse  aura  leggiera, 
E  nuova  meraviglia  ebbi  vicina  : 
Scòrsi  di  più  color  l'onde  ripiene. 
E  noi  tanto  dell'  Arte  amiam  le  scene  ? 

PlXDMOHTE 


XV 


Di  sì  vago  e  mirabile  oriente 
Spesso  godei  quand'  io  solcava  il  mare: 
Pur  non  vorrei  la  dolce  erba  presente 
Col  soggiorno  cambiar  dell'  onde  amare. 
Qui  pur  del  sole  i  rai  veggo  sovente, 
Mentre  da  foglie  e  rami  egli  traspare, 
Rapirne  il  verde,  e  a  me  condur  tesoro 
Di  li  | nidi  smeraldi,  e  d'ostro  e  d'oro. 


1  II  rugiadoso  prato,  che  biancheggia, 

Tutto  al  levar  del  Sol  s'ingemma  e  brilla. 
Il  rivo  d'uno  sguardo  il  Sol  dardeggia, 
E  il  rio  volge  in  ogni  onda  una  favilla. 
Erge  de'  fiumi  ancor  la  muta  greggia 
Talvolta  al  Sol  l'attonita  pupilla, 
E  il  soie  anch' ella,  in  sua  letizia  muta, 
Quanto  i  belanti  e  i  volator,  saluta. 


Congiungo  a  queste  anch'io  la  mia  favella, 
E  de'  miei  colli  errando  per  le  cime  , 
Con  meraviglia  della  villanella , 
Che  1'  estasi  mia  vede ,  alzo  le  rime, 
Fin  che  lunghe  son  1'  ombre,  e  i  campi  bella 
Varietà  d'aureo  e  di  scuro  imprime, 
E  l'azzurro  del  ciel  vincono  i  monti, 
Che  (unge  in  faccia  mia  levan  le  fronti. 


Meglio  che  tra  cittade  angusta  e  bruna , 
Volano  al  puro  aere  aperto  i  carmi  : 
Qui  Cirra  in  ogni  colle,  ed  in  ciascuna 
Fonte  Permesso  rimirar  qui  panni. 
Forse  giunge  il  mio  canto  in  parte  alcuna, 
Bench'  io  voglia  tra  lochi  ermi  celarmi  : 
Che  non  giungano,  o  Silvia  a  ,  a  te  sue  note, 
Benché  romito ,  non  bramar  chi  puote  ? 

zix 

Così  appunto  in  quest'ora  alma  e  vitale, 
Che  il  Sol  de' primi  rai  l'etere  inonda, 
Lodoletta  montante  ,  che  su  1'  ale 
Si  libra,  e  nuota  nella  lucjd'onda, 
Vibra  il  suo  cauto  solitaria,  e  tale 
D'  aureo  lume  Oceano  la  circonda  , 
Che  si  toglie  allo  sguardo,  e  in  quello  avvolta 
Nessun  la  vede,  e  da  ciascun  s'ascolta. 


Oh,  com'  é  questo  -ciel ,  sia  tale  il  core  ! 
E  più  non  ne  rannuvoli  il  sereno 
O  follia,  che  par  senno,  o  dolce  errore, 
Che  offre  tazza  d' ambrosia ,  ed  é  veleno. 
Sol  chieggo  che  alle  corte  ed  ultim'  ore, 
Quando  vien  1'  anno  della  vita  meno, 
Quello  almen  tra  i  miei  sensi,  alle  cui  porte 
Sta  l'alma  per  vedere,  io  serbi  forte. 
a  La  celebre  Silvia  Vena. 


»4C 


LE  POESIE 


Ma  s'  io  ciò  ( Sole,  ascolta  ancor)  ,  «'  io  mai 
Alla  madre  cessar  l1  omaggio  antico 
Di  rispetto  e  d'  amore,  o  ne1  suoi  guai 
Dovessi  un  dì  non  ascoltar  l1  amico; 
Se  fosse  per  levar  non  finti  lai , 
Senza  un  sospiro  mio,  l1  egro  mendico, 
O  da  me  in  vista  nulla  men  dogliosa 
L'  orfano  per  partire ,  o  l1  orba  sposa  ; 


Possano  d' improvviso  entro  un  eterno 
Orror  notturno  gli  occhi  miei  tuffarsi, 
Ed  al  tuo,  sacro  Sol,  lume  superno, 
Di  trovarlo  non  degni ,  in  vati  girarsi  : 
Né  più  quindi  apparisca  a  me  l'alterno 
Delle  varie  stagion  l'innovellarsi, 
Né  sul  pallido  ciel  mirar  vicino 
Goda  il  ritorno  del  gentil  Mattino. 


IL  MEZZOGIORNO 


Lia  've  gode  uno  stuol  di  folte  piante 
Ramo  con  ramo  unir,  fronda  con  fronda, 
Ora  condur  mi  piace  il  passo  errante , 
E  del  fiume  vicin  premer  la  sponda  : 
Del  fiume,  a  cui  di  verde  ombra  tremante 
Quelle  spargendo  van  la  rapid'onda, 
Mentre  sul  pinto  suol  tessono  un    arco, 
Che  alle  fiamme  del  ciel  chiude  ogni  varco. 


Di  meriggiar  tra  il  folto  han  pur  costume 
Ora  i  più  vispi  volator  canori; 
Ma  tema  alcuna  dell'  ardente  lume 
Non  turba,  o  farfallette  ,  i  vostri  errori. 
Parte  battendo  in  faccia  al  Sol  le  piume 
Fa  varia  pompa  di  pitture  e  ci'  ori, 
Parte  di  fiore  in  fiore  si  trastulla , 
Come  se  tutto  lor  piacesse  ,  e  nulla. 


Ed  ora  che  1'  acuto  ardor  del  giorno 
Fuori  all'  erbe  ed  ai  fior  1'  ambrosia  tragge  , 
Non  più  carchc  di  cera  ,  ma  ritorno 
Fanno  gravi  di  mei  le  pecchie  sagge. 
Farfallette  oziose  ,  il  meglio  adorno 
Cedete  a  lor  di  queste  verdi  piagge: 
Questa  è  gente  operosa  ,  e  le  giornate 
Spende  in  util  fatica;  e  voi  scherzate. 


Rassomigliate  voi  quelle  donzelle 
Che,  non  salendo  all'onor  mai  di  donne, 
Godon  sol  di  mostrarsi  ornate  e  belle  , 
E  di  varj  color  spiegar  le  gonne: 
Ma  gareggiati  le  industri  api  con  quelle, 
Che,  delle  case  lor  vere  colonne, 
Sudano  in  bei  lavori ,  e  i  frutti  sanno 
Mostrar  delle  lor  cure  al  fin  dell'anno. 


Sediara  :  della  stagion  non  tempra  il  foco 
Anche  il  solo  mirar  dell'  onda  fresca, 
Su  la  cui  faccia  il  ventolin  del  loco 
La  punta  all'ali  sue  bagna  e  rinfresca? 
Oncia,  che  la  città  vedrai  tra  poco, 
Di',  prego,  al  dolce  Idalio  mio"  eh' ei n'esca; 
Lasci  le  ignite  mura,  e  un  giorno  almeno 
Tenti  qui  meco  all'  aniistade  in  seno. 


Che  s'egli  manca,  e  qua  non  drizza  il  piede, 
Solo  non  io  però  vivo  quest'  ore  ; 
Che  meco  ali  ospitale  ombra  qui  siede 
O  il  divin  dell'  Eridano  cantore, 
O  quel  su  le  cui  carte  ancor  si  vede 
Arder  la  più  gentil  fiamma  d'amore, 
Qual  mai  non  arse  in   uom  dopo  né  prima  , 
Né  fu  versata  così  dolce  in  rima. 


Tale  é  l'incanto  de' celesti  carmi, 
Tal  dolcezza  nel  sen  mi  serpe  ed  erra  , 
Che  un  nuovo  mondo  allor  mi  cinge,  e  panni 
Nuove  forme  vestir  I'  aere  e  la  terra. 
Già  tutto  mi  s'avviva:  i  tronchi,  i  marmi, 
Ogni  erba  e  fionda  un'anima  rinserra; 
a  L'  onda  d'amor,  d'amor  mormora  l'aura, 
E ,  intenerito  il  cor  ,  chiede  una  Laura. 


Né  men  con  1'  altro  di  vagar  mi  giova 
Per  abitala  o  per  solinga  strada  , 
E  veder  dame  e  cavalieri  in  prova 
Di  cortesia  venir,  venir  di  spada; 
Mostri  di  forma  inusitata  e  nova, 
Castel  che  sorga  d'improvviso  o  cada, 
Opre  d'  incanto,  ove  maggior  si  chiude, 
Che  tosto  non  appar,  senso  e  virtude. 


a  Cosi  chiama  l'Autore  l'amico  suo  conte  Andrea 
Nugarola.  Questo  cavaliere  mancò  di  vita  due  anni  e  mezzo 
dopo  scritti  questi  versi,  cioè  nell'inverno  dell'  anno  1787. 
Buon  letterato  e  buon  cittadino,  avendo  sostenuto  più, 
volle  pubblici  impieghi.  Fu  poi  d'una  soavità  di  maniere 
e  d'  una  purezza  di  costumi  non  ordinaria  j  e  morì  in  età 
aucor  fresca  con  una  invidiabile  e  rara  costanza. 


CAMPESTRI 


»4, 


IX 


Poi  rivolgo  io  sguardo ,  e  sul  pendio 
Della  collina,   ove  son  d'oro  i  campi, 
Le  falci  in  man  de1  mietitor  vrgg1  io  , 
Sotto  il  pendulo  Sol ,   dar  lampi  e  lampi. 
Ma  tu,   buon  mietiinr,  fremi  il  desio, 
E  non   dolerti  che  di  man  ti  scampi, 
E  alle  povere  man  della  pudica 
Spigolatrice  resti  alcuna  spica. 


Se,  tua  mercede  .  sostener  npl  verno 
Potrà  se  stessa  tra  le  angustie  avvolta, 
Solleverà  di  te  prece  ali1  Eterno  , 
Che  sempre  quella   d1  un  cor  grato  ascolta: 
Ed  anco  di  stagion   nemica   a  scherno 
La  nuova  tua  s'indorerà  ricolta, 
E  vedrai  che  la  tua  d'altrui   pietade, 
Più  che  le  piogge  e  il  Sol ,  giova  alle  biade. 


Ir  leggendo  talor  mi  piace  ancora 
Qualche  bella  d'amore  istoria  finta. 
Cui  di  dolce  eloquenza  orna  e  colora 
Penna  in  Anglici  inchiostri  oin  Franchi  tinta. 
Qui  più  d'una  mia  propria,  e  più  talora 
D'  una  vicenda  tua  chiara  e  distinta  , 
Zenofila  gentil,  legger  m'  è  avviso; 
E  di  lagrime  dolci  aspergo  il  viso. 


O  tu  ,  tu,  la  cui  sorte  ai  destin  miei 
Parca  pur   che  dovesse  ir  sempre  unita, 
Chi  detto  avrebbe  un  dì  eh'  io  condurrei 
Dalla  tua  si  diversa  or  la  mia  vita? 
Mentr'  io  questo  ragiono,  appena  sei 
Tu  forse  di  tue  piume  al  giorno  uscita  , 
Ed  ora  siedi  al  lungo  specchio,  dove 
Mediti  nuove  fogge  e  piaghe  nuove. 


Visita  un  dì  le  mie  romite  sponde  : 
Ecco  venirti  ad  incontrar  per  via 
Con  le  più  rosee  frutta  e  le  più  bionde 
Le  forosette  della  villa  mia. 
T'attende  questo  Zefiro,  che  l'onde 
Agitar  del  tuo  crin  forse  desia, 
E  più  che  da'  fior  suoi  ,  spera  diletto 
Uà  quanto  ti  fiorisce  in  volto  e  in  petto. 


Meravigliando  Cromi  al  dì  novello 
Parmi  immobile  star  sovra  l'aratro, 
Veggendo  il  campo  rivestilo  e  bello, 
Ove  prima  giacea  più  nudo  ed  afro. 
Sai  ,  gli  dirò,  qual   magico  pennello 
Questo  di  colli  rabbellì  teatro  ? 
Vedi  tu  questa  rosa  ,  e  là  quel  giglio? 
La  mano  qui  posò ,  là  volse  il  ciglio. 


XV 

Frutto  de' suoi  sorrisi,  e  non  del  sole, 
E  quest'aere  sì  lucido  e  sereno; 
De'  fiati  suoi ,  non  d'  erbe  e  di  viole  , 
Frutto  è  quest'  aere  di  fragranza  pieno. 
Un  dolce  resto  delle  sue  parole 
Ondeggia  ancor  del  liquid'acre  in  seno. 
Deh  !  serbi  a  lungo  di  quel  suon  la   traccia, 
E  taccia  intanto  il  rivo ,  e  il  bosco  taccia. 


LA  SERA 


Immagine  di  questa  umana  vita, 
Che  siccome  al  suo  fin  più  s'avvicina, 
Più  del  cammin  par  correre  spedita 
Q.'el  resto  che  dal  Ciel  le  si  destina, 
È  il  Sol,  quando  con  bella  dipartita, 
di'  è  ritorno  ad  altrui,  ratto  declina, 
E  tinge  il  muro  del  ritiro  mio 
D'un  roseo  raggio,  che  par  dirmi  :  Addio. 

il 

Dalla  sua  grotta  in  sen  d'atra  foresta, 
Ove  condusse  il  dì  chiuso  e  lontano, 
Esce  il  Silenzio,  e  della  grave  testa 
Ai  suoi  ministri  accenna  e  della  mano; 
Onde  subito  il  cocchio  a  lui  s'appresta, 
Sul  qual  benché  qua  e  là  discorra  il  piano, 
Pur  né  di  calpestio  mai ,  né  di  ruote, 
Né  di  sferza  romor  1'  aura  percuote. 

fìl 

Ma  tanto  ancora  ei  dominar  non  pare , 
Che  non  susurro  alcun  fera  gli  orecchi; 
E  or  pur  la  villanella  a  quelle  chiare 
Fonti,  che  sul  mattin  le  furo  specchi, 
Per  attigner  s'  affretta  ,  e  al  cigolare 
Cantando  va  degli  ondeggianti  secchi, 
Mentre  forse  da  un  lato  è  chi  la  mira, 
E  dal  ruvido  cor  su  lei  sospira. 


Dalla  capanna  in  ruote  bianche  ed  adre, 
Dolce  al  villan  richiamo,  il  fumo  ascende, 
Dalla  capanna  ove  solerte  madre 
A  preparar  la  parca  cena  intende; 
Mentre  il  fanciullo  correincontro  ,  e  al  padre 
La  faccia  innalza  ,  e  le  ginocchia  prende, 
E  arcani  amor  va  balbettando  :  stanco 
Quel  più  non  sente  e  travagliato  il    fianco. 


i4» 


LE  POESIE 


E  il  figlio  in  alto  leva,  od  entro  viene; 
E  il  minor  fratellin  tolto,  ed  assiso, 
L'un  sul  ginocchio,  e  in  braccio  Palt.ro  tiene, 
Di  cui  la  mano  scherzagli  sul  viso  5 
La  madre  ora  al  bollir  fieli1  olle  piene, 
Ed  ora  a  quei  tre  cari  ha  P  occhio  fiso  ; 
E  già  la  mensa  lor  fuma,  non  senza 
I  due  sali  miglior  ,  fame  e  innocenza. 


O  bella  Sera ,  amabil  Dea  fra  mille , 
Che  non  suonano  i  miei  versi  più  dolce, 
E  il  gentile  tuo  viso  e  le  pupille  , 
Onde  melanconia  spira  sì  dolce , 
E  il  crin  che  ambrosia  piove  a  larghe  stille, 
E  quel ,  che  V  aure  rinfrescando  moke, 
Respiro  della  tua  bocca  rosata  , 
Che  non  ho  per  lodar  voce  più  grata? 


Ma   o  sia  che  rompa  d'improvviso  un  nembo, 
Che  a  te  spruzzi  il  bel  crin,  la  Primavera, 
O  il  seri  nuda  ,  e  alla  vcs'e  alzando  il  lembo 
L'  Estate  incontro  a  te  mova  leggiera  , 
O  che  Autunno  di  foglie  il  casto  grembo 
Goda  a  te  ricolmar ,  te,  dolce  Sera , 
Canterò  pur;     '  io  mai  potessi  l'ora 
Tanto  0  quanto  allungar  di  tua  dimora. 

vili 

Già  torna  a  casa  il  cacciator  vagante  ; 
Ah  !  sì  crudo  piacer  me  non  invita 
L'  innocente  a  mirar  pinto  volante 
Cader  dall'  alto,  e  in  ciel  lasciar  la  vita, 
O  a  sentirlo  non  morto  e  palpitante 
Tra  le  mie  calde  e  sanguinose  dita. 
Più  mi  piace,  campestre  cavaliero, 
Sul  mio  bruno  vagar  ratto  destriero. 


Vien  dalla  stalla  ;  ei  rode  il  ferreo  morso , 
E  trema  impaziente  in  ogni  vena  : 
Mille  de' passi  suoi  prima  del  corso 
Perde ,  e  in  cor  batte  la  lontana  arena. 
Vedelo  poi  volar  con  me  sul  dorso 
Fanciulla  che  dell'  occhio  il  segue  appena  ; 
Vede  sotto  ai  suoi  pie  la  bianca  polve  , 
Che  s'alza  a  globi,  e  la  via  tutta  involvc. 


E  talor  gioverà  per  vie  novelle 
Porlo,  e  piagge  tentar  non  tocche  avanti; 
Perdermi  volontario  ,  e  di  donzelle 
Smarrite  in  bosco ,  e  di  guerrieri  erranti 
I  lunghi  casi  e  le  vicende  belle 
Volger  nel!'  alma  ,  e  sognar  larve  e  incanti: 
Poi ,  riuscendo  al  noto  calle  e  trito , 
Goder  del  nuovo  discoperto  silo. 


Ma  già  il  sole  a  mirar  non  resta  loco, 
Che  in  quelle  nubi  a  cui  Pinstabil  seno 
Splende  di  fuggitiva  ambra  e  d'un  foco, 
Che  al  torcer  sol  d'un  guardo  mio  vien  meno. 
Par  che  il  colle  s'  abbassi  ;  e  a  poco  a  poco 
Fugge  da  sotto  ali1  occhio  ogni  terreno: 
Già  manca ,  già  la  bella  scena  verde 
Entro  a  grand1  ombra  si  ritira  e  perde. 


Oh  così  dolcemente  della  fossa 
Nel  tacito  calar  sen  tenebroso, 
E  a  poco  a  poco  ir  terminando  io  possa 
Questo  viaggio  uman  caro  e  affannoso  ! 
Ma  il  dì  ,  che  or  parte,  riederà  :  quest'ossa 
Io  più  non  alzerò  dal  lor  riposo  ; 
Né  il  prato,  e  la  gentil  sua  varia  prole 
Rivedrò  più,  né  il  dolce  addio  del  sole. 


Forse  per  questi  ameni  colli  un  giorno 
Moverà  Sj'irto  amico  il  tardo  passo: 
E  chiedendo  di  me  ,  del  mio  soggiorno, 
Sol  gli  fia  móstro  senza  nome  un  sasso 
Sotto  quell'elee,  a  cui  sovente  or  torno 
Per  dar  ristoro  al  fianco  errante  e  lasso  , 
Or  pensoso  ed  immobile  qual  pietra, 
Ed  or  voci  Febee  vibrando  all'etra. 


Mi  coprirà  quella  stess'  ombra  morto  , 
L'ombra,  mentr' io  vivea,  sì  dolce  avuta, 
E  I*  erba  ,  de1  miei  lumi  ora  conforto, 
Allor  sul  capo  mi  sarà  ere>ciuta. 
Felice  te,  dirà  fors'  ei ,  che  scorto 
Per  una  strada,  è  ver,  solinga  e  muta, 
Ma  donde  in  altro  suol  meglio  si  varca, 
Giungesti  quasi  ad  ingannar  la  Parca. 


L'  alme  stolte  nodrir  non  amati  punto 
Il  pensier  della  loro  ultima  sorte, 
E  che  solo  ogni  dì  morendo  appunto 
Può  fuggirsi   il  morir,   non  fansi  accorte. 
Così  divieti  come  invisibil  punto 
Il  confin  della  vita  e  della  morte; 
Onde  insieme  compor  quasi  n' è  dato 
Di  questo  e  del  venturo  un  solo  stalo. 


CAMPESTRI 


«*3 


LA  NOTTE 


Lxià  sorse,  ed  ogni  stella  in  ciel  dispose 
Notte  con  mano  rugiadosa  e  bruna; 
Piena  nell'orbe  suo  splende,  e  le  cose 
Di   soave  color  tinge  la  Luna; 
E  della  villa  e  delle  popolose 
Città  la  gente  si  rinserra  e  aduna: 
Ma  qui  su  questa  rupe,  ond1  nom  non  veggio  , 
Signor  del  mondo  abbandonato,  io  seggio. 


Come  nella  Natura,  che  sospende 
Ogn1  opra  agli  occhi ,  è  la  quiete  augusta  ! 
Come  da  un  cor,    che  la  sua  voce  intende, 
Questo  silenzio  universal  si  gusta  ! 
Universale,  se  non  quanto  il  fende 
Cupo  tenor  di  musica  locusta, 
E  romorosi  più  nella  profonda 
Quiete  o  rio  tra  i  sassi,  o  al  vento  fronda. 


ni 


Insieme  con  le  fresche  aure  notturne 
Volan  le  dolci  Calme  e  i  bei  Riposi, 
E  i  Genj  che  dormir  nelle  diurne 
Ore,  e  godon  vegliar  co'  cieli  ombrosi, 
E  con  sordo  aleggiar  le  taciturne 
Gioje  tranquille  ed  i  Piacer  pensosi  : 
Mentre  su  colle  e  pian  disteso  giare 
Qucll1  orror  bello ,  che  attristando  piace. 


Quale  nella  rapita  alma  s1  imprime 
Forza  di  melanconico  diletto! 
Coni1  è  gentile  a  un  tempo  ed  è  sublime 
Del  gran  teatro,   ove  ora  son  ,  l1  aspetto  ! 
Qui  non  s'ascolta,  è  ver,  sospiri  e  rime 
Da  non  virile  uscir  musico  petto; 
E  ver  qui  non  s'ammira  in  pinta  scena 
O  danzar  Ninfa ,  o  gorgheggiar  Sirena. 


Né  qui  gran  sale  d1  immortai  lavoro 
Sorgon,  dove  le  faci  a  mille  a  mille 
S1  addoppian  ne1  cristalli ,  illustrali  Toro, 
E  Paria  tutta  accendon  di  faville  ; 
Ed  in  giostra  venire  osan  tra  loro 
Tremule  gemme  e  cupide  pupille  : 
Regna  lo  scherzo  e  il  riso,  ed  ire  e  paci, 
Care  più,  se  più  son  Pire  vivaci. 


vi 

!  Mirabile  è  ciò  tutto  ;  e  di  quel  bene 
Che  dal  mondo  gentil  tanto  s'apprezza, 
E  di  quelle  eh'  ei  dice  utili  pene, 
Me  pur  nell1  età  mia  punse  vaghezza. 
So  i  misteri  d'un  ballo,  e  delle  cene 
La  non  vulgare  ed  erudita  ebbrezza  ; 
So  di  quanta  ventura  è  P  andar  vinto 
Da  due  ciglia,  due  guance  e  un  cor  dipinto. 


VII 


Ma  o  ch'io  vaneggi  in  questi  giorni  meno, 
O  che  or  di  follìa  saggia  in  preda  io   sia 
(  Che  per  necessità  nell'  uom  terreno 
Forse  s'annida  ognor  qualche  follia), 
Questo  pian  fosco ,  questo  ciel  sereno, 
La  visibil  di  tanti  astri  armonia, 
D'  ogni  scena  o  palagio,  e  di  quel  raro 
Che  mai  l'arte  offrir  possa,  è  a  me  più  caro. 


E  parmi  nuocer  men  quella  che  in  loco 
Notturno,  sì,  ma  liber'aura  nasce, 
Che  la  chiusa,  di  cui  l'avido  foco 
Delle  infinito  fiaccole  si  pasce. 
Perchè  la  danza,  e  dell'incerto  gioco 
Duran  così  le  ricercate  ambasce, 
Che  ogni  fiamma,   al  mancar  dell'esca  pura, 
Languendo  accuserà  le  infide  mura. 


Quindi  ogni  guancia  al  fin  pallida  e  smunta, 
Più  che  per  colpa  del  vegliar,  del  ballo: 
Né  vai,  se  ad  arte  colorita  ed  unta 
Fu  prima  in  faccia  al  consiglier  cristallo, 
Che  sotto  il  rosso  ancor  trapela  e  spunta 
Vittorioso  il  crudel  bianco  e  il  giallo, 
E,  come  stelle  d'annebbiato  cielo, 
Le  infelici  pupille  appanna  un  velo. 


Deh  splendan  sempre  a  me  le  care  stelle 
In  così  puro  ciel,  come  or  le  miro! 
Mentr'io  su  l'ali  del  pensiero  a  quelle 
M'ergo,  che  tragge  ignota  forza  in  giro, 
E  nelle  terre  incognite  e  novelle, 
Audace  pellegrino,  entro  e  m'aggiro, 
Veggo  abitanti,  e  sovra  tutto  impressa 
Con  vario  stil  la  Sapienza  istessa. 


E  se,  fermando  Pinstancabil  passo, 
Per  quel  di  mondo  in  mondo  alto  viaggio, 
Dal  freddo  Urano  estremo  il  guardo  abbasso, 
La  terra  scorgo,  e  quest' uman  legnaggio, 
Come  oscuro  il  potente,  il  grande  basso, 
Semplice  il  dotto  ,  e  mi  par  folle  il  saggio! 
Come  vario,  ma  Puom  sempre  vegg' io 
Sotto  la  scorza  dell'Eroe,  del  Dio! 


•  So 


LE  POESIE 


Ma  quale  dal  vìcin  secreto  bosco 
Soavissimo  canto  si  dischiuse? 
Dolce  usignuol,  la  voce  tua  conosco, 
Che  il  suo  nettare  sempre  in  me  diffuse. 
Sempre  io  t'amai;  tristo  è  il  tuo  genio  e  fosco, 
E  te  compagno  lor  dicon  le  Muse: 
Ebbi  genio  conforme  io  pure  in  sorte, 
Ed  entrai  giovinetto  a  quella  corte. 

xm 

Pera  chi  al  bosco  tuo  t'invola,  e  udirti 
Crede  rinchiuso  in  carcere  molesto! 
Cantor  non  compro  tra  gli  allori  e  i  mirti 
Udir  ti  dee;  che  il  tuo  teatro  è  questo. 
Solo  di  terra  e  ciel  può  convenirti 
Tacito  aspetto  e  dolcemente  mesto, 
E  libero  varcar  di  ramo  in  ramo: 
Schiavo  e  avvilito  alcun  veder  non  amo. 

XIV 

Tu,  benché  l'ombre  da  presenta  rotte 
Non  sien  di  Luna  ,  o  d'astro  alcun ,  pur  suoli 
Tesser  musiche  voci ,  e  della  Notte 
L'  orror  più  tenebroso  orni  e  consoli. 
Ambo  il  canto  innalziam  tra  rupi  e  grotte, 
Paghi,  quantunque  non  uditi  e  soli: 
Che  non  cerca  il  piacer  nell'altrui  lode, 
Chi  al  proprio  cor  di  soddisfar  sol  gode. 

XT 

O  Notte,  antica  Deità,  che  nata 
Sei  pria  del  Sole,  e  più  del  Sol  vivrai, 
Venerata  da  me,  da  me  cantata, 
Fin  ch'io  respiri  aura  di  vita,  andrai. 
In  quella  prima  età,  chiusa  e  celata 
Tra  un  manto  oscuro  tutto  e  senza  rai , 
Stavi  oziosa,  e  nel  pensoso  ingegno 
Volgendo  i  fasti  del  vicin  tuo  regno. 

XVI 

Poi  sorta,  e  in  cocchio  d'ebano,  frenando 
Sei  destrier  bruni  con  la  manca  mano  , 
E  con  la  destra  argenteo  scettro  alzando, 
Regina  uscisti  fuor  dell'Oceano, 
Coronata  di  stelle,  e  dispiegando 
Manto  gemmalo  per  l'etereo  vano, 
E  con  impressa  nella  fronte  nera 
La  soave  di  Cintia  argentea  sfera. 

XVii 

Salve,  gran  Dea:  te  da  sue  torri  onora 
L'osservator  d'arcani  vetri  armato, 
Se  mai  qualche  tua  gemma  ignota  ancora 
Nel  velo  o  nel  crin  tuo  scoprir  gli  è   dato. 
Ma  tutta  rimirarti,  e  tutte  a  un'ora 
Goder  le  tue  bellezze  è  a  me  pivi  grato. 
Notte,  de' vati  e  cor  teneri  amica, 
Coroni  il  nome  tuo  la  mia  fatica. 


LAMENTO   D'ARISTO 

IN  MORTE 

DI 

GIUSEPPE  TORELLI  * 


Stracciò  dal  crine  il  mirto,  onde  solea 
La  poetica  fronte  Aristo  ornarsi  : 
Aristo  d'ermi  campi  e  d'erme  selve 
Fatto  pensoso  abitator:  dal  crine 
Quelle  stracciossi  allegre  frondi,  e  il  colle 
Salì  rapidamente,  alla  cui  velta 
Sorgon  bruni  cipressi,  ond' è  ricinto 
Del  pallido  Eremita  il  sacro  albergo, 
Ed  un  ramo  ne  svelse,  e  intorno  al  capo 
Sei  girò,  se  l'avvinse;  indi  si  fece 
Sedil  d'  un  sasso,  di  rincontro  a  balze 
Di  grato  orror  dipinte;  e  poi  che  alquanto 
Con  la  mente  vagò  da  sé  lontano, 
Trasse  lunge  dal  core  imo  un  sospiro, 
E  tal  sensi  innalzar  l'udì  la  Notte, 
Che  già  in  fosco  tingea  la  terra  e  il  ciclo. 


Queste  del  gufo,  il  qnal  dnolsi  alla  Luna, 
Non  son  le  voci  flebili,  allungate, 
Che  nel  silenzio  della  notte  bruna 
Ad  un  oppresso  cor  giungon  sì  grate? 
O  pensieroso  augel ,  di  ria  fortuna 
Portator  ti  accusò  la  vecchia  etate  : 
Ma  udito,  se  ver  fosse  il  detto  antico, 
T'avrei  la  notte  in  ch'io  perdea  l'Amico. 


Spirto  gentil,  la  solitaria  vita, 
E  questi,  ov' io  mi  chiusi,  ermi  soggiorni 
Fanno  che  alla  mia  scorsa  età  fiorita 
Con  la  memoria  e  a  te  più  spesso  io  torni  : 
Ma  da  rimorso  ho  l'anima  ferita; 
Che  dappoi  che  tu  vivi  eterni  giorni, 
Mille  e  più  volte  il  Sole  uscio  dall'  Indo, 
Né  ti  sparsi  su  l'urna  un  fior  di  Pindo. 


*  Nella  persona  d'  Aristo  s'intende  l'Autore  che  piange 
la  morte  dell'amico  suo;  e  i  due  luoghi  contenenti  la  in- 
troduzione e  la  chiusa  si  suppongono  detti  da  persona  con- 
fidente dell'  Autor  medesimo. 


CAMPESTRI 


1S1 


Pur  chi  ili  te  sovra  il  mio  ranto  avea 
Dritto  maggior,  che  al  fianco  mio  prendesti 
Spesso  il  più  erto  «Iella  via  Dircéa, 
E  me,  che  vacillava,  in  pie  reggesti? 
Forse  a  chiaro  d1  onor-  segno  io  giungea, 
Se  tu  givi  più  tardo  in  fra  i  Celesti: 
Forse  con  gli  anni  tuoi   Morte  superba 
Anco  la  gloria  mia  recise  in  erba. 


Or  più  di  questa  gloria  io  non   mi  curo, 
Che  un  nulla  al  fine  la  conobbi  anch'  essa. 
Un  ben  più  assai,  che  quel  non  è,  sicuro 
Alma    che  sa  cercar    trova  in  sé  stessa. 
Mia  delizia  è  il  sedermi,  ove  d'oscuro 
Bosco  cader  vegg'io  l'ombra  più  spessa, 
Ove  con  interrotto  e  tardo  passo 
Mormora  un  roco  rio  tra  sasso  e  sasso. 


Come,  se  fossi   meco  in  questi  colli, 
Lieto  vedresti  i   pensier  fermi  e  gravi 
Tu,  che  spesso  dai  vani  un  tempo  e  molli 
Con  dolce  improverar  mi  richiamavi; 
E  della  schiavitù  degli  amor  folli 
Sciorre  l' incatenata  alma  tentavi. 
Io,   benché  amante  del  mio  mal,  la  mano 
Baciava,  che  volea  tornarmi  sano. 


Ma  no,  non  fu  con  la  mortai  tua  vesta 
11   suon  per  me  della  tua  voce  spento. 
Entro  ini  parla,  e  chiara  e  manifesta 
D.d  fondo  alzarsi  del  mio  cor  la  sento. 
Tale  sovente  o  non  diversa  inchiesta 
Le  movo  :  E  morte  cosi  fier  tomento? 
È  l'arrestarsi  nell'  uman  viaggio 
Duro  così?  Non  è,  risponde,  al  Saggio. 


Ed  in  vista  dei  ben  falsi,  e  di  quanto 
È  nel  mondo  d'errore  e  di  follia, 
Di  bassa  amhizìon  ,  d'  inutil  vanto , 
Festoso  ei  dal  suo  fral  si  disciorria: 
Ma  l'amistà,   ma  l'amor  fido  alquanto 
Fanno  al  suo  dipartir  l'alma   restia, 
Onde  ai  più  cari  suoi  languido  e  tardo 
Rivolge  indietro  e  sospiroso  un  guardo. 


Con  quest'ultimo  sguardo  io  m'incontrai, 
Che  al  tuo  letto  di  morte  era  dappresso, 
E  si  tenacemente  lo  serbai 
Da  indi  in  qua  negli  occhi  fidi  impresso, 
Che  non  pur  eh'  io  vedessi  oggetto  mai  , 
Che  fitto  si  restasse  in  lor ,  coni' esso, 
Ma  quel  che  ho  innanzi,  con  sì  vivi  tocchi 
Forse  non  si  colora  a  me  neali  occhi. 


Oh  fatai  sempre  e  amara  rimembranza , 
Ma  cui  non  posso  far  eh'  io  non  sia  tratto  ! 
Ogni  più  debil  luce  di  speranza 
Quel  primo  orribil  dì  fu  spenta  a  un  tratto, 
Che  il  Fisico  gentil   nell'  egra  stanza 
Venuto,  e  messo  di  chi  ascolta  in  atto  , 
Toccò  la  vena,  e  di  presaga  stilla, 
L1  amica  a  un  tempo  inumidì  pupilla. 


Tutto  allor  mi  s'offrì  l'eccidio  mio 
Compendiato  in  quel  funesto  segno. 
Rapido  cresce  il  fatai  morbo,  ed  io 
Con  1'  arti  inefficaci  invan  mi  sdegno , 
E  la  voce  talvolta  al  cielo  invìo  : 
Più  che  d' eletti  spirti  il  sommo  regno  , 
Forse  non  ha,  per  tante  macchie  immondo, 
Mestar  di  virtuosi  esempi  il  mondo? 

si 

Mentr^io  sì  fatte  cose  in  cor  favello 
Presso  i  cari  origlier  (già  Notte  andava, 
Né  maggior  lume  ivi  splendea  di  quello 
Che  scarso  e  tristo  una  lucerna  dava)  , 
Ecco  a  un  tratto  veder  parmi  un  drappello, 
Che  al  doloroso  letto  intorno  stava, 
Di  molto  in  vista  ragguardevol  donne; 
Ma  coja  viso  piangente  e  fosche  gonne. 

XII 

Eran  le  Sagge ,  a  cui  vien  posto  il  nome 
Dalle  onorale  lor  belle  fatiche, 
Critica,  Geometria  con  sciolte  chiome, 
Poesia,  Storia,  e  le  Favelle  antiche. 
Giansi  tra  lor  riconfortando  ,  come 
S"  usa  in  fortuna  ugual   tra  fide  amiche  : 
Ma  il  fean  così,  che  più  che  dar,  di  loro 
L'  una  all'  altra  pai  ea  chieder  ristoro. 

in» 

Poi  dal  letto  scostarsi,  e  d'improvviso 
Le  veggo  in  fila  dall' un  canto  porsi, 
Come  a  dar  loco,  riguardando  fiso 
Verso  la  porta,  ov' io  pur  l'occhio  tòrsi; 
E  la  soglia  varcar  Donna  di  viso 
Maraviglioso,  e  d'atto  augusto  io  scòrsi, 
Che  al  tetto  giunge  con  la  fronte,  e  intorno 
Raggia  dalle  pupille  un  aureo  giorno. 

XIV 

Come  vi  lampeggiasse ,  il  loco  tutto 
D'  un  tremolo  fulgor  si  rivestiva. 
Pur  la  nobile  Donna  avvolta  in  lutto 
Tenea  la   faccia  :  or  che  saria  giuliva  ? 
Ma  d'  ogni  pianto  era  il  bel  volto  asciutto, 
Dolente  sì  ,  ma  qual  conviensi  a  Diva  ; 
Tal  che  il  duol  nel  suo  viso  e  in  un  del  vinto 
Duolo  il  trionfo  si  vedea  dipinto. 


a» 


LE  POESIE  CAMPESTRI 


Alle  bende  del  crine,  ed  a  quel  bianco 
Velo  che  ricopria  le  membra  ignnde, 
Alla  catena,  ond1  è  sventura  ir  franco, 
Temprata  d1  òr  su  non  mortale  incude  , 
E  ali1  aurea  chiave  che  pendea  dal  fianco. 
Ove  sculto  appariva  il  Ciel  dischiude, 
ReligVon  conobbi,  e  un  sacro  orrore 
Mi  sentii  P  imo  ricercar  del  core. 


Ma  mentre  veggo  che  all'  amico  letto 
Ha  la  celeste  Donna  il  pie  rivolto  , 
E  eh1  io  già  del  ginocchio  in  terra  me'i, 
Da  quella  dolce  vision  fui  tolto. 
Egli  moria  ;  ma  con  sicuro  aspetto 
Attendea  l'ora  che  l1  avria  disciolto: 
Non  io  cosi,  ch'era  a  soffrir  men  forte 
Quella  che  mia  parea  più  che  sua  morte. 

xvn 

Se  la  pompa  feral  di  quella  sera 
Romper  non  vidi  1'  orride  tenebre 
Col  tetro  lume  della  bianca  cera  , 
Né  il  sacro  udii  di  pace  inno  funebre, 
Qual  prò1,  se  tutto  nell'  orecchio  m'era, 
Tutto  innanzi  mi  stava  alle  palpebre? 
Se  della  tomba  sua  ne^entier  bui, 
Benché  lontano,  io  discendea  con  lui? 


Poscia  in  me  tal  provai  lugubre  senso , 
Come  dal  ciel  mi  fosse  il  Sol  caduto  ; 
Né  che  restasse  mai  notturno  io  penso 
Viandante  in  cammin  deserto  e  muto  , 
Com'io  rimasi,  né  tra  mare  immenso, 
Senz'ago  conduttor  ,  nocchier  perduto: 
Ed  anche  in  mezzo  a  cittadino  stuolo 
Gran  tempo  andò,  eh1  esser  mi  parve    solo. 


Ma  tu  ,  che  ove  non  é  fiamma  né  gelo 
Godi,  e  di  stella  in  stella  ora  t'aggiri, 
Queste  ricevi,  che  ti  mando  in  cielo, 
Non  so  s1  io  debba  dir  lodi  o  sospiri. 
Io  sempre  Notte  pregherò  che  il  velo 
Stenda,  e  nessuna  in  ciel  nube  si  miri, 
^uasi  or  vederti,  Anima  grande  e  bella, 
Mi  paja  in  una ,  ora  in  un'  altra  stella. 


Così  Aristo  cantò:  poscia  dond1  era 
Toglieva  il  male  riposato  fianco, 
Scendea  del  colle ,  e  a   sua   magion   voltava 
Tra  le  compagne  ombre  notturno  il  passo: 
Ma  sentia  poco  raddolcita  in  core 
Dal  balsamo  Febeo  l1  antica  piaga. 


TRAGEDIA 


ARMINIO 


PROLOGO 


MELPOMENE 

r  ar  riviver  gli  estinti,  e  i  prischi  eroi 
Condurre  a  passeggiar  tra  pinte  scene, 
E  a  lor  dar  voce  che  di  lor  sia  degna  • 
Metter  su  gli  occhi  di  chi  ascolla  il  pianto, 
Del  non  vero  creando  ambascia  vera: 
E  alzar  gli  spirti,  e  col   piacer  cercato 
La  virtù  non  cercata  indur  ne'  cori  : 
Questo  io  prima  insegnai  d1  Ilisso  in  riva. 
Con  fatali  sventure  e  colpe  illustri 
L1  odio  ai  tiranni,  ed  il  timor  de1  Numi 
Nel  popolo  io  destava  ;  e  di  pielade 
Pungendo  Palme,  e  di  terror  secreto, 

10  le  temprava  si,  che  P  uom  più  duro 
Disconobbe  sé  stesso,  e  dei  re  crudi 
Avvezza  a  segnar  morte,  e  al  ciglio  alzata, 
Stupì  la  man  di  ritrovarlo  molle. 

Aure  si  dolci  su  i   romani  colli 
Non  respirai:  pur  cosi  nobil  terra 
Nel  grembo  suo  lunga  stagion  mi  tenne. 
Ma  da  insoliti  fregi  e  da  straniera 
Pompa  io  mi  vidi,  più  che  adorna ,  oppressa. 
Già  dall'  orecchio  anche  più  culto  ali1  occhio 

11  piacer ,  tralignando  ,  era  passato  5 
E  di  non  s'agitar,  di  non  dolersi 

Era,  e  di  non  tremar  contenta   ogni    alma: 
E  in   maggiori  teatri  io  fui  men  grande. 
Ohimè,  che  le  felici  ausonie  piagge 
Rai  bara  gente  inonda!  Io  fuggitiva 
Ricovro  in  sen  delle  pimplée  foreste» 
Quella  recando  in  man  fiamma  divina 
CIP  io  di  Sofocle  avea  nel  petto  accesa. 
Gelosamente  ivi  la  serbo  5  ed  ivi 
Nutro  la  trista  estasi  mia,  vagando 
Or  nel  più  interno  bo»co ,  ed  or  gli  orecchi 
Al  suon  delle  cadenti  acque  porgendo. 
E  come  augel  dalla  notturna  frasca 
Fise  le  luci  tien  nelP  Oriente, 
Pur  desiose  di  vederlo  bianco  ; 
Cosi  attenta  aspettando  io  già  che  quella 
Nordica  notte,  che  il  bel  cielo  ausonio 
Premea,  cedesse.  Al  fin  si  rompe;  ed  io 
Corro,  col  sacro  fuoco  in   man   ripreso, 
Roma  ed  Etruria  a  riveder  :  poi  varco 
L'  Alpi  nevose  e  P  Occdu  fremente. 

PEDEMONTE 


Colmo  di  meraviglia  udì  Parigi 
L'ira,  Pambizion,  il  cieco  amore, 
Quelle  tra  i  dover  cari  e  i  cari  affetti 
Difficili  battaglie,  e  i  moti  ,  e  tutti 
I  palpiti  d1  un  cor  da  me  dipinti 
In  abito  non  sol   romano  e  greco, 
Ma  cinese,  indiano,  arabo,  scita: 
Meravigliando  anch'  io  di  poter  tanto 
Con  le  abborrite  rime  e  nn  verso  imbelle. 
Né  men  lieta  Albi'on  delle  vetuste 
Sue  querce  all'  ospitale  ombra  m1  accolse. 
Là,  've  il  placido  Avone  i  campi  irriga, 
Giacca  della  natura  il  figlio  caro 
Tra  i  fiori  e  P  erba.  La  gran  madre ,  assisa 
Su  quella  sponda  stessa  ,  il  volto  augusto 
Svelo  lutto  al  fanciul  ,  che  stese  ardito 
Ver  lei  le  braccia  pargolette,  e  rise. 
Ed  ella,  Te' questo  pennello,  disse: 
La  Genitrice  ritrarrai   con  esso, 
Rambin  sublime!  Ma  non  volle  P  Arie 
R  iccorlo  in  grembo  ,  e  in  lui  stillar  suo  latte: 
L'  Arte  che  te  nodrìo  ,  saggio  Addissono  , 
Per  cui  Caton  dalle  britanne  ciglia 
Trasse  morendo  lagrime  romane. 
|  Ecco  poi  tutti  vèr  P  Ausonia  gli  occhi , 
Ove  d'  Adige  in  riva  una  ingannata 
Madre  solleva  P  omicida  ferro 
Contrail  proprio  suo  figlio.  Ah!  ferma,  ferma, 
Le  grida  un  vecchio  .oh «ielle! ferma.  Eintanto 
Un  dolce  sospirar  s'alza  per  tutte 
Le  italiche  cittadi ,  e  in  tutta  Europa 
Dell1  Euripide  nuovo  il  nome  vola. 
Poco  averlo  io  potei;  che  or  Puna,  or  l'altra 
Mei  rapia  delle  Suore:  ed  io  ne  piansi. 
Ma  d'  Asti  sorse  a  consolarmi  un  Grande 
Che,  dicendo  alte  co?e  in  alto  stile, 
Meritar  parve  che  ad   udirlo  stesse 
Il  fior  di  Grecia  e  Roma;  ove  minori 
Di  quei ,  eh'  egli  scolpì,  Timoleone, 
Agide  furo,  e  l'uno  e  l'altro  Rruto. 
La  bella  gloria  ,  onde  splendenti  vanno 
Questi  cari  a  me  tanto  itali  spirti , 
Sia  sprone  al  vostro  fianco,  itali  alunni, 
Che  di  catarri  il  mio  coturno  ardete. 
Ma  pensate  che  sacra  è  P  arte  vostra . 
Che  dagl'  incauti  alberghi  ove  una  bajsi 


*54 


PROLOGO 


Voglia  profana  entrò,  fuggono,  il  volto 
Coprendosi  (P  un  vel ,  le  caste  Muse. 
E  pensate  che  il  Giel  tutti  i  suoi  doni 
Vi  sparse  invan  su  la  felice  culla, 
Se  vigilando  di  compagna  face 
Non  istancate  i  rai  ;  se  disdegnate 
Le  feconde  abitar  vocali  selve 
Della  Grecia  e  del  Lazio,  e  il  rozzo  labbro 
Tinger  nell1  oro  del  toscano  fiume. 
Di  penne  non  icarie  il  giovanile 
Tergo  armatevi  prima  ;  indi  levarvi , 
No,  non  temete,  in  allo,  e  su  l1  intera 
Faccia  spiegar  dell1  Universo  il  volo, 
Lanciando  intorno  gì1  infiammati  sguardi , 
E  né1  cor  penetrando  :  amori  e  sdegni , 
Sospetti  ,  gelosie,   speranze  ,  gioie  , 
Mille  di  color  vario  affetti  ,  e  mille, 
Tutti  allor  s1  offriranno  in  folla  a  voi, 
L' onor  de1  carmi  domandando  tutti. 
Versate  allor  nell1  implorato  canto 
Quelle,  che  in  sen  chiudete  ,  ignee  faville. 
Nuovo  da  queste  scene  intanto  sorge 
Tragico  verso ,  che  ascoltar  tacenti  , 


Quanti  sedete  a  queste  scene  intornp, 
Sol  vi  chiede ,  tremando  ,  il  mio  Poeta. 
E  le  battenti  palme  ?  Oh  così  possa  , 
Come  le  brama  ,    meritarle  ancora  ! 
Mira,  è  ver,  nella  lode  un  bene  incerto, 
Periglioso,  fatai,  die  il  ben  primiero, 
L'interna  pace,  oguor  distrugge,    e   spesso 
D'uoni,che  inai  non  livide,  un  tuo  nemico, 
E  dell'amico  tuo  forma  un  rivale: 
E  pur  lode  sì  infausta  amar  confessa. 
Ma  quello  udite  ch'io  nel  cor  gli  leggo  : 
Se  un  dì,  per  conquistarla,  ei  mai  dovesse 
Frodarne  altrui  ;  se  lusingar  V  ingiusto 
Fortunato  valor;  se  al  vizio  in   trono, 
O  col  pilco  sul  capo  ,  offrir  P  incenso, 
Cantare  illustri,  ovver  plebei  tiranni} 
E  contra  il  ciel  ,  contra  i  paterni  altari 
Vibrar  non  riverente  un  solo  accento  ; 
Più  tosto  vuole  che  in  tenèbie  eterne 
11  nome  suo  resti  sepolto  :  vuole 
Con  fronte  nuda  ir  sempre,  o  che  la  cinga, 
Se  d'  allor  non  è  indegua,  un  puro  alloro. 


PERSONAGGI 


Capi  de'Cherusci,    antico  po- 
polo della  Germania. 


ARMINIO , 

TELGASTE, 

GISM0NDO, 

J  US!\r,LlJA  ,    moglie  di  Armiuio. 

V  hi  LA  IN  1  K,    figlia  di  Armimi!  e  di  Tusnelda. 

LALlJLnU,    figlio  di  Arininio  e  di  Tusnelda. 


A  n  I  I  ,    snidalo  eh erutto. 
Con  DOTTI  Ehi. 

Soldati. 
Sacerdoti. 

DoKKE    CHF.nUSCE. 

Cor.o  di  Laudi 


La  scena  è  un  bosco  praticabile  con  sedili  muscosi  irregolarmente  disposti;  trofei  sopra  i  tronchi  di 
alcuni    alberi;  ghirlande  di  fiori    appese  ai  rami  di  alcuni   altri,  e  rozzo  altare  nel  mezzo. 

Arminio,  Telgaste,  Gismondo,  vestili  di  lana  le  braccia  e  le  gambe  assai  strettamente;  una  spezie 
di  manto  pur  di  lana  ;  calzari  di  pelle  fin  sopra  la  noce,  e  uon  più,  della  gamba  ;  corazza  ,  elmo  con 
coda  di  cavallo  ,  e  spada  sul  fianco. 

4'nndottieri  eberusci,    allo  stesso  modo. 

Soldati  eberusci,  nudi  le  braccia  e  le  gambe;  mezza  corazza  ,  o  sia  panciera;  pelle  intiera  di  qualche 
animale  su  le  spalle,  che  cade  di  dietro,  ed  è  appuntata  da  fibbia  sul  petto;  calzari,  come  sopra; 
nulla  in  capo,  lancia  nella  mano  e  scudo  quadrilungo  e  assai  grande,  che  pende  a  tergo.  Alcuni 
avranno  anche  il   turcasso  al  fianco. 

Baldero  e  Arpi,  come  i  soldati;  Baldero  però  non  avrà  ne  scudi»  uè  lancia,  ma  la  spada  sul  fian- 
co, e  bella  pelle  d'orso  su  le  spalle,  che  il  distingua  alquanto  da  quelli. 

Bardi,  braccia,  gambe  e  calzari,  come  sopra  ;   snpravvesta  di   lana;  nulla  in  capo,    e  capelli  sciolti. 

Sacerdoti,  con  abito  lungo  di  lana;    la    fronte    cinti    di  quercia;   calzari,  come  sopra. 

Velame  e  donne  cherusce,  coti  abito  e  sopravvesla  di  lana;  nude  le  braccia  e  il  collo;  calzari  di 
pelle,  e  nulla  sul  capo. 

Tusnelda,  vestita  nel  modo  slesso,  ma  con  più  studio  e  più  eleganza;  lavori  d'oro  al  petto  e  alle 
braccia,   e  in  capo  qualche  ornamento. 

Gli  abiti  saranno  d'ogni  colore,  ed  alcuni  a  liste  di  due  colori,  fuor  quelli  affatto  bianchi  de' sa- 
cerdoti; gli  scudi  di  legno  variamente  e  bizzarramente  dipinto. 

Tutto  ciò  fu  tratto  principalmente  da  Tacito  e  dal  Cluverio.  Quanto  ai  pugnali  e  alle  trombe,  che 
pirs'introducon  nella  tragedia,  l'uso  de' primi  presso  i  Germani  vedesi  nel  tomo  quarto  dell'  Anti- 
chità spiegala  di   Aloiilfaucon,  e  quello  delle  seconde  nel    libro    quinto    di    Diodoro  Siculo. 

ATTO  PRIMO 


SCENA   PRIMA 

Telgaste  che  vìen  dal  fondo  della  scena 
con  alcuni  Cherusci. 

"compagni  fidi,  che  vinceste  tanto 

Di  fatiche  e  di  rischi ,  al  fin  stani  giunti , 


E  giunti,  fuor  d'ogni  credenza,  in  tempo. 
Di  Teubergo  ecco  il  bosco  :  ecco  i  trofei 
Più  luminosi  del  valor  cherusco. 
—  Romani  scudi  ed  elmi,  ove  son  ,  dite, 
Quelle  membra  da  voi  sì  mal  coverte 
Contra  il  nordico  ferro  ?  11  dì  ritorna 
Della  vostra  vergogna  :  il  dì  che  ìese 


ARMIMIO  ATTO  PRIMCT 


La  prima  noi  delle  Germane  genti. 

—  Compiimi ,   apparecchiatevi  al  solenne 

Giorno.  Mirate,  come  chiaro  spunta! 

SCENA    II 
B.ALDEEO  ,  Telgastb. 

Bai.  Numi  !  Telgaste  qui  ? 
Tel.  Vieni  a!  mio  seno, 

Baldero  mio. 

Bai.  Tanta  sperar  ventura 

Io  già  più  non  osava. 

Tel.  Oh   rome  ratto 

Monti   e  fiumi  varrai  !  Da   quella  uscito 
Vasta  prigion  che  fletta  è  Roma,  io  tosto 
Scorrere  in  me  sentii  vita  novella. 

Bai.  Roma  con  noi  qnal  è? 

Tel.  Scaltra  ed  ingiusta. 

Ma  come  vive  il  genitor  ,  la  madre, 
La  suora  tua  ? 

Bai.  La  sposa  tua — ti  aspetta 

Con   una  smania  da  non  dirsi.   Il  padre 
Le  promettea  che  questo  giorno  ,  in  cui 
Varo  fu   vinto,  e  che  da  noi   per  queste 
Selve  ,  ove  cadde,  si   festeggia  ogni  anno, 
Fora   pur  quello  di   sue  nozze  tanto 
Da  lei  hramate.   Il  suo  duol  pensa,  quando 
Vide  jeri  la  notte  ,  e  te  non  vide. 

Tel.  Chi  di  me,  se  BalJero  il  ver  mi  narra , 
Felice  più? 

Bai.  T'inganni.  Oggi  felice 

Non  è  Telgaste. 

Tel.  Ohimè  !  che  dici? 

Bai.  Uomcheami 

La  patria,  esser  noi  può. 

Tel.  Come  ? 

Bai.  Un  oscuro 

Nemho  ,  che  sorse  per  maggior  mio  male 
Dal  paterno  mio  tetto,  a  noi  sul  capo 
S1  addensa. 

Tel.  Parla. 

Bai.  Arminio,  il  padre  mio  .  .  . 

Tel.  E  hen  ? 

Bai.  Regnar  desia. 

Tel.  Che  ascolto? — Arminio, 

Quel  grande  Arminio  che  brandi   la  spada 
Con  tra   Maroboduo  :  perchè  gli  Svevi 
Signoreggiar  volea? 

Bai.  Pareagli  allora 

Bello  il  tener  da  qnal  si  voglia  impero 
Sgombra  Germania.   Di  tal  gloria  cinto  , 
Pargli  or  che  un1  altra  il  fregerà,  se  alcuno 
Quel ,  ch'ei  contese  altrui  ,  non  gli  contenda. 

Tel.  Ma  certezza  n1  hai  tu  ? 

Bai.  Soverchia. 

Tel.  Nulla 

Pria  del  mio  dipartire  io  scorsi. 

Bai.  Appieno 

Te  conoscendo,  egli  lontan  ti  volle, 
E  fé1  nomarti  ambasciador  sul  Tebro , 
Benché  ogni  saggio  reputasse  yana 
Tale  ambasciala.  Occulte  fila  intanto 
Tendendo  ,  presi  a  sé  traeva  i  duci 
E  i  sacerdoti.  Io  che  potea  ?  Star  muto, 
Fosco ,  pensoso  potea  un  figlio ,  e  stette. 


i53 


j    —  Perchè  nacqui  da  lui? 

•tyK  Ma  fur  tenaci 

|     Della  lor  libertà  sempre  i  Cherusri. 
Bai.  Ma  di  Arminio  il  valor  gli  abbaglia.  Le  arti 
Molto  io  non  temo:  il  merto  suo,  che  noi 
Distrugger  non  possiam ,  pavento.  Speme 
Resta  in  te  solo.  Ah  !  tu  a  me  salva  il  padre, 
Salva  Pamico  a  te ,  la  patria  a  tutti. 
7W.  Quanto  ella  impone,  io  compirò:  tei  giaro. 
Più  ancor  m1  è  cara,  poiché  Roma  io    vidi 
Con  quel  suo  cupo  ,  impenetrabil,  crudo 
Tiberio  ;  Roma ,  ove  né  aprir  pur  bocca 
Lice  sotto  un  signor  che  il  parlar  franco 
Teme,  e  il  servii  non  ama;  ove  un  senato, 
Cui  dal  trrmare  l1  adular  non  salva, 
Ch'  esser  non  sa  né  libero  né  schiavo , 
Dai  motti  oscuri,   dal  silenzio  atroce, 
Dal  ceffo  ambiguo  di  quel  mostro  pende. 
Bai.  ■  Vedi  tu  questo  breve  e  pronto   acciaro 
Da  me  tolto  con   mano  ancor  fanciulla 
A  un  soldato  d1  Italia  ?  Nel  mio  petto 
Tutto  entrerà,  pria  che  i  comuni  ceppi  , 
E  tanta  io  miri  onta  paterna  e  mia. 
Tel.  Calmati,  amico:  dall'  Italia  ,  dove 
Invano  andai  ,  forse  io  non  riedo  invano. 
—  E  qnai,  Velante  mia,  qnai  sensi  nutre 
La  sublime  tua  madre? 
Bai.  Della  madre 

Non  favellarmi. 
Tel.  Che  ? 

!  BaL  Tusnelda  e   Arminio 

Son  due  corpi  e  uno  spirto   Un'altra  e   nuova 
Tusnelda  a  noi  dal  contagioso  Tebro 
Ritornò  :  a  fastidire  i  rozzi   nostri 
Costumi  ,  srrani  a  risentir  bisogni 
Cominciò  tosto.  Schiava  un  tempo  in  Roma, 
Forse  le  par  che  da  quel  brutto  scorno 
Tergerla  or  debba  di   Regina  il  nome, 
Macchia  più  grande.  Oltre  che  sempre,  sempre 
Le  va  soffiando  nell'orecchia  incauta 
Suo  veleno  un  reo  serpe  a  te  ben  noto, 
Gismondo  ,  che  de'  taciti  consigli 
Di-I  genitor  primo  è  strumento.  Mira  , 
Scodiarlo  io  deggio. —  Malu  qui  m'atlendi  a. 
Tel.  Cosa  io  qui  trovo  inaspettata. 
Bai.  J  Se  oggi 

Morir  degg'  io,  di  quel  Gismondo  il  sangue, 
Da  te  versato,  la  mia  tomba  inondi. 
Udisti? 

Tel.        Tu  vivrai. 

Bai.  Pur  eh1  io  sul  trono 

Colui  nou  vegga  ,  che  ferir  non  posso. 

SCENA  HI 
Telgaste. 

Prode  garzone  !  impetuosa  troppo 
Fuor  del  giovine  sen  l'alma  ti  sbalza: 
Mi  tu   miglior  di  me  sei  molto.  Alcuno 
Non  ha  la  tua  virtù   sprone  straniero  : 
E  me,  qualunque  impresa  io  tenti,  acuto 

i  Cavando  un  pugnale 
a  Mnovi-si  prr  partire. 
3  Ritornando. 


i5C 


ARMIMI  O 


Punge  desio,   che  la  tua  suora  illustre 

D'  aver  posto  in  me  il  core  ognor  s'applauda. 

SCENA  IV 

Tbskelda,  Velame,  BaldefxO  ,  Telo. aste. 

Tus.  Valoroso  Telgaste  ,  a  noi  tu  giungi  , 
Quanto  improvviso  più,  tanto  più  caro. 

Tel.  Veloce  io  venni  ;  e  più  veloce  assai  , 
Bella  Velante ,  innanzi  a  me  volava 
L1  infocato  cor  mio. 

Vel.  Me  tristi  «ogni 

Turbavan  si,  ch'io  di  dormir  temea . 
Né  partian  con  la  notte  i  mici  terrori. 
Ma  tutte  al  venir  tuo,  come  al  Sol  nebbia, 
Fuggon  le  larve.  Oggi  rinascer  parmi. 

Tus.  Tutti  si  compion  oggi  i  miri  desiri. 

Bai.  Forse  non  tutti. 

Tus.  Udistp?  O  muto  stassi, 

O  parla  aspro  ed  oscuro. 

Vel.  Deh  !  fratello  , 

Non  funestar  con  oltraggiosi  e  vani 
Sospetti  un  sì  bel  giorno. 

Bai.  Ecco,  Telgaste, 

La  sposa  tua.  Men  diffidente  ognora  , 
Quanto  più  pura ,  fuor  di  sé  non  vede, 
Che  quel  che  trova  in  sé  :  l'onesto  e  il  retto. 

Tus.  E  tu  ,  figlio  crudel ,  tratti  ognor  peggio 
Madre  che  t'  ama. 

Bai.  E  ver  ,  tu  m'  ami.  Amassi 

La  tua  patria  così  ! 

Tus.  Che  ?  1'  odio  io  forse  ? 

Bai.  Poiché  di  Roma  i  preziosi  marmi 
Vedesti  ,  e  gli  archi  ed  i  teatri  ,  sembra 
Che  a  te  piacciano  men  le  nostre  selve. 

2yus.  Bello  é  ogni  loco,  quando  è  patria. 

Bai.  E  voglia 

Può  in  ogni  loco  ancor  nascer  del  regno. 

Tus.  Audace  !  al  fin  chiaro  favelli. 

Tel.  Come 

Tal  voglia  entrar  d1  una  Germana  in  core 
Potria  ?  Donna  romana,   se  tornando 
Dalla  curia  o  dal  campo  il  buon  marito 
Degna  versarle  alcun  secreto  in  seno  , 
Vive  beata.  Altra  è  la  vostra  sorte: 
Voi  con  gli  uomini  qui  la  guerra,  voi 
Dividete  la  pace.  Abbiam  noi  visto 
Donne  co'  prieghi  e  con  gli  opposti  petti 
Schiere  voltale  rivoltar  :  concilii 
Non  raduniam ,  che  non  ne  siate  a  parte  : 
Degne  ancor  vi  crediam  che  ardente  il  Nume 
Scenda  nel  petto  a   voi  ,  parli  sul  labbro. 
E  non  tenersi  assai  locata  in  alto 
Potria  qui  donna  ? 

Tus.  Ed  a  te  par  die  molto 

Per  una  sia  quel  che  tutte  han  ?  Pur  nulla, 
Che  di  tutte  non  sia,  chiederò  mai. 

Bai.  Ma  cotest' oro  che  le  braccia  e  il  collo, 
Madre,  ti  cinge,  il  vedi  a  un'altra  intor.no? 
Dal  reo  metallo  noi  scampò  natura; 
G  questa  terra,  se  il  produce,  ascose 
Finor  nel  sen  pietoso  il  dono  infausto. 
Dal  Mezzogiorno  giunse  a  noi  tal  peste 
Con  le  armate  nemiche.  Il  roman  ferro 
Non  temo  io  gikj  T  oro  tem'  io;  con  Poro 


Più  che  col  ferro,  vincer  noi  vuol  Roma. 

Vel.  Fratello,  intatto  il  nome  suo  Tnsnelda 
Mantenne  sempre.  La  più  vigil  cura, 
Come  de'  nostri  corpi ,  ebbe  dell'  alme  j 
E  col  latte  amoroso  ,  onde  ci  crebbe , 
In  noi  stillò  quanto  è  di  grande  in  noi. 
Chi  ,  chi  di  lei  nelle  più  dubbie  pugne 
Ardita  più  ?  Chi  d'  un  egregi»  sposo 
Nel  contar,  nel  trattar  1'  ampie  ferite 
Più  cittadina  e  sposa?  Ed  in  quel  nero 
Funestissimo  dì    che  prigioniera 
De'  Romani  restò  ,  qual  non  apparve  ? 
Legata  ,  ma  non  vinta  ,  una  dagli  occhi 
Lagrima  non  le  cadde,  una  dal   labbro 
Non   le  uscì  voce  supplichevol,  bassa: 
Né  fortezza  minor  ,  né  minor  ebbe 
Costanza  ,  riè  fu  men  Cherusca  in  Roma. 
Questa,   o  fratel ,  la  madre  nostra  è  questa. 

Bai.  A   me  sua  vita  narri  tu?  la  ignoro 
Io  forse  ?  Ma  qualor  .  .  . 

Tel.  Taci  :  ecco  il  padre. 

SCENA  V 

AfiMitno  ,  Telgaste  ,  Baldero  , 
Toskelda,  Velaste. 

Avm.  Telgaste,  bella  senza  te  la  luce 
Non  era  a  noi  di  questo  dì,  né  lieta 
Del  bosco  di  Teubergo  a  noi  la  vista. 
Nell'assemblea,  che  per  festiva  usanzi 
Si  raccorrà  tra  poco  ,   udrem  noi  dunque 
Ciò  che  risponde  il  popolo  superbo, 
Che  del  mondo  signor  chiamasi  a  torto, 
Finché  il  tuo  braccio  folgoreggia — e  il  mio. 
Poi  tutto  di  conviti,  e  danze,  e  giuochi 
Pieno  andrà  il  giorno:  ma  d'ogni  altra  festa. 
Quella  ond'  io  più  godio,  sarai)  le  nozze 
Della  dolce  mia  figlia.  Io  già  l'usbergo 
Dotale  e  1'  elmo  ai  fidi   tuoi  dar  feci. 
Se   tu   fosti  di   guerra  un   fulmin  sempre, 
Che  di  te  non  s'udrà,  quando  vestile 
Ti  avrà  P  armi   una  sposa  a  te  sì  cara? 
Nulla   vedrei    mancare   alla   mia  piena 
Felicità,  se  docil  più,  se  meno 
Io  scorgessi  ritroso  un  figlio  che  amo  , 
Che  amo,  Telgaste,   più  die  padre  forse 
Non  amo  figlio  ancor:  ma  tu  maneggia, 
Tu   rammollisci  a  me  quell1  alma  dura 
Di   Arminio  che  dirò?  Dirò,  ch'ei  vuole 
Per  la  patria  sudar,  come  se  nulla 
Fatto  avesse  fin  qui;  vuole  adoprarsi , 
Come  gi.iviu  guerriero  ancora  ignoto, 
INI  a  cui  viver  non   par.  se  oscuro  vive. 

Tel.   Degne  ,  che  tu  le  dica,  e  ch'io  le  ascolli, 
Sol)  lai  parole:  ho  anch'io  parole  a  dirti 
Di   me  degne  —  e  di  te,   se  ascoltarle  osi. 

Ami.  Miei  figli,  e  tu,  magnanima  Tusnelda, 
Tra  poco  qui  ci  rivedremo. 

SCENA  VI 
Armimo,  Telgaste. 

Tel.  Arminio, 

Grande  certo  sei  tuj  né  verun  duce, 


ATTO  PRIMO 


«7 


Tra  i  Cherusci  non  sol,  ma  in  tutto  il  Norie 
Sparge  tal  fama  che  la  tua  pareggi. 
Di   te  stesso  maggior,  cosa  non  lieve, 
Diventar  brami;  ma  tra  queste  piante, 
Con  mio  duoto  e  stupor,  grida  una  voce, 
Che  minor  di  te  stesso  anzi  ti  rendi  : 
Che  ;dla  patria,  di  cui   lanto  pregiavi 
La   libertade,  or  tu  ralene  ordisci: 
Che  quel  nome    di  Re,  rhe  odiasti  sempre, 
Più   dolce  a  te  d*  ogni  altro  nome  or  suona. 
Non  m'appongo  io?  Rispondimi. 

Arni.  Dagli  anni 

Miei   primi  alla  io  portai   nel  cor  ferita, 
Narrar  sentendo  che   il  romano  Druso 
Trascorse  vincitor  dal  Reno  ali1  Albi. 
Ma  lieti  di  sorsero  al  fin:  pugnai 
Con  Varo,  e  pugnai  sì,  che  nell'altera 
Roma  in   bocca  ai  fanciulli    Arminio  s'ode. 
PaatW   il   Keno  indi  altri  duci;  e,  s'io 
Stelli  placido  ali1  ombra,  è  noto.  E  noto 
Clic  a  Segeste,  che  univa  allor  con   Roma 
I  fedeli  suoi  Cittì,   io.   benché  indarno, 
Mandai  Tusnelda  ,  onde  svolgesse  il  padre; 
E  che  Tarmi,  quel  giorno  ahi!  non  felici, 
Contra  il  suocero  io  mo>si,  ancor  che  seco 
Tusnelda  fosse,  che  in  catene  a  Roma 
Condotta  fu;  con  qual  mia  rabbia,  il  sai: 
Ma  degli  affetti  miei,  fervidi  tutti, 
Se  la  patria  è  il  nvnor,  quindi  rifulge. 
Meglio  arriser  gli   Dei  contro  al  possente 
Maroboduo ,  che  ai  Marcomanni  in  braccio 
Riparò  fuggitivo.  Perchè  ratto 
Piombai  su  lui?  Re  non  volean  gli  Svcvi. 
Ma  se  d1  un  re  i  Cherusci   hanno  vaghezza, 
Se  parte  è  ancor  di  libertade  \\  farsi, 
Ove  piaccia,   un   sol  capo,  ai  lor  desiri 
Mi   opporrò?  E   fia  la  scelta  lor  mia  colpa? 
Veggon.  poniamo,  in  me  il  più  degno:  dunque 
Oggi  a  sé  nuoce  la  virtù? 

Tel.  Sedotta 

Onesta  gente  da  te  dunque  non  venne? 
Non  venne    Ma  se  folle  al  suo  mal  corre, 
Fin  di   chi   Pania   non  fermarla  tosto? 
Dal  tuo  dannoso   più  ,  quanto  più   vivo 
Lume  abbagliato,  il  tutto  in   man  ti    pone. 
Sempre  lo  stesso  sarai   tu?  Conosco 
Arminio  duce:  Arminio  prence,  Arminio 
Che  tutto  puote,  io  non  conosco.  Saggio 
lìegnar  sempre  tu   possa.   A  suo  re  sempre 
Ti  avrà  il  Cbcrusco?  E  non  impara  intanto 
Ad  amare  il  poter  d'un    solo?  i  dritti 
Non  obblia,  gli  usi  antichi,  e  al  fin  sé  slesso? 

Arm.  Come,  sé  stesso  non   obblia  già  forse? 
Son.  quelli   dell'età  de'nostri  padri, 
Dimmi,   i  Cherusci?  Oggi  non   può  la  legge 
Ciò  che  allor  potea  l1  uso  :  oggi  si  vieta 
Ciò  di  che  allor  né  s13vea  pur  contezza. 

7W.  Che   parli  tu?  Di1  che  Romani  Roma 
Or  più  non   ha:  noi  siamo  ancor  Germani. 
Qui  Foro,  il  padre  d^gni  colpa,  è  fango: 
Qui  non  basta  il  sembiante,  e  non  si  loda 
Chi  sa,  odiando  nel  core,  amar  col  volto. 
Puro  il  talamo  qui,  certa  la  prole. 
Ncn  turpe  scena,  non  falerna  vite 
I  desir  folli  in  casto  petto  alluma: 
Né  del  vizio  ridiam  fatto  gentile. 


Vedi  tu  qui  le  vane  arti,  onde  tanto 
Italia  s1  inorgoglia  ,  e  quegli  studi 
Per  cui  snervansi  Palme,    e  quelle  scritte 
Pagine  dotte  ove  a  temer  s1  impara  ? 
Insegna  Italia  la  virtude:  noi 
L1  esercitiamo.  I  piacer  nostri  e  P  arti 
Son  P  arco ,  il  corso,  le  più  alte  siepi 
Col  salto  superar,  col  nuoto  i  fiumi, 
Stancar  le  selve  in  dura  caccia.    Roma 
Si  compone  i  suoi   Dei,  che  più  non  teme, 
Poiché  gli  ha  in  marmo  e  in  òr:  noi  quelPin- 

(dustre, 
Quel   profano  scarpel,  che  impietra  i  Numi , 
Mon  conosciam;  non  li  serriam   tra    i    muri 
D'un  labil  tempio  noi:  ma  su  i  profondi 
Rapidi  fiumi ,  o  di   foresta  sacra 
Nel  venerando  orror  chi  non  li  sente  ? 
Divise  e  sparse,   umili  e  rozze,  ornate 
Sol  d'  innocenza,  ecco  le  nostre  case. 
Ma  che  ?  sol  di  Germani  il  nome  vano 
Ci  resterà  :  che  dove  s'  alza  un   trono  , 
Vita  durar  non  può  semplice,  austera, 
Paga  del  poco.  Allor  palagi  e  piazze, 
E  senza  cittadini  avrem  cittade: 
La  qual  ,  no ,  non  istà  nelle  recise 
Pietre,  che  non  han  senso,   unite  insieme; 
Ma  P  union  delle  concordi  voglie, 
Ma  giuste  leggi,  e  più   dell'  uom   possenti, 
Fan   la  vera  città.  Con  alte  mura 
I  cari  pegni ,  a  cui  miglior  difesa 
Oggi  formiam  col  nostro  petto  ,  allora 
Vorrem  guardate;  né  guardar  con  alle 
Mura   potremo,    né  più  allor  — col   petto. 
E  non   pur  campi  ,  orti  saranno  ameni 
Quelle    rocche,  onde  noi  cinse  natura, 
I  boschi  e  i   laghi  ;  e  dai   troncati   boschi 
Fuggiran  tosto  gli  oltraggiati  Numi  , 
E  tutto  fia,   perduti   i   Dei,   perduto. 
Ariti.   Udir  ti  volli  :  che  facondo  parli. 
Ma  la  facondia  tua  volger  credesti 
Ad   uom  che  ignori  in  quanti   modi  vita 
Civil  si  vive?  Gira  intorno  il   guardo, 
E  presso  i   troni  ancor  forza  e  coraggio 
Scorgerai:  mira  l'Oriente,  mira 
Cader  tra  i  Parti  in  Crasso  un  altro  Varo. 
Se  non  che  de1  suoi  cari  obbietti  pieno 
Telgaste  ha  l'occhio  sì ,  che  altro  non  vede. 
Tel.  Telgaste  sa  che  dalle  ricche,  immense, 
Molli,  corrotte  nazYoni  schiave 
Si  toglie  il  sire  invan  ,   perchè  col  sire 
L1  invecchiato,  servii,  molle  costume 
Non   puoi   toglierne  ancor;  perchè   le   stesse 
Rimarran  pur  sotto  altro  manto  e  volto; 
Perchè  religion ,  patria  ,  virtude 
Sul  labbro  avran ,  no  in  core;  e  il  mutar  ceppi 
Diranno  libertà:  Roma,  de1  suoi 
Cesari  senza  ,  pur  sarebbe  Roma. 
Ma  quel  popolò,  quel  che  nulla  vanta 
Di  superfluo  e  di  raro  ;  ove  sì  poche 
Son  le  adultere  fiamme  ,  e  la  vorace 
Usura  è  ignota;  ove  maestri  falsi , 
Di  funeste  dottrine  il  labbro  armati, 
Non  assalgono  il  Cielo  ,  e  non  di  stolti 
Odii  ed  amori  ,  ma  dell'alte  lodi 
De'  Numi  e  degli  eroi  custode  è  il  canto  : 
A  un  popol  tale  un  real  giogo  imporre? 


i58 


ARMINIO 


Dal  rollo  de'tuoi  Partì  io  non  lo  scuoto. 

Arni.  E  ben  ,  qual  vagheggiarlo  ami  ,  sia  questo 
Popolo  ancora.  Io  chiedo  a  te  ,  che  tanto 
Dal  tuo  peregrinar  traesti  senno, 
Se  giova  il  comparir  lento  di  tanti 
Legislatori,   ed  anche  allor  che  ratto 
Con  la  pace  la  guerra  in  giusta   lance 
Appender  si  convien?   Chiedo,    se    ponno 
Guerriere  arti  esser  mai  dove    ogni  armato  | 
Saper  dee  tutto  ? 

Tel.  Un1  arte  abbiam  che  basta. 

Arm.  Quale? 

Tel.  Osar  tutto,  e  non  temer  di  nulla. 

Arm.  Questa  io  non  levo. 

Tel.  La  ferisci,  quando 

Levi  al  guerrier  di  cittadino  i  dritti. 

Arm.  E  i  tanti  colpi  ,  onde  1'  amor  di  parte, 
Onde  sì  gravi  e  spesse  ire  civili? 

Tel.  Né  spesse,  né  si  gravi;  e  di   tranquilla 
Schiavitù  mal  molto  meri  grande. 

Arm.  Male  ' 

Di  cui  Roma  si  giova. 

Tel.  E  se  uno  è  il  capo, 

E  a  Roma  un  giorno  di  comprarlo  avvenga? 
—  Ma  cose  a  tutti  note  e   ornai   sì   antiche 
A'  chi  narro  io  ?  Chi  di  te  meglio  intende 
Quel  che  meglio  a  noi  fa  ?  Muovere  il  passo, 
Le  fresche  aure  spirar,  scaldarsi  al  Sole  , 
Vita  non  è,  tu  già  dicevi:   è  vita 
Non  aver  sopra  noi  che  Numi  e  leggi. 
Così  gridavi  ne1  tuoi  dì  migliori. 

Arm.  Quel  volli  già,  che  utilsernbrommi; quello 
Che  util  mi  sembra,  or  voglio.  Alla  corona 
Stendasi  un'altra  mari,  se  tanti  allori 
Mietè,  quanti  la  mia  :  ma  forse  io  primo 
O  in  repubblica,  o  in  regno  ad  esser  nacqui. 

Tel.  Quando  eri  cittadin  ,  minore  io  parvi 
Di  te  ,  ma  di  te  solo  ,  e  men  pregiava. 
Oggi  son  io  qui  primo,  io,  che    ogni  capo 
Sottrarre  intendo  alla  corona  ,  e  tanto 
Più  il  tuo  sottrarre  ,  quanto  è  a  me  più  caro  , 
Quanto  il  venero  io  più  ,  quanto  più  forte 
Mi  dorrei  nel  mirar  di  quella  ingombro 
Capo  che  tra  i  Germani  era  il  più  illustre. 

Arm. —  Nemici  dunq